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Non v’è tirannia peggiore, come ammonisce Kierkegaard, di quella della Folla

La società moderna è la società di massa; e massa vuol dire folla, anzi, la Folla: un insieme indistinto di soggetti che hanno perso la loro singolarità, perché vi hanno rinunciato, e che, in compenso, hanno eretto se stessi, proprio in quanto Folla, a suprema divinità e a giudice indiscutibile del bene e del male, del vero e dl falso, del giusto e dell’ingiusto.

Anche del bello e del brutto, s’intende: e ciò, fra parentesi, spiega l’estrema bruttezza, per non dire l’orrido squallore, di tante città moderne, di tanti quartieri, chiese ed edifici moderni, oggetti moderni, dell’abbigliamento moderno, della musica, del cinema e della danza moderne, del moderno modo di mangiare, di bere, di dormire, di praticare lo sport e di fare all’amore; e delle moderne gallerie di pittura e scultura.

Dunque: ove la Folla sale in cattedra, ove raggiunge il potere (o le apparenze del potere: ma essa è così bestiale da non cogliere la differenza), ove riesce a dettare legge (anche se, in realtà, viene letteralmente eterodiretta, e fa e dice e pensa tutto quel che si vuole ch’essa faccia, dica e pensi), lì subentra una forma spietata e, nello stesso, tempo, anonima di tirannia: quel che decide la Folla, attraverso la sua sola espressione autorizzata, quella cosa oscena e indistinta che si chiama pubblica opinione, diventa legge; e chi osa fare appena tanto da dissentire, anche senza opporsi apertamente, ma solo mostrando la sia pur minima perplessità, viene additato al pubblico disprezzo, asfaltato, isolato, braccato, calunniato, distrutto moralmente e fisicamente, ridotto al silenzio, alla vergogna, ad una "damnatio memoriae" perpetua e inappellabile.

Alla Folla tutto è lecito: insinuare, sussurrare, punzecchiare, alludere, minacciare, tirare il sasso e nasconde la mano; quale mano, poi? Essa ha cento, mille, diecimila mani: è come una piovra dalle infinite teste; inutile attaccarne una, decapitarla, strapparle il veleno: ve ne sono infinite altre, pronte a farsi avanti più di prima. La sua forza le viene da una idea, tipica della modernità, che, pian pianino, si è insinuata nei cervelli e li ha portati a sragionare: ossia che la ragione sia sempre della maggioranza. Una idea così palesemente falsa e balorda, che non ci sarebbe quasi il bisogno di confutarla, se non fosse che, nel frattempo, tale idea ha dato luogo ad una vera e propria religione: la religione egualitaria e democraticista; e che dissentire da essa equivale a vedersi scaraventati, automaticamente, nel lebbrosario degli immondi, nel campo di concentramento dei reietti, nella casa psichiatrica dei malati di mente.

Chi osa più contestarla? Sarebbe come affermare che il mare non è fatto di acqua, o che il sole non brilla di luce propria: una follia, una forma di demenza. E allora avanti, tutti quanti sulla base di questa menzogna, diventata la pietra d’angolo dell’intero edificio sociale: tutti pronti ad adorarla e a sostenerla, politici e magistrati, lavoratori e imprenditori, studenti e professori, laici e clericali, progressisti e conservatori, giovani e vecchi, uomini e donne, belli e brutti: nessuno potrebbe opporsi alla forza del numero, nessuno potrebbe insinuare il dubbio che la Folla mente, che la Folla sbaglia, che la Folla delira. La Folla ha sempre ragione, perché rappresenta la stragrande maggioranza degli esseri umani. I suoi gusti, i suoi umori, le sue mode, sono la sacrosanta verità: non vi è salvezza fuori di essa, e il Singolo, in quanto Singolo, non può che essere un potenziale sovversivo, una probabile minaccia, un soggetto strano e pericoloso, che non rientra negli schemi, e dunque assurdamente imprevedibile: qualcuno da cui guardarsi, per il bene di tutti.

In fondo, il Singolo non avrebbe neanche il diritto di esistere; se esiste, esiste a tempo e a scopo limitato, per gentile concessione della Folla; la Folla dà, la Folla prende: il Singolo non è nessuno al di fuori di essa, non deve montare in superbia, non deve credersi qualcuno; se ne son visti anche troppi, di Singoli che erano tiranni: papi, imperatori, re, signori feudali, e, orrore degli orrori, perfino santi. I santi vanno bene per instupidire la Folla, per dirigerla a piacere verso forme innocue di religiosità; se i santi venissero percepiti per quel che sono in realtà, se il significato della loro santità apparisse davvero in tutta evidenza, la Folla ne proverebbe spavento e un odio inestinguibile, perché essere santi vuol dire farsi tutt’uno con Dio, e dunque riconoscere un altro dio dalla Folla: dunque, essere dei veri e propri nemici della pubblica quiete e del bene comune.

