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L’uomo, per curare i suoi simili, ha il diritto di torturare e uccidere gli animali?

L’uomo, per curare i suoi simili e mettere a punto nuove medicine e nuove terapie, possiede un diritto morale, che sia di per sé evidente, a disporre della vita delle creature non umane, imprigionandole, brutalizzandole, torturandole e uccidendole a milioni e decine di milioni?

Questo interrogativo ci rinvia ad una questione di carattere generale, e cioè al fatto che l’etica occidentale è sempre stata pensata e discussa come un’etica intraspecifica e non interspecifica, riguardante solo gli esseri umani ed escludendo tutti gli altri viventi.

Partendo da una simile impostazione, è considerato come un bene tutto ciò che va a vantaggio dell’uomo ed è considerato come un male tutto ciò che gli nuoce; le cose che sono benefiche o nocive per gli animali, per le piante e per la natura tutta, invece, non appaiono importanti in se stesse, al massimo lo sono nella misura in cui possono coinvolgere il vantaggio o lo svantaggio dell’uomo.

Perciò, in Occidente, esistono molte scuole e tendenze di etica, ma, rispetto alla sfera delle creature non umane, le loro differenze svaniscono e risultano tutte ugualmente utilitaristiche: il bene dell’uomo (peraltro non meglio specificato o, peggio, identificato con il "bene" puramente fisico e materiale) diventa il metro e la misura di tutto il resto.

Se, dunque, per fare del "bene" anche ad un solo essere umano, bisogna sacrificare decine, centinaia o migliaia di creature non umane, la cosa appare come perfettamente lecita e anzi, per parlare in modo appropriato, la cosa non è nemmeno oggetto di discussione, in quanto considerata come assolutamente ovvia ed auto-evidente.

Lasciamo stare il fatto che spesso, molto spesso, gli uomini giustificano la tortura e la vivisezione degli animali con il pretesto della ricerca medica e scientifica, mentre invece solo una minima parte degli esperimenti afferiscono realmente a quest’area, e tutti gli altri riguardano pratiche le cui uniche finalità sono di natura economica o, addirittura, militare (negli Stati Uniti, per esempio, i delfini vengono addestrati da etologi delle Forze armate a comportarsi come veri e propri siluri viventi, dirigendosi verso obiettivi nemici, dopo essere stati muniti di cinture con potentissimi esplosivi).

Lasciamo perdere, dicevamo, questa ipocrisia, per cui si mescolano insieme cose diverse al fine di giustificare qualunque pratica e qualunque abuso ai danni degli animali, e prendiamo subito di petto il nocciolo della questione: l’impiego di animali come cavie per mettere a punto medicinali che potrebbero salvare la vita di esseri umani.

La Vulgata scientista oggi dominante ha permeato a tal punto la cultura e il comune sentire delle persone, che ben pochi, se interrogati a questo proposito, esprimerebbero dubbi riguardo alla liceità di simili pratiche: esse appaiono come tali da non abbisognare di alcuna argomentazione, di alcuna giustificazione.

Ma è proprio così?

Partiamo dal fatto che la vivisezione e l’uccisione degli animali è, semplicemente, il punto d’arrivo di un modo di considerarli e, quindi, di manipolarli, che scaturisce direttamente dalla nostra morale antropocentrica: clonare gli animali, per esempio, facendo nascere delle creature che (come la famosa pecora Dolly) possono avere parecchie madri e nemmeno un padre biologico, significa già infrangere qualunque barriera etica nei loro confronti; per non parlare dell’indifferenza verso la loro salute e il loro benessere, poiché si sa in partenza che essi verranno seriamente compromessi.

Scrive, dunque, Alika Lindbergh nel suo libro «Scimmie come noi» (titolo originale: «Quand les singes hurleurs se tairont», Parism, Presses de la Cité, 1976; traduzione italiana di Emilio Carizzoni, Milano, Longanesi, 1977, pp. 166-67):

«IO NEGO ENERGICAMENTE IL DIRITTO DI UTILIZZARE L’ANIMALE PER SALVARE LA VITA DEGLI UOMINI. Lo nego in nome della stessa morale anti-razzista che mi ha fato condannare l’utilizzazione degli Ebrei, degli zingari e dei sovietici come cavie dai medici nazisti sotto l’abbietto pretesto che le vittime appartenevano a "razze inferiori", e ad ogni modo passavano in secondo piano rispetto agli interessi dei torturatori, in base alla sola e unica giustificazione che costoro erano "superiori" (il che è facile da decidere, quando ci si trova dal lato giusto della barriera,e si tiene uno sventurato alla propria mercé!).

OGNI GIORNO MUOIONO OTTOCENTOMILA ANIMALI, nel terrore e tra sofferenze fisiologiche sovente inimmaginabili, non soltanto nella fragile speranza di salvare qualche vita umana – che è la facile scusante degli ipocriti la cui doppiezza dovrebbe farci arrossire per la vergogna -, ma per la fabbricazione di cosmetici, di coloranti, di carte da parati, di vernici, di linoleum, di prodotti alimentari, di sigarette, di indumenti, così come per la sperimentazione di pillole, di prodotti per acquistar peso o per dimagrire, per dormire o restare svegli, contro la caduta dei capelli, la forfora, il vizio del fumo, l’angoscia, la tosse, gli odori, i malanni. Col pretesto di voler salvare dei drogati, si fanno soffrire atrocemente degli animali, provando su di loro gli effetti delle droghe e la devastazione della "privazione",. C’è anche l’industria bellica con la sperimentazione di razzi, satelliti e missili, le bruciature provocate dai gas tossici o dalle radiazioni atomiche, il perfezionamento e la diffusione di malattie epidermiche in previsione d’una guerra batteriologica, i collaudi di prodotti destinati a paralizzare o avvelenare qualsiasi essere vivente all’interno di un’area bombardata, ecc.

Per questo, per questioni tanto nobili, ogni anno muoiono almeno TRENTA MILIONI di animali innocenti, e no soltanto, cari benpensanti, per salvare il vostro bambino dalla poliomielite, ciò che costituisce una minuscola frazione del vero problema e l’argomento più perfido che ci sia per chiudere il becco a coloro che possiedono un senso morale esteso all’intera natura, e non a una sola e privilegiata specie di mammiferi.

Nelle università, e persino nei licei, vi sono professori che torturano e insegnano ai ragazzi a torturare topi, conigli, rane, gatti e cani, mentre basterebbe il film di una sola esperienza per insegnare (con maggior precisione) quello che a quanto sembra è necessario per l’educazione. ..»

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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