
Neppure al magnanimo Tex Willer tutte le ciambelle riescono col buco
28 Luglio 2015
Ma davvero Galilei voleva solo risparmiare alla Chiesa un inutile errore?
28 Luglio 2015La cultura moderna ha dichiarato guerra a tante cose: alla morte, alla vecchiaia, alle malattie, alle rughe.
Una crociata vitalista, igienista, giovanilista, ha spazzato, come un vento sull’erba nuova, questi simboli antichi della condizione pre-moderna, così palesemente anacronistici e oscurantisti, così politicamente scorretti.
I morenti?
Che se ne vadano a tirare le cuoia da qualche altra parte, ma qui no, per carità; non sotto i nostri tetti e davanti ai nostri sguardi inorriditi; non nelle lenzuola casalinghe, fresche di bucato; in quelle dell’ospedale, piuttosto: lì, possono anche farsela addosso, se capita; dopotutto, paghiamo le tasse anche per questo.
I vecchi?
Possiamo tollerarli finché sono autonomi e ancora relativamente efficienti, anche se costituiscono comunque un bel peso; non parliamo di quanto costano allo Stato, cioè a noi tutti, le loro pensioni, e hanno pure il cattivo gusto di vivere sempre più a lungo; senza contare che non producono più nulla, sono dei pesi morti, delle bocche inutili da sfamare: si fanno giusto perdonare perché tengono in casa i nipotini e fanno risparmiare ai loro figli la retta dell’asilo nido.
Ma se non sanno più badare a se stessi, se vanno via con la testa e bisogna accudirli come bambini, allora non ci siamo proprio: che aspettano a togliersi di torno, a levare gentilmente il disturbo, s’intende senza dimenticarsi di lasciare agli eredi l’automobile, la casa, e magari anche un bel gruzzoletto, messo da parte a forza di risparmi sulla pensione?
Restano le rughe: le rughe, questo obbrobrio estetico, questo schiaffo in pieno viso al nostro culto dell’eterna giovinezza, questo sfregio alla nostra smania di apparire sempre come tanti quindicenni, anche a sessant’anni, anche a settanta. I cappelli, bianchi o grigi che siano, almeno si possono tingere: è così semplice, dopotutto; ma le rughe!…
Certo che Dio doveva avere proprio la luna storta, quando ha inventato le rughe: ma come si fa, dico io, ad inventare le rughe, quando lo sanno tutti, anche i bambini, che le rughe sono un inestetismo e buttano su l’età, magari ne hai solo quaranta, ma sembra che tu ne abbia ottanta! Sono un autentico disastro; come si potrebbe sopportarlo?
E invece, diciamo forte e chiaro che le cose non stanno così.
Una vita che non sappia confrontarsi con le rughe, con la vecchiaia e con la morte, è una vita indegna di essere vissuta: una vita da bamboccio viziato, che non vuole prendersi il disturbo di crescere e che ha scambiato il mondo per un eterno luna park.
Sono belle, invece, le rughe, sul viso di una persona d’una certa età, che abbia vissuto intensamente la propria vita; e pure sul viso di una donna.
Le donne dovrebbero smetterla di preoccuparsi così tanto all’apparire del primo capello bianco, della prima ruga sulla fronte o ai lati delle labbra: possibile che non capiscano che, se portati con dignità, senza ostentazione, ma anche senza vergogna, i capelli bianchi e le rughe sono come le cicatrici onorevoli di una vita ben vissuta, con lealtà verso se stessi?
Possibile non capiscano che le tinture, la cosiddetta chirurgia estetica e ogni altra strategia artificiale mirante ad allontanare i segni dell’età, non sono altro che tentativi di scongiurare l’inevitabile, rendendolo inutilmente penoso; e che meglio sarebbe accettarlo con animo sereno e con lieto volto, senza permettergli di turbare il loro equilibrio, né la loro stima di se stesse, né la loro vita sociale, affettiva, sentimentale?
Ma le rughe, si sa, hanno la pessima abitudine di non fermarsi mai: avanzano, si infittiscono, disegnano tutta una trama… E va bene, ma con ciò? Vi è forse qualcosa di vergognoso, qualcosa di umiliante, in esse?
Eppure – dicono le donne, che non ci stanno a passare per quelle che pensano sempre e solo al loro aspetto puramente esteriore – sono proprio gli uomini che non capiscono, che non accettano; sono loro che disprezzano i segni della vecchiaia, che si ritraggono istintivamente da un volto con le rughe, da una chioma imbiancata dall’età.
