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Non essere più uomini che stanno alla finestra, ma vivere nel soffio della vita, ad ogni istante

Chi è l’uomo che se ne sta affacciato alla finestra?

È, come Bernardo Soares, il protagonista de «Il libro dell’inquietudine» di Fernando Pessoa, colui che non vive la vita in mezzo agli altri, che non si confronta con le cose e con le situazioni, che sceglie l’isolamento in una torre d’avorio dalla quale guardare, distaccato ma triste, lo spettacolo cui non sa o non può partecipare, con l’animo mesto dell’escluso.

Scrive Pessoa ne «Il libro dell’inquietudine» (titolo originale: «Livro do desassossego por Bernardo Soares»; traduzione di Maria José de Lancastre e Antonio Tabucchi, Milano, Feltrinelli, 1986, 1993, pp. 25, 74, 117, 274, 276):

«Penso a volte che non uscirò mai da questa Rua dos Douradores. E se lo scrivo, mi sembra l’eternità.

Dal mio quarto piano sull’infinito, nella plausibile intimità della serra che sopraggiunge, a una finestra che dà sull’inizio delle stelle, i miei sogni si muovono con l’accordo di un ritmo, con una distanza rivolta verso viaggi a paesi ignoti, o ipotetici, o semplicemente impossibili. […]

Non riesco più a sopportare niente, a parte la vita: la casa, l’ufficio, le strade (perfino il loro contrario, se ciò fosse possibile), ogni cosa mi pesa e mi opprime; solo l’insieme mi dà sollievo. Sì, in questo insieme, una cosa da nulla è sufficiente a consolarmi. Un raggio di sole che inestinguibile entri nell’ufficio morto; il grido di uno strillone che sale rapido fino alla finestra della mia camera; che la gente esista; che esista il clima e la mutevolezza del tempo, l’incredibile obiettività del mondo…

All’improvviso il raggio di sole è entrato per eme, che all’improvviso l’ho visto…

Era solo un filo di lucer sottilissimo e quasi incolore che tagliava come una lama nuda lo scuro pavimento di legno, ravvivando al suo passaggio i chiodi vecchi e i solchi fra le tavole, nere falserighe del non-bianco.

Per lunghi minuti ho seguito l’effetto insensibile della penetrazione del sole nell’ufficio tranquillo… Passatempi del carcere! Soltanto i reclusi guardano in questo modo il sole che si muove, come chi guarda le formiche.

Hio chiesto così poco Alla vita, e quel poco la vita me l’ha negato. Un guizzo di una fetta di sole, un campo […], un poco di tranquillità con un pezzo di pane, non sentire molto il peso di sapere che esisto, non pretendere nulla dagli altri e che gli altri non pretendano nulla da me. Tutto questo mi è stato negato come chi nega l’ombra [?] non per mancanza di buon cuore ma per non dover sbottonarsi la giacca […].

Pieno di tristezza scrivo, nella mia stanza tranquilla, solo come sono sempre stato, solo come sempre sarò. E penso se la mia voce, apparentemente così incolore, non possa incarnare la sostanza di migliaia di voci, la fame di raccontarsi di migliaia di vite, la pazienza di milioni di anime sottomesse come la mia, nel destino quotidiano, al sogno inutile, alla speranza senza memoria,.In questi momenti il mio cuore batte più forte per la consapevolezza che ho di esso. Vivo di più perché vivo più grande. Sento nella mia persona una forza religiosa, una specie di preghiera, qualcosa di simile ad un clamore. Ma la reazione contro di me viene dall’intelligenza… Mi vedo al quarto piano di Rua dos Douradores, ho sonno; guardo sul figlio scritto per metà la vita vana senza bellezza e la sigaretta a buon mercato […] sulla carta assorbente logora. Eccomi qui, in questo quarto piano, a interpellare la vita!, a dire ciò che le anime sentono!, a fare della prosa. […]

Scrivere è dimenticare. La letteratura è il modo più piacevole di ignorare la vita… […]

Possedere è perdere. Sentire senza possedere è conservare, poiché significa estrarre da una cosa la sua essenza.»

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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