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Assolutismi e totalitarismi furono la risposta impazzita alla perduta unità spirituale d’Europa

Una società è, o deve tentare di esser, non solo — come oggi, a quanto pare, si crede e si vuole — un agglomerato, più o meno confuso, d’individui, di egoismi, di fazioni, ma un tessuto armonioso, pacifico, ordinato di persone, strutture collettive e mezzi di produzione che concorrono a uno scopo comune, che vivono entro un orizzonte spirituale comune, che dividono, nella buona e nella cattiva fortuna, un medesimo destino.

Il continente europeo conobbe questa idea di società — se non la pratica, certamente l’idea — durante la sua giovinezza: il Medioevo, che fu come la sua lunga e florida primavera, caratterizzata da una intensa spiritualità e da uno slancio ideale che produsse meraviglie imperiture, come le cattedrali romaniche e gotiche, la filosofia di San Tommaso, la pittura di Giotto e la poesia di Dante. Il fattore di coesione sociale era la religione: e non si finirà mai abbastanza di ammirare, stupiti, la sua straordinaria forza di penetrazione e di conservazione — come fece, tra gli altri, il laico Carducci — ove si consideri quale lunghissimo periodo di unità e di stabilità quella fora abbia assicurato, pur fra alti e bassi, fra schiarite e tempeste, ai nostri progenitori.

Il cristianesimo, infatti, oltre che un eccezionale vigore mistico e speculativo, oltre che una morale straordinariamente elevata, non solo per quei tempi, ma per ogni tempo, fornì all’uomo medievale anche gli strumenti intellettuali, etici, estetici per alimentare, consolidare e preservare il più possibile la pace e l’armonia della società. Tanto per fare un solo esempio, dei mille che si potrebbero fare, si pensi alla deontologia delle corporazioni, basata sulla proibizione della concorrenza e di ogni forma di pubblicità, oltre che sulla severa condanna del’usura: tutto ciò era finalizzato alla tutela del consumatore e del lavoratore, alla difesa dell’economia reale dall’economia speculativa e parassitaria (che oggi dilaga e impone la sua spudorata dittatura mondiale), insomma alla difesa dell’uomo come persona contro le forze disgregatrici che vorrebbero farne un atomo, un numero, un oggetto disperso nella massa indifferenziata degli altri individui atomici.

A partire dal Rinascimento, come è noto, la presa della spiritualità cristiana sulla società europea incominciò a declinare; e, mano a mano che lil processo di laicizzazione avanzava, mano a mano che la secolarizzazione progrediva, l’unità spirituale dell’Europa si indeboliva, si affievoliva, svaniva come nebbia al sole: finché scomparve del tutto; e, al suo posto, emerse il cieco egoismo delle singole monarchie, poi delle singole nazioni.

Gli assolutismi del XVI e XVII secolo altro non furono che il tentativo, da parte delle monarchie — eredi del potere e del prestigio della Chiesa cattolica — di restaurare, con le buone o con le cattive, quel perduto senso di unità: non su scala continentale, ma, ormai, soltanto su scala nazionale. Ma gli assolutismi furono sconfitti dall’emergere di una concezione individualistica e utilitaristica della società, preparata dal giusnaturalismo e culminata nella cosiddetta Gloriosa rivoluzione inglese del 1688: la società ad altro non serve che a tutelare il massimo della libertà individuale, ad estendere il più possibile la sfera dei diritti individuali (senza, peraltro, l’assunzione dei corrispondenti doveri). Era ciò che Hobbes, intelligente sostenitore dell’assolutismo, temeva: il trionfo del "bellum omnium contra omnes", la lotta senza quartiere di ciascuno contro tutti. (Incredibile a dirsi, quel modello, ossia il modello liberale "puro", vale a dire il modello radicale, è a tutt’oggi quello dominante nella nostra cultura e nella nostra società; e, nonostante le ferite evidenti che quotidianamente infligge alla collettività e al senso stesso del vivere civile, che è vivere sociale, viene follemente presentato come l’unico legittimo, come il solo degno di essere proposto quale modello ai cittadini delle nostre società ed anche, volenti o nolenti, a quelli del resto del pianeta.)

Frattanto, alle monarchie ereditarie si sono sostituiti gli Stati moderni (e, anche qui, la monarchia costituzionale inglese, al servizio dei mercanti e dei banchieri, ha fatto scuola) e, con essi, gli egoismi e le gelosie individuali si sono riuniti in correnti gigantesche, in fiumi inarrestabili: i nazionalismi scatenati altro non sono stati che l’espressione collettiva degli individualismi dei singoli individui atomici, ai quali veniva così suggerita una maniera per incanalare la somma delle loro frustrazioni e la tristezza delle loro solitudini in un sentimento pubblico e collettivo di rivalsa contro un nemico esterno. Perché mai, se così non fosse stato, l’operaio o il minatore inglese, oppresso dalla miseria e dallo sfruttamento, avrebbe dovuto gioire e unirsi ai fuochi d’artificio nella "notte di Makefing", allorché in Gran Bretagna, dopo tanti insuccessi iniziali, giunse finalmente la notizia che le cose avevano preso una piega favorevole nella guerra contro i Boeri, laggiù, nelle lontanissime contrade dell’Africa australe? In che cosa sarebbe cambiata la loro vita, quale beneficio ne avrebbero tratto, loro che vedevano i propri figli morire di tubercolosi per sentirsi dire dal medico che la cura e la guarigione sarebbero venute da un prolungato soggiorno sulla Costa Azzurra o sulla Riviera ligure?

Ma i nazionalismi si sono annichiliti l’un l’altro nell’ecatombe della Prima guerra mondiale, e la Prima guerra mondiale ha generato i mostruosi totalitarismi del Novecento: comunismo e nazismo (con il secondo in posizione ideologicamente subalterna al primo, di cui era essenzialmente la negazione e la reazione); e questi, a loro volta, hanno alimentato il risorgere, ancora più virulento, dei nazionalismi, il tutto all’ombra di una potere finanziario mondiale cinico e amorale, unicamente rivolto al raggiungimento del massimo profitto con qualsiasi mezzo, lecito o illecito (ivi compreso il finanziamento di quegli stessi totalitarismi che poi esso, mediante gli stati democratici, avrebbe finito per combattere): e ne è seguita una seconda ecatombe, ancora più spaventosa della prima, nella quale si sono raggiunti vertici di crudeltà e di efferatezza quali mai si erano visti, né sarebbe stato possibile concepire, in quel "buio" e "superstizioso" Medioevo caro alla cultura di tradizione illuminista e positivista.

Finita l’ecatombe, è ripresa la marcia distruttiva degli egoismi individuali; è ripresa la marcia distruttiva delle superpotenze continentali, eredi degli stati nazionali; è ripresa, soprattutto, la marcia distruttiva del potere finanziario, sempre più libero e scatenato, sempre più affamato di nuovi dividendi e sprezzante di qualunque regola, di qualunque limite, di qualunque morale. E dilaga la cultura radicale dei diritti, che predica il massimo della libertà negativa mentre non si cura di stabilire un minimo di senso di responsabilità, di spirito di collaborazione, di consapevolezza della necessità dell’armonia sociale come obiettivo necessario non solo della politica, ma anche della vita quotidiana, a partire dalla società fondamentale che è la famiglia: l’unione feconda e benevola di un uomo e di una donna in vista della procreazione, sorretta dalla fiducia nel futuro e dalla salda credenza nel fatto che la vita è degna di essere vissuta.

Tra i filosofi contemporanei che più di altri hanno colto il processo qui delineato, ossia il sorgere degli assolutismi e dei totalitarismi come reazione alla perdita di unità spirituale dell’Europa dopo il tramonto della spiritualità cristiana, si sono particolarmente evidenziati Jacques Maritain e Augusto Del Noce. Lo storico Renzo De Felice ne ha efficacemente riassunto il pensiero nel suo conciso, magistrale saggio «Le interpretazioni del fascismo» (Bari, Laterza, 1969, 2001, pp. 85-90):

