
La persona saggia è colei che ha imparato a liberarsi di se stessa
12 Novembre 2012
Libri, cari compagni d’un tempo
14 Novembre 2012A questo proposito ci piace riportare il punto di vista di un ecologista americano, che è anche poeta e scrittore, poco noto in Italia e in Europa, ma degno della massima attenzione (da: W. Berry, «Con i piedi per terra», raccolta tratta da «The Gift of Good Land» e «Home Economics»New York, 1991; traduzione dall’inglese di Giovanni Arca, Como, Red Edizioni, 1996, pp. 108-110):
«Il "problema della popolazione" dovrebbe essere esaminato, inizialmente, non come una questione di "quantità" ma di "forma". Prima di concludere che siamo troppi dovremmo chiederci se vi siano persone che vengono utilizzate male, nel posto sbagliato, o persone che abusano delle loro posizioni. Ciò che è più importante e urgente non è sapere quanti siamo, ma dove siamo e che cosa stiamo facendo. Inoltre, cercare di risolvere i problemi riducendo il n ostro numero, può farci dimenticare quello che oggi è il dato statistico più rilevante sulla popolazione: anche una persona sola, con un ordigno nucleare e la volontà di usarlo, è assolutamente di troppo.
Direi che non è la fecondità umana a creare un problema di sovrappopolazione, ma piuttosto le estensioni tecnologiche che ingigantiscono il potere degli individui La peggiore malattia del mondo d’oggi è, probabilmente, l’ideologia dell’eroismo tecnologico, in base alla quale sempre più persone determinano effetti su larga scala che non sono capaci di prevedere, né di controllare. Questa è l’ideologia della classe professionale delle nazioni industriali, una classe il cui rispetto per le comunità e io luoghi è stato cancellato dai moventi economici. Questa è gente che, dovunque andrà, metterà tutto in pericolo per assicurarsi il successo nella carriera
Possiamo o meno avere abbastanza spazio per altre persone, ma è certo che non ne abbiamo più per gli egoismo tecnologici. Non abbiamo più bisogno di soluzioni da mille dollari per problemi che ne valgono dieci, o di soluzioni da un milione di dollari per problemi da diecimila (e neanche di soluzioni da un milione di dollari per problemi del tutto inesistenti). Non abbiamo modo di calcolare l’inabitabilità dei luoghi dove viviamo; non possiamo pesare o misurare il piacere che ne traiamo; non possiamo dire quanti dollari valga la tranquillità domestica, eppure dobbiamo imparare a tenere presente il ricordo delle comunità distrutte, sfigurate, devastate da eventi tecnologici, così come delle famiglie spodestate, sostituite e impoverite da macchine che dovrebbero sollevarci dal lavoro e dalla fatica. La questione dell’obsolescenza umana potrebbe essere più urgente di quella ella popolazione.
La questione della popolazione è direttamente collegata a quelle di proporzione e di scala. Qual è la giusta quantità di potere per un essere umano? Quali sono i giusti confini dell’iniziativa umana? Come si possono definire questi valori?
Può sembnrare che queste domande affrontino temi eccessivamente complessi, ma è solo perché non ce le poniamo da troppo tempo. Uno dei presupposti fondamentali dell’economia industriale è sempre stato che interrogativi del genere erano antiquati e ci è stato assicurato che non avremmo avuto mai più bisogno di porceli. Il fatto che tutto ciò si sia dimostrati falso ci impone oggi di prendee in considerazione le rivendicazioni della natura e di rivedere le nostre idee sulla proprietà e l’armonia.
Quando diciamo che gli uomini dovrebbero comportarsi in maniera adeguata nei confronti della natura, in modo da armonizzare le loro attività di esseri civilizzati con la dimensione selvaggia e incontaminata dell’esistenza, affrontiamo una specie di analisi critica del territorio. Così diviene possibile comprendere che non è principalmente il numero di persone che abitano un territorio a determinare proporzioni e relazioni adeguate fra il mondo civilizzato e quello selvaggio, ma il modo in cui le persone suddividono e utilizzano il territorio.
Ciò che minaccia maggiormente la natura e l’umanità è il territorio utilizzato secondo i principi della monocoltura. L’umana fragilità delle uniformi e gigantesche strutture abitative si accompagna alla naturale fragilità degli immensi campi, coltivati per ottenere lo stesso tipo di raccolto.
Osservando le monocolture della civiltà industriale sentiamo un po’ di nostalgia per l’umanità e la naturalezza di un territorio molto diversificato, suddiviso democraticamente, con molte bordure e margini. Questi sono estremamente importanti perché suddividono le proprietà e i vari tipi di coltivazione e di terra. I viottoli gli argini, le staccionate e le altre delimitazioni, sono domini di vita selvaggia, frontiere dell’agire umano. Questi luoghi offrono asilo a piante e animali selvatici, nonché sfogo ai giochi più liberi e sfrenati dei figli degli uomini; essi rappresentano, entro i confini del territorio umano civilizzato, m, una cortesia verso ciò che è selvaggio e uno dei modi migliori di destinare degli spazi alla vita selvatica. Questo è il territorio della’armonia, molto più sicuro per ogni genere di vita di quello uniforme della monocoltura.
Non dovremmo, inoltre, mancare di osservare che, mentre il territorio coltivato a monocoltura è tendenzialmente totalitario, quello dell’armonia è democratico e libero.»
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