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«Che cosa hai fatto nella tua vita che ti sembri sufficiente?»

Nel suo ormai classico libro-inchiesta La vita oltre la vita (Life After Life, 1975; tr. it. Milano,Arnoldo Mondadori, 1977) un giovane studioso americano, Raymond A. Moody, ha raccolto le tesimonianze di oltre cento persone "clinicamente morte" che sono tornate a vivere, in extremis, grazie a pratiche intensive di rianimazione. I loro racconti su quello che hanno visto, o che hanno sperimentato, mentre si trovavano in una sorta di "terra di nessuno" fra l’al di là e l’al di qua, presentano coincidenze significative, specialmente sul fatto che, dopo qualche istante di angoscia e smarrimento, dovuto alla visione del proprio corpo inanimato e alla malinconia di averlo abbandonato, subentrava una fase di immensa consolazione e d’indefinibile comprensione, di sincera e assoluta auto consapevolezza, di rappacificazione e di benessere tali da essere fortemente tentati di non tornare più indietro, di non tornare più alla vita, a quella vita: la vita del corpo. Indipendentemente dall’età, dal sesso, dal livello culturale e dalle opinioni filosofiche o religiose, le testimonianze concordavano nei punti essenziali. Quasi tutti avevano percepito delle presenze, delle entità amiche corrispondenti a persone care defunte, che li incoraggiavano e li rassicuravano; quasi tutte hanno descritto l’attraversamento di un lungo tunnel buio e l’uscita in una zona luminosissima, ove un essere particolarmente splendente, autorevole, compassionevole li esortava a una sorta di riesame della propria vita, affinché loro stessi, in un certo senso, facessero un bilancio e fossero i giudici di sé medesimi. In genere, all’assunzione di responsabilità verso il proprio passato seguiva un invito, da parte di questo essere di luce, a non lasciare interrotto il proprio lavoro e a ricordarsi delle persone viventi che di loro avevano ancora bisogno: quindi, il ritorno allo stato di coscienza, il risveglio fra lo stupore e, a volte, l’incredulità degli astanti, il rientro nel proprio corpo. Un altro elemento comune e altamente significativo di tali testimonianze è il cambiamento che si è verificato, dopo tale esperienza, nella vita di quelle persone: un accresciuto amore per la vita, una più intensa benevolenza per il prossimo, una più chiara visone delle cose e della missione che si sentivano chiamate a svolgere; infine un raggiunto equilibrio interiore accompagnato da un senso di pace e dalla scoperta delle priorità significative della vita, con la fine o una forte diminuzione delle preoccupazioni per gli aspetti della vita legati all’affermazione dell’ego, al ruolo sociale, al voler dimostrare qualcosa agli altri.

Ci siamo già occupati di queste tematiche nel nostro precedente articolo Alcune ipotesi sull’«altro mondo», pertanto rimandiamo ad esso il lettore eventualmente desideroso di approfondire gli aspetti generali di questa problematica. Qui, ora, desideriamo soffermarci su un aspetto specifico di tali esperienze di "pre-morte": l’incontro dell’anima con il misterioso essere di luce, di cui poc’anzi si è detto. Tale incontro, infatti, è accompagnato da un esame etico del significato complessivo della propria vita da parte delle persone che hanno vissuto un simile genere di esperienza, e tutte ne hanno riportato un’impressione incancellabile, tanto da modificare, sulla base di esso, tutto il proprio atteggiamento nei confronti della vita e del compito che sentivano di essere chiamate a svolgervi.

Riportiamo pertanto i passaggi più significativi del libro di Moody (ed. cit., pp. 54-62) che si riferiscono a quella particolare esperienza.