Scriveva Kierkegaard, a questo proposito, nel suo "Diario"; e lo scriveva quando la tirannia della Folla era, in confronto ad oggi, appena allo stato embrionale, e non aveva ancora assunto le dimensioni spaventose, totalitarie, onnipervasive, che ha acquistato ai nostri giorni (da: Sören Kierkegaard, «Diario», a cura di Cornelio Fabro, Brescia, Morcelliana, 1962, e Milano, Rizzoli,1975, pp.  240-241):

«Ciò che  rende soprattutto difficile la mia posizione nella vita pubblica, è che gli uomini non possono capire contro che cosa io propriamente combatta. Mettersi contro la Folla è sempre, per la maggioranza, un non-senso, perché la Folla e la pluralità e il pubblico sono appunto le forze ella salvezza, quelle riunioni amanti della libertà da cui deve uscire la salvezza – contro i Re e i pai e i funzionari che ci vogliono tiranneggiare! Ahimè! O piuttosto poveri  noi! Ecco le conseguenze dell’aver per secoli combattuto Papi e Re e potenti e di aver considerato la  Folla come la cosa sacra. Nessuno sospetta che le categorie della storia umana s’invertono, e che la  Folla è diventata l’unico tiranno e la perdizione fondamentale. ma naturalmente ciò è per la Folla la cosa più incomprensibile. Avida di dominio è la Folla ed essa si crede assicurata contro ogni rappresaglia: perché, come riuscire ad afferrare la Folla? Ciò che qui da noi si chiama l’opposizione, vive ancora nel solito luogo comune che si debba combattere la tirannia di governo. Quando un poliziotto commette  un errore il più insignificante ecco che il superiore lo punisce, subito si fa un chiasso del diavolo. Ma se la Folla, il pubblico, la plebaglia, ecc., di anno in anno si rendono colpevoli dei delitti e degli abusi di potere più abominevoli, l’opposizione non fiata. O non riesce a capire che sono delitti  (poiché è l’idolo dell’opposizione a far questo); o non sa denunziarli, perché è vigliacca. Quando un uomo è vittima di una piccola ingiustizia (ma notate bene, da parte del Re, di un altolocato, ecc.) ecco che tutti provano simpatia per lui: ne fanno un "martire". Ma quando un uomo, in senso spirituale, tutti i giorni è schernito, perseguitato, maltrattato dall’insolenza, dalla curiosità e sfrontatezza della Folla, del pubblico, della plebaglia, allora è una cosa perfettamente normale, "non è niente"…!

Nessun dubbio quindi che a questo proposito occorrono molte vittime. La situazione è così grave ch’è necessario un manipolo di vittime per mettere gli uomini sull’avviso che non si tratta di far riforme contro un Papa, un Re, o un commissario generale di guerra.

Sopratutto è indizio di una limitatezza enorme e fa poco onore allo "judicium" dei signori Riformatori, il credere che la Riforma possa consistere nell’abbattere un uomo solo – perché così il mondo sarebbe un mondo gentile!

No, l’antichità allora comprese meglio la faccenda, cioè che la Folla è il pericolo n. 1. Ed è alle formazioni dell’antichità che la storia torna un’altra vola. L’Europa non avrà guerra, ma una continua rivoluzione interna ( plebei-patrizi).

Se gli uomini, con una corsa di diversi secoli e con la passione dell’abitudine, non si fossero incaponiti nell’idea che il tiranno è un uomo singolo, si potrebbe anche riuscire a vedere facilmente che l’esser perseguitati dalla Folla è la cosa più gravosa di tutte; perché la Folla è la Somma dei Singoli, così che ogni Singolo vi porta la sua piccola parte; mentre il Singolo non pensa quanto grande sarà la somma finale, quando tutti i Singoli lo facciano.

Non ci ha ora la filosofia insegnato abbastanza che il mondo è entrato nella riflessione? Quest’è vero; proprio per questo non può mai più essere un Singolo (Re, Papa, ecc.) a diventare tiranno. La tirannide diventerà per forza un rapporto di riflessione. Eccoci di nuovo alla  categoria di Folla, opinione pubblica.

Ma, come s’è detto, ci vuole molo tempo prima che colui , il quale dovrà combattere contro la Folla, ottenga un po’ di pathos dalla sua parre, cioè prima che qualcuno possa capire la realtà di questa lotta.

Socrate è e rimane per me l’unico riformatore ch’io conosca. Gli altri per quanto io sappia, possono essere stati entusiasti o ben intenzionati, ma erano nello stesso tempo notevolmente limitati.»

Del resto, senza bisogno di studiare le opere di Gustave Le Bon o di Georges Sorel, basta aver letto «I promessi sposi», e specialmente l’episodio dei tumulti milanesi per il pane del 1628, per farsi un’idea di quel che voglia dire la tirannia della Folla: la sua irrazionalità, la sua imprevedibilità, il suo furore, la sua malizia, la sua vigliaccheria. Di più; basta aver letto il Vangelo, per esempio quando la folla di Gerusalemme è chiamata ad assistere al processo di Gesù e viene invitata da Ponzio Pilato a scegliere se si debba liberare Gesù o Barabba; ed essa grida, come un sol uomo, al governatore romano: «Crocifiggilo!». Era la stessa folla, molto probabilmente, che, solo qualche giorno prima, avrebbe voluto lapidare l’adultera: la stessa folla che Gesù aveva umiliato e disperso con una sola frase: «Chi di voi è senza peccato, scagli contro di lei la prima pietra».

E vigliacca: perché si fa forte del numero e dell’anonimato; ma, se appena il vento gira, se appena si sente odor di reazione da parte di una forza che, davanti ad essa, non si lasci sgomentare, e sia pronta e decisa ad agire per ristabilire l’ordine, subito essa si disperde, fa la vittima, mette avanti ogni sorta di giustificazioni per lavarsi le mani del sangue che ha versato, per scaricare su qualcun altro ogni colpa. La Folla è quella che applaude un dittatore quando è all’apice della potenza, e poi ne insulta il cadavere quando è caduto dal piedistallo, lo dileggia, vi orina sopra. Uno spettacolo miserevole, che abbiamo visto cento volte, anche di recente, ad esempio con la caduta del colonnello libico Gheddafi. Di nuovo, ci soccorre la letteratura: si rilegga la novella di Giovanni Verga, «Libertà», ispirata ai fatti accaduti a Bronte, in Sicilia, nel 1860: e si vedrà di cosa è capace la folla imbestialita, e di quanto, poi, sia facile domarla, reprimerla, castigarla.

La tirannia della Folla, che, a sua volta, è tiranneggiata dai poteri oscuri impegnati a solleticarla, a manipolarla, a sfruttarla, ma — beninteso — senza ch’essa se ne accorga, è resa possibile e agevolata da un principio, tipicamente moderno, tipicamente egualitario e democraticista: che al mondo vi siano diritti, diritti e ancora diritti, ma quasi nessun dovere; che la responsabilità individuale non sia necessaria, perché, ad assumere decisioni, è sufficiente il "gruppo"; e che la società naturale e fondamentale, la famiglia, non debba insegnare più la distinzione fra il male e il bene, ma soltanto assecondare le inclinazioni spontanee dei bambini, le quali diverrebbero legge a se stesse, in qualunque direzione, verso qualsiasi obiettivo. E questo rafforza la solidarietà della Folla nel sentimento della vigliaccheria: perché se la responsabilità è del "gruppo", allora è di tutti, cioè, in pratica, di nessuno. E allora, se nessuno porta la responsabilità di niente, ciascuno si sente libero di fare quel che gli pare, certo di non dover rendere conto del proprio operato.

Specialmente profetiche, poi, appaiono le riflessioni di Kierkegaard circa il carattere di guerra intestina permanente che assume la vita sociale, laddove sia dominata dall’arbitrio della Folla. Inevitabilmente, se la Folla ha sempre ragione, si va verso la guerra civile quotidiana, sistematica, perenne: perché ciascuna Folla si sente autorizzata a lottare per i propri sacrosanti diritti, contro ogni altra Folla. Ed ecco, tanto per fare un esempio, che la Folla dei lavoratori in sciopero, appartenenti a una certa categoria, per far valere i suoi diritti blocca i treni, blocca le strade, blocca la posta, blocca i pubblici servizi: e non si preoccupa affatto se, così facendo, danneggia le altre Folle: la Folla di quanti devono recarsi al lavoro, di quanti devono accompagnare i figli a scuola, di quanti hanno bisogno di quel determinato servizio. Ma può andare lontano, può sopravvivere, una società che viva in stato di conflitto permanente di tutti contro tutti? La tirannia della Folla è il volto grossolano e brutale del totalitarismo democratico. Che, poi, dietro di essa, si muova un secondo livello di totalitarismo, niente affatto democratico, che della Folla si serve come d’un docile strumento: questa è cosa che dovrebbe allarmarci tutti, e molto, se solo fossimo capaci di vederla…

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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