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26 Luglio 2013
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26 Luglio 2013Così la sanguinosa tragedia finale di Alberico Da Romano viene rievocata dal padovano Pietro Gerardo nella sua «Vita et gesti d’Ezzelino terzo da Romano» (Preganziol, Matteo Editore, 1976, pp.245-48):
«… Stando dunque Alberico in cima la torre molto dolente, e pieno di timore, e paura, vedendo tanta gente preparata a sua ruina, e distruttione, essendo stato ivi tre giorni, e non havendo più da vivere afflitto da dolore e da passione per veder la moglie, figli in tanta calamità chiamato a se li figli, e figlie, e la moglie, piangendo parlò in questa sententia: "Carissimi, , e dilettevoli figliuoli, e voi, mia amatissima consorte, non poso fare, che con lagrime amarissime non pianga la nostra ultima calamitade, considerando in quanto poco tempo da tanta felicità, e altezza siamo cascati in tanta miseria, e bassezza, che quelli, che soleano tremare odendo il nome de la famiglia da Romano hora siano arditi con tante obbrobriose parole ingiuriarmi, con dishonesti, et vituperosi segni offendermi, ma che peggio è minacciarmi di morte; e d’essere preparati a nostra ruina per tanto io son certo, come voi anchora potete comprendere, che in breve saremo sforzati andare in man de nostri inimici, li quali contra mia persona son certo vorranno usare gran crudeltà in vendetta de quelli nostri inimici, quali Ezzelino mio fratello, et io, in varij tempi habbiamo fatto morire. Ma son per tolerare con patientia il tutto, poi che così vuole la mia sorte iniqua, pur che contra dio voi innocenti non vogliano sfogare la sua ultima rabbia, il che se occorrerà il dolore mio serà dupplicato; ma se restate vivi, come la ragione vuole, vi prego ricordiate, e siate memori di vendicare la morte nostra, come è il debito di chi è nato nobile, e illustre sangue; e il modo harete di farlo perché se sarete huomini valorosi, farete germogliare le radici de la nostra parte, che anchora vivono in Lombardia, e in Pedemonte; havete in Toscana li Conti del Mangano, huomini egregij, e di gran potere; congionti a voi di strettissimo parentado, li quali saranno in vostro favore. Io vi do adonque la paterna beneditione, e prego Iddio che vi dia lunga e felice vita, e trionfo sopra vostri nimici". E non potendo dir altro pieno di dolore, e afflittione, piangendo si gittò sopra un letto, con la moglie, e figliuoli intorno, li quali con grandissimi pianti lo cercavano confortare. Dopo alquanto acquietato, chiamò a se tutta la sua famiglia, e massime quelli, che più gli erano grati, e disse: "Io vedo non potere trovare via alcuna di poter salvare a mia famiglia, per me, come sarebbe desiderio mio, imperò voglio, e però son contento, che voi cerchiate di salvarmi, e che diate me, e tutti li miei figliuoli, e moglie, in mande li miei inimici, , ben vi prego mi vogliate raccomandare al Marchese pregandolo, che sia contento per l’antica nostra amicitia, e per il parentado che è fra noi, mediante il matrimonio che fu già molti anni fatto fra mia figliuola Aledeida e il Principe Rinaldo, suo figliuolo, che si voglia degnare di diffendere me, e miei figliuoli dal furore popolare: e contentarsi de haver me, già suo Signore, per prigione". Il che detto tacque, uscendoli focosi pensieri del petto, vedendosi approssimare l’hora de la morte sua. Li famigliari adonque havuta tal licentia, e vedendo essere pericolo di indugia, perché già gli nimici tentavano di rompere la torre, gittato fuora una camiscia d’una fenestra sopra una lancia, fecero segno di volersi rendere; e Lodovico Bolognese, uno dei più fedeli secretarij de Alberico, per nome de li altri fatto chiamare Marco Badoero, Podestà di Treviso, li disse, che se volevano salvare tutta la famiglia,che essi promettevano darli in mano Alberico, sua moglie e tutti suoi figlioli, con conditione, che fussono preservati da morte; ma il prefato Podestà, havendo tal commissione dal popolo di Treviso, negò tal cosa dicendo lui non li volere promettere; ma Lodovico facendo instantia voler parlare col Marchese, e non potendo per non perdre la occasionedi salvar se e tutti gli altri, diede Alberico, la moglie Margarita, e sei figliuoli maschi, Giovanni, Alberico, Romano, Ugolino, Ezzelino, e Cormalsco e due figliuole femine, Griseida, e Amabilia, in mano del popolo di Treviso, di Padoa, di Vicenza, e de altri luochi, li quali subito posero un sbaio di legno in bocca ad Alberico; ma subito per coertesia del Podestà di Treviso li fu fatto cavare, tanto che si confessò insieme con la moglie, e figliuoli; poi ritornato il sbaio, in sua presentia gli furono ammazzati tutti sei li figliuoli, li cadaveri de li quali furono tagliati in pezzi, e gittati per tutto lo essercito, la moglie, e figliuole in sua presentia abbrusciate. Egli posto a coda d’un cavallo fu quel giorno tutto strascinato per lo essercito, e talmente infranto che più non si discernea; e le reliquie furono gittare ne boschi per pasto de lupi: questo fu a dì 24 de Agosto 1260. Il seguente giorno a furor del popolo fu dato principio a rovinare il castello di San Zenone, il quale fu in pochi giorni fin su li fondamenti rovinato; dopo ilo medesimo fu fatto a Romano, et a molti altri castelli di Pedemonte, e così ebbe fine questa potentissima famiglia da Romano mandata da Dio in questo mondo per flagello de la Marca Trivisana.»
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