
La «Storia di Sicilia» di Ignazio Scaturro, piccolo gioiello dimenticato
2 Aprile 2013
È il meccanicismo galileiano all’origine del conflitto con noi stessi e con la natura
8 Aprile 2013«La chiacchiera — osserva lo scrittore francese Maurice Blanchot — è la vergogna del linguaggio. Chiacchierare non è parlare. La loquacità distrugge il silenzio, imprigionando completamente la parola. Quando si chiacchiera non si dice niente di vero, persino quando non si dice niente di falso , perché, in verità, non si sta parlando.»
E il filosofo tedesco Romano Guardini: «Noi uomini siamo divenuti così superficiali che non proviamo ormai più dolore per le parole distrutte… Così, il linguaggio, coi suoi vocaboli, non è più un commercio pieno d’0anelito con l’essenza delle cose, né un incontro di cose e di anima. È un frettoloso sonar di parole-monete, quasi una macchina numeratrice che distribuisca monete e nulla sappia di esse.»
Entrambe le riflessioni (tratte da: Gianfranco Ravasi, «Mattutino», Casale Monferrato, Edizioni Piemme, 1993, pp. 349-50) ci riconducono alla paurosa inflazione del linguaggio che affligge la contemporaneità, il progressivo e inesorabile processo di svuotamento cui è sottoposta la parola, l’impoverimento, l’inaridimento e quasi la desertificazione della comunicazione autentica fra uomo e uomo, fra uomo e donna, fra adulto e bambino e persino fra i bambini stessi.
Che la "chiacchiera" sia tutt’altra cosa dal vero parlare, lo aveva già notato Heidegger, il quale aveva spiegato take assenza di realtà di realtà e di verità nel fatto comunicativo come una deliberata fuga dalla serietà che la risonanza interiore della vera parola suscita in noi e, in definitiva, come un tentativo di esorcizzare il pensiero della morte, sempre incombente e minaccioso, ineluttabilmente inscritto, fin dall’inizio, nel nostro dato esistenziale, che è essere-per-la-morte.
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