"Molti hanno detto che mentre morivano, a volte solo più tardi – hanno avvertito la presenza di altri esseri spirituali vicini a loro, esseri che sembravano giunti per aiutarli nel loro viaggio, oppure, in due casi, per comunicare che non era ancora giunto il tempo della morte e che il morente doveva ritornare nel suo corpo fisico. (…)

"L’elemento forse più incredibile nei casi da me studiati, e senza dubbi quello che ha l’effetto più profondo sugli individui, è l’incontro con una luce chiarissima. All’inizio la luce è generalmente incerta, ma diventa sempre più vivida fino a raggiungere uno splendore sovrumano. Tuttavia, per quanto questa luce (generalmente descritta come bianca o «chiara», sia di un’indescrivibile luminosità, molti sottolineano che non offende in alcun modo la vista, né li abbaglia, né impedisce di vedere le altre cose (forse perché a quel punto non esistono più occhi nel senso fisico, che possano venir abbagliati).

"Malgrado l’insolita manifestazione della luce, nessuno ha mai dubitato che si tratti di un essere, un essere di luce. E non soltanto un essere, ma un essere personale. Con una personalità ben definita. L’amore e il calore che il morente sente emanare dall’essere di luce sono assolutamente inesprimibili e il morente se ne sente completamente circondato, si sente completamente sereno e accettato alla presenza dell’essere. Prova verso la luce una irresistibile attrazione magnetica.

"È interessante notare che mentre la descrizione dell’essere di luce non varia da una persona all’altra, l’identificazione cambia da individuo a individuo e sembra essenzialmente legata all’ambiente, all’educazione o alla fede religiosa. Così, la maggioranza dei cristiani identifica la luce con Cristo e spesso si serve di paragoni tratti dalla Sacra Scrittura per avvalorare la sua interpretazione. Un uomo e una donna ebrei identificarono nella luce «un angelo»; ma non intendevano davvero parlare di un essere con le ali, che suonava l’arpa, o semplicemente di un essere dalla forma umana. Avevano visto soltanto la luce. Intendevano spiegare che vedevano nell’essere un emissario, una guida. Un uomo che non aveva, prima dell’esperienza di pre-morte, né educazione né fede religiosa, definì quello che aveva visto semplicemente «un essere di luce». E lo stesso fece una donna di fede cristiana che evidentemente non sentì alcun impulso a chiamare la luce «Cristo».

"Poco dopo la sua apparizione l’essere comincia a comunicare con il morente. (…) Anche in questo caso tutti affermano di non aver sentito l’essere pronunciare parole o suoni indistinguibili e di non aver risposto attraverso suoni o parole udibili. Si parla piuttosto di una diretta trasmissione del pensiero, senza limiti o ostacoli, con una chiarezza che esclude nel modo più assoluto la possibilità di fraintendere o di mentire alla luce. (…)

"L’essere dirige quasi immediatamente un pensiero al morente alla cui presenza è apparso. Le persone con le quali ho parlato cercano di tradurre il pensiero in una domanda. «Sei preparato alla morte?», «Sei pronto a morire?», «Che cosa hai fatto nella tua vita che tu possa mostrarmi?», e «Che cosa hai fatto nella tua vita che ti sembri sufficiente?» sono tra le domande che mi sono state più spesso riferite. (…)

incidentalmente, tutti sottolineano il fatto che la domanda, per quanto definitiva e profonda nel suo impatto emotivo, non suona mai come una condanna. L’essere non rivolge la domanda per accusare o minacciare, perché il morente continua a sentire da parte della luce un amore e un’accettazione totali, indipendentemente dalla risposta. La domanda sembra piuttosto intesa a far riflettere il morente alla sua vita. In un certo senso è una domanda socratica, rivolta non per ottenere un’informazione ma per aiutare l’altro ad avviarsi da solo sul sentiero della verità. (…)

"L’apparire della luce e le sue domande non verbali costituiscono il preludio a un momento di stupefacente intensità nel quale l’essere presenta al morente una panoramica della sua vita. Spesso appare ovvio che l’essere può vedere l’intera vita dell’individuo morente e non ha bisogno di alcuna informazione. Vuole soltanto provocare in lui la riflessione.

"Non è possibile descrivere il riepilogo della vita se non in termini di ricordo, poiché il ricordo è il fenomeno umano che più si avvicina alla cosa , ma in realtà ha caratteristiche che lo differenziano dal ricordo. Innanzi tutto, avviene con una rapidità straordinaria. I ricordi, quando vengono descritti in termini temporali, si susseguono rapidamente, in ordine cronologico. Altri non parlano di ordine cronologico: il ricordo è stato per loro istantaneo; tutto è apparso contemporaneamente e loro hanno potuto comprendere e assimilare tutto con un unico sguardo mentale. Ma comunque venga espressa ,l’esperienza, su questo tutti sembrano concordare, si esaurisce in un istante di tempo terreno.

"Eppure, a dispetto di tanta rapidità, tutti dichiarano che il riepilogo della propria vita, descritto quasi sempre come un susseguisi di immagini, è incredibilmente vivido e reale. In alcuni casi le immagini vengono descritte a colori, colori vibranti, a tre dimensioni, e in movimento. E anche se le immagini passano rapidamente, ogni singola immagine viene percepita e riconosciuta. Anche le emozioni, i sentimenti associati con le varie immagini possono venir nuovamente sperimentati."

Non tutte le persone intervistate hanno visto l’essere di luce, però quelle che lo hanno visto hanno vissuto un’esperienza di riepilogo e bilancio della propria vita molto più profonda ed emotivamente coinvolgente.

Ora, non è nostra intenzione discutere, in questa sede, se tali testimonianze possano ritenersi davvero delle testimonianze di ciò che ci attende oltre le soglie della vita o se, come sostengono altri, trattandosi pur sempre di persone che non erano effettivamente e irrevocabilmente morte, non si tratti del semplice prodotto di associazioni neuronali dovute alle aspettative e alle speranze legate a un soffio di coscienza ancor presente, pur se fievolissimo e quasi spento. Non è questo che ci interessa ora. Del resto, le testimonianze sono lì: e i fatti, come sempre, possono e devono venir liberamente interpretati, indipendentemente dai nomi che si vogliono dare alle cose e dalle etichette laiche o religiose con cui si desidera identificarle. Per chi è mosso dal puro desiderio della ricerca e non vuole dimostrare tesi precostituite, ma solo tentar di diminuire di qualche infinitesimo la nostra abissale ignoranza sulle cose che più contano, parole ed etichette significano poco o niente. Possiamo solo osservare che lo sviluppo univoco della civiltà occidentale moderna in direzione della razionalità ha creato un clima culturale per cui tali fenomeni, e le tematiche ad essi collegate, sono guardati a dir poco con sospetto; mentre in India o in altri paesi di antica tradizione spirituale sono da sempre oggetto di studio e riflessione e parrebbe bizzarro, semmai, il volerne mettere in dubbio l’importanza e l’attendibilità. Il fatto che è che l’Occidente, già ai tempi di Talete, ma soprattutto dal dualismo di Cartesio in poi, ha sviluppato una visione del mondo meccanicistica, materialistica e riduzionistica e uno spiccato desiderio di indagine attorno alla realtà esterna, alla natura; mentre in India, in Cina, in Tibet l’interesse dei ricercatori si è concentrato, fin dall’inizio, sull’interiorità, sullo spirito umano, sul mistero che è dentro di noi. Nell’ambito della cultura buddhista o di quella indù, per esempio, il problema non è se credere o non credere ai fenomeni della coscienza liberata dal corpo: essi concordano (a dispetto del fatto che l’induismo è la più antica religione oggi esistente, mentre il buddhismo è un sistema filosofico e scientifico tendenzialmente agnostico) sul fatto che tali fenomeni esistono, sono osservabili e riproducibili a volontà, beninteso mediante tecniche particolari che richiedono un lungo studio e una pratica assidua. La domanda, semmai, è come interpretarli, come utilizzarli, come integrarli nel quadro complessivo del proprio orizzonte esistenziale. Ma nessuno si sognerebbe di metterli in dubbio: non più di quanto un occidentale (a meno che sia un bambino) si sognerebbe di mettere in dubbio l’esistenza dell’elettricità, solo perché non si vede, tranne che nello scaricarsi dei fulmini durante un temporale.

Ma ora torniamo al nostro assunto.

«Che cosa hai fatto nella tua vita che ti sembri sufficiente?». Questa sembra essere stata la domanda-chiave che hanno percepito i morenti intervistati da Moody, che essa giungesse dall’esterno o dall’interno della coscienza: del resto, chi può dirlo? Quando l’anima è totalmente sciolta dal corpo, esistono ancora un «dentro» e un «fuori»? Quel che desideriamo sottolineare è l’effetto che un tale interrogativo può avere, nella vita presente, dal punto di vista del soggetto che se la pone. Nella nostra vita ordinaria, siamo terribilmente presi da tutta una serie di necessità, di impegni, e anche – bisogna pur dirlo – di passatempi che ci portano lontanissimi da una seria riflessione sul senso e sul valore delle nostre scelte complessive, del nostro esserci-qui-e-ora, persone uniche e irripetibili che, forse, non vengono dal caso e non sono dirette verso il nulla, ma che sono state chiamate all’esistenza per svolgere, ciascuna, una specifica e ben precisa missione: quella di aprirsi all’Essere, di sviluppare il proprio livello di consapevolezza, anche e soprattutto mediante il prendersi cura amorevole degli altri essenti che condividono con noi l’esperienza della vita.

Troppo spesso scambiamo l’accidentale per l’essenziale, il relativo per l’assoluto; troppe energie impieghiamo e disperdiamo in cose assolutamente banali, a volte necessarie, a volte no, scordandoci di rivolgere il meglio della nostra affettività, della nostra intelligenza, della nostra capacità di amare e di comprendere verso ciò che è essenziale. Per dirla con una celebre metafora dello scrittore inglese Bruce Marshall, nel suo romanzo A ogni uomo un soldo, scrive con humour corrosivo tipicamente britannico che l’uomo contemporaneo «in fondo ad una interminabile sfilata di bollette della luce, del telefono e delle tasse, non intravede altro che il conto delle onoranze funebri». Bisogna dirlo: anche se pagare le bollette e accompagnare i bambini dal dentista fa parte dei nostri doveri e delle nostre precise responsabilità, commettiamo un grave errore quando ci dimentichiamo che tutto ciò è solo manutenzione; e, anche se ci porta via gran parte del nostro tempo, dovremmo riservare alla qualità del tempo che ci rimane ben altro tipo di attenzione e riporvi ben altri progetti e obiettivi per la nostra vita.

Come afferma Giovanni Martinetti nel suo libro ben documentato Le prove dell’Aldilà (Milano, Rizzoli, 1990, pp. 22-23):

"L’esistenza e le modalità di una vita oltre la presente costituiscono il primario e fondamentale interesse, cosciente o rimosso che sia, di ogni uomo e donna viventi su questo pianeta, siano essi colti o analfabeti, credenti o agnostici, cattolici o buddisti o atei.

"È vero che la maggioranza degli esseri cosiddetti «pensanti» non s’è mai posto il problema per più di qualche minuto e, probabilmente, non vi ha mai dedicato altrettanto dispendio di intuizione e di ragionamento quanto se ne presta per la soluzione di qualche normale cruciverba su di un intercity Roma-Milano. Ma ciò si verifica non perché la gente non colga il profondo coinvolgimento che susciterebbe in loro una risposta fondata all’interrogativo che da sempre si nasconde dietro di loro. La causa del loro apparente disinteresse sta nel fatto che un simile filo d’Arianna non se l’aspettano."

E non se l’aspettano perché, nell’Occidente moderno (assai meno in quello anteriore alla cosiddetta Rivoluzione scientifica del XVII secolo, vera linea di demarcazione fra due epoche dello spirito), non si sono mai studiati seriamente quei fenomeni paranormali (telepatia, chiaroveggenza, bilocazione, psicocinesi, psicometria, apporti, asporti, apparizioni, possessioni, ecc.) che, in Oriente, sono oggetto di riflessione da millenni e nemmeno i più sprovveduti si sognano di trattarli con scetticismo e sufficienza. Da noi, al massimo, tali fenomeni sono oggetto di studio riduzionistico, quasi come fenomeni da baraccone: difficilmente si arriva a vedere in essi non delle stranezze o delle curiose eccezioni alla regola, ma altrettante finestre aperte su una realtà altra che ci sta accanto, ma in cui vigono leggi fisiche ben diverse dalle nostre. Scrive ancora Giobanni Martinetti (op. cit., p. 220):

"Nel 1985 il professor Ferdinando Bersani, docente di Fisica all’Università di Bologna ed esperto in Parapsicologia mi scriveva: «Non è inconcepibile per la Fisica attuale che la materia possa trovarsi in forme e stati di aggregazione assolutamente inconsueti o che siano pensabili mondi ‘paralleli’ in cui le leggi della Fisica siano diverse da quelle del mondo che cade sotto i nostri sensi. In tale quadro l’idea che vi possa essere un corpo umano avente qualità diverse, anche se analoghe, a quelle del copro ordinario, può essere più accettabile di un tempo»."

A questo punto, l’idea di un uomo che cammina sulle acque, o che passa attraverso le porte chiuse, o perfino che risorge dalla morte fisica, cesserebbe di apparirci come un salto nel buio e come una irriducibile alternativa tra scienza e fede. Buddhismo e indusimo credono alla possibilità di tali fenomeni senza con ciò mettersi in rotta di collisione con la scienza, perché la loro idea di scienza non esclude ma include le manifestazioni del super-normale,così come il sovra-razionale (non l’irrazionale!) include e non esclude affatto ciò che è razionale.

Un’altra ragione, tuttavia – crediamo – concorre a far sì che poche persone, nel corso della loro vita (tranne, forse, nelle ultime fasi di essa) si soffermino a riflettere sul suo significato complessivo e su quale possa esserne l’esito ultimo. Intendiamo parlare della paura. In una società permeata di materialismo e di edonismo come la nostra, la morte fa più che mai paura e si vorrebbe evitare di parlarne e anche di pensarci, per quanto possibile. L’idea che dobbiamo morire non ci piace: vorremmo essere immortali o, per lo meno, vorremmo poterla obliare fino all’ultimo momento, fino a quando "lei" non verrà a prenderci.

Forse, avremmo meno paura se assumessimo una diversa prospettiva nel considerare il binomio vita-morte e se provassimo a formulare l’ipotesi, anche solo provvisoria e carica di incognite, che il corpo che diciamo "nostro" è solo un veicolo che ci è stato dato per percorrere una breve parte del nostro viaggio, quella più accidentata ma anche meno significativa. Un giorno dovremo abbandonarlo, così come facciamo allorché, giunti a destinazione, scendiamo dall’automobile, dal treno o dall’aereo. E comincerà la parte centrale del viaggio, che sarà anche la nostra meta. Secondo questa metafora, la nostra nascita fisica corrisponde, in realtà, al momento in cui siamo saliti a bordo, e la nostra morte non è che l’ingresso in quell’Essere al quale oscuramente aspiravamo anche quando, distratti ad inseguire vani miraggi di felicità contingente, sentivamo qualche cosa d’altro agitarsi nelle profondità della nostra anima, qualcosa senza un nome ma che ci dava un senso di vaga inquietudine. Perché l’anima umana, scrive Ignace Lepp con una bellissima immagine (nel suo libro Luci e tenebre dell’anima, Roma, Edizioni Paoline, 1959, p. 43), «è un focolare bruciante d’amore»; e quindi, aggiungiamo noi, si protende e geme e soffre finché non abbia trovato un oggetto veramente degno di essere amato totalmente, senza riserva alcuna.

Forse la vita umana si può paragonare alla gestazione del feto nel grembo materno: e come il bambino, piangendo di paura, entra nel mondo e affronta la sua forte e libera avventura esistenziale, così la morte ci fa nascere alla dimensione vera della vita: quella dove non ci sono bollette da pagare né bambini da portare dal dentista; dove gli amici non tradiscono e gli amori non deludono, lasciando l’amaro in bocca; dove quel vago rodimento interiore e quella inquietudine che si mescolavano anche ai momenti più belli scompaiono per sempre e non resta che il perfetto appagamento del fiume che, dopo tanto viaggio e tanta pena, raggiunge il mare e vi s’immerge, mescolando ad esso le sue acque in un abbraccio ove si fondono e diventano una cosa sola.

Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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