«Per Maritain, che scriveva nel 1934-36, dopo il Rinascimento e la Riforma il mondo è stato sempre più sconvolto "da energie spirituali potenti e, in verità, mostruose, nelle quali la verità e l’errore si mescolano strettamente si nutrono l’una dell’altro, verità che mentiscono e "menzogne che dicono la verità". Spezzatasi l’unità intellettuale e spirituale della cristianità, a livello politico si è assistito in un primo momento a una reazione assolutistica volta a salvare questa unità; col trionfo del razionalismo e del liberalismo anche la barriera assolutistica è però saltata e la vittoria della filosofia della libertà ha definitivamente segnato la fine di ogni unità spirituale, poiché questa filosofia "fa di ogni individuo astratto la fonte di ogni diritto e di ogni verità"; il liberalismo individualistico era però una forza puramente negativa, "viveva per l’ostacolo e durava per questo"; venuto meno l’ostacolo, non è stato più capace di sostenersi e ciò, per di più, in un’epoca nella quale si stava manifestando un profondo processo di conflitti interni alla società industriale e capitalistica. Da qui, per Maritain, il sorgere delle reazioni antiliberali contemporanee, del comunismo e del fascismo, e il loro prendere corpo nelle varie forme di totalitarismo che il nostro secolo ha conosciuto.

"A un tal momento — scrive Maritain — è naturale che si producano non solo esplosioni rivoluzionarie minaccianti l’essenza della civiltà liberale individualistica, ma anche riflessi di difesa e di reazioni antiliberali d’ordine, per così dire, biologico. È l’ultimo momento del processo di degradazione del quale abbiamo ora parlato. Perché queste reazioni non altro altra sorgente interiore nella vita delle anime che l’angoscia fisica e morale e la troppo grande sofferenza." In questa prospettiva storica, comunismo e fascismo erano per Maritain inscindibilmente collegati. "In virtù di un automatismo riflesso, non umano ma meccanico, il comunismo suscita e nutre le reazioni di difesa a tipo fascista o razzista; e queste suscitano e nutrono a loro volta le reazioni di difesa comuniste, in modo che queste due forze da grandi masse crescono simultaneamente innalzate l’una contro l’altra: l’una e l’altra facendo dell’odio una virtù, l’una e l’altra votate alla guerra, guerra di nazioni o guerra di classi, l’una e l’altra reclamanti per la comunità temporale l’amore messianico col quale deve essere amato il regno di Dio, l’una e l’altra pieganti l’uomo a un umanesimo inumano, all’umanesimo ateo della dittatura del proletariato, o all’umanesimo idolatrico di Cesare, o all’umanesimo zoologico del sangue e della razza." […]

Questa prospettiva interpretativa di fondo è stata ripresa negli anni cinquanta-sessanta da Augusto Del Noce in una serie di scritti assai stimolanti e ricchi di indicazioni e di suggestioni metodologiche e interpretative particolari che fanno di essi uno dei maggiori contributi che la cultura storicistica ha dato all’interpretazione del fenomeno fascista. "Nazismo e fascismo — egli sostenne — appartengono a contesti storici differenti. Il primo a quello del "dramma filosofico della Germania", rispetto a cui l’indagine del Lukács ha messo in chiaro dei punti della massima importanza e proposto dei temi che possono venire ripresi, anche se, naturalmente, diversamente valutati da studiosi non marxisti. In una formula approssimativa direi che il nazismo è l’unica risposta possibile, sul piano politico, alla sfida comunista entro l’orizzonte storico del primato del pensiero tedesco mondano e immanentistico. Invece il contesto ideale che bisogna illuminare per intendere il fascismo, è quello dell’inveramento del marxismo." Secondo Del Noce, il fascismo è sorto su in’intuizione estremamente notevole: al di sotto della realtà delle classi c’è un’altra realtà più profonda, che il comunismo ha ignorato, la realtà delle nazioni: lo prova il fatto dell’arresto di una rivoluzione pensata inizialmente come mondiale." Ma questa intuizione avvenne in Mussolini "secondo le categorie del socialismo rivoluzionario", sulla base cioè dello sganciamento dell’idea rivoluzionaria dal materialismo marxista e della sua riconnessione, invece, "con le suggestioni vitalistiche del pensiero del primo Novecento". Il che spiega la irrazionalità del fascismo, il suo attivismo non finalizzato ad un ordine preciso, e, quindi, "la contraddizione finale dell’attivismo, tra la politicità e il solipsismo, che gli sono entrambi intrinseci, per cui l’azione politica non può esplicarsi che come disgregazione di una realtà già data" all’interno e come "sostituzione nazionalista della lotta delle nazioni alla lotta delle classi" all’esterno.»

Certo, vi sono state altre cause che hanno concorso alla formazione degli assolutismi, nel XVI e XVII secolo, così come nella formazione dei totalitarismi, fra XIX e XX secolo; e, inoltre, non ci sembra assolutamente vero che nazismo e fascismo possano essere collocati entro una stessa matrice, perché essi nascono da situazioni storiche totalmente diverse: il desiderio di rivincita della Germania sconfitta nel 1918 e la mancata attuazione del programma risorgimentale — fare il popolo italiano — nel secondo caso. Tuttavia, pur con questi limiti, l’interpretazione "cattolica" di Maritain e Del Noce ci sembra contenere un nucleo di verità essenziale: dopo la morte di Dio, le forze spirituali dell’Europa, piombate nel caos, hanno cercato di ricostruirne il regno salvifico, ma in senso laico e immanente: così è nato l’universo concentrazionario comunista e nazista, le cui premesse sono esistono già, "in nuce", nella persecuzione di giansenisti e ugonotti nella Francia assolutista di Luigi XIV (ma anche in quella degli Irlandesi cattolici nella monarchia costituzionale di Guglielmo d’Orange e Maria Stuart) e, poi, nell’ideologia giacobina della "virtù" in senso robespierrista, che si traduce nel genocidio della Vandea e nella pratica sistematica della ghigliottina contro i nemici del "popolo".

Entrambi i pensatori italiani, poi — Maritain e Del Noce .- concordano, in sostanza, con le tesi che verrà esponendo Ernst Nolte anni dopo (la sua «Guerra civile europea, 1917-1945», è del 1987): il nazismo fu la risposta pressoché "inevitabile" della società tedesca alla minaccia di sterminio di classe rappresentata dall’affermazione del bolscevismo in Russia. In questo senso, il nazismo è stato una ideologia nettamente subalterna al nazismo, al quale ha essenzialmente cercato di opporsi (facendo suo un programma di violenza politica uguale e contrario); mentre il fascismo ha avuto una sua originalità, anche se, fin dall’inizio, ha risentito della doppia influenza di due ideologie divergenti e difficilmente conciliabili, quali il socialismo rivoluzionario del giovane Mussolini e la suggestioni soreliane, blanquiste, ma anche nietzschiane, vitalistiche e irrazionalistiche, confluite poi nel senso di un nazionalismo esacerbato (proprio in quanto, aggiungiamo noi, scaturente da un processo nazionale incompleto e, perciò, bisognoso di una "scorciatoia" ideologica che ne affrettasse la piena realizzazione).

In conclusione: da quando ha rifiutato l’idea di Dio, l’Europa è piombata nell’angoscia, nella paura, nella disperazione; ma, una volta cancellato l’orizzonte spirituale e sopranaturale, i tentativi dello spirito europeo di ritrovare coesione, saldezza e armonia, sono miseramente naufragati, perché condotti in una prospettiva inumana: inumano, infatti, è ignorare la vera natura dell’uomo, della quale il bisogno di Dio è parte essenziale. Inumano è il comunismo, inumano il nazismo (il fascismo, totalitarismo incompleto o "mancato", si colloca a un livello meno invasivo e, perciò, meno aberrante); ma inumano è anche il liberalismo, con la sua piatta acquiescenza all’egoismo individuale e con la sua pretesa che la società altro scopo non abbia che proteggere e santificare quell’egoismo, erigendolo a norma assoluta del vivere civile. Specialmente quando esso si traduce, di fatto — come attualmente avviene — nella dittatura mascherata del capitale finanziario, incurante non solo dell’uomo, ma anche della produzione e del lavoro, e unicamente preoccupato, come una gigantesca, insaziabile piovra, di aumentare senza fine i dividendi, come un Dio cieco, pazzo e idiota — parafrasando un po’ H. P. Lovecraft — ebbro del proprio potere fine a se stesso…

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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