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21 Gennaio 2013Così, dunque, si esprime Cartesio a proposito di quelle che egli chiama le differenze fra l’anima umana e quella dei "bruti", ossia degli animali (da: Descartes, «Discorso sul metodo», 1979, a cura di A. Carlini, Bari, Laterza, 1979, pp. 117-21):
«Mi ero qui fermato a far vedere in modo particolare che, se ci fossero macchine aventi organi e figura di scimmia o di altro animale privo di ragione, noi non avremmo alcun mezzo per riconoscere la differenza; mentre, sede ve ne fossero che somigliassero al nostro corpo e imitassero le nostre azioni quanto meglio possibile, noi avremmo pur sempre due mezzi certissimi che esse non sono affatto per ciò dei veri uomini. Il primo è che non potrebbero mai valersi di parole o di altri segni, componendoli come noi facciamo per esprimere agli altri i nostri pensieri: poiché si può ben immaginare una macchina che profferisca delle parole, e anzi ne profferisca alcune riguardanti azioni corporali che producano qualche alterazione nei suoi organi, , come domandare qualcosa, se toccata in una parte, o gridare che le si fa male se toccata in altra parte, e simili cose; ma non già che essa disponga le parole diversamente per rispondere a tono a tutto quello che uno può dirle, come, invece, saprebbe fare anche l’uomo più idiota. Il secondo mezzo è che, anche se facessero alcune cose ugualmente bene, e anzi meglio di noi, esse inevitabilmente sbaglierebbero in alcune altre, e si scoprirebbe così che non agiscono per conoscenza, ma solo per una disposizione dei loro organi. Soltanto la ragione, infatti, è uno strumento universale, che può servire in ogni genere di circostanze, e tali organi, invece, hanno bisogno di una particolare disposizione per ogni azione particolare: sì che è come impossibile che ce ne siano tanti e così diversi in una macchina da farla agire in ogni occasione nel modo che agiamo noi con la nostra ragione.
Ora bastano questi due mezzi per comprendere anche la differenza che c’è fra gli uomini e le bestie. Poiché è cosa ben certa che non ci sono uomini così idioti o stupidi, o addirittura insensati, i quali non sappiano combinare insieme diverse parole e comporre un discorso per farsi intendere; e che, al contrario, non c’è altro animale, per quanto perfetto e felicemente nato, che faccia similmente. E questo non accade per difetto di organi, giacché vediamo le gazze e i pappagalli profferir parole come noi, e tuttavia poter parlare come noi, mostrando cioè di pensare quel che dicono; laddove gli uomini, che, nati sordi e muti, si trovano quanto le bestie, e più ancora, privi degli organi per parlare, sogliono inventar da se stessi alcuni segni, con cui si fanno intendere da quelli che, vivendo ordinariamente con essi, hanno modo d’imparare il loro linguaggio. E questo prova non solo che le bestie hanno meno di ragione degli uomini, ma che non ne hanno affatto; poiché tutti vediamo che ne basta ben poca per parlare. E dal momento che fra gli animali, così come fra gli uomini, i sono disuguaglianze, per cui alcuni sono più facili da ammaestrare di altri, una scimmia o un pappagallo che fossero fra i più perfetti della loro specie, alla fine dovrebbero ben riuscire — se la loro anima non fosse del tutto dalla nostra — a uguagliare in questo per lo meno un fanciullo tra i più stupidi e magari insensato. E non si debbono confondere le parole con i moti naturali, che esprimono passioni, e possono essere imitati dalle macchine altrettanto bene come dagli animali; né si deve credere, come alcuni antichi, che le bestie parlino fra loro, ma noi non intendiamo il loro linguaggio; poiché, se fosse vero, dal momento che hanno parecchi organi corrispondenti ai nostri, potrebbero farsi intendere da noi ugualmente bene come dai loro simili. Ed è anche da notare che molti animali, pur dimostrando maggiore abilità di noi in alcune azioni, non ne dimostrano affatto in molte altre: di modo che, quel ch’essi fanno meglio di noi, non prova affatto che abbiano ingegno, poiché, se così fosse, ne avrebbero più di noi e anche nel resto farebbero meglio; ma prova piuttosto che non ne hanno punto, e ch’è la natura quella che opera in essi secondo la disposizione dei loro organi: a quel modo che un orologio, composto solo di ruote, e di molle, conta le ore e misura il tempo più esattamente di noi con tutta la nostra intelligenza.
Da ultimo, avevo descritto l’anima ragionevole, e dimostrato che essa non può in nessun modo esser derivata dalla potenza della materia come le altre cose di cui avevo parlato, ma deve esser creata espressamente; e come non basta ch sia situata nel corpo umano, quasi pilota nella nave, se non forse per muovere le membra, ma è necessario che sia congiunta e unita più strettamente a esso per avere, anche, sentimenti e appetiti simili ai nostri, e costituire, così, un vero uomo.
Mi sono qui dilungato un poco su quest’argomento del’anima per la sua grande importanza: ché, dopo l’errore di coloro che negano Dio (errore che credo di avere sopra abbastanza confutato), non ce n’è che allontani maggiormente gli spiriti deboli dal retto cammino della virtù come l’immagine che l’anima delle bestie sia della stessa natura della nostra, e che, perciò, noi non abbiamo nulla a temere o sperare dopo questa vita, similmente alle mosche e alle formiche. Quando, invece, si sa quanto differiscono , e si comprendono molto meglio le ragioni per le quali la nostra anima è, per la sua natura, del tutto indipendente dal corpo, e però non è soggetta a morire con esso; e poiché non si vedono altre ragioni che la distruggano, si è indotti naturalmente a ritenerla immortale.»
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