Davvero?
Non sarebbe più esatto dire che certi uomini – i peggiori, i più banali, i più superficiali, e anche, lasciatevelo dire, i meno virili – si comportano, sì, in tal modo; ma che gli uomini veri, quelli che amano comunque le donne, sia quando sorride ad esse la luce della giovinezza, sia quando si avviano al tramonto della loro esistenza terrena, portando i segni del tempo che passa, non si scompongono per così poco, anzi, trovano in quei segni dell’età un ulteriore elemento di fascino, di tenerezza, di mistero?
Ad ogni modo, è precisamente qui che si vede quanto vale una persona, cioè quanta stima abbia di se stessa, quanta coerenza, allorché chiede di essere giudicata per quel che è, e non secondo le apparenze esteriori: a una donna matura e rispettosa di sé, poco importa dell’ammirazione degli uomini superficiali, immaturi, banali, che ammirano non lei, ma la sua giovinezza e desiderano non lei, ma il suo corpo ancora fresco. Chi insegue l’approvazione e punta a suscitare il desiderio di quanti valgono poco, si giudica da se stesso: mostra di valere poco a sua volta.
Di fatto, una donna anziana, che sappia portare con naturalezza le proprie rughe, può essere infinitamente più seducente di una liceale tutta griffata, boriosa nella sua inconsapevolezza, fastidiosamente noiosa nel suo pesante, compulsivo narcisismo.
Ci viene in mente un episodio che vale la pena di essere raccontato — un episodio modesto, ma che ben chiarisce quel che stiamo cercando di dire.
Ne è stato testimone un insigne studioso tedesco, lo storico Ferdinand Gregorovius (Neidenburg, 19 gennaio 1821-Monaco di Baviera, 1° maggio 1891), grecista e medievista, il quale aveva fatto dell’Italia la sua patria d’elezione, venendo a trascorrervi gran parte della sua vita. Oltre che storico, era un vivo osservatore della realtà e un eccellente prosatore, che volle far conoscere al mondo intero il tesoro d’innumerevoli bellezze, artistiche e naturali, del nostro Paese. Ebbene quest’uomo, questo severo tedesco del Nord — era nato in un castello della Prussia Orientale appartenuto ai Cavalieri Teutonici -, armato di una profonda erudizione e, nello stesso tempo, romanticamente innamorato di tutto ciò che è bello, armonioso, suggestivo, rimase un giorno vivamente colpito, nel corso dei suoi vagabondaggi per la Penisola, dalla struggente bellezza di una donna, non più giovane, ma decisamente anziana, tratteggiando un breve ritratto di quell’incontro casuale con parole di ammirazione che avrebbero potuto far arrossire di compiacimento qualunque ragazza nel fiore degli anni.
Crediamo che valga la pena di riportare quella mezza paginetta, perché, nello spazio di poche righe appena, Gregorovius ha saputo innalzare una vera elegia alla bellezza — sì, alla bellezza, e non solo in senso spirituale – della donna che ha visto sorgere un’ottantina di primavere (da: F. Gregorovius, «Passeggiate per l’Italia; titolo originale: «Wanderjahre in Italien», 1956-77, 5 voll.; Roma, Avanzini e Torraca Editori, 1968, vol. 4, «Campania e Sicilia», p. 61-2):
«Ero uscito dalla città [di Nola, presso Napoli] per andare al bel convento francescano di Sant’Angelo, con logge ariose, sito in mezzo ad un frutteto. Sulla strada provinciale raggiunsi una famiglia che ritornava dalla festa.
Vi era una matrona coi nipoti; la matrona doveva essere sugli ottant’anni ed era di una classica bellezza, la sua statura alta aveva le proporzioni di una figura da tragedia; era vestita di un abito lungo, a pieghe, di seta cremisi, con un largo orlo di broccato d’oro, a vita alta, alla moda greca; sull’abito portava una giacca ricamata pure rossa e attorno ai capelli grigi aveva un nastro all’antica moda pompeiana. La figura imponente aveva lo stesso incedere della moglie di un antico sovrano; sì, la matrona somigliava ad una regina madre, e in verità avrebbe potuto figurare benissimo da Atossa, moglie del degno Dario e madre di Serse nei "Persiani" di Eschilo. Mi ero unito a loro e benché una delle nipoti della vegliarda fosse molto bella, vicino alla nonna dimenticai la fiorente giovinezza.
