
Nel male di vivere di Oberman c’è l’angoscia dell’uomo moderno che rifiuta la trascendenza
26 Luglio 2013
Davvero Dio non è necessario per l’etica?
26 Luglio 2013Scriveva, dunque, Roger Caillois in «Babele, preceduto da Vocabolario estetico» (titolo originale: «Babel, précédé de vocabulaire esthétique» (Paris, Gallimard, 1948; traduzione dal francese di Pietro La Valle, Casale Monferrato, Casa Editrice Marietti, 1983, pp. 265-67):
«Si giudicherà pericolosa la letteratura, per il fatto che descrive l’uomo così com’è? La risposta a questa domanda è legata alla stima che si accorda all’uomo,alla fiducia che si ha nelle sue capacità, alle ambizioni che ci si forma su di lui. Se lo si considera un semplice animale osceno, avido, incapace di essere feroce per troppa viltà, così come talvolta lo rappresenta la letteratura, mi sembra un po’ difficile che un romanzo possa riuscire a pervertirlo. Come pervertire una creatura tanto abietta e tanto semplice? Non c’è mezzo di farlo scendere oltre il fango nel quale si sta già rivoltando.
D’altro canto, continuo a ritenere che è compito della letteratura testimoniare a favore della verità, scoprendo inesorabilmente gli imbrogli dei ciarlatani che, senza credere alle loro stesse virtù, che tanto vantano, trovano vantaggioso che le masse li venerino. Ritengo che uno scrittore compia opera meritoria quando li smaschera e le loro proteste interessate mi fanno solo ridere.
È proprio vero che l’uomo è diviso tra stupidità e malizia? Tra credulità e sfruttamento? E, per il resto, assurdo, cattivo, miserabile? Tutto mi invita ad avere miglior concetto di lui: non parlerebbe tanto di assurdità, se non avesse una qualche idea di ragione; sarebbe meno sensibile alla cattiveria, se non avesse coscienza precisa della giustizia; la disperazione avrebbe meno presa su di lui, se non sapesse desiderare la felicità e se non si rendesse conto dell’estrema difficoltà di ottenerla. Vorrei che si tenessero ben presenti queste due aspirazioni profondamente radicate in lui, onnipresenti n ogni sua manifestazione. La loro tenacia e i loro effetti sono visibilissimi su tutto il pianeta: l’opera umana sulla terra è stata guidata da loro. Ognuno di noi prende parte all’avventura, lo voglia o no. Una sola decisione è affidata al capriccio: sabotare l’impresa o portare nuovi contributi: dipende infatti dal singolo, in proporzione quasi impercettibile ma, alla lunga, decisiva, di rovinare il patrimonio accumulato dai soci o di contribuire ad accrescerlo con i mezzi di cui dispone, per lasciarlo in eredità a coloro che verranno.
Mi rendo conto che quanti non credono nell’uomo rinnegano per intero la sua opera e la beffeggiano: un analogo furore li porta a vedervi l’artificio e l’inganno e soprattutto convenzione e conformismo. Sogghignano cinicamente e incominciano a dimostrare, a questo grande ingenuo, che ha perso il suo tempo dandosi tanto da fare dalle origini fino ad oggi. Ed aggiungono l’esempio al predicozzo, mostrando di trascurare completamente le opere in cui è rinchiuso questo tristo consiglio. Il risultato, per loro, è la gloria ed io li biasimo tanto per il loro cinismo quanto per la loro accidia. Essi tradiscono nel contempo e l’uomo e l’artista: cioè tradiscono due volte l’uomo.
Non conviene però condannarli con soverchia severità. Sono figli del loro secolo e soffrono dei mali della società. Quel che mi indispettisce è il loro continuo proclamarsi eroi e martiri. Invano cercheresti i pericoli reali cui la loro fede li espone. Li vedi invece ben allineati davanti alle leggi e pronti a rispondere ala suggestione della massa. Mi fanno solo ridere quando si definiscono ribelli.
Non vi è del resto che una sola ribellione che abbia un senso: assumere, contro la natura, le difese dell’uomo e, contro di lei che non conosce né giustizia, né ragione, né stile, spingere sempre più oltre le ambizioni di questo animale insaziabile. La società dei suoi simili lo aiuta a sollevarsi dal fango che rimane, qualsiasi cosa faccia, la sua imbarazzante origine. Un simile appoggio è pieno di pericoli e di trappole: un’inerzia fatale costringe continuamente la società a ricadere essa stessa a livello della natura e a seguirne le spregevoli leggi. Eccola di nuovo ostile e rivoltante ed è contro di lei questa volta, che l’uomo deve combattere, cercando di promuovere le leggi meno assurde che ha saputo inventare.
È forte però la tentazione di abbandonare la ricerca di una verità da scommessa, incerta e per intero posta in un futuro tormentato, per proclamare la potenza di una verità fondamentale, che si manifesta in tutti coloro che s’illudono ch’essa non esiste affatto. Quale maggior trionfo, facile e triste, tuttavia, che dimostrare la schiavitù della Città alle stesse brutali norme cui obbedisce le la natura, che essa tanto disprezza e la cui giustizia tenta vanamente di abolire?Chi non vede questa sottomissione? Ci vuole un genio per accorgersene? E avendola scopertaci vuole eroismo per allinearsi dalla parte di un potere che tutto tende a rafforzare per effetto della semplice legge di gravità? Significa rivoltarsi questo? Non vi vedo altro che la decisione aprioristica di essere già stanchi e di non voler più far nulla.
Certo ad ogni occasione la società, opera dell’uomo e naturale quanto lui, tradisce i suoi difetti d’origine. Ma non ha importanza. Ancora una volta ribellione feconda non significa accentuare la debolezza e svelare le cause di una decisiva inferiorità. Significa invece essere un po’ più forti e tra tanti tradimenti e sghignazzi, continuare a sostenere il partito dell’uomo.»
Quello che non ci convince, nel ragionamento di Callois, è patteggiamento di dura contrapposizione e, si direbbe, quasi di disgusto nei confronti della natura; atteggiamento leopardiano, del Leopardi de «La ginestra», ossia di romantica ribellione e di titanismo dello "spirito" cartesiano contro la vile e crudele "res extensa", nostra eterna tiranna.
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