Non mi riusciva di distogliere gli occhi dalla sua figura imponente. Le nipoti non erano vestite tanto riccamente, indossavano gonne con bluse dalle maniche a sbuffi e in testa avevano il fazzoletto in uso in queste contrade. Lo si chiama Mucador; non è avvolto attorno al capo, ma intrecciato leggermente sulla nuca, in modo da lasciar visibili le trecce dei capelli intorno alle tempia. Questo modo di portare il fazzoletto sul capo lo si osserva già nelle donne degli affreschi di Pompei. Purtroppo non capii quasi nulla del dialetto parlato da questi contadini. Mi invitarono nella loro casa lontana solo poche miglia da Nola, come mi dissero. Avrei gettato volentieri uno sguardo nella vita di questa famiglia, ma rifiutai, perché il giorno volgeva alla fine e perché ero attratto da Sant’Angelo e dal panorama della pianura di Nola.»
O forse la ragione del rifiuto era un’altra, e cioè che il viaggiatore tedesco, imbevuto di poesia e scultura classica, nonché propenso a sognare e a idealizzare la realtà, istintivamente non voleva vedere dove e come vivesse quella magnifica matrona, che, in fondo, era pur sempre una contadina, per serbarne in cuore un ricordo intatto e misterioso?
Sia come sia — e non è da escludere che le cose siano andate proprio nel senso che qui abbiamo ipotizzato –, resta il fatto che lo storico-poeta tedesco, autore delle monumentali «Storia di Roma nel Medioevo» e «Storia di Atene nel Medioevo», il quale fin da giovane aveva ardentemente desiderato di recarsi al Sud, nei luoghi che furono la culla della civiltà classica, e che una volta, in sogno (lo racconta nelle pagine del suo diario), aveva visto se stesso nell’atto emblematico di prendere al laccio il Mare Mediterraneo — resta incantato dal bel viso e dallo splendido portamento di una donna, che ormai è nonna, e che ha decisamente oltrepassato la soglia della vecchiaia: e che proprio lui, il cultore delle cose belle, quasi l’esteta raffinato, non si vergogna affatto di dichiarare come quella nonna lo abbia turbato e impressionato cento volte più delle sue pur belle nipoti, che erano nel pieno rigoglio della giovinezza.
Stranezze, eccezioni più uniche che rare?
Certo, possiamo ben dirlo: non a tutte le donne di ottant’anni può succedere di strappare un simile tributo di ammirazione incondizionata da parte di un uomo che sia colto, intelligente, sensibile, e soprattutto, dotato di buon gusto, come lo era — senza alcun dubbio – il Nostro.
Ma questo, che cosa mai significa? Sarebbe come dire che non a tutti è concesso di raggiungere livelli di eccellenza, nel campo della maestria professionale, o in quello della prestanza atletica, o, ancora, in quello della potenza e originalità artistica. È logico e ovvio che sia così: l’eccellenza, in qualunque ambito si incontri, è sempre il frutto non di sole abilità e conoscenze, non di pura strategia, ma anche di una dote naturale, indefinibile, che alcuni individui misteriosamente possiedono, ed altri no, per quanti sforzi facciano.
In pochi altri ambiti, comunque, come quello della bellezza, sono le virtù intime della persona, di natura spirituale, a tralucere nell’aspetto fisico, conferendogli leggiadria e venustà; e non il contrario. Una bella persona, che sia tale in senso spirituale, lo è quasi sempre pure in senso fisico, anche se, magari, non possiede i singoli requisiti che si associano alla bellezza; ma quel che conta, quello che colpisce chi la vede, è l’effetto d’insieme, nel quale l’anima trasfigura il corpo, mentre il corpo non potrà mai surrogare o nascondere una grave carenza d’ordine spirituale.
Le rughe dovute all’età, lo ripetiamo, se portate con naturalezza, e persino con una certa quale fierezza, non tolgono, ma aggiungono fascino all’uomo, così come alla donna. Nel caso della donna, poi, esse smentiscono uno dei più sciocchi luoghi comuni: che una donna, per essere affascinante, debba essere sempre giovane. Come potrebbe una donna perdere il fascino, se ne aveva, per il trascorrere del tempo? Semmai, può accadere il contrario: che esso, col tempo, cresca…
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels