
Per poter scegliere se stessi occorre prima sapersi riconoscere
31 Agosto 2007
Esistono ancora draghi e dinosauri
2 Settembre 2007Il fatto è che l’occhio della mente
comincia a veder chiaro
quando s’affievolisce quello del corpo.
PLATONE, Il convito, XXXIV
Prima parte
TI ODIO, GIOVEDÌ
Ti odio, giovedì.
Te la porti via per quattro giorni.
Prima ti amavo, quando lei non c’era.
Adesso
mi carichi un pesante fardello sulle spalle
e mi schernisci, dicendo: «Va’, cammina».
Io cammino con passo esitante,
malvolentieri,
come un viandante perplesso nella pioggia.
LA LUCE DEI LAMPIONI
La luce dei lampioni
filtra tra le stecche della persiana.
È notte e il sonno non viene.
Ruote di automobili scorrono sull’asfalto
facendo mulinare l’acqua piovana.
Una musica scende nell’anima
sensazione freschissima d’infanzia.
QUANDO LEI SORRIDE
Quando lei sorride,
il suo viso d’un tratto risplende
come il Sole fra le nubi squarciate
dopo la pioggia.
Ogni linea del suo viso s’illumina,
dolcissima,
riveste il mondo di una luce nuova.
LE TUE MANI GRANDI
Le tue mani grandi
sono bellissime.
Sono grandi, sono le tue,
sono bellissime.
La bellezza viene da dentro,
non da fuori.
PAROLE LIEVI COME DANZE DI BIMBI
Parole lievi come danze di bimbi
che sfiorano la terra:
«Sono contento di averti vista oggi».
«Anch’io».
Parole leggere, leggere
come danze di lucciole
che disegnano voli
nella chiara notte d’estate.
ASTRI BRILLANO FREDDI
Astri brillano freddi
nel limpido cielo invernale
Boote e Cassiopea
e Pegaso che galoppa nel buio
Andromeda incatenata al suo scoglio
in trepida attesa del mostro marino.
Corrono le ore silenziose
mentre ruota la volta del cielo.
Astri brillano freddi
da infinite distanze abissali
nel limpido cielo d’inverno.
NUVOLE GRIGIE CHIUDONO LA VALLE
Nuvole grigie chiudono la valle
e sa di pioggia la campagna
in questo crepuscolo d’aprile
che sembra autunno.
Odi il richiamo isolato di un passero
che non s’arrende ancora.
Ma il pensiero che tu ci sei
strappa il pungiglione della tristezza
restituisce alle cose
il profumo della loro primavera.
NON CAPELLI, MA ONDE DI LUCE DORATA
Non capelli, ma onde di luce dorata
ti accendono il viso come un’aureola
scendono vittoriosi in cento cascatelle
giù per le spalle –
rapiscono, innocenti, scintille di Sole bambino.
UNA DOLCE SENSAZIONE DI RIPOSO
Una dolce sensazione di riposo
di bere alla fonte, bere bere
la fresca acqua limpidissima
come la cerva assetata
senza stancarsi mai:
questo emana dalla tua voce calda,
profonda, pulita
come sorgente che spegne la sete,
che fa rinverdire la campagna riarsa.
EMANA DA TE, NON SO COME
Emana da te, non so come,
il profumo dell’infanzia lontana.
Cose dimenticate ritornano,
riprendono il loro posto nel mio cuore.
Forse per la tua naturalezza
che ha qualcosa della lievità dei bimbi.
ED ECCO CHE DOPO TANTE PAROLE
Ed ecco che dopo tante parole
sento di aver mancato l’essenziale.
Non potrò mai rendere il tuo sorriso,
la tua finezza, il tuo splendore.
Fa niente: quelli che ti conoscono
ti portano poi con sé.
Seconda parte
MA UN PENSIERO MI MORDE IL CUORE
Ma un pensiero mi morde il cuore.
Il mio amico mi versa da bere
e parla di qualcosa, parla, parla.
Io bevo il vino e cerco di seguire,
mi sforzo in ogni modo di seguire.
Ma un pensiero mi morde il cuore
e non capisco nulla, proprio nulla.
Oggi non l’ho vista
e non la vedrò neanche domani
né doman l’altro.
Un vuoto immenso m’invade.
Bevo il mio vino e cerco di seguire,
cerco, cero di seguire.
PIOVE SENZA FINE, SENZA FINE
Piove senza fine, senza fine.
Penso a lei e un senso d’irrealtà
m’invade,
come fosse tutto un sogno.
Incredibile tutto
che lei ci sia da qualche parte
che lei semplicemente esista.
Pioggia sottile cade senza fine
Come da un abisso color cenere
Cade sul bosco nebbioso che fuma.
Piove senza fine, senza fine.
FORSE, NEI MOMENTI CHE CONTANO
Forse, nei momenti che contano
non c’è proprio niente da capire
ma soltanto da ascoltare
e far silenzio intorno,
NON CREDEVO MI SAREBBE PIÙ ACCADUTO
Non credevo mi sarebbe più accaduto
no, davvero non credevo.
Cercare una persona con lo sguardo
fra mille altre del tutto indifferenti
esultare in cuore nel vederla
come se fra le nubi fosse uscito il Sole.
Oppure cercarla e non vederla
e sentirsi abbandonati senza scopo
come una conchiglia spinta dalla risacca
sull’umida sabbia in riva al mare.
IL MONTE OLYMPUS, SUL PIANETA MARTE
Il Monte Olympus, sul pianeta Marte,
è alto come tre Everest, uno sull’altro:
il vulcano più alto del Sistema Solare.
Che voto mi daresti? Otto?
Aspetta: so dirti anche dei satelliti,
Deimos e Fobos: la Paura e il Terrore.
Qualsiasi cosa, lo ammetto,
qualsiasi cosa per parlarti un altro po’
per rubare un altro istante
vicino a te.
CHISSÀ PERCHÉ MI FAI VENIRE IN MENTE
Chissà perché mi fai venire in mente
l’ultima estate nella mia città,
gli ultimi giorni prima di partire
che profumano come non mai di fieno.
Le ultime corse spensierate in bicicletta
lungo i campi fitti di granturco
le ultime carezze del vento di giugno
rannuvolato prima della pioggia
le ultime risate con gli amici
che non avrei mai più rivisto.
Chissà perché mi fai venire in mente
cose ormai tanto, tanto lontane
odori voci sensazioni
come di cinque minuti fa.
CREDEVI DI SAPERE ABBASTANZA
Credevi di sapere abbastanza
E del resto è stato svelato da molto
il mistero delle sorgenti del Nilo.
Ma se ora una voce al telefono
calda, profonda eppure lieve
ti trasforma d’incanto la giornata
rialzandoti dall’inferno al paradiso,
cosa vuol dire?
Che cosa significa questo?
Qui c’è un grande mistero,
tu che sprezzavi il verbo cercare:
il mistero più antico del mondo,
più fitto di quello dei Monti della Luna.
E nessuno,
neanche il tuo amato Virgilio,
ti potrà porgere aiuto, stavolta.
UNA VOLTA SOGNAVO CHE DA GRANDE
Una volta sognavo che da grande
avrei fatto l’esploratore. Sarei sceso
lungo i fiordi della Terra del Fuoco
tra ghiacciai e vette immacolate
e poi giù, d’isola in isola, fino al Capo Horn
sentinella dei geli antartici
cimitero tempestoso d’innumerevoli velieri.
Una volta sognavo tante cose.
Ora mi addentro stupito
entro i fiordi misteriosi dello spirito
giù giù sino al fondo degli anfratti
e mi scopro diverso, sconosciuto.
Qui, dove mai non batte il Sole
E ruggiscono i mari dell’inconscio
sorprese mi attendono dietro ogni promontorio
ombre sfuggenti affiorano quasi in superficie
Ed è facile smarrirsi nel labirinto dei canali
tutto è diverso da come lo pensavo.
ANCH’IO VADO CERCANDO IL RAMO D’ORO
Anch’io vado cercando il ramo d’oro
come Enea nel bosco di Diana,
il ramo d’oro sacro a Persefone
che apre le porte del regno proibito.
Anch’io vado cercando il ramo d’oro
nell’ombra tenebrosa delle valli
il ramo dalle foglie tutte d’oro
che dà accesso ai misteri più profondi.
Lo cerco da tanto, tanto tempo
forse mi aiuterai, chissà, senza saperlo.
STRANE GIORNATE, IN FEDE MIA
Strane giornate, in fede mia:
strane, strane giornate.
Come l’aurora polare intreccia danze luminose
sopra la stanca vecchia terra
creando fantastiche irripetibili magie
qualcosa d’imprevisto e sempre nuovo,
è penetrato nella monotonia consueta.
E tutto è come prima
e nulla è più lo stesso
in queste giornate strane,
proprio strane.
ERA UN MATTINO CHIARO E LUMINOSO, COME QUESTO
Era un mattino chiaro e luminoso, come questo
quando salpava la barchetta dei miei sogni
alzando una grande vela bianca
e scivolando intrepida verso l’orizzonte.
Un soffio di vento, lo spazio d’un sospiro
e sul mare scende già rosso il tramonto
la nebbia avvolge lieve i contorni
e la vela della mia barchetta
sta ormai rientrando in porto, piano piano
sospinta dalla brezza della sera
mentre è scomparso l’ultimo gabbiano.
QUANDO DUE ANIME SI SFIORANO
Quando due anime si sfiorano
– cosa infinitamente rara –
nasce un’armonia profonda,
e affetto, e tenerezza
voglia di darsi la mano
per un breve ma intenso tratto di strada
sul sentiero polveroso della vita.
Terza parte
TANTO GENTILE E TANT’ONESTA PARE
Tanto gentile e tant’onesta pare
vorrei essere Dante in questo giorno
per poter dire con perfetta leggerezza
come tu sfiori la terra camminando
sfiori ogni cosa con aereo passo
doni carezze come il soffio d’aprile.
MI RICORDI QUEL DIPINTO DI STABIA
Mi ricordi quel dipinto di Stabia
La Primavera che va cogliendo fiori:
passi leggeri come di danza
il gesto dolcissimo del braccio
l’incanto di una bellezza senza volto.
SOLI ERAVAMO E SANZA ALCUN SOSPETTO
«Soli eravamo e sanza alcun sospetto»
dice Francesca che lei e Paolo erano soli
e senza alcun presentimento né malizia
alcuna; e poi notate la modernità di quel…
cosa volevo dire? Oh bella, non ricordo
un fulmine m’è scoppiato a un tratto nel cervello,
la modernità… ma che m’importa?
Un’onda calda irrompe nel cuore vittoriosa
il pensiero di lei irresistibile balena
inebriandomi di letizia spumeggiante
il pensiero che lei c’è, che non è un sogno,
che esiste per davvero
ma proprio per davvero.
OGGI, UN GIORNO DI MAGGIO COME UN ALTRO
Oggi, un giorno di maggio come un altro
Piuttosto grigio, piuttosto scialbo
Incipit vita nova.
Quelle poche parole al telefono
dette con pudore verginale
scendono come musica d’organo
si posano sulle vetrate come luce
stillano ad una ad una
più dolci del miele profumato.
COME MAI TANTE RUGHE SUL TUO VISO?
Come mai tante rughe sul tuo viso?
Sono belle, sono molto espressive:
forse le ha disegnate la vita
con la pioggia delle speranze
e il vento delle delusioni.
Ma non ti ha modellato a suo piacere
sei tu che le hai impresso la tua forza
leggera come una nuvoletta.
MA INFINE CHI ERA, CHE VOLEVA
Ma infine chi era, che voleva?
Per me, un uomo strano e affascinante
cui han rubati anche le parole
che certo mai più conosceremo;
per te… per te…
dimmelo tu chi era, che voleva
perché ci guarda ancora sorridendo
non capisco proprio cosa aspetta.
Dimmelo tu chi è, che cosa vuole
cosa si aspetta guardandoci così
pregalo tu per me, se ne hai voglia.
Non so perché ti dico questo
mi sembra anzi un po’ ridicolo
non farci caso, lascia stare.
Che sciocchezza, lascia perdere,
davvero.
ABBIAM PARLATO, NON SO PIÙ DI CHE
Abbiam parlato, non so più di che.
Un semplice sguardo era bastato
per dissipare ogni malinteso
per ridare a una giornata disperata
il grato sapore dell’uva matura.
Parlavamo e ogni tanto era silenzio
ci guardavamo e poi sorridevamo
di qualche cosa che non aveva un nome
o forse aveva un nome troppo grande.
Meglio dunque sorridere
e non dir niente.
IL VIANDANTE HA LE MANI FERITE
Il viandante ha le mani ferite
la foresta sa ben essere crudele.
Con dolcezza infinita le hai curate:
se sei angelo o donna non so.
Quarta parte
«M’ERO FATTA BELLA PER TE»
«M’ero fatta bella per te».
E lo dicevi mortificata
mezz’ora dopo aver rischiato…
no, meglio non dire
meglio non pensarci.
Ma tu, donna meravigliosa
tu sei sempre bella
sempre,
non sono parole che il vento porta via:
perché sei bella dentro
più che mai.
MERAVIGLIA DI SEDERTI ACCANTO
Meraviglia di sederti accanto
respirare il tuo profumo lieve
esser sfiorato dai tuoi capelli.
È come sedere accanto al Sole
riceverne in viso i caldi raggi
sentire la carezza del suo soffio.
È come stare su una nuvoletta
librarsi nell’azzurro infinito.
COME IL SOLDATO TAMURA ABBANDONATO
Come il soldato Tamura abbandonato
vagava nella foresta tenebrosa
anch’io m’ero seduto, ansante,
all’ombra di orribili ricordi
senza più vedere un pezzetto di cielo.
Sei arrivata tu, in punta di piedi
mi hai sfiorato con la mano fresca
la fronte febbricitante,
m’hai ridestato in cuore
la nostalgia delle vette
dell’orizzonte lontano.
IL GLICINE SCENDE AZZURRO DAI MURETTI
Il glicine scende azzurro dai muretti
ed è ancor nostra la tarda primavera.
Stridono le prime rondini sui tetti
festeggiano il felice ritorno
dopo tanta fatica e tanto mare.
Serenità portano le ombre fresche
quando penso che anche a e
questo dolce verde colma il cuore.
SENTO QUALCOSA CHE MI VA DETTANDO
Sento qualcosa che mi va dettando
questi versi tenaci e balbettanti
per dire ciò che non vuol parole
con tenerezza affetto gratitudine
per dire soltanto che lei c’è.
QUELLE SCARPETTE NERE, SENZA TACCO
Quelle scarpette nere, senza tacco
con la punta arrotondata
e la cinghietta da allacciare a lato
sembravano scarpe di bimba.
Te lo dissi, e tu:
«Ma io sono una bambina»,
hai risposto sorridendo
senza alcuna civetteria.
Nelle tue iridi nocciola
il riflesso di una bimba vivace
che saliva sui rami del ciliegio
per vedere quant’è grande il mondo:
e ancor oggi si sporge per guardare
il confine non l’ha ancora scorto.
MI PESA, SÌ, MI PESA ANCORA
Mi pesa, sì, mi pesa ancora
e molto il non vederti,
quando esci così dalla mia vita
per lunghi giorni vuoti senza fine.
Mi pesa ancora, certo, tuttavia
non come prima; non dico meno:
mi pesa, ma in diverso modo.
Prima, era solo squallore di assenza
ora c’è qualcosa d’altro
qualcosa di nuovo:
la serenità della tua voce
la tenerezza del tuo sorriso
che ancora mi restano dentro
e mi fanno rasserenante compagnia
fino alla prossima alba.
NEL GIARDINO DEI CILIEGI
Nel giardino dei ciliegi
dal sapore vagamente cechoviano
si respira ancora aria di te
della tua infanzia
dei tuoi sogni di allora.
Le tue risa di bimba
sono rimaste sulla corteccia
fioriscono di nuovo
al sole tiepido di primavera.
CHI HA DETTO CHE GLI OGGETTI
Chi ha detto che gli oggetti
sono cose inanimate?
Inanimato, morto è chi lo pensa.
La vecchia macchina per cucire
vive nell’angolo più caro della casa
è come se la nonna
fosse ancora un po’ con te
e ti sorridesse
buona, paziente, generosa
come quando ti teneva bambina
sulle sue ginocchia.
E NON TI HO MAI GUARDATA
E non ti ho mai guardata.
Stavi seduta lì, in prima fila
per delle ore ho parlato, parlato
senza guardarti una volta sola.
Non occorreva:
la tua presenza riempiva tutto
illuminava tutto
fuori e dentro di me.
CHI, NON CONOSCENDOTI, TI GUARDA
Chi, non conoscendoti, ti guarda
può vedere soltanto che sei bella.
Poca cosa,
non sono rare le belle donne.
Ma quel che può vedere che ti conosce
è lo splendore di un’anima:
bisogna prima che protegga gli occhi.
MA COME FAI?, T’INVIDIO
Ma come fai?, t’invidio.
Con quella tua bacchetta magica
trovi pace e serenità
mentre io mi rigiro fra le spine.
chissà, forse standoti vicino
imparerò quel tuo sorriso
come facevi con la versione di latino,
tu sempre generosa,
coi tuoi compagni di liceo.
CI CONOSCIAMO DA COSÌ POCO TEMPO
Ci conosciamo da così poco tempo
Pure devo dirti una cosa:
mi sono avvicinato a te
più che a chiunque altro nella vita.
Lo sapevi?
NESSUNA PAROLA POTRÀ DIRE MAI
Nessuna parola potrà dire mai
mai
quel che ho provato allora
tenendo la tua mano fra le mie
per un attimo solo.
Quinta parte
TI VOGLIO BENE, SORELLA
Ti voglio bene, sorella.
Quanto ho esitato per dirtelo!
Ho atteso, dominando l’impazienza.
fino a sentirlo uscire per suo conto
ormai purificato interamente
terso come cristallo senza macchia
come metallo temprato nella fiamma.
Inciampando, cadendo e rialzandomi
ho scoperto un sentiero di luce
là dove pareva solo roccia aguzza.
Ma fosti tu, dolce sorella
a mostrarmi la via col tuo sorriso
quando vagavo a tentoni nel buio.
DA CHE TI MOSTRAI LE MIE PAURE
Da che ti mostrai le mie paure
e volli dirti le mie debolezze,
è strano,
mi sento più uomo, sai
mi sento anche più forte.
UN ULTIMO RAGGIO DI SOLE
Un ultimo raggio di Sole
illumina il bordo delle nuvole
mentre brontola il tuono vicino
nella sera piovosa di maggio.
Sento le mille foglie dei platani
stormire nella brezza profumata.
E vorrei gridare il tuo nome,
cara amica, vorrei
gridare il tuo
nome,
vorrei
gridare
il tuo nome
mentre brontola il tuono vicino
e stormiscono le mille foglie
dei platani.
Il tuo nome vorrei sussurrare
mentre l’ultimo raggio di luce
si posa su questo mio foglio
mentre scende la notte
e penso a te.
SE NON TI AVESSI INCONTRATA
Se non ti avessi incontrata
se il caso le nostre fragili barchette
non avesse condotto a sfiorarsi
sarei vissuto come i tristi Iperborei
mai rallegrati dai raggi del Sole.
Certo, non avrei sofferto
ma sarei stato ugualmente condannato:
a non gioire mai del caldo Sole
a vivere in esilio tra le nebbie
rabbrividendo di squallidi grigiori.
CON QUELLA TUA SQUISITA DISCREZIONE
Con quella tua squisita discrezione
te ne stavi sorniona un po’ in disparte
guardavi tutto forse anche divertita.
Incredibile averti vista così a lungo
esserti passato accanto tante volte
ignaro del diamante sul bordo della via.
Tu sei come l’acqua limpida dei monti
fortunato il viandante assetato
che la scopre impareggiabile, bevendo.
E ADESSO POCO M’IMPORTA
E adesso poco m’importa
anche che tu sia bella.
Sento che mi saresti cara
se pure non lo fossi.
Quanto sei bella dentro m’ha abbagliato
è questo che vorrei sempre contemplare
che mi rende per sempre tuo fratello.
LA LUNA S’INTRAVEDE FRA LE NUBI
La Luna s’intravede fra le nubi
rischiarandole di luce irreale
disegna turriti bastioni fiabeschi.
Nera la linea dei monti si distende
contro il blu cupo del cielo notturno
mentre banchi di vapori si posano sulla valle.
Il vento gonfio d’umidità
porta il gracidio sempre uguale della rana
come da un punto misterioso senza dove.
Ti penso in queste ore insonni
pervaso da un gran senso di pace
mentre aspetto di veder limpide brillare
le prime stelle.
SE AVESSI UN DIO DA RINGRAZIARE
Se avessi un Dio da ringraziare
nelle foreste acquitrinose di Volinia
se avessi un Dio da ringraziare
mentre i lupi corrono fra le betulle
se ci fosse qualcuno a cui parlare
nel gran vento pulito della notte
Gli parlerei di te, Lo pregherei
Per te, Gli direi
che ti stia sempre vicino
che ti protegga ti consoli
t’incoraggi
ti custodisca come le Sue pupille
e ti conceda la pace del cuore.
QUANDO LA LOTTA SARÀ PLACATA
Quando la lotta sarà placata
si distenderanno fasci di turgide vene
e una luce radente pacificherà le cose:
allora ritornerai.
Non ci sarà bisogno di parole
scintille di Sole pioveranno miti
cadranno inutili le ultime menzogne.
Noi ci guarderemo in silenzio
e capiremo tutto, sorridendo.
Perdoneremo, e guarderemo avanti
ogni voce parlerà una sola lingua
sarà come ritornare a casa
dopo un lungo viaggio.
.Sesta parte
GIOVEDÌ, VENTISETTE MAGGIO
(UN GIORNO COME UN ALTRO)
I
Caldo, traffico, rumore
il telefono che squilla a vuoto
passano i camion, non si sente nulla
maledizione
5 giornata afosa, giornata infame
eppure i suoni son come attutiti
c’è un diaframma tra me e le cose
c’è una parete come di cristallo
invisibile ma solidissima
10 un’ombra nera che mi separa.
Anche se non capisco fino in fondo
rispetto il tuo silenzio,
maledizione forse è un silenzio
che non vuol essere rispettato
15 e intanto suona fastidiosa la lezione
Allor porsi la mano un poco avante
tu mi guardavi con occhi perplessi
e colsi un ramicel da un gran pruno
stai cercando di evitarmi?
20 e ‘l tronco suo gridò: «Perché mi schiante?.
Giornata calda, piena di sole
eppure buia come una nera galleria
voglia di mordere, di sprofondare
salire sul vascello dell’angoscia
25 spiegar le vele funebri, come le vide Egeo
sulla nave del figlio creduto morto
solcare il mare plumbeo, senza vento
regiones australes necdum cognitae
forse Magellano quando fra le nebbie
30 navigò primo le grandi onde del Sud
o forse Balboa quando da una collina
del Darién vide infine il Grande Oceano.
Senso di vuoto, gusto di amarezza
massì che importa, e intanto
35 fare finta di nulla, ascoltare paziente
la voce giovanile che scandisce:
Quando ci scorse Cerbero, il gran vermo,
la ragazza ti guarda chiedendo approvazione
le bocche aperse e mostrocci le sanne
40 e ti fa pena, chissà quanto studio
non avea membro che tenesse fermo
basta, finiamola questa commedia.
II
Già, noi siamo esseri liberi
che schifo questo sindaco, di certo non lo voto
45 nevvero che siamo dotati di libero arbitrio?
Mi sembri dimagrita, no non credo
eppoi si sta bene seduti qua fuori
sarà il nero che mi fa più magra
sindaci cialtroni, piccoli ambiziosi
50 alla tua salute, alla tua
un mondo si riflette nel bicchiere
donne sbracciate, gocce di sudore
è il primo giorno veramente caldo.
Parli di tante cose, sei serena
55 t’invidio, cavolo, t’invidio per davvero
nelle tue narici una piega sensuale
cosa vado a pensare, mai fatto caso prima.
Di’, sono stato molto pesante?
Ma no figurati, son tutte idee
60 dovevo pur saperlo che non sei sincera
M’hai rotto l’anima, dovevi dire.
Ti guardo e mi pare strano
parli di sindaci, di morale, di puttane
perfino di quel tipo un po’ guardone
65 che ti fa una corte alquanto grossolana
di tutto insomma, proprio di tutto
tranne che dell’essenziale.
Fisso la tua mano abbandonata
sul vestitino nero di cotone
70 la mano grande, dalle vene rilevate
come una scultura michelangiolesca.
E le parole restano dentro
del resto, cosa c’è da dire?
III
Parole, parole, parole che nemmeno sento
75 Mi chiedo a che serve vivere, dice
bisogna pur rispondere, fare qualcosa
la testa però è altrove
buffo dover consolare, dover incoraggiare
e non averne proprio alcuna voglia.
80 Giornata infame, caldo, disguidi
un altro incontro mancato, perdio
bisognerà pur farsi benedire
non è possibile vadano tutte storte.
La strada corre nell’aria afosa
85 inghiotte i platani lungo la massicciata
e questo camion maledetto sempre avanti
lo sorpasso accelerando a tavoletta
è stupido correre così, senza ragione.
Minuti rubati, ma perché?
90 Caldo traffico rumore
il telefono squilla sempre a vuoto
passano i camion, non si sente nulla
maledizione
giornata afosa, giornata balorda
95 ecco che svolta l’auto bianca
lei scende carica di pacchi
capelli d’oro come pioggia celestiale.
Saliamo in ascensore chiacchierando
minuti rubati, ma a che serve?
100 ah, ecco la tua bella casa.
Bella, non c’è che dire
spaziosa, luminosa, lassù in alto
dalla terrazza nella vampa del meriggio
puoi abbracciare tutta la pianura
105 strano vedere gli alberi dall’alto.
Le pietre da mosaico lungo il muro
le pareti variopinte delle stanze
le tende opera tua, le cose della nonna
grazia misura semplicità lo vedo
110 è tutto come l’immaginavo,
anche l’Eneide del Bacchielli nello studio
manca soltanto, peccato, il Cappelletti
– quella stronza te l’ha rubato, si può dire –
io certa gente proprio non la capisco.
115 Si vede che hai gettato l’ancora
la tua nave è ormai sicura in porto
non ti spaventeranno più le bufere
al riparo del golfo te ne ridi
o almeno questa, vedi, è l’impressione
120 ne sono lieto per te,
dico sul serio.
IV
Io navigo ancora alla cieca
chissà, potrei scoprire un continente
Hic sunt leones
125 se non si osa non si scopre nulla
oppure potrei perdermi nel vuoto
vagare sull’infinito mare senza sponde
il mare dei miraggi dei sogni degl’illusi
Mare Tranquillitatis Mare Serenitatis
130 Mare Humorum Mare Crisium
il mare dei falliti presuntuosi
dicono che vi sia da qualche parte
il mare delle navi perdute
tutte rose dai tarli e dalla nebbia
135 le vele mangiate e ridotte a brandelli,
il mare circondato da alghe sterminate
che creano una bonaccia senza tempo.
Guardo la pianura tremolante
nel caldo, dalla tua terrazza
140 vedo le cose piccole, insignificanti
questa strana giornata non ha fine
nemmeno la pianura sembra avere fine
le cose non hanno mai fine
si trasformano ma nulla mai finisce
145 questo forse è il dramma
essere morti e sembrare ancora vivi
come spaventapasseri sbattuti dal vento.
Settima parte
ORE DUE E UN QUARTO: L’ALTRO ORIZZONTE
Arridet placidum radiis
et sulcata levi murmurat unda sono.
RUTILIO NAMAZIANO, De Reditu, II,13-14.
I
E così ti ho incontrata pure oggi
mezzo disfatto dal caldo afoso
eh già tu non lo soffri non puoi capire
anzi ti piace rosolarti al Sole
5 peccato che non vieni mai davvero scura
succede ai biondi, del resto
e a quelli un po’ rossicci
io non so come fai, quest’afa mi discioglie
vorrei emigrare al Polo Sud
10 pattinare sul ghiaccio fra i pinguini
voi magri non potete capire
che sofferenza insopportabile è quest’afa.
Certo lo specchio di tua nonna
mi dava un rassicurante figurino
15 sfido, era uno specchio deformante
ottanta chili paiono sessanta
i conti tornano, perché un poeta
dev’essere snello, si capisce
se non è sotto i sessanta, che poeta sarà?
20 Quo usque tandem abutere,
Catilina, patientia nostra?
Bevete acqua minerale, cari gonzi
mangiate formaggini tal dei tali
e il mondo sarà vostro, sarete snelli
25 i mulini torneranno bianchi
il lupo e l’agnello pascoleranno insieme
il leoncino giocherà col capretto
anche Milosevic sarà più buono
tutti berranno Coca-Cola
- alleluia, amen amen.
II
Pensarti tutto il giorno
e vederti di corsa tre minuti
Questi libri ti possono servire?
se vuoi, ne ho anche degli altri
- (certo un poeta non dev’essere ben messo)
no, puoi tenerli ti dico
quante balle mi tocca escogitare
per avere la scusa di vederti
fregare alla Divina Provvidenza
- – con buona pace della predestinazione –
un’avara manciata di minuti
e fare, per giunta, l’uomo superiore
l’Angelus Novus tutto disinteresse
sceso dalla nuvoletta con molto galateo
- non manca che l’aureola sui capelli
sento che sto per smaterializzarmi
sto evaporando in nobile distillato
di buoni buoni buoni sentimenti
tra poco mi offriranno un aromatico caffè
- nel paradiso della Santa Ipocrisia.
Ma tant’è, non sta bene dire il vero
dire quel che si pensa è cosa sconcia
quel che si sente, poi, pornografia,
no, ma scherziamo?, tutti angeli qui
- tutti sublimi, superiori al male
tutti andreottiani, anzi meglio pidiessini
decoro perdio, patria e famiglia
qua non s’imbarca cucchi
immondi sovversivi, vi ricacceremo
- le porte dell’Inferno non prevarranno
alleluia amen alleluia.
III
So bene che tu non sei così
non è rivolto a te questo cianciare
è solo che non ho dormito, scusa
65 non ho mai avuto tanto sonno in vita mia
mi butterei di schianto sul divano
anche sul marciapiede perché no
vorrei dormire come un bradipo sul ramo
cullato dalla vostra gran sapienza
70 Gallia est omnis divisa in parte tres,
quarum unam incolunt Belgae,
aliam Aquitani, tertiam qui ipsorum
lingua Celtae, nostra Galli appellantur.
Cavolo com’è elegante Cesare
75 peccato fosse un boia come Clinton
di questa mala razza di rapaci
quos non Oriens, non Occidens satiaverit
dice il buon vecchio Tacito, atque
ubi solitudinem faciunt, pacem appellant
80 dove fanno il deserto lo chiamano pace.
E poi è questo caldo che mi uccide
sgorga il sudore a fiotti, povera camicia
non vorrei essere nei tuoi panni
comunque il caldo il sonno e qualcos’altro
85 mi danno un alibi per questo sfogo
si sa, se uno non dorme non è in sé
chiudete un orecchio, bravi cittadini
fate per una volta finta di non udire
anche se morite dalla voglia di spettegolare
90 vi schizzano fuori gli occhi dalle orbite
le lingue fremono per schizzare rettitudine:
semel in anno licet insanire.
IV
Ricordo sì e no come vestivi
ho visto la cascata dei capelli
- ed ecco devo già lasciarti andare
Cristo!, cameriere mi porti via la tazza
e non ho neanche bagnato le labbra
del resto mi pare inevitabile, sicuro
anzi facciamo pure un bel sorriso
100 vanno osservate le buone maniere
perdio non siamo mica tra i selvaggi
siamo gente civile e responsabile.
Se un albero ci cade sulla testa
noi diciamo grazie, scusi ancora un poco
105 porgiamo compiti e devoti l’altra guancia
mica bestemmiamo come fece Orazio
ille et nefasto te posuit die
illum et parentis crediderim sui
fregisse cervicem, chiunque sia stato
110 che ti piantò in un giorno nefasto
penso che abbia spezzato il collo di suo padre,
triste lignum, albero maledetto.
Così non mi resta che sognare
la bomba atomica che farà giustizia
115 scoppiando giusto sulla Casa Bianca
una bomba intelligente, finalmente
ecco che allora sarei d’accordo anch’io
e un’altra su Wall Strett, naturalmente
e la terza – si sa – nel cuore della City
120 fra le chiappe del caro Tony Blair
quello sarebbe un bel fuoco d’artificio
per vederlo farei quasi le ore piccole.
V
Certe volte quando sei contenta
e stai per dire qualche lieta impertinenza
125 ti fremono le pinne del naso,
prima di buttarti a capofitto
scintillano i tuoi occhi d’ironia
i tuoi occhi grandi – pure quelli! –
sembra che nuotino in un velo d’infanzia
130 già, paiono occhi di bimba birichina.
Queste piccole cose mi fanno compagnia
dovran bastarmi per altri quattro giorni
devo coccolarmeli, poveri ricordi
berli un sorso alla volta, piano piano
135 ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinnova la paura!
Alessio mi stupisci devo dire
quello non è mai stato il tuo ideale
140 e non lo è neppure adesso, credo –
hai ragione mia cara ma che importa?
Qui non si fanno tanti ragionamenti
chi se ne frega dell’ideale
quando un’anima così si fa vedere
145 non c’è molto altro da dire
ma soltanto da ascoltare
come un campo giallo di colza
quando arriva tutto scuro il temporale
la sera di giugno tace e attende
150 pare quasi che trattenga il fiato
solo il vento gagliardo scuote l’erba
così anch’io taccio, in attesa.
VI
Oggi sei lugubre, niente da fare
senti un po’, perché non ti spari?
155 Certo che sai tirare su il morale
E allora te lo dirò, ma in un orecchio:
chi è già morto non occorre che si spari
non val la pena di uccidere i cadaveri,
fatica sprecata: ne convieni?
- Scherzo, si sa, va tutto bene
siamo esseri creati per la vita
lo dice anche la sana teologia
e del resto, se così non fosse
c’è qualcos’altro che si potrebbe fare?
- Potremmo restituire il biglietto
dicendo: nossignore, grazie tante
non gioco ai dadi, quando son truccati?
Scherzo, si sa, va tutto bene
bisogna amar la vita e tutto il resto
170 ogni cosa merita amore, dice san Francesco
anche la lampreda che s’attacca al pesce
ne trivella le carni come un frullatore
se lo divora vivo con metodo e appetito
che male c’è ad avere appetito?
- è segno di buona salute.
O fons bandusia splendidior vitro
le magnifiche sorti e progressive
cras amet qui numquam amavit
quique amavit cras amet!
- Sto scherzando, certo che va tutto bene
e questo è il migliore dei mondi possibili
tutto ciò ch’è reale è razionale
amen, amen così sia.
VII
Dai, non fare quella faccia ora
- so bene in che senso lo dicevi
mica era un invito da prendere sul serio
un po’ di umorismo aiuta la sana digestione.
Anche un po’ d’odio, a essere sinceri
quella certa bomba su Wall Street
- per esempio, e quella sulla City londinese
la razza dei mostri verrebbe estirpata
come disse di suo padre Ivan Karamazov:
Che vive a fare un uomo simile?
E così ci consoliamo, più o meno,
- sognando commossi l’anno che verrà
il ladro e lo sbirro canteranno insieme
riapriranno felici i bordelli
Clinton pagherà da bere a tutta Belgrado
e sarà multato chi non farà l’amore.
- Dai, non fare quella faccia
anch’io posso scherzare qualche volta
e quel vestito nero di cotone
ti sta una meraviglia, fa risaltare
quei tuoi incredibili capelli d’angelo:
- parlo sul serio, questa volta.
Il fastidio della vita sarebbe intollerabile,
talvolta, se non ci fosse gente come te:
dimmi: te l’avevano mai detto?
Parlo sul serio, questa volta.
- non ho più molta voglia di scherzare.
Colui che tutto vide sino agli estremi orizzonti
– dice l’Epopea di Gilgamesh –
che ogni cosa sperimentò, tutto conobbe…
è bello, parlo sul serio, che tu ci sia.
VIII
- Caspita, pensa che bella processione
nel bosco, quella notte d’estate:
Demetrio segue Ermia innamorato
ma Ermia cerca solo il suo Lisandro
mentre Elena, poveretta, sospira per Demetrio
che non la degna nemmeno d’uno sguardo.
- Tale è la commedia della vita
altro che amor ch’a nullo amato amar perdona
l’ironia della vita non è priva di umorismo
i conti, però, è certo che non tornano
alla fine c’è sempre chi s’ingozza da scoppiare
- e chi resta a becco asciutto a dire grazie.
Si può ridere o indignarsi, fate voi
ce n’è per ogni gusto, secondo le opinioni:
e allora meglio ridere, non trovi?
Comico questo smaniare irragionevole
- per ciò che non abbiamo, e che se avessimo
getteremmo certo da parte con disprezzo
come bimbi viziati con l’ultimo giocattolo.
Forse è questa insoddisfazione che ci salva
che ci spinge verso le ardue vette:
235 sempre caro mi fu quest’ermo colle
e guai se arrivassimo là in cima
troppo grande sarebbe la delusione
vedremmo la faccia buia della Luna
così simile a quell’altra illuminata,
- anzi ancor meno interessante.
La vida es sueño, dolce amica
pensa che dramma non sognare più
la vita è sogno, se ho recitato bene
la mia parte, amici, applaudite.
Ottava parte
OGGI, DICIOTTO GIUGNO
Oggi, diciotto giugno
incomincia qualcosa di enorme
si spalanca la serie infinita dei giorni
come una nera bocca smisurata
e tutto è come prima
e tutto è diverso.
Qualche cosa di me se n’è andata
forse la parte migliore
oggi, diciotto giugno
come se nulla fosse accaduto
come se mai ti avessi incontrata.
E cantano ancora gli uccelli sui rami
il sole estivo brilla come sempre
rintoccano ancora nell’aria le campane.
Oggi, diciotto giugno
Ripenso al tuo viso e non lo vedo
Sparito anch’esso dal ricordo
Proprio come fosse stato tutto un sogno
una dolcissima illusione.
Oggi, diciotto giugno.
COME CI SI ABITUA PRESTO ALLA FELICITÀ
Come ci si abitua presto alla felicità!
Vederti, parlarti, ascoltarti
accendermi della tua luce
riflettere un po’ del tuo splendore
riscaldarmi alla tua dolce fiamma.
Sentire il cuore gonfio di esultanza
anche se mescolata a un non so che d’amaro
che non era di certo colpa tua
che anzi tu sola sapevi disperdere
col tuo tocco lievissimo di fata.
È stato come un prodigio quotidiano
una goccia iridescente d’infinito
nel campo riarso della mia solitudine.
CENTO GIORNI INCANTATI
Cento giorni incantati
cento giorni e cento notti
più belli di una fiaba.
Cento giorni per rinascere
cento giorni per sognare
donati da qualche dio benevolo.
Solo ora comprendo veramente
la preghiera magnanima di Achille:
poter vivere una vita breve,
ma gloriosa.
TU CHE SEI IL SUO DIO
Tu che sei il suo Dio
abbi cura di lei come dei tuoi occhi
raccoglila nel palmo della mano
quando la vedi stanca.
Amala come lei ti ama
donale forza e pace
tieni sempre acceso nel suo sguardo
quel fuoco indescrivibile d’amore.
Se farai questo, Dio sconosciuto,
ti dirò grazie dal profondo
fingerò quasi che Tu esista.
C’È UN MAGICO ALONE CHE TI AVVOLGE
C’è un magico alone che ti avvolge
che avvolge coloro che ti sfiorano.
Io non lo so cos’è.
C’è qualcosa d’indefinibile che emani
che mi fa sentire un altro
trasportandomi in un mondo più pulito
dove la bontà non è solo una parola
che si pronuncia con suono insincero
ma quasi una realtà tangibile
come l’onda dei tuoi capelli d’oro.
E QUANDO GUARDERAI NEL FIRMAMENTO ESTIVO
E quando guarderai nel firmamento estivo
la rossa Arturo brillante più di tutte
e Spica bianco-azzurra, la solitaria,
forse ti verrà in mente un altro solitario
che tu per cento giorni hai rischiarato
più delle stelle della Via Lattea.
Un poeta scontroso e pessimista
che, troppo povero per donarti qualcosa
ti ha offerto la sua malinconia
ma dal profondo dell’anima.
BIANCHE LE PARETI INDIFESE
Bianche le pareti indifese
pochi mobili ancora al loro posto
e la luce che irrompe dovunque
batte sulle vaste superfici nude
che guardano stupite, in attesa.
Solo nel soggiorno vuoto
la tenda ondeggia piano al vento estivo
e monotona una mosca ronzando
descrive cerchi sempre uguali.
È ora di partire.
Ti penso, e mi chiedo
se sono stato sincero con te
se ti ho detto le cose più in fondo
le parole di cui t’ero debitore
prima di dirti addio.
COME LE STELLE CADENTI
Come le stelle cadenti
filano soavi nella notte estiva
accendendo rabeschi luminosi
così alcune anime brillanti,
annunziatrici di bene,
scendono rischiarando generose
le tenebre fitte della vita.
Tu anima bella, anima pulita
hai portato la pace nel mio cuore
hai versato tra le mie labbra screpolate
la dolce bevanda del ristoro.
CON LA TUA LIEVITÀ, LA TUA DOLCEZZA
Con la tua lievità, la tua dolcezza
mi hai fatto capire, riconciliato,
che la vita si può succhiare come un frutto
e non soltanto mordere con rabbia.
Di dolci succhi zuccherini
ho ancora umide le labbra.
ho ancora gonfio il cuore
di te.
NEL VENTO DELLA NOTTE ESTIVA
Nel vento della notte estiva
scuote i suoi rami l’albero di sorbo
leva le fronde come ricordi agitati
come rimorsi che invocano la pace.
Rivedo i tuoi stupendi capelli
il tuo vestito nero, lungo
il tuo sorriso luminoso di bambina.
È stato un sogno troppo rapido
un balenare di felicità
nello spazio fugace d’un sospiro.
I MOMENTI STRANISSIMI, TERSI, ESALTANTI
I momenti stranissimi, tersi, esaltanti
che ho vissuto avendoti vicina
li ho riposti con somma cura
nella piega più segreta del mio cuore
li ho rimboccati come un bimbo
che sazio di giochi s’addormenta
sognando felice ancora giochi.
PASSEGGIANDO NEL VERDE ORTO BOTANICO
Passeggiando nel verde orto botanico
lungo il magnifico viale delle Cycas
e all’ombra fresca dell’olmo gigantesco
che pensieri, che sogni, che speranze
affollavano il tuo giovane cuore?
Mentre sedevi a contemplare le ninfee
col cielo estivo riflesso nel laghetto
rallegrata da mille voci di uccelli
dimmi: come lo immaginavi il tuo domani?
Mi sembra di vederti, i libri sotto il braccio
camminare con quel tuo passo lieve come danza
la nuvola di seta dei capelli d’oro
che ondeggia senza peso sulle spalle
e il cielo il Sole le bianche ninfee
rispecchiarsi nel tuo sguardo limpido.
HO VISTO LE COLLINE ACCOVACCIATE
Ho visto le colline accovacciate
tutte verdi di boschi splendenti
nel mattino limpido d’estate.
L’aria era fresca e profumata
come il primo giorno del mondo
un alone di luce avvolgeva le cose.
Ti ho pensata, dolce amica
è strano che tu tutto appaia come sempre
ora che non ci sei più.
LA TUA VOCE CALDA, ARMONIOSA
La tua voce calda, armoniosa:
Mi avevi riempito le giornate
crepita il fuoco nei bracieri
conticuere omnes intentique ora tenebant
la tua voce inattesa come un tuffo
e la dolce Elissa nella notte africana
inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto
sei tu, proprio tu che mi parli:
Ora provo un gran senso di vuoto.
Che strano non riesco a dire nulla
Et iam nox umida caelo praecipitat
suadentque cadentia sidera somnos.
GUARDO UNA NUVOLA LEVARSI ALL’ORIZZONTE
Guardo una nuvola levarsi all’orizzonte
salire nel cielo limpido di mezza estate
salire e dilatarsi come una torre minacciosa
gettare fosche ombre sui bianchi muri in attesa.
Anche una nuvola sta salendo nel mio cuore
si dipana come mostruoso cotone senza fine
incombe oscurando ogni speranza
chiude rapida l’orizzonte d’ogni parte.
E adesso che farò senza di te?
Travestirò da giorni il vuoto del domani
cercherò forza nei riflessi di ieri.
Roma vale! Vox haeret et singultis
intercipiunt verba dictantis.
QUANTE PAROLE STO METTENDO IN FILA
Quante parole sto mettendo in fila
persino la flora delle isole lontane:
ma non è questo che ti volevo dire.
Scivolo su pareti di cristallo
parlo e parlo e non riesco
come quando nei sogni vorresti dire
ma la voce non viene, non ti esce
vorresti correre, ma rimani fermo.
Quare mors inmatura vagatur?
Mai ho provato una tale impotenza
la stanza dei tesori rimane sigillata
non sale alle labbra la formula magica.
Ecco: depongo la penna, sconfitto.
Ma tu, donna di Sole, forse capirai
mi leggerai nell’anima
quello che non so dire.
SEI TANTO BELLA, AMICA MIA
Sei tanto bella, amica mia.
Come il poeta Orfeo
le belve potresti ammansire
le fiere dei monti raccogliere intorno
dolci e mansuete come cerbiatti.
Tutte verrebbero a dissetarsi
alla fonte limpida del tuo sorriso
ad ascoltare la tua voce come il miele
a respirare la fragranza del tuo sospiro.
Nona parte
UN LUNGO SGUARDO COMMOSSO
Un lungo guardo commosso
una stretta di mano
un abbraccio forte e silenzioso:
e basta.
Esco lucido e frastornato
le gambe mi portano da sole
qualcosa mi fa groppo in gola
e la mente non pare più la mia
i pensieri son quelli di un altro.
Stordito mi osservo camminare
senza comprendere fino in fondo.
Sono come una stazione abbandonata
l’erba ormai cresce sui binari
che non portano in alcun luogo
che non udranno mai più
il fischiare gioioso del treno.
SE MAI QUALCOSA TI HO DONATO
Se mai qualcosa ti ho donato
se anch’io qualcosa ho potuto darti
se ti ho fatto, chissà come, un po’ di bene
certo è stato quel Dio in cui hai fede
a servirsi di me, che in Lui non credo,
per sussurrarti parole dolci nell’orecchio
e consolare qualche segreta pena
riportando la luce nel tuo sorriso.
TE LO DICO FRANCAMENTE, SABINA
Te lo dico francamente, Sabina:
non ho molta voglia di soffrire.
Come non ne aveva lui nell’orto degli Ulivi,
come nessuno mai ne ha avuta al mondo
se non sperando in un bene come premio.
Ma io non ho più molto da sperare
la gioia di vederti è già alle spalle
risucchiata per sempre dai rapidi giorni.
No, davvero vorrei farne a meno:
il dolore può esserti amico prezioso
ma non è il caso di cercarlo: viene lui.
È QUESTA LA FINE, ALLORA
È questa la fine, allora.
la temevo da molto, dall’inizio:
e ora è arrivata davvero.
Non vederti più, non sentirti più
pensarti sempre, come prima
molto più di prima
ma sapere che non ti rivedrò domani
che forse non ti rivedrò più.
Ci penso e non riesco a crederci:
questa, forse, è la salvezza
altrimenti sarei perso.
Se davvero fossi persuaso
che non rivedrò mai più
non avrei la forza di scrivere
di credere sperare pregare bestemmiare
non avrei la forza
di sognare ancora.
TU CREDI CHE SIA BUONO, MA TI SBAGLI
Tu credi che sia buono, ma ti sbagli
vorrei essere un cannibale felice
per infierire su innumerevoli nemici
sui borghesi moderati e benpensanti
sui progressisti pieni di ragionevolezza
sui tecnocrati e sui superstiziosi
che aspettano sempre il pianto di qualche Madonna.
Ma i finanzieri, specialmente
e i militari: quelli con le mie mani
vorrei sbranarli pezzo a pezzo
con metodo e appetito inesauribile.
E metterei nel calderone anche Domineddio
che inventammo per nostra sventura:
con tutti i cardinali e con la signora Allbright
– quella però la sputerei, troppo schifosa.
Sarebbe ancor lungo l’elenco
di quelli che vorrei veder spazzati
da una dantesca grandine di fiamme
i politicanti e gli avvocati,
i calciatori le modelle gli stilisti
e anche i finocchi – disgustosi! –
gl’intellettuali servi e salottieri
i giornalisti prezzolati dal regime.
Invece sono un cannibale infelice
costretto da questa triste civiltà
a divorar nemici solo in sogno
rigirandomi senza pace nel mio letto.
PER TRAVERSARE IL DESERTO DEL GOBI
Per traversare il Deserto del Gobi
i mercanti conoscevano i pozzi
sapevano quanti giorni di cammino
e potevano affidarsi a guide esperte.
Per traversare questo deserto senza e
non so se troverò dell’acqua
né guide conosco, né distanze.
Forse mi chiameranno voci,
la notte,
voci soltanto simili alla tua
come dolcissimi miraggi
d’un bene per sempre perduto.
STRANO CHE DANTE MAI MENZIONI
Strano che Dante mai menzioni
il suo maggior contemporaneo, oltre a Giotto,
messer Marco viaggiatore veneziano:
forse nemmeno lui gli prestò fede
troppo incredibili le cose che narrava.
Neppure io, forse, sarei creduto
Se di lei dovessi dire al mondo:
troppo meravigliosa per esser donna vera.
Sì che, se piacere sarà di colui
a cui tutte le cose vivono,
che la mia vita duri per alquanti anni,
io spero di dicer di lei quello che mai
non fue detto d’alcuna.
IL GIARDINO BEN NOTO, QUELLA NOTTE
Il giardino ben noto, quella notte,
pareva una foresta sconosciuta
i tronchi contorti degli olivi
alzavano al cielo dita lamentose.
Paura e angoscia cominciò a provare,
allora, e una gran tristezza.
Abbà, padre – pregava con tutta l’anima –
Se è possibile, passi da me questo calice!
Mai fu grande come in quell’ora
quando, sudando letteralmente sangue,
si turbò in cuore fino allo sgomento.
E TUTTO QUELLO CHE DICIAMO
E tutto quello che diciamo
è già stato detto,
tutte le lacrime che versiamo
sono state già piante,
tutti i nostri sospiri d’amore
sono già stati uditi,
infinite volte.
Tutto è già accaduto
e il prato, che al bambino
sembra un mondo fresco e inesplorato
ha già conosciuto i lenti passi
d’un vecchio tremolante
che, al termine della sua vita,
ripensava ai suoi giochi felici di bimbo.
E tutto sembra nuovo
e tutto da sempre si ripete:
il Sole che sorge come un fanciullo
e a sera declina piano, stancamente.
Lui, per rinascere ogni giorno
in un tripudio di luce e giovinezza;
noi, per tornare alla terra
di dove siam venuti.
PERCORRO COME IN SOGNO LE NAVATE
Percorro come in sogno le navate
cerco nella penombra di raccogliere i pensieri
sono come fuor di me, come sdoppiato.
Poco fa ci siamo detti addio
come un automa sono sceso per le scale
camminavo come in un sogno penoso.
E sono entrato in questo fresco silenzio
cercando istintivamente un po’ di pace
la luce azzurra rischiara le vetrate
con figure di santi, di apostoli, di vergini.
Su questo banco ti sei forse già seduta
e la tua voce chiara ha risuonato
nel canto luminoso della fede.
Ma tu, Dio incomprensibile
da me non aspettarti niente:
lasciami in pace,
lasciami in pace per sempre.
SEMPRE HO CERCATO, COME PLATONE
Sempre ho cercato, come Platone,
la mia Atlantide perduta di là dal mare:
sempre ho viaggiato oltre, senza pace
senza mai un giorno di quiete.
Ho navigato su oceani sconosciuti
sospinto da marosi giganteschi, oppure
immobilizzato da bonacce innaturali:
sempre col viso oltre le Colonne d’Ercole,
frustato dal vento dell’Ignoto.
Ora il mio albero maestro s’è spezzato
pendono inerti le stanche velature
sto andando lentamente alla deriva
ora che tu non sei più qui vicino a me,
HO CAPITO CHE COS’ERA
Ho capito che cos’era
quando ho visto che mi bastava scorgere
la tua giacca sull’attaccapanni
per sentirmi la gioia galoppare dentro
e ringraziare gli dei del fausto giorno.
Ho capito che cos’era
quando intuivo i tuoi capelli splendenti
dietro il vetro della stanza
e mi pareva di volare nell’azzurro
di stare per toccare il Sole.
Ma ho capito veramente che cos’era
quando non c’era la tua auto nel cortile:
tutto si appannava d’improvviso
un gusto amaro mi saliva in bocca.
Decima parte
COME UNA SOLA GOCCIA D’ACQUA
Come una sola goccia d’acqua
può riflettere tutti i colori dell’iride,
così un solo istante della vita
può contenere innumerevoli emozioni.
Tali sono stati gli istanti
che ho passato vicino a te:
una pioggia di gocce iridescenti,
un turbine di aspra e dolce verità.
I BAMBINI NEL CREPUSCOLO ESTIVO
I bambini nel crepuscolo estivo
descrivono cerchi con le biciclette
e mentre scendono dense le ombre
dagli orti e dai giardini odorosi
liete si spandono le loro voci
come stridio di rondini.
ripenso a te, alle tue parole
alla tua impareggiabile dolcezza
mentre Venere brilla alta nel cielo
al di sopra delle nuvole violette.
E QUANDO IL MIO CUORE SARÀ TRISTE
E quando il mio cuore sarà triste
quando più sentirò la tua mancanza
ricorderò il tuo sguardo, il tuo sorriso
la tua squisita dolcezza femminile
le parole rasserenanti che m’hai dato.
Stringerò nel pugno ogni cosa
e guarderò avanti come vorresti tu
la terrò in mano come una conchiglia
che porta in sé il frangersi dell’onda:
tutto il mare nel suo piccolo guscio.
QUANTE VOLTE LA TUA VOCE CALDA
Quante volte la tua voce calda
ha rasserenato il mio animo inquieto,
quante volte il tuo dolcissimo sorriso
ha diffuso la pace nel mio cuore.
Quante volte ero disorientato e incerto
e mi hai fatto ritrovare l’equilibrio
quante volte ero turbato da fantasmi
che il tuo tocco lieve ha disperso.
Quelli che mi conoscono
m’hanno visto, con stupore, trasformato:
certo non sei passata invano
come pioggerella nell’afa d’agosto
che rende l’umidità ancor più greve;
ma come il vento gagliardo di marzo
che spazza furiosamente i nuvoloni
libera squarci d’azzurro infinito
mentre l’arcobaleno s’incurva vittorioso.
VORREI PRONUNCIARE UNA PAROLA
Vorrei pronunciare una parola
fatta di puro suono,
vorrei creare un colore
intessuto di pura luce.
Solo allora potrei dire di te
di come sei,
solo così ti potrei dire grazie.
NON DEVI PREOCCUPARTI PER ME
Non devi preoccuparti per me,
dico davvero.
Le poche spine che mi han graffiato
non facevano male, dopo tutto:
e quel che ho ricevuto in cambio
è stato un galeone carico d’oro
sul punto di affondare per il peso.
Io sono sempre quello cui eri affezionata:
ho sempre voglia di pisciare
sugli arroganti inglesi e americani
di partire al galoppo lancia in resta
contro un’armata di mulini a vento.
Mi va sempre stretta, troppo stretta
questa grigia quotidianità senza ideali
vorrei accendere una gran fiammata
sotto il culo di tutti i conformisti.
E quando anche l’ultimo ribelle
sarà rientrato nei ranghi buono buono
grufolando fra qualche avanzo di regime
tu mi troverai sempre sulla barricata
pronto a innaffiare i furbi e gli ambiziosi:
Forza Italia e Pidiesse
per me è tutta la stessa merda,
chi vuole la sua doccia venga avanti.
LO STORMIRE DEI PLATANI FRONZUTI
Lo stormire dei platani fronzuti
nel pomeriggio d’estate luminoso
è come il sussurro di voci innumerevoli
che cantano la canzone del ritorno:
Monti e colline vi acclameranno
e tutti gli alberi dei campi
batteranno le mani.
MI AGGIRO PER LE STANZE ORMAI VUOTE
Mi aggiro per le stanze ormai vuote
che sanno di viaggi, di partenza.
Le valigie sono già presso la porta
tutto appare pronto per andare
ma qualcosa ancora mi trattiene
non so cosa esattamente
come se avessi scordato chissà che.
Mi guardo intorno cercando la risposta
sento che non tutto è stato fatto
resta da celebrare un rito misterioso.
Prima di uscire dalla dolce casa
di questi nostri cento giorni azzurri
c’è un’ultima frase da sussurrare:
«Grazie, Sabina, grazie di tutto».
VORREI CHE TU POTESSI SEMPRE RICORDARE
Vorrei che tu potessi sempre ricordare
l’Alessio dei momenti migliori:
quello che sapeva essere perfino spiritoso
che cercava mille scuse per vederti
che ti apriva i segreti del suo cuore
e aveva in te una fiducia illimitata.
Quello che avrebbe fatto ogni cosa
per vedere il sorriso nel tuo sguardo
per stare un altro po’ vicino a te.
Undicesima parte
STORMISCONO PIANO LE FRONDE NELL’AFA
Stormiscono piano le fronde nell’afa
mentre brontola il tuono nel cielo nuvoloso
e le ombre si addensano nel cielo di luglio.
La speranza della pioggia è ormai vicina
Annunciata dai canti d’uccelli innumerevoli.
Ma neanche se irrompesse un autentico ciclone
potrebbe lavar via l’arsura più grande:
quella della tua lontananza.
Quemadmodum desiderat cervus ad fontes aquarum
ita desiderat anima mea ad te:
come la cerva anela ai rivi delle acque
così l’anima mia anela a te, Sabina.
Ho bisogno di te, del tuo sorriso
del senso di pace che mi sapevi infondere
quasi senza bisogno di parole.
È STATO FURIOSO IL TEMPORALE ESTIVO
È stato furioso il temporale estivo
e benché ora si stia allontanando
fremono ancora i rami con violenza
e lampeggia l’orizzonte fra i neri nuvoloni.
Mi chiedo se laggiù nella pianura
anche tu stai respirando l’aria fresca
se mi pensi quando levi lo sguardo
alla linea dei monti d’un blu scuro.
PARLAVAMO DEL PIÙ E DEL MENO
Parlavamo del più e del meno
e d’un tratto, con tono naturale
– quasi per pudore di scivolar nell’enfasi –
Mi manchi, hai detto piano.
Due semplici, brevi parole: mi manchi;
ma so che tu soppesi bene le parole.
Alto brillava il Sole su di noi
la vita continuava, indifferente.
Anche tu mi manchi, non sai quanto.
SEMPRE HO INSEGUITO NELLA VITA
Sempre ho inseguito nella vita
un’isola smarrita che forse non esiste:
avvistata per caso da qualche brigantino
in una notte buia e tempestosa, e poi
subito perduta nell’immensità del mare.
Con te, Sabina, il sogno all’improvviso
è parso realizzarsi: superando acque difficili
fra icebergs vaganti nella nebbia
ho visto alto sull’onda l’isola perduta
le sue rocce spumose si alzavano al cielo
e gabbiani a milioni ne avvolgevano la vetta.
Gemevano i cordami nel tramonto rosseggiante
foche e pinguini si tuffavano dagli scogli
festeggiando il lento, trepido avvicinarsi
del mio veliero incredulo e felice.
COME L’ALCHIMISTA CERCAVA LA PIETRA
Come l’alchimista cercava la pietra
per trasformare i metalli vili in oro
E si affannava nel tentativo sovrumano,
così anch’io vado studiando con fatica
come salvare per sempre la bellezza
di questo nostro incontro straordinario
di questo sentimento che ci lega.
Non permetterò che tutto sia disperso
come le foglie del frassino autunnale
non mi arrenderò anche se so bene
che quanto sto tentando è quasi folle.
HO VISTO IN SUD AMERICA EUCALIPTI
Ho visto in Sud America eucalipti
levarsi in alto ad altezze strabilianti
sfiorare il cielo con le cime scintillanti
quali colonne d’una eccelsa cattedrale
tremolanti nella foschia della savana.
Dal terreno risale l’acqua goccia a goccia
lungo le più minute nervature
giunge alle foglie svettanti nell’azzurro
irrorando di ramo in ramo generosa.
Ma quello a cui mi accingo è più difficile
che pompare l’acqua fin lassù
come in un grattacielo di quaranta piani.
Devo raccoglier ciò ch’è stato nel profondo
senza smarrire neanche uno sguardo
un silenzio una parola
e portarlo dove libero soffia il vento
dove il presente è un infinito ritrovarsi
un dire sì alla vita con coraggio.
Dodicesima parte
VUOTARE IL CALICE SINO IN FONDO
Vuotare il calice sino in fondo
bere fin l’ultima goccia
pulirsi le labbra col dorso della mano
e poi dire con un sorriso amaro:
«Vediamo, dolore, chi è più forte
fra me e te».
CENTO SOLI ROSSI CRUDAMENTE SFAVILLANO
Cento soli rossi crudamente sfavillano
cento onde nere assurdamente si frangono
cento giorni vuoti desolatamente rotolano.
Sale un gusto di amarissima disillusione
impasta la bocca come fiele.
L’impensabile è accaduto
il sogno s’è infranto cenere fredda è lo stesso ricordo.
procedere è come posare i piedi
su infinite lame acuminate,
pure bisogna andare avanti.
Non c’è pace ai mortali sulla terra,
la recita continua.
PIEGATO NEL MIO ORTO DEGLI ULIVI
Piegato nel mio Orto degli ulivi
non ho un angelo che scenda per me
a sussurrare parole di conforto.
Chiamerò il diavolo, allora,
lo pregherò e lo bestemmierò orribilmente,
da farlo impallidire.
Stringerò l’angoscia nel palmo della mano
maciullandola insieme alle mie ossa;
e sarò libero.
FORSE, LO SO, TI HO DELUSA
Forse, lo so, ti ho delusa
ma so di non averti ingannata:
non ho cercato di sembrar migliore
mai ti ho nascosto i miei difetti
anzi per prima cosa te li dissi.
Lo so, forse ti ho delusa
mi credevi diverso, che ne so?,
m’avevi un poco idealizzato.
Io mi sono presentato a te
deponendo fin l’ultimo velo
mostrandomi tutto, impietoso di me stesso:
pessimista non per gioco
strano impasto di dolcezza e crudeltà.
Un deluso che vorrebbe ancora credere
che in te ha creduto, sempre,
sino al fondo dell’anima.
MI PIACE PENSARTI BAMBINA
Mi piace pensarti bambina
vederti giocare scherzare arrampicarti
con quegli occhioni vivacissimi
che paiono chieder sempre perché.
Mi piace parlare con te bambina
chiederti come pensi il tuo domani
cosa sogna il tuo vergine cuore
augurarti mille anni di pienezza.
TI HO PERMESSO DI GUARDARMI DENTRO
Ti ho permesso di guardarmi dentro
come in una sfera trasparente:
neppure un angolino ho velato d’ombra.
Con un solo colpo d’occhio
hai potuto leggermi il segreto
più profondo:
che non ho abbastanza odio
per odiare la vita quanto vorrei,
che mio malgrado infine devo amare.
Tale è la mia debolezza:
vorrei ruggire atroci bestemmie
infierire con sadica ferocia
ma non ho metodo, né perseveranza.
E allora, controvoglia
– e non senza cattiva coscienza –
sono costretto a sussurrare
parole d’amore.
M’INSULTAVI E MI GRAFFIAVI
M’insultavi e mi graffiavi
ma non era me che odiavi
eri te stessa d’un tempo
e di oggi, un poco, anche.
E ti odiavi per l’inutile soffrire
volevi proteggermi da esso
tu non volevi farmi male
solo evitarmi quella amara pena
tu però non volevi – tu
solo aiutarmi.
MI BASTA SAPERE CHE CI SEI
Mi basta sapere che ci sei
non importa quanto lontana
fosse pure ai confini estremi del mondo.
Mi basta sapere che ci sei
che splendi come una lucciola nel buio
nella notte d’estate misteriosa
pullulante di voci ingannevoli.
Non importa se oltre la banchisa
o nella più alta ionosfera
ove l’aurora polare brilla evanescente:
mi basta sapere che ci sei
che esisti, proprio tu.
NON HO MAI VISTO UNA NOTTE COSÌ SCURA
Non ho mai visto una notte così scura
il cielo è involto in una caligine vischiosa
non brilla neppure una stella
orti e giardini sono macchie nel buio.
Sento che se allungassi il braccio ora
se avessi la fede e la forza di allungarlo
potrei giungere a toccarti il cuore:
le cose riprenderebbero i contorni
mille domande sarebbero chiarite
la notte non farebbe più sgomento.
LE PAROLE AMARE CHE CI SIAMO DETTI
Le parole amare che ci siamo detti
presto non faranno più male
saranno presto dimenticate.
Non uscivano dal cuore,
ma dalla nebbia vischiosa
di due antichi fantasmi:
la sofferenza e la paura,
che nascondevano a noi stessi
i nostri volti.
Le parole amare che ci siamo detti
saranno ricordo che non fa male
di cui si può sorridere, indulgenti
come d’un caro amico un po’ bizzarro
come di un lontano tenero peccato.
TU NON SEI LA REGINA GINEVRA
Tu non sei la regina Ginevra
né io sono il prode Lancillotto:
forse troppo ci siamo idealizzati
sino a non riconoscerci più veramente,
a contendere con dei fantasmi
usciti dalla nostra fantasia.
Siamo esseri terrestri di carne
con tutto il peso delle nostre debolezze
di vecchi rancori da sfogare
di paure sempre in agguato.
Siamo due esseri di carne e ossa
che si sono incontrati d’improvviso
si son riconosciuti al primo sguardo,
con tenerezza si sono cercati
si son voluti un po’ di bene
ora si dicono arrivederci
stringendosi forte la destra.
Né io sono deluso scoprendo
che non sei la regina Ginevra:
una donna è molto più d’un sogno
e tu sei una donna vera
tu sei una donna
tu sei
tu.
Tredicesima parte
IN HAC SOLITUDINEM CAREO OMNIUM COLLOQUIO
In hac solitudinem careo omnium colloquio:
in questa solitudine evito di parlare con alcuno,
cumque mane me in silvam abstrusi densam
et asperam, non exeo inde ante vesperum:
quando al mattino m’interno in un bosco
folto e selvaggio, non esco di là fino a sera.
Così Cicerone, spezzato dal dolore
per la morte della figlia Tullia amatissima.
Vanesio, intrigante, ambizioso, narcisista:
ma era un uomo anche lui, dopotutto.
Anzi non fu mai così uomo come quando,
deposte le pompe del Foro e le lusinghe,
andò a nascondersi in quella selva aspra
e selvaggia, piangendo come un bimbo
il suo dolore di padre disperato.
NON POCHI ERRORI HO COMMESSO
Non pochi errori ho commesso
Questo è certo, Sabina!, άμεταμέλητον:
no, decisamente non me ne pento
né mi piacciono pentiti e pentimenti.
Si penta chi ha sbagliato in malafede;
quanto a me, rifarei tutto di sicuro.
Perché solo il tempo mostra gli errori:
chi agisce con animo retto può sbagliare
ma non ha di che rimproverarsi.
ALL’OMBRA D’UN TEMPIETTO PARLAVAMO
All’ombra d’un tempietto parlavamo
in cima alla collina verdeggiante,
limpidi splendevano i monti nel mattino.
Brillava il Sole nei tuoi capelli d’oro
le tue parole come dolce musica fluivano
ti ascoltavo, ti guardavo, tacevo.
All’ombra d’un tempietto parlavamo
Nell’azzurro mattino trasparente;
ridevano i tuoi occhi nella luce
io ti guardavo in silenzio,
rivolgendo mille cose nel mio cuore.
CHISSÀ PERCHÉ, SEDUTO SOTTO IL SOLE
Chissà perché, seduto sotto il Sole
nell’aria cristallina del mattino
non guardavo la tua bocca che parlava.
Accoglievo con cura infinita ogni parola
ma il mio sguardo era fisso sui tuoi sandali
sulle dita del tuo piede, sulle unghie
quasi calamitato da una forza misteriosa.
Chissà perché, nei momenti cruciali della vita
i sensi indugiano fuori dai binari
si sviano su dettagli in sé bizzarri
mentre l’anima è concentrata tutta altrove.
Nel mattino terso come vetro tu parlavi
ogni parola era raccolta nel mio cuore
ma il mio sguardo, chissà perché, indugiava
sul tuo piede snello, ben fatto,
sulle dita che uscivano dai sandali
come bimbi addormentati nelle culle.
RESTA CON NOI PERCHÉ SI FA SERA
Resta con noi perché si fa sera
e il giorno già volge al declino:
così gli dissero, gonfio il cuore di tristezza.
Erano in cammino verso la campagna
e il Sole scendeva dietro i monti violetti
lunghe le ombre si stendevano nel piano.
Li tormentava un senso squallido di vuoto
dopo che le loro speranze erano cadute
come la foglia rapita dal vento autunnale.
Resta con me, dolce amica, perché si fa sera
E il giorno già volge al declino,
maioresque cadunt altis de montibus umbrae
più lunghe giù dai monti scendon l’ombre.
IL GRANTURCO È GIÀ ALTO NEI CAMPI
Il granturco è già alto nei campi
risplendono i colli d’un verde luminoso
il cielo avvampa nella chiarità meridiana.
È il primo giorno del temuto distacco
il primo giorno inequivocabilmente senza te.
Mi muovo incerto come un cieco
Come chi non trovi le cose al loro posto.
Assurdamente le cicale friniscono
assurdamente il Sole arde nel cielo
il primo giorno che tu non ci sei più.
MI SPROFONDO NELLA LETTURA DI DEMOSTENE
Mi sprofondo nella lettura di Demostene
per non pensare a te, al tuo distacco:
prima di tutto, o Ateniesi, prego tutti gli dei
e le dee, quante chiacchiere, fa niente
è un modo come un altro per distrarmi
e poi Eschine era davvero bassamente calunnioso.
Ricordo tutto: com’eri vestita, le tue parole
Di trovare in voi per questo processo
tanta benevolenza quanta io continuo a dimostrarne
chissà perché ti fissavo la punta del piede
per la città e per tutti voi.
Era un mattino straordinariamente luminoso
indossavi un paio di pantaloni bianchi
tutto va bene, anche Demostene, per non pensarti.
DICONO CHE SERTORIO A UN CERTO PUNTO
Dicono che Sertorio a un certo punto
stanco di odi e di contese interminabili
sognò di salpare per le isole Fortunate,
soggiorno, secondo Omero, dei beati
ove mai neve né pioggia né inverno
turbano un venticello che dal mare spira;
ove molto serena per gli uomini è la vita
appartati agli estremi confini del mondo.
Certo sarebbe meraviglioso alzar le vele
per quelle isole sempre bagnate di rugiada
ove la terra produce frutti generosi
e lascia all’uomo la sola fatica di mangiarli.
Sarebbe meraviglioso volgere la poppa
alla grettezza, all’ambizione, alla stupidità
all’impossibilità di essere felici
alla sofferenza perfino nell’amore
alla menzogna, all’invidia, alla violenza.
Peccato che un tale paradiso non esista:
e se esistesse, diverrebbe un inferno
con l’arrivo del primo essere umano.
QUANDO IL CASO MI PORTA AL TUO PAESE
Quando il caso mi porta al tuo paese
imboccando il viale dei platani stormenti
che salutano con le loro mille fronde,
quando vedo le tue finestre alte sul cielo
mi assale una violenta nostalgia.
Rivedo i tuoi occhi, il tuo sorriso dolce,
m’ingannano i capelli di qualche sconosciuta
folti, ma dei tuoi tanto meno luminosi:
rivedo il tuo passo incredibilmente leggero
come seta che ondeggia nella brezza.
SFOLGORAVA DI LUCE LA LUNA PIENA
Sfolgorava di luce la Luna piena
inondava la notte estiva di magico chiarore
nitidamente mostrava mari e monti
gli uni velati di profonda ombra turchina,
gli altri brillanti d’un metallico splendore.
Sfolgorava di luce, alta nel cielo
oscurando tutte le stelle coi suoi raggi
come il tuo sorriso lieto, Sabina,
oscura di colpo tutte le cose tristi
intorno a sé diffonde un magico chiarore.
NON PRETENDO DI ESSERE IL TUO DANTE
Non pretendo di essere il tuo Dante
anche se tu sei stata un po’ la mia Beatrice,
mi hai guidato per sentieri verdeggianti.
Certo non sarò stato il tuo Petrarca
che esordisce, povera Laura!, da pentito
si scusa di quel primo giovanile errore,
lo rinnega chiedendo pietà e perdono.
Niente da fare, io non ci penso proprio
si pentano i mafiosi rinnegati
io son felice d’averti conosciuta
sono fiero di tutto, me ne vanto:
solo mi spiace non averti ritratta
in tutto l’impareggiabile splendore.
E se qualcuno mi chiedesse di pentirmi
una bella pisciata sulla testa:
fossero pure gli dei dell’Olimpo
con il codazzo di preti e moralisti.
È MORTO HASSAN II DEL MAROCCO
È morto Hassan II del Marocco
e mezzo mondo è accorso ai funerali
con il cuore spezzato dal dolore,
neanche fosse morto Maometto in persona.
In testa a tutti, naturalmente, Clinton
Che tra un pompino nella Stanza Ovale
e un massacro su Baghdad o su Belgrado
è sempre in forma, il caro vecchio Bill,
e trova il tempo di spremer lacrime fasulle
per un reuccio di cui gli frega un cazzo.
E tutti seri, tutti compunti e mesti,
Dini e Ciampi che sgranano sermoni
chissà che non ci scappi, tra un miserere
e un de profundis, qualche commessa
– magari per la vendita di armi –
da quei simpaticoni marocchini
che si strappano i capelli al funerale.
Ma Hassan II, corpo d’un cane,
non era quello che per anni ha massacrato
il popolo Saharawi nel Sahara Occidentale?
Ora lo piangono come l’amico della pace,
che perdita tremenda!, dice Bill;
certo: che perdita per le multinazionali!
Buon viaggio, bel reuccio marocchino:
sei fortunato che Dio non esista
altrimenti già l’Inferno t’aspettava:
porta i saluti al diavolo, e digli
che scaldi il pentolone per l’amico Bill.
CARO WOJTYLA, PARLI TANTO DI GIUSTIZIA
Caro Wojtyla, parli tanto di giustizia
ma il cardinal Marcinkus, a quanto pare,
te lo sei nascosto dentro le sottane.
Caro Clinton, parli tanto di pace
ma i tuoi aerei hanno sganciato bombe
più che i neri dittatori del passato.
Caro sindaco, parli tanto di onestà
Ma ti sei attaccato alla poltrona
più che la tenace ostrica al suo guscio.
Di te non parlo, Cavaliere:
son come merda le tue televisioni
ma tu, furbo, la fai e non la guardi:
lasci che la guardino i cretini.
E intanto parli del bene del Paese
t’indigni contro i giudici malvagi
piangi sul relitto della nave albanese
affondata col suo carico di Cristi.
Come sei buono, Cavaliere di Arcore:
versi lacrime su quei poveri Albanesi
da sembrare quasi vere…
finché le telecamere sono accese.
E tu, illustre capo del governo
– del primo governo di sinistra! –
non hai certo bisogno di consigli
tu sai tutto, sei troppo intelligente.
Il volgo non ha nulla da insegnarti,
tranne forse una cosa: che per fare
ancora peggio di Andreotti
tanto valeva lasciar tutto come prima.
Con voi, signori, il mondo
può stare sicuro e in buone mani:
io vi faccio una bella riverenza
poi mi volto, tiro giù i calzoni
e vi offro i miei omaggi più segreti.
Quattordicesima parte
UN RAGGIO DI SOLE SI È POSATO
Un raggio di Sole si è posato
sui dorsi dei libri allineati
come un’amica tiepida carezza.
Cinguettii d’uccelli si rincorrono
dalla finestra socchiusa sull’estate.
Declina il giorno lentamente
in un’aura dorata sopra i monti.
Che sia questa la felicità?
SONO QUESTI I SINTOMI, DUNQUE
Sono questi i sintomi, dunque:
interessante, a quanto pare li avevo scordati:
adgnosco veteris vestigia flammae.
Bene, voglio stendermi sul vetrino al microscopio
studiarmi come da un entomologo l’insetto.
Questo senso di vuoto, di disinteresse
così simile a uno stato depressivo;
questa altalena di cadute e di riprese
di euforia e d’improvviso abbattimento;
questo sentirsi ora distaccati, riconciliati
e nuovamente padroni di sé, ora invece
prostrati e infelici: è tutto chiaro
la diagnosi non lascia molti dubbi.
La terapia? Il tempo, certamente:
ma è così lunga, così lunga…
Non ci sarebbe qualcosa di più rapido?
CENTELLINARE CAUTAMENTE LE EMOZIONI
Centellinare cautamente le emozioni
dosare con preveggenza i sentimenti
calcolare i rischi e le possibili cadute:
tutto questo, lo ammetto, non mi va
peccato, non ho mai imparato a farlo,
e non è cosa che s’impari con l’età.
Non ho certo motivo di vantarmene
né di giudicare chi ha imparato,
magari a prezzo di vive sofferenze.
Non mi vanto della mia natura,
non ha senso, né me ne vergogno:
e quante volte ho sbagliato
tante volte ho pagato di persona.
Centellinare cautamente le emozioni
dosare con preveggenza i sentimenti
calcolare i rischi e le possibili cadute:
tutto questo, lo ammetto, non mi va.
UNA MOSCA SBATTE RONZANDO SUL VETRO
Una mosca sbatte ronzando sul vetro
si ferma, torna a sbattere
resta un poco e poi ricomincia.
Il cielo azzurro è lì, spalancato,
non capisce perché non possa raggiungerlo.
Ronza, impazzita, sbatte e risbatte
sempre lo stesso sbaglio, sempre
direi che assomiglia un poco a me.
AVEVI RAGIONE, NE CONVENGO, QUANDO DICEVI
Avevi ragione, ne convengo, quando dicevi
che un sentimento impossibilitato a esprimersi
genera inevitabilmente sofferenza.
Tutto ciò che non può venire in superficie
provoca dolore: come avverrebbe se una gemma
sul punto di sbocciare, a primavera,
quando le linfe vitali scorrono gagliarde
venisse legata stretta stretta con del ferro:
crudelmente la pianta soffrirebbe.
Sì, avevi ragione, ne convengo:
ma a che serve?
Le gemme non possono trattenersi
al dolce soffio della primavera;
ciò ch’è nascosto lotta per veder la luce.
Avevi ragione: ma a che serve?
DA QUANDO T’HO INCONTRATA
Da quando t’ho incontrata
sono partito per un viaggio strano
e inaspettato attorno al cuore umano:
molte terre e molti mari ho veduto.
ho scopertola vastità del mondo
la piccolezza del nostro sapere.
Ho respirato l’aria selvaggia
di oceani sconfinati, aspri di salso,
ho vacillato sotto raffiche rabbiose
levatesi a lande inesplorate.
Mi chiedo se la terra nota p in vista
se il lungo viaggio stia per terminare
se avranno fine queste onde sconosciute.
URANIA, MUSA DELL’ASTRONOMIA
Urania, Musa dell’astronomia
sei stata per me un po’ anche Èrato,
ispiratrice della poesia lirica. Per te
albe azzurrine ho acceso con le dita
rossi tramonti cuoi giù nel mare.
E non per una fiducia ritrovata
nel comunicare mediante la parola
ma semplicemente perché solo così
reggevo stretto in pugno un filo d’oro
che mi teneva unito al tuo ricordo
mi faceva sentirti qui vicina
mentre tu già svanivi in lontananza.
NULLA SAPPIAMO DI NOI STESSI
Nulla sappiamo di noi stessi
figuriamoci poi capire gli altri.
Imprestiamo loro le nostre sensazioni
li costruiamo secondo i nostri desideri
poi li gettiamo via, delusi
come bimbi annoiati da un gioco.
Amiamo seguendo un’illusione
odiamo non persone, ma fantasmi;
piangiamo lacrime irreali
e ridiamo di gioie inesistenti.
E tutto è sempre uguale
non impariamo niente
mai mai.
UN SOLE ARANCIO, GIAPPONESE
Un Sole arancio, giapponese
sfiora la linea ondulata dei monti
incomincia lentamente a calare al di là.
Riesco a sostenerne il fulgore, adesso,
a fissarlo mentre solenne s’immerge,
un ultimo spicchio riluce sospeso
alzo gli occhi dal foglio ed è sparito.
Oltre quei monti violetti, laggiù,
vi sono un altro cielo e un altro mondo,
quel Sole che per noi è tramontato
riempiendo la sera di malinconia
esce vittorioso dalla spuma del mare
altri cuori riempie d’esultanza.
Così tu, Sabina: la tua luce
splende altrove, non più qui:
rapida la notte si avvicina.
COME NAUSICAA SPLENDENTE DI BELLEZZA
Come Nausicaa splendente di bellezza
apparve ad Ulisse in riva al mare
la dolce giovinetta dai begli occhi
allorché, il viso lietamente arrossato,
lanciava la palla a una compagna:
tale mi sei apparsa tu, d’improvviso,
in un giorno inatteso di marzo
nel fulgore dei tuoi capelli d’oro.
E come Ulisse, stupito, rivolgevo
Fra me la stessa sua domanda:
«Sei dea o sei mortale?».
TUTTO È GRAZIA, DICEVA BERNANOS
«Tutto è grazia», diceva Bernanos
per bocca del curato di campagna.
Non so, non posso crederlo.
Giù nelle buie profondità marine
vivono pesci orribili, famelici in eterno
stomaci smisurati e bocche spalancate
ingoiano tutto ciò che incontrano
senza neanche vederlo, ciecamente.
E noi, noi siamo della stessa razza
stomaci smisurati e bocche spalancate
divoriamo ciò che troviamo, ciecamente
divoriamo per non esser divorati.
In questa foresta insanguinata,
ogni tanto, sboccia un fiore delicato
come quello della nostra amicizia.
Ne inspiro il profumo sino in fondo
ma non nutro illusioni sulla vita:
crudele non è morire, ma nascere.
LE ISOLE NIMROD, NEL PACIFICO DEL SUD
Le isole Nimrod, nel pacifico del Sud
furono viste dai cacciatori di balene
là dove le azzurre acque subtropicali
sono travolte da quelle grigie dell’Antartico
che portano, con le nebbie, vento e ghiacci.
Segnate sulle carte e i mappamondi
Laggiù nel punto più isolato del pianeta
A un certo punto scomparvero nel mare
E nessuna nave mai le vide più.
Divennero leggenda nelle fumose taverne
vecchi lupi di mare talvolta ne parlavano
tra un boccale di birra e una pipata.
Le cercarono in molti, tenaci:
come possono sparire delle isole?
Ma l’oceano era vuoto a perdita d’occhio
nessun uccello né un segno di terra.
Esauste le navi rientravano in porto,
i vecchi lupi di mare ammutolivano
nelle taverne, scuotendo il capo, pensosi.
Anch’io mi sto chiedendo, confuso,
se realtà o sogno sia stato tutto quanto
se il tuo sorriso, la tua voce dolce
il tuo passo lieve come stormir di foglie
non siano stati che illusione nella nebbia.
SE RIMANESSE UN POSTO SOLO, SAI
Se rimanesse un posto solo, sai
nella scialuppa di salvataggio
Adoro, amico mio, la tua sincerità
questa tua capacità di denudarti
io te lo lascerei, volevo dirtelo
sei bello, mostrati un po’ di più
ora però me la devi descrivere
che devo dire, non è neanche il mio tipo
ma poco dopo averla conosciuta
sei entrato per sempre nel mio cuore
mille cose ho tentato di dire
e altre mille che non potrò dire mai.
OGGI, VENTOTTO LUGLIO 1999
Oggi, ventotto luglio 1999
il papa ha detto che l’Inferno esiste
ma i cristiani non devono temerlo.
Peccato, proprio peccato.
Io ci speravo, per loro specialmente.
Ho sempre pensato che l’estate
insieme al caldo afoso e le zanzare
porta con sé le notizie più cattive.
EPPURE UNA SCINTILLA D’INFINITO
Eppure una scintilla d’infinito
con questi miei versi l’ho rubata.
Le onde del mare passeranno
passeranno le ore e le stagioni
anche i ricordi un giorno sfumeranno
ma questo tentativo resterà.
Tentativo certo un po’ maldestro,
un po’ goffo, ma che importa?
Questi fogli parlano di te
– ne parlano certo inadeguati –
ma parlano di te, di come sei:
una fugace scintilla d’infinito
strappata all’invidia degli dei.
sempre gelosi della nostra gioia.
INFURIA A SERA IL TEMPORALE ESTIVO
Infuria a sera il temporale estivo
la pioggia precipita a torrenti
volano nell’aria le prime foglie morte.
Si respira il fresco odore di bagnato
– odore d’infanzia, di cose lontane –
ma il cielo grigio ha già la malinconia
d’autunno.
Lampi guizzano veloci.
Questo crepuscolo è buio, triste
ed opprimente, come una fine.
Domani, rinfrescata, la terra
saluterà col Sole un nuovo giorno.
Quindicesima parte
IO LO NUTRIVO, IO L’AMAVO
Io lo nutrivo, io l’amavo
io gli avevo promesso
che sarebbe divenuto immortale,
libero da vecchiaia.
Traverso la breccia del cuore
scoperto e indifeso è il suo esser donna
perfino in una dea, come Calipso:
un cuore vibrante e innamorato
che non vorrebbe veder partire l’amato.
Ma alle atroci parole di Hermes
un gelo le corre per l’ossa, invincibile:
ai voleri di Zeus non ci si può opporre
tristi voleri d’un dio meschino.
Le escono dal petto sconsolate
parole sempre più fievoli:
Io lo salvai, io lo nutrivo, io l’amavo.
Affranta in lei piange la donna
che vede il suo sogno svanire,
per sempre.
I POETI COLPA NON HANNO: È GIOVE LA CAUSA
I poeti colpa non hanno: è Giove la causa
di tutto, che assegna ai mortali
il bene e il male, a suo grado,
dice Telemaco alla madre afflitta. Lei
non voleva udire i versi, ma il figlio:
O madre – le dice – perché impedire
Al caro poeta che canti,
là dove la mente lo spinge?
No: non ha colpa il poeta
di cantare là dove lo spinge la mente
là dove lo porta il suo cuore.
Non ha colpa l’uomo di amare:
è un dio invidioso e cattivo
la causa del nostro soffrire.
ALL’ETRURIA APPARTIENE LA CITTÀ E ILPORTO DI LUNA
All’Etruria appartiene la città e il porto di Luna
Τής Tυρρηνίας ή Λoνα πόλις έστì καì λιμήν
che dici, può andare questa traduzione da Strabone?
Ma sì che può andare, sicuro; intanto
ho guadagnato un’altra mezz’ora
mezz’ora di oblio in questo grande vuoto.
mezz’ora in cui ho pensato ad altro
in cui ho potuto, bene o male,
tenere a freno il pensiero di te.
Ma poi, si capisce, tutto torna
la tua immagine dolcissima è ancora qui
accanto a questi libri, qui con me.
Il tuo caro ricordo mi visita spesso, sai?
Prendo un altro volume – è Tucidide, credo,
va bene anche quello: tutto va bene
tutto fa al caso per distogliere la mente
anche di poco, per dar sollievo
all’assenza di te.
VIDI SPECIOSAM SICUT COLUMBAM
Vidi speciosam sicut columbam
Ascendentem desuper rivos aquarum…
Et sicut dies verni circumdabant eam
Flores rosarum et lilia convallium.
Anche tu mi sei apparsa, incredibile,
come un sogno lieve sui rivi delle acque
come un radioso giorno d’estate
che nelle valli spandi il profumo
di fiori innumerevoli.
QUANDO LEGGERAI, SE PURE LEGGERAI
Quando leggerai, se pure leggerai,
queste parole
molti giorni saranno trascorsi
molte settimane.
E noi, non saremo più noi:
altri pensieri, altri stati d’animo
visiteranno il cuore e la mente,
sarà come leggere il passato
come guardare una stella che brilla
in cielo, ma che da secoli s’è spenta.
E tu, come sarai tu?
Certo saremo diversi, ogni giorno
ogni ora ci va modellando
come l’onda del mare, gli scogli.
O forse saremo gli stessi: forse
ciò che cambia senza posa è l’apparire
noi non possiamo evadere, mai:
è la nostra croce, il nostro tormento
la nostra sola, tenue speranza
nel buio che ci avvolge.
CERCARE T’HO CERCATO
Cercare t’ho cercato
quaesivi et non inveni: tutto qui.
Ma allora perché mi frughi il cuore
sempre, Dio sconosciuto?
Forse non Ti vediamo
perché in Te siamo immersi
nell’abisso del Tuo amore;
forse non Ti vediamo
perché siamo una cosa sola.
CAMMINAVO NEL VIALE CALDISSIMO
Camminavo nel viale caldissimo
sotto l’ardente vampa del Sole.
Camminavo all’ombra di pioppi giganteschi
i grandi tronchi bianchi striati di nero
le chiome verde pallido tremolanti nel blu.
E il viale che non aveva fine
lungo e diritto come un fiume alieno
come un fiume di luce interminabile
come il soave ricordo di te
mentre i piedi stanchi nella polvere
camminavano sempre sempre avanti
lungo il viale che non finiva mai.
COME UN SAPIENTE ZEN
Come un sapiente Zen
voglio sedermi in riva al lago,
sereno, guardare il riflesso del Sole
sulle acque placide, appena increspate,
attendere il tramonto con limpido sguardo.
Come un sapiente Zen
voglio farmi una ragione di ogni cosa
di quelle liete e di quelle tristi:
forse capire che non c’è ragione
che c’è solo questa brezza che mi sfiora
questa luce che pian piano trascolora.
Forse capire che non c’è nulla da capire
che ti ritroverò, per sempre,
quando sarò pronto a dirti addio.
CI SONO STATI DEI MOMENTI
Ci sono stati dei momenti,
perché nasconderlo, se t’ho sempre detto tutto,
in cui stavo per scoppiare a piangere
come un bambino: e non riuscivo.
Ora mi guardo dal di fuori, pensoso,
come Pinocchio divenuto umano
guarda il burattino ch’era stato:
nessun sorriso di superiorità
mi riconosco, ero proprio io.
Avrei voluto scoppiare in pianto
per dare sfogo alla pena, alla tensione:
sì, ero proprio io, mi riconosco.
Ora mi guardo fuor del pelago,
alla riva, uscito dall’acqua perigliosa
ma l’odore di salso m’è rimasto
qualche cosa di quel mare è dentro me.
Di quel mare sconosciuto e strano
che m’ha rivelato chi sono io davvero
di quel mare che ha il colore
dei tuoi occhi
il respiro frusciante
del tuo passo.
LE PARETI SONO ALTISSIME, TUTTE BIANCHE
Le pareti sono altissime, tutte bianche
la vampa del Sole attenuata dai finestroni
i cervi vanno lieti al rivo elle acque
e fuori, nella chiarità azzurra del mattino,
la lucente magnolia unisce la sua ombra
a quella del festoso oleandro
come nel perduto giardino dell’Eden.
E il pensiero di te che ritorna:
ah, se tu fossi mia sorella!
com’è scritto nel Cantico dei cantici
potei baciarti senza destare scandalo.
Ah, se tu fossi mia sorella
se si potesse ritornare innocenti
come nel perduto giardino dell’Eden!
Eppure, in qualche modo misterioso
io sento che tu sei mia sorella
che nessuna sorella mi capirà mai
più di te
che a nessuna sorella
vorrò mai bene
come a te.
MA NON ILLUDERTI, DIO SCONOSCIUTO
Ma non illuderti, Dio sconosciuto,
d’avermi già preso nei tuoi scaltri lacci
come un cerbiatto timido e inesperto.
Ce ne manca, e molto, perché Tu mi penda
perché mi faccia Tuo inerme prigioniero.
Solo per ipotesi ho ammesso che Tu esista
solo per gioco ho supposto Tu sia Amore:
ma sono lontanissimo dal crederlo.
Dovrai usare tutta la Tua astuzia,
Dio di Sabina, per fare a me
quello che hai fatto a lei:
ma proprio tutta.
Non ho bisogno di Te
anche se non Ti odio come un tempo,
non so che farne del Tuo amore.
Perciò non illuderTi, Dio sconosciuto,
Dio di Sabina, d’avermi catturato:
per ora accontentaTi di lei.
HO VISTO UN UCCELLO TORNARE AL SUO NIDO
Ho visto un uccello tornare al suo nido
planare tra le fronde più alte dell’albero
sparire come d’incanto nella sua verde casa.
potesse così il nostro spirito tornare
dopo un viaggio lungo e faticoso
nella dolce dimora dell’anima
planando rasserenato ad ali distese!
Potesse così ritrovare il caldo nido
protetto dai recessi della verde penombra
entro le fronde che oscillano piano
all’amica carezza del vento.
ANCHE TU SABINA, UN GIORNO, SARAI VECCHIA
Anche tu, Sabina, un giorno sarai vecchia:
ti s’imbiancheranno i capelli sul capo
rughe più nette ti scaveranno la fronte.
Una bella, dolce vecchia sarai:
i nipotini ti sederanno in grembo
come facevi tu con la tua nonna
ascolteranno la tua voce calda.
Solo lo sguardo non sarà cambiato:
ti brillerà negli occhi questa luce
inquieta, generosa, un po’ insondabile.
Rivedrai ogni cosa nel tuo sguardo:
errori perdonati, slanci di tenerezza
le cose mai scordate
che non trovarono parole.
QUESTA LUCE RADENTE DI FINE ESTATE
Questa luce radente di fine estate
scivola obliqua sulle bianche superfici
carezza le cose con pensosità materna
come a riflettere sul mistero della vita.
Questa luce radente di fine estate
carica di promesse come un frutto maturo
sfiora già i muri con la malinconia d’autunno
suscita ombre più lunghe di ieri.
Non sono triste, pensando a te:
m’è rimasto qualche cosa di prezioso
non so dirti neppure io che cosa:
il tuo sorriso buono, forse, non lo so
come una lue radente di fine estate
che sfiora le cose con dolcezza
le consegna carezzevole al domani.
Sedicesima parte
QUANDO PERCORRO QUESTE STRADE IMPAZZITE
Quando percorro queste strade impazzite
quando vedo questa folla scomposta
che rabbiosamente insegue i miti
d’un mondo feroce, senz’anima;
e quando penso che tra una manciata di decenni
saranno tutti moti, tutti –
la ragazza vuota e vanitosa
che crede solo lei d’esser stata giovane
e l’uomo arrivato gonfio di arroganza
che tutto vede con le lenti dei suoi soldi;
quando penso che di tutta questa folla
che crede d’avere il mondo in pugno
non e ne sarà più nemmeno uno
e di loro cadrà presto anche il ricordo:
una profonda mestizia mi scende nel cuore
un sentimento amaro di fastidio
ma nessuna pietà.
Morire bisogna: come,
dipenderà da noi.
HO VISTO IL VENTO CORRERE NEL GRANTURCO
Ho visto il vento correre nel granturco
onda su onda, piegando le canne
come il vasto respiro di un mare.
Batuffoli di bianche nuvole
veleggiano impettiti all’orizzonte
come vascelli salpati nell’azzurro.
Quel vento mi ricorda i tuoi capelli
quando la brezza li scompiglia
per gioco
in un alone di riflessi dorati.
NON HO PIÙ VOGLIA, L’HAI NOTATO?
Non ho più voglia, l’hai notato?,
d’imprecare e maledire chicchessia
né di fare l’ironico sulle cose tristi;
in quella melma non voglio sprofondare.
Voglio guardare avanti: al mondo
c’è qualcosa di meglio che odiare, dopotutto
forse me l’hai mostrato un poco proprio tu.
CAMMINAVO SOLO IN RIVA AL MARE
Camminavo solo in riva al mare
nella luminosità vasta del mattino
respirando il lento frangersi dell’onda.
Raggi di luce piovevano tra le nubi
Squarciate, come all’alba del mondo,
facevano scintillare le onde mormoranti.
Calpestavo alghe e piccole conchiglie
il piede sprofondava nella rena molle
al gioco alterno della risacca.
Ricordavo le tue parole e pensavo
che proprio quelle onde mi parlavano di te
sospingendo a riva l’eco dei tuoi passi.
UNA TORTORA TUBAVA NEL CORTILE
Una tortora tubava nel cortile,
all’alba, quando dal buio
uscivano le case e i giardini.
Sempre uguale risuonava il suo verso
In un silenzio incuriosito, senza tempo.
Nella luce grigia del nuovo giorno
livida di riflessi opalescenti
una tortora tubava tutta sola
da qualche tetto
là nel cortile.
IL RIFLESSO DEL SOLE AL TRAMONTO
Il riflesso del Sole al tramonto
accende i vetri d’una vampa giallo-oro
che abbaglia la vista per un attimo
poi veloce trascolora nell’arancio
s’attenua poco a poco,
poi si spegne.
Ombre azzurro-violette nella sera
scendono rapide dai tetti.
Un altro giorno inerte sta finendo
con tutto il peso delle ore morte:
cimitero di occasioni sfumate
d’inutili speranze
di noia come gusci vuoti.
C’È, NELL’IDEA DI UN’ALTRA VITA
C’è, nell’idea di un’altra vita,
una cosa che mi seduce quanto mai:
che tutto sarà ridotto all’essenziale.
Mi piacerebbe vedere un luogo simile,
per Ercole!, mi piacerebbe proprio.
Veder cadere le cose superflue
inesorabilmente, ad una ad una:
vedere ognuno tutto nudo, senza veli
così com’è realmente in fondo al cuore.
Ma forse, ho paura
che non sarebbe un bello spettacolo:
forse è assai meglio
che finisca tutto qui.
PECCATO: TARDI T’HO CONOSCIUTA
Peccato: tardi t’ho conosciuta
quand’ero già una fonte inaridita
soffocata dalla sabbia dell’amarezza.
Altra cosa sarebbe stata prima
ti sarei sembrato un altro uomo
ancor pieno di fiducia nel domani
di illusioni di propositi buoni:
chissà come ti sarei sembrato.
Ma tu, che al caso non vuoi credere,
dirai che c’è per tutto una ragione:
che i tempi della vita sono saggi
d’una saggezza che noi non conosciamo,
che non a caso tardi t’ho incontrata.
Abbiam percorso un cammino beve
guardandoci negli occhi con fiducia
costruendo nell’arco di un mattino
un edificio che forse durerà.
E dalla vecchia fontana, gorgogliando,
un rivoletto è ritornato a scorrere
pian piano s’è fatto strada nella sabbia.
FORSE, LO SO, NON SI È SALVATO NULLA
Forse, lo so, non si è salvato nulla
dal mio demolitore pessimismo; forse
t’ho rattristata con la mia malinconia
con lamia scontrosità senza sorriso.
Dei e uomini ho passato al microscopio
scoprendone impietoso le miserie
né con me stesso ho usato più clemenza.
Pure, la tua amicizia è stata un fiore
spuntato nel giardino devastato:
alla sua ombra mi sono accovacciato
vi ho fatto le fusa come un gatto
sognando perfino un’altra luce
dove le cose splendessero di nuovo.
Diciassettesima parte
FORSE TI SARAI CHIESTA, QUALCHE VOLTA
Forse ti sarai chiesta, qualche volta,
se dirti tutto così sia stato facile
per me che mai l’avevo fatto prima
e che non amo le confidenze a prima vista.
Aprirti il mio cuore, Sabina, non è stato
facile o difficile: è stato solo naturale
non ho provato neanche un’ombra d’imbarazzo.
Spogliandomi, non mi sentivo nudo
ma come si dice fossero Adamo ed Eva,
nell’Eden, prima del peccato:
vestiti comunque d’innocenza.
Il perché, del resto, non lo saprei dire
era qualcosa che da te emanava
un senso di accoglienza
di lealtà assoluta.
Era il profumo della tua anima
che mi attirava come un fiore aperto,
come un limpido ruscello
mormorante nel mattino.
HO VISTO VEGA BRILLARE ALTA NEL CIELO
Ho visto Vega brillare alta nel cielo
come una gemma fra pietre preziose;
e più avanti la fulgida Altair
splendere nel buio della notte estiva.
Quel giorno, all’ombra del tempietto,
mi parlasti di Spica e d’Arturo:
segno che ricordavi questi versi.
E così, guardare il cielo trapunto di stelle
è un po’ come guardare nei tuoi occhi
che sanno vedere il mondo con stupore
è un po’ come scorgere il tuo volto
parlarti come quasi fossi qui.
TI PENSO, MA CON TANTA PIÙ DOLCEZZA
Ti penso, ma con tanta più dolcezza
metto da parte i tesori del ricordo
e intanto, per distrarmi, leggo Cesare
incredibili celeritate ad flumen decucurrerunt
e ti pare di vederli questi Nervi, dipinti,
sbucare d’improvviso dal bosco oltre il fiume
ut paene uno tempore ad silvas et in flumine
et iam in manibus nostris, alle prese coi nostri
hostes viderentur: che momento ragazzi
il grande Cesare se l’è proprio vista brutta
sulle sponde nebbiose della Sambre
quel giorno. S’è lasciato sorprendere
– bisogna dirlo – come un pivellino:
ma poi toglie lo scudo a un legionario
e si getta a capofitto nella mischia –
Sabina, con tanta più dolcezza ora
come la più cara delle sorelle
ti penso e ti saluto, da lontano.
ERO PIENO DI ASTIO E PRESUNZIONE
Ero pieno di astio e presunzione
ti guardavo ma senza vederti
m’annoiava e m’infastidiva tutto.
Ti guardavo con lenti deformanti
– arrossisco a dirtelo, Sabina:
all’inizio ti trovavo quasi brutta;
ma non eri tu che avevo lì davanti
era un fantasma creato dal rancore.
Poi, quando la prima volta t’ho parlato
una pietra mi s’è sciolta dentro
fu come vedere dopo un lungo sonno.
La tua bellezza erompeva da ogni gesto
la bellezza del tuo cuore generoso
non mi stancavo di contemplarti mai
rapido il sangue batteva nelle vene.
QUESTI VERSI CHE PER TE VADO SCRIVENDO
Questi versi che per te vado scrivendo
da una sponda lontana te li mando
come un messaggio nella bottiglia
affidato alle onde vaste del mare,
come un atto di fede nel domani
nella luce che ancora sorgerà.
I GIORNI PASSANO, È QUASI AUTUNNO
I giorni passano, è quasi autunno
poi sarà ancora inverno e di nuovo primavera.
Come un pesce fuor d’acqua li attraverso
li annodo senza comprendere l’ordito
li vedo scorrere ma non li riconosco.
È come aver scordato qualche cosa
come cercare senza saper dove.
Forse un qualche indizio me l’hai dato
mi hai lasciato qualcosa di prezioso
che ancora sto tentando di capire:
un meteorite piovuto chissà come
che rigiro perplesso fra le mani.
Diciottesima parte
ERAVAMO A TU PER TU CON UN MISTERO
Eravamo a tu per tu con un mistero
che avrebbe richiesto tanta più umiltà
tanta più capacità di perdonare
tanta più voglia di ascoltare, di capire
tanto più coraggio di guardare al fondo
tanto più abbandono fiducioso.
In mezzo al labirinto, presi dall’angoscia
abbiamo spezzato il filo magico
strappandocelo con rabbia dalle mani
come due naufraghi che lottino feroci
per conquistare l’ultimo sorso d’acqua.
Poi, non è stato che un urtare porte chiuse
straziarci contro spigoli taglienti
inciampare sopra ostacoli nascosti
soffrire per cadute rovinose.
Irrimediabilmente persa era la via
scomparsa nella nebbia la Polare
non più amiche le potenze del cuore:
non ci perdonavamo d’averle tradite
ripagandole con tanta ingratitudine.
SE QUESTA VITA CHE A NOI PARE REALE
Se questa vita che a noi pare reale
fosse soltanto un sogno
allora un brutto sogno e null’altro
sarebbe stato quell’ultimo colloquio
carico di rancore e di amarezza disperata,
un sogno cattivo che l’alba si porta via.
Ma allora un sogno e nulla più
sarebbe stato il nostro stesso incontro?
La tenerezza, la sollecitudine,
quel cercarsi come due assetati
finalmente giunti alla sorgente:
tutto una vana, fuggevole illusione?
Fino a tal punto questo Dio beffardo
avrebbe giocato ai burattini
con ciò che di più sacro abbiamo al fondo?
MILLE VOLTE HO RIVISSUTO QUEGL’ISTANTI
Mille volte ho rivissuto quegl’istanti
ho rivisto quell’odioso ultimo atto
in cui facemmo a pezzi, con furore,
il tempio con tanto amore edificato
e poi, non ancor paghi, come folli
lo insozzammo con crudeltà da disperati.
Quelle rovine fumanti, insudiciate
mi son rimaste senza pace dentro il cuore
gridando perché al cielo inesorabilmente vuoto.
Mille risposte ho cercato, sbigottito
a mille porte rabbioso ho bussato
ma nessuna si è aperta sull’abisso
tutto era assurdamente indifferente
uguale a prima, in apparenza
ma tanto più diverso, più inspiegabile.
A chi o a cosa, dunque, può servire
questa beffa estrema, questo inganno
questo dolore così palesemente senza senso
questo tradir la parte migliore di noi stessi
questo frutto velenoso sbocciato chissà come
da un seme tanto pervaso di dolcezza?
A chi giova, a quale scopo
un delitto così grande contro la fiducia
contro la voglia fraterna di aiutarci
contro l’evidenza del volerci bene?
Se l’albero era buono
come ha potuto dare frutti sì cattivi
generare tanta amarezza, tanta rabbia
e insofferenza fino alla crudeltà?
Se l’albero era buono, come mai?
SO D’AVER SCAVATO CON UN VOMERE DI FERRO
So d’aver scavato con un vomere di ferro
un’altra ruga sul tuo bel viso intenso,
come tu sai d’aver riaperto una ferita
che speravo ormai quasi rimarginata.
Una spina nella carne m’hai piantato
che porto in silenzio e non si vede;
e sui tuoi occhi luminosi anch’io
un velo d’ombra ho steso, lo so bene.
È questo che non sappiamo perdonarci
la consapevolezza d’esserci fatti male
il peso più amaro da portare
come un rimorso che non sa darsi pace.
COME BAMBINI VERGOGNOSI
Come bambini vergognosi
consapevoli d’averci delusi l’un l’altra
ce ne stiamo lontani, imbronciati
scontenti dell’altro e di noi stessi.
Ancora l’orgoglio ferito reclama vendetta
ancora temiamo di soffrire
e di farci nuovamente del male.
tra mille dubbi pensiamo, forse,
che per l’altro sia meglio così:
quel che resta di un’antica tenerezza
che ci faceva volare incontro all’altro
al solo sospetto d’una piccola ferita
inferta senza averne l’intenzione.
Come bambini vergognosi
ce ne stiamo lontani, imbronciati
chiedendoci cosa mai sia successo.
Come contadini sbigottiti nel campo
dopo una crudele grandinata
contempliamo svuotati la rovina
con le ciglia asciutte
ma il cuore impietrito.
MI SENTIVO IMPORTANTE, PORCO GIUDA
Mi sentivo importante, porco Giuda:
quasi incredulo dapprima, poi
via via sempre più ebbro di dolcezza
mi sentivo importante come mai
da quando tu m’eri apparsa come il Sole
scaldando i miei pensieri nei tuoi raggi.
In quei raggi ogni cosa risplendeva
come per la prima volta la vedevo
sbocciare in una chiara primavera.
Procedevo con cautela eppure goffo
temendo di far svanire l’incantesimo
solo con un sospiro un po’ più forte.
Come attraverso gotiche vetrate
la luce irrompeva a fiotti, esultante
un uccellino trillava e gorgheggiava
con note argentine e squillanti
annunciando la fine dell’inverno.
MA NON HA SENSO QUEL CHE STIAM FACENDO
Ma non ha senso quel che stiam facendo:
sappiamo di pensare l’uno all’altra
ci preoccupiamo, ci angustiamo
nell’impossibilità di sapere come stiamo
tendiamo fino al limite l’arco dell’angoscia
in questi giorni disperatamente uguali.
Basterebbe poco per spezzare il sortilegio
un gesto di coraggio, di generosità:
possibile che non ce ne sian rimasti affatto
neanche una briciola tutta sfarinata
come gli avanzi della sua pagnotta
nella tasca infreddolita del barbone?
Siamo dunque così poveri, Sabina?
E lo siamo sempre stati, o l’amarezza
ci ha resi tali nostro malgrado,
spogliandoci di colpo dei tesori
che, ingenui, credevamo sempre nostri?
EPPURE NON VOLEVAMO FARCI MALE
Eppure non volevamo farci male
ma farne a noi stessi, questo sì:
dovevamo scontare la colpa
di essere stati un po’ felici.
E non c’era altra strada,
guarda un po’, che quella
di tirare uno sfregio rabbioso
su quanto di più dolce sapevamo.
PIÙ FACILE È STATO FUGGIRE
Più facile è stato fuggire
per entrambi, senza dubbio.
È sempre più facile fuggire
quando non si ha il coraggio
di guardar le cose come stanno
dopo averle sfiorate da vicino.
Questa, semmai, fu la colpa:
aver voluto andare tanto avanti
e poi, giunti a un passo dalla vetta,
voltar le spalle all’ultima salita
col cuore gonfio di amarezza
accusando il compagno di cordata
per la propria mancanza di coraggio.
DICE D’AVERTI VISTA PER LA VIA
Dice d’averti vista per la via
o perlomeno che le sei sembrata tu;
ho finto indifferenza, si capisce
non ho detto una parola di commento
mentre nel cuore, dopo quasi un anno,
una voce mormorava: grazie a Dio.
Ci sei, se non altro; esci, lavori
la tua vita è tornata sui binari.
Ma il peso dell’angoscia neanche ora
m’è scivolato del tutto dalle spalle:
nulla so di come stai dentro
tristi presentimenti sono qui
non si staccano mai dal mio fianco
non mi lasciano solo mai
mai mai.
Diciannovesima parte
È STATO UN GIORNO LUMINOSO E CHIARO
È stato un giorno luminoso e chiaro
e il tramonto è una gloria di arancioni
là, dove piegano i profili dei monti
correndo verso l’ultimo occidente.
Mentre si accendono le prime stelle
penso a Te, Dio, e mi domando
se sia vero quel che si dice sul Tuo conto:
che sei Tu il Male supremo, dopotutto
l’eterno nemico che c’incalza
urlando al cielo terribili bestemmie.
EPPURE SEI PAZIENTE, VECCHIO DIO
Eppure sei paziente, vecchio Dio:
ti prendi gl’insulti buono buono
fai da silenzioso parafulmine
alla nostra amarezza disperata.
Solo, senza più l’ombra d’un amico
Nel torrido deserto dell’angoscia
– e non più amico neanche di me stesso –
ho scelto Te per scaricare la mia ira
per batterTi con le mie mani dure,
nodose come corde. E Tu, Tu
con amorevole pazienza mi sopporti
Ti prendi questa rabbia immeritata
fai le veci dell’amico che non c’è.
VORREI TANTO CHE AVESSI TU RAGIONE
Vorrei tanto che avessi tu ragione
che fosse proprio come credi tu.
Allora ci ritroveremo nella luce
capiremo tutto, perdoneremo tutto
il male sarà di colpo cancellato
come il disegno dell’onda sulla rena.
Perché se fosse come penso io
ogni cosa sarebbe stata invano
e tutto andrà perduto, senza scopo
così come senza scopo è la sofferenza
che ci siamo inflitti
non volendo
come una dura spina nella carne
come un rimorso che non trova pace.
C’È UN CANE NEL GIARDINO QUI DI FRONTE
C’è un cane nel giardino qui di fronte
che abbaia ore e ore tutti i giorni
abbaia a ogni passante nella via
abbaia quando non c’è più nessuno
a qualche suo invisibile fantasma.
Per ore e ore, tutti i giorni
tutti i santi giorni che Dio manda
abbaia e abbaia, ormai ha rotto
non sa darsi pace per qualcosa
o forse per qualcuno.
Come me.
NON SI DOVREBBE AMARE COSÌ TANTO
Non si dovrebbe amare così tanto
è un incendio impietoso che consuma
non lascia che rovine fumanti dietro sé.
Il tuo volto, compagno splendente e tormentoso
d’infiniti giorni e di notti interminabili
lentamente comincia a impallidire
come nel rosa la stella del mattino,
come un amico affacciato al finestrino
che il treno piano piano porta via.
SPEZZARE LE CATENE COME SPARTACO
Spezzare le catene come Spartaco
rialzarsi con un urlo di vittoria
da sbriciolare i vetri del Creatore.
Con occhi lampeggianti sgominare
legioni di lividi fantasmi
dissolverli come il Sole con la nebbia.
Piantar bene i piedi nella terra
pronti a balzare come il falco
mettersi ogni rimorso sotto i tacchi.
Spezzarsi le unghie a demolire,
pietra su pietra, le sofferenze inutili
gli sterili sensi di colpa:
ed esultare mentre sgorga il sangue
dalle punte lacerate delle dita.
Levar la fronte verso il cielo
fino alle stelle più brillanti
respirando nell’aria un vento nuovo
un vento coronato di vittoria
che profuma come l’erba in primavera.
SONO UN PAZZO A RIVOLGERTI ANCORA
Sono un pazzo a rivolgerti ancora
parole che non udrai mai più.
Vivo in un mondo di fantasmi
popolato d beffarde ombre elusive,
mi smarrisco per sentieri cancellati.
Con lucida, crudele ostinazione
cerco e ricerco i passi perduti
il filo spezzato irrimediabilmente
per uscire dal sinistro labirinto.
Mestamente ho strappato un filo d’erba
cresciuto fra sterpaglie spinose
sopra i binari da tempo arrugginiti
aspettando con folle testardaggine
un treno che forse non è mai partito
che forse non è esistito mai.
MA SÌ, PUOI STARE TRANQUILLA
Ma sì, puoi stare tranquilla:
non avrai più alcuna seccatura.
Non trasalirai di turbamento
non subirai l’assalto dell’angoscia
né per il panico diventerai brutale.
Avrai tutto il silenzio che vorrai
non mi troverai più sulla tua strada
non dovrai piangere né scusarti più
né ricucire ciò che avrai strappato
con le tue stesse mani, inutilmente.
Basta con quelle che credevi richieste
o lacci tesi per farti prigioniera;
basta scherzare sul filo del rasoio
di equilibri già troppo delicati;
basta dover dire chiarire spiegare
basta con le parole, basta con i silenzi
basta con le tue reazioni imprevedibili
e con le mie, fin troppo scontate.
Il campo ormai è stato sminato
puoi camminarci in lungo e in largo
ci puoi perfino saltellare sopra
non correrai più alcun pericolo
l’importuno s’è levato dai piedi
è smammato partito sparito
direi che adesso si respira meglio
(infatti ogni bel gioco dura poco).
E come nelle favole più belle
tutti vivranno felici e contenti
nel paese della Santa Verità.
SE DALL’INIZIO NON MI FOSSI APPARSA
Se dall’inizio non mi fossi apparsa
come una splendida fata immacolata
scesa di cielo in terra a miracol mostrare
ora non sarei così svuotato e deluso
così immensamente stanco e amareggiato.
Non porterei questa pena senza pace
la notte fino alle soglie del sonno,
all’alba nel primo tornar della coscienza;
non mi dibatterei sempre inutilmente
come una mosca nella tela del ragno.
Per liberarmi di te una buona volta
bisogna che trovi il coraggio di guardarti
com’eri e come sei nella realtà:
una donna profondamente generosa
che la paura (e in questo mi somigli)
sa rendere più crudele di un nemico.
EBBENE, CREDO CI SIANO POCHI DUBBI
Ebbene, credo ci siano pochi dubbi
che qualcosa è andato lievemente storto
è andato anzi come peggio non poteva.
Certo noi siamo due brave persone
e le brave persone, è cosa nota,
non fanno come i cannibali selvaggi
che si bevono il cervello del nemico,
a colazione, come un eccellente uovo fresco.
Le brave persone civili, come noi,
quando portano alle labbra la tazzina
alzano il dito mignolo con grazia;
e, se proprio devono strapparsi il cuore,
lo fanno senza volgarissimi schiamazzi
con molto fair-play e savoir-faire:
Scusi, permette?, solo un attimo
vorrei strapparle il cuore, per favore;
non si agiti, lasci fare a me
(non c’è bisogno di farlo sapere in giro);
e poi, mi raccomando, pulisca bene
anzi lasci che ci pensi io, si figuri
basta passar lo straccio, ecco, così
tutto a posto: visto com’è facile?
Eh, quante storie per un cuore strappato
comunque l’essenziale è avere stile
perdio non siamo mica come quei selvaggi
e i panni sporchi li laviamo in casa
non c’è bisogno di sciorinarli a tutti
siamo persone ragionevoli e perbene.
E CHI TE LA TOCCA CODESTA LIBERTÀ
E chi te la tocca codesta libertà
codesta indipendenza che credi minacciata
per me, puoi tenertela ben stretta:
che tu ci creda o no, nulla volevo
se non darti un addio un po’ più decente
e ringraziarti di tutto; solo questo.
Non c’era bisogno di isterismi
nessuno pensava a soffocarti
se così t’è sembrato me ne spiace
ma ora l’Unno, il barbaro è andato via
l’orco non potrà più farti paura
non getterà ombre inquietanti su di te
potrai tornare alla tua amata libertà
in un cielo tutto azzurro senza nubi
senza neanche (per quel che mi riguarda)
una nuvoletta, un cirro piccolo così.
A pieni polmoni potrai respirare
il sollievo per il pericolo scampato
non è mica colpa tua se qualcuno
non sa restare nei limiti del giusto
se avido si prende tutto il braccio
mentre tu gli offrivi solo il ditino:
che maniere, perdio!, roba da matti
meno male ch’è passata anche questa
puoi tirare un bel respiro di sollievo
la cosa si faceva imbarazzante
ci vorrà più cautela d’ora innanzi
ma insomma quel ch’è stato è stato
l’importante è averlo messo in riga.
Ma che cosa si credeva, dopotutto?
È vero che nemmeno cento Armani
valgono un cuore che s’apre con fiducia:
però son cose che si dicono per dire
solo gl’ingenui le prendono sul serio
e a torto, poi, si sentono traditi.
Chissà, forse un bel giorno capirai
che nessuno ti stava minacciando
che la tua superba, preziosa libertà
è soltanto una gabbietta dorata
che ti sei costruita inutilmente.
Spero che lacrime di coccodrillo
eviterai di spargere a quel punto
comunque io non sarò lì attorno
ho già avuto a suo tempo la mia parte;
per farti porgere ancora l’altra guancia
bisognerà che cerchi qualcun altro
te lo dissi che non sono buono
tanto peggio se non m’hai creduto.
Le nostre strade divergono per sempre
non mi volterò mai più indietro
t’auguro buona fortuna dal profondo,
non ho più fazzoletti da prestare
e nemmeno spalle da offrire.
Quel ch’è stato l’abbiamo voluto
e siccome non siamo più bambini
nessuno ha scuse da accampare:
andiamo avanti senza lamentarci
forse eravamo un po’ troppo fuori parte
per questo la commedia è stata un fiasco.
Peccato, ma non c’è nulla da dire
erano sbagliati gli attori, forse
oppure era il copione scritto male
– tanto, che cosa importa ormai?
Sui quique mores fingunt fortunam.
Ventesima parte
DI SCHIANTO È CROLLATA LA SPERANZA
Di schianto è crollata la speranza
trascinando anche la luce di ieri
nella sua rovina:
notte cupa, infinita, che tutto ingoia
passato presente e futuro.
Come il soldato assiderato
voglio solo posarmi sulla neve
concedere riposo al corpo esausto –
e, poi, nulla.
FORSE UN GIORNO, CHISSÀ COME
Forse un giorno, chissà come
– non credo in questa vita –
tornerà a brillare il Sole.
Ci guarderemo senza più paure
con animo esultante:
ci getteremo nelle braccia
l’uno dell’altra.
Con gli occhi ci diremo a sazietà
il bene che volevamo darci
come fonte viva zampillante
come carezza nella terribile calura
come gemma priva di difetti.
Ritroveremo le cose perdute:
la tenerezza la sollecitudine
la fiducia reciproca
piena, totale –
il coraggio di guardarci dentro.
Gioia perfetta ci riscalderà il cuore
non ricorderemo più d’aver sofferto:
solo luce e amore resteranno
come bimbi finalmente ritrovati
dopo tanto, tanto affanno.
Sarà bellissimo, come un giardino
fiorito per magia
nel crudo inverno.
DI CHE DOVREI PENTIRMI, POI?
Di che dovrei pentirmi, poi?
D’aver accolto una pioggia di luce
per scaldare le membra intirizzite?
D’aver tremato sino in fondo al cuore
davanti al prodigio senza nome?
Nessun pentimento, grazie tante:
né vergogna provo, né scuse ho da porgere
a qualche brutta divinità invidiosa.
Anche se ho pagato i giorni azzurri
con mille fiumi di atroce sofferenza
per ogni attimo d’inebriante volo,
so che farei tutto daccapo
e ancora ancora ancora ancora ancora.
Non volterei le spalle per viltà
non direi "basta"
sull’orlo della coppa.
Se amare è un delitto così grave
ricada inesorabile su me.
Ho mani grandi quanto basta
per afferrare fasci di spine velenose
spremerle a morte con le dita
e, scuotendo a corpo a corpo
i lividi fantasmi dell’angoscia,
estrarne raggi di Sole fiammeggiante
per farne una corona luminosa
da posare sui tuoi capelli d’oro.
FORSE MAI TI HO CAPITA COSÌ A FONDO
Forse mai ti ho capita così a fondo
forse mai ti ho voluto così bene
come adesso che ti ho persa per sempre.
INNOCENTI COME BAMBINI
Innocenti come bambini
crudeli come solo i bambini
ci siam feriti a morte;
poveri esseri impauriti
innocentemente crudeli.
SPROFONDATO IN UNA LIVIDA PALUDE
Sprofondato in una livida palude
il fango che s’insinua nella bocca
affondo ad ogni gesto un po’ di più.
Pure non ho scordato la dolcezza
l’infinito splendore di quei giorni;
non maledico il destino beffardo
che mi condusse sul sentiero infido.
Non odierò mai te, anima bella
ma casomai quell’altra, che in te
s’intrufola come il cuculo nel nido,
che vorrebbe offuscare la bellezza
del tuo vestito tutto luce, tutto luce.
Che se ne vada al diavolo; ma tu
non credere che il mio cuore sia cambiato
neanche un sospiro potrà mai scordare.
Sguardi gesti silenzi
li ho raccolti nell’urna più segreta
temprata nel fuoco del dolore:
qualcosa di più grande delle stelle
di questa carne stanca, passeggera.
Non ti rinnegherò, non fingerò mai
di non averti conosciuta;
con fierezza allargherò le spalle
quando dirò che camminammo insieme.
PER MESI INTERMINABILI, DESERTI
Per mesi interminabili, deserti
il solo pensiero di tornare a scrivere
mi dava la nausea, le vertigini.
Ora ho ripensato a quella frase:
Promettimi che scriverai
finché ne avrai la forza, sempre:
ho rivisto il tuo ineffabile sorriso
che mi riempiva l’anima di luce
di esultanza.
Tremando
ho ripreso in mano la penna
come un’ultima offerta di amore
per te.
NÉ LA BIMBA INVIDIOSA E SPAVENTATA
Né la bimba invidiosa e spaventata
che si nasconde nelle pieghe del tuo cuore
e graffia a sangue, folle di paura
né il fanciullo altrettanto spaventato
che si nasconde il viso per orgoglio
dietro una maschera di gelido cinismo
riusciranno a soffocare, a viva forza,
la bellezza del nostro strano incontro.
Non avran loro l’ultima parola
non metteranno la parola "fine"
su quanto di più puro abbiamo dentro.
Spezzeremo con rabbia le catene
a frustate li cacceremo via,
torneranno per sempre tra i rimorsi.
Come alle serpi schiacceremo loro il capo!
Rimarrà solo la parte migliore di noi stessi:
virilmente guarderemo la strada
resi più forti dai sassi acuminati
dalle piaghe ancora aperte e sanguinanti.
Il Sole scenderà per carezzarle
sussurrandoci parole amiche
parole di speranza, di coraggio.
Saremo ancora noi
come dopo un sogno triste
uscito per sempre dal ricordo.
PRIGIONIERI DI UN GIOCO PERVERSO
Prigionieri di un gioco perverso
quanto male potevamo, ci siam fatti:
e non avremmo voluto.
Ci siamo rinnegati come Pietro
nel cortile del sommo sacerdote:
e avevamo giurato di non farlo.
Forse, non eravamo pronti per lasciarci
troppo ci angustiava l’idea del distacco
ci siam graffiati a sangue, folli,
per la pena di doverci dire addio.
SE UN DIO ESISTE, POI
Se un Dio esiste, poi,
non è che l’incontro fra due anime:
il profumo che si sprigiona
sovrasta il puzzo d’infinite cloache
copre persino la tua puzza, Dio Fetente.
Ma è un Dio molto volubile
o solo troppo timido, chissà
come cerbiatto nel bosco, sospettoso
come ninfa da un satiro inseguita
fugge al primo stormir di fronda
al frullo di minuscole ali
nemmeno il tempo di gridargli: «Resta!»,
ed è già svanito nel tramonto
mentre l’ombra scende veloce
su di noi.
NON È VERO CHE CI SIAMO DETESTATI
Non è vero che ci siamo detestati
che con rabbia ci siamo allontanati,
delusi e furibondi:
no, non è vero.
Lottavamo contro pallidi fantasmi
occhieggianti beffardi dietro noi:
quelli avremmo voluto strangolare
mentre incrudelivamo su noi stessi.
La verità, semplice e nuda
ora che tutto è finito così male
possiamo sussurrarcela da lungi,
finalmente:
ci siam voluti bene
come sapevamo e potevamo;
tanto, tanto bene.
E nient’altro.
NON VOGLIO RIMESTARE FRA LE CENERI
Non voglio rimestare fra le ceneri
di un fuoco irrimediabilmente spento.
Una scintilla, nonostante tutto,
forse ha resistito alla tempesta;
arde con fede in un cantuccio
pegno di pace ai giorni che verranno.
Una scintilla, nonostante tutto
arde con fede,
forse.
VARCARE UN PONTE DI EINSTEIN-ROSEN
Varcare un ponte di Einstein-Rosen
rovesciare il cono di Minkovsky
per ritornare trepidante a quel passato
là dove si chiudono le curve temporali
e l’ieri sarà nuovamente nostro
perché ogni punto sulla feccia del tempo
esiste ed è presente, qui e ora,
come le tre dimensioni dello spazio.
Tornare a quel bivio decisivo
a quel mattino di maggio ormai lontano
e spandere in cuore alla fanciulla
serenità e fiducia, sì che la paura
non la renda inutilmente crudele;
e versare in cuore al cavaliere
il balsamo della fede, del coraggio
sì che l’orgoglio ferito s’addolcisca
trattenga come una diga l’amarezza
non pronunci parole irreparabili.
O magari tornare indietro ancora
prima…, molto prima ancora…
Guarda un po’ con che sogni mi trastullo
mi abbandono a quali strane fantasie;
guarda cosa non si arriva a escogitare
per sfuggire al nodo ferreo del dolore
alla disperazione per l’irrimediabile
al taedium vitae
al nulla senza senso.
COME UN FUSCELLO LA RAPIDA CORRENTE
Come un fuscello la rapida corrente
mi trascina capricciosa qua e là:
sradicato, nudo, superfluo.
Solo con te vicina, devi saperlo
mi son sentito vivo, importante
ho alzato la fronte fino al Sole
beandomi nella gloria dei suoi raggi.
FORSE, IN UN UNIVERSO PARALLELO
Forse, in un universo parallelo
(come dici, sciocchezze?, chissà,
in fondo chi siamo noi per dirlo?)
nel mattino di maggio del commiato
la fanciulla dai capelli come aureola d’oro
e il cavaliere dalla fede ancora intatta
si sorridono con infinita gratitudine,
un’ultima volta si stringono le destre
con il cuore colmo di dolcezza
e una muta promessa negli sguardi
più forte del trascorrere del tempo.
Forse, in un universo parallelo
in un mondo più vero di questo
o semplicemente più giusto
dove nessuna nebbia equivoco o paura
può fare schermo alla luce del Sole
avvelenare le sorgenti cristalline
dei sentimenti che sgorgano dal cuore
limpidi come rivi di montagna.
Ho bisogno di crederci, comunque
non potrò mai rassegnarmi, mai
all’ingiustizia che ci siamo fatta
al delitto contro la verità
che abbiamo perpetrato per paura
tu e io
senza quasi rendercene conto
e che adesso ci riempie di rimorsi
come un bimbo strozzato nella culla.
Ventunesima parte
RACCONTO D’INVERNO
– E voi, capitano, avete pranzato bene?
– Benissimo, signore, tranne la merdra.
– Suvvia, anche la merdra non era cattiva…
ALFRED JARRY, Ubu re, I, 2.
I
Non ho voglia, porcogiuda, di restare
sempre chiuso nella tana come un topo
coi fantasmi che mi straziano il cuore
ronzano e ronzano nel cervello
- come sciami di api impazzite
c’è da ammattire porcogiuda
meglio andar fuori, molto meglio
anche se non ne avrei alcuna voglia
vedere il mondo mi fa da vomitare
- che c’è mai da vedere dopotutto
e poi piove, piove, piove
da giorni piove senza tregua
da settimane da mesi sempre
piove come non avesse piovuto mai
- il Sole chi se lo ricorda
roba da cartoline illustrate
da réclames di agenzie turistiche
venite al Sole dei Caraibi
delle Seychelles di Tahiti
- (così ciascun Oceano è contento)
sei milioni tutto compreso
all including, si capisce
sette giorni tout compris
sì signore ha capito bene
- sei milioni todo comprendido
partenze da Milano e Roma
da Malpensa e Fiumicino, certo
che bellezza, mare e Sole a volontà
Sole e mare come in Paradiso
- sei milioni per avere il Paradiso
anche Dio e la madonna si capisce
tuttisanti inclusi nel biglietto
tuout compris, mica male no?
Prendi e paghi Domineddio
- completo d’arpe e cori di angioletti
voli settimanali in classe turistica
venite ai Caraibi a vedere Iddio
sarà una vacanza indimenticabile
un’occasione, sì todo comprendido
- venti venite venite veniteeeee.
E invece qui non fa che piovere
piove sempre sempre porcogiuda
è il Padreterno che piscia a volontà
che piscia e non la smette mai
- non la smette Holy shit
chi lo ferma ‘sto diluvio
ha deciso d’annegarci, merdasanta
qui ci vuole un’altra Arca di Noé
un’Arca incatramata e profumata
- un’Arca antipiscio ultimo modello
perché la piscia è piscia, dico bene?,
anche se divina è sempre piscia
l’ombrello non è mica sufficiente
quando s’aprono le divine cateratte
- qui tra poco si annega nella piscia
il cielo è tutto chiuso tutto chiuso
grigio come cenere che pare un funerale
armonizza col mio stato d’animo
e piove piove piove
- come non avesse piovuto mai
sembra d’essere tra i pallidi Iperborei
tra le nebbie dell’Ultima Thule
– tibi serviat ultima Thyle –
e l’ultima Thule pur ti obbedisca
- come dice Publio Virgilio Marone
nelle Georgiche canto primo verso trenta,
annegati nel mare di piscia divina.
II
E così m’ingozzo in fretta
un piatto di spaghetti con le acciughe
- poi dico ciao agli amici troppo seri
a Omero Platone Senofonte e compagnia
grazie tante oggi sono stufo
non mi tirate mica su il morale
ragazzi qua si soffoca, ci vediamo
- non vi reggo più neanche un minuto
il tuo Protagora del resto,
Platone vecchio mio, m’ha smonato
mai sentite tante cazzate concentrate
come hai fatto in così poco spazio
- a spararne di talmente madornali?
Sei un genio, sicuro vecchio mio
neanche un carabiniere avrebbe fatto meglio
ogni riga una cazzata scoppiettante
è tutto un allegro fuoco di mitraglia
- se l’uno è uno esso non avrà parte
sarà senza figura e in nessun luogo
non può essere più vecchio né più giovane
né coetaneo di altro o di se stesso;
se l’uno è uno, non si muove né sta fermo
- ma neppure – udite udite, questa è bella –
sarà diverso da altri o da se stesso
non è simile né dissimile, chiaro no?,
non sarà né eguale né diseguale
non sarà più piccolo e nemmeno più grande
- né di altri né di se stesso: quindi
non si potrà averne né scienza né opinione
chiarissimo, tutto fila come l’olio
ti saluto per oggi vecchio mio
ne ho abbastanza delle tue cazzate
- mi gira il cervello come un mulino
dimmi, eri pagato a cottimo
o ti davano un premio per ognuna?
Almeno mi facessi sghignazzare
mi tireresti un poco su il morale
- e invece niente, merdasanta, nada
le tue cazzate sono mica divertenti
sono tristi come quelle dei preti
e tu prete un po’ lo sei, Platone
hai la faccia da austero monsignore
- ti vedrei bene come arcivescovo
saresti un papa come si deve
il corpo è la tomba dell’anima
e tu, vecchio castrone, da ventiquattro secoli
ci rovesci tonnellate di tristezza
- quella tristezza cattiva da prete
da prete un po’ porcello, d’altra parte
dietro quell’aria da asessuato moralista
nascondi un’asta sempre pronta all’erezione
ti piacciono eccome i bei ragazzini
- non te ne fai scappare neanche uno
tutto questo va bene, affari tuoi
non condivido, caro, tanta ammirazione
per il buco del culo, ma fa niente
però lascia stare quei bislacchi moralismi
- fottiti i ragazzini, ma per piacere
risparmiaci i sermoni puritani
scopa come un mandrillo, ma ti prego
non frastornarci pretescamente vaneggiando!
Scopa e buon pro ti faccia
- non infiorare con melensi predicozzi
il fatto che là, sotto la tunica,
ti si tendono i nervi come un arco
come l’arco poderoso di Odisseo
per la fregola che ti sconvolge tutto.
- Fotti e sta’ di buon animo
vecchio prete pieno di complessi:
perché tante balle sul mondo delle Idee
tanta cattiva coscienza pretesca
tanto astio da prete contro il mondo
- per abbellire un fatto così semplice e banale?
Perché romperci l’anima per ventiquattro secoli
con le tue ciance di zitello puritano
solo perché ti manca il coraggio di dire
che quel nervo ti si tende da scoppiare
- quando vedi un bel ragazzino riccioluto
un ragazzino biondo e tutto liscio
che ti rende infoiato come un toro?
Se scopi con cattiva coscienza,
come un gesuita ipocrita,
- pensando che dopo ti andrai a confessare
non sarà liberatoria la scopata,
vecchio mio: sarà squallida e triste
una triste chiavata senza gioia
mormorando grottesche giaculatorie
- roba da far venire il latte alle ginocchia
come un prete che nel confessionale
si masturba nel buio tristemente
ascoltando i peccati delle donne
che gli accendono il sangue come fuoco
- ma intanto deve biascicar preghiere
sopra il seme della sua lussuria
gli occhi brillanti di laida voluttà.
III
La strada è tutta lucida di pioggia
che bellezza sembra nuova e più pulita
- certo è ben triste questo cielo tetro
le ruote sollevano due baffi di spruzzi
come un vascello sul mare burrascoso
che ha sciolto le vele verso l’orizzonte.
Peccato solamente, merdasanta,
- che devo attraversare proprio il tuo paese
fa niente guarderò dritto innanzi a me
non piegherò una vertebra del collo
non girerò gli occhi a destra né a sinistra
guarderò inebetito dritto avanti
- un punto dello spazio inesistente
per non correre il rischio di vederti
neanche per sbaglio, nel caso inverosimile
che tu passi di lì proprio adesso;
ma è meglio esser prudenti, dopotutto
- non voglio piantarmi il coltello nella piaga
e peggiorar le cose ulteriormente, grazie tante
son servito di dessert e di caffè, sono a posto
per altri quattro lustri perlomeno
da passarli a leccarmi le ferite
- grazie tante, direi che può bastare
ne riparliamo alla prossima reincarnazione
sperando frattanto nel Nirvana.
Ma fila tutto liscio anche stavolta
è fatta pure questa, son passato
- tra Scilla e Cariddi nella pioggia
anche se i mostri me li porto dentro
magari poterli lasciar dietro le spalle
mi vengono dietro, sempre dietro
mi rodono il cervello allegramente
- come sorcetti in un bel pezzo di gruviera.
Già altre volte m’era parso di vederti
e subito avevo girato la testa altrove
con la stessa fretta – cosa buffa –
con cui un tempo ti sarei corso incontro
- portato sulle ali della gioia
quasi toccando il cielo con un dito.
Ma tutto passa, ha detto uno
non ti puoi bagnar due volte
nella stessa acqua o nella stessa merda
- e la merda è questa vita insulsa
che un giorno ti fa volare nell’azzurro
solo per ripiombarti con più forza
nel cimitero dei sogni infranti.
E adesso, ben tristo cavaliere
- con la lancia per sempre spezzata
e l’armatura ammaccata da far pena
me ne corro senza voglia nella pioggia
solo per l’orrore d’un altro giorno vuoto
per ammazzare il tempo in qualche modo
- per strangolare un verminaio di rimorsi
che schifosi si contorcono nel fango
dov’è caduto il Sole disperato
per nascondere la faccia finalmente
e piangere tutto solo in santa pace.
- Il cavaliere senza più ideali
che ha sporcato la bianca principessa
e che pure da lei è stato ben sporcato
una volta di troppo, in verità
quando proprio non se l’aspettava –
- ma infine, che importanza fa?
Ognuno se la sbrighi come può
questa è la giusta legge della vita
come disse qualcuno a tempo e luogo.
IV
Questo cazzo di camion gigantesco
- mi nasconde la strada proprio bene
e m’investe il parabrezza di fanghiglia
una doccia di schifezze mi fa fare
questo polacco targato Varsavia:
ma non poteva restare a casa sua?
- Mio polaccuzzo, polaccuzzo bello
che vai cercando in questo gran diluvio
sulle strade del benessere italiano
col tuo Warszawa a caratteri giganti
stampato sul gran culo del tuo camion,
- in mezzo al miracolo economico?
Vedi come stiamo bene in Italy
vetrine piene, non ci manca nulla
tornatene a Warszawa, dammi retta
non sappiamo che farcene di te
- di voi Polacchi Romeni Albanesi
ne abbiamo ormai fin sopra gli occhi
di Marocchini di Negri di Cinesi
pare una Kasbah, ormai, quest’Italia
ci sono anche i Colombiani, i Filippini
250 perfino quelli del lontano Bangla Desh
che per tanti fa rima con il Dash.
Avete rotto i coglioni, amici, tutti quanti
il troppo stroppia, tornatevene a casa
basta buonismi, basta assistenzialismi
255 e poi sono i padroni che vi vogliono
per impiegarvi a buon prezzo nelle industrie
a noi che cosa cazzo ce ne viene
a noi gente comune non servite
tra un po’ dovremo chiedervi "permesso"
- per andare nel cesso in casa nostra.
Mio polaccuzzo, polaccuzzo bello
capisci cosa fa dire l’amarezza
vedi come la tristezza incattivisce
è così che la Lega fa il pienone
- voi stranieri, a dirla proprio tutta
par vi mandi la Divina Provvidenza
se non ci foste dovrebbero inventarvi
altrimenti chi potremmo bestemmiare?
Così anche tu, che pur sei di passaggio
- mi rompi col tuo camion scalcinato
mi nascondi la strada, porcogiuda,
perché non torni dalla tua Elka
dalla tua Fela dalla tua Lutka
o come cazzo si chiama la tua donna
- dalla tua bionda Maja su a Warszawa
anzi meglio perché non torni a Czestochowa
dalla santissima Madonna Nera,
di Polacchi ce n’è già uno ed è abbastanza
siamo a posto per altri mille anni.
- Non vedi che abbiamo già ogni cosa
computer, telefonini, compact disk
playstation non ci manca nulla
cosa potresti mai darci che non abbiamo?
Tornatene a casa, insomma, terrone
- via sciò fila aria chi ti vuole?
Voi Polacchi siete come l’insalata
v’infilate dappertutto come pulci
volti un sasso con la scarpa, e sotto
(toh!) c’è un Polacco pronto a saltar fuori.
- Con le vostre Madonne inseparabili
coi rosari stipati nelle tasche
coi santini che vi escon dappertutto
non siete mica uomini, perdio,
siete delle sacrestie ambulanti:
- a forza di papi e di Madonne
avete rotto i coglioni a tutti quanti.
Aveva ragione il vecchio Dostojevskij
che non vi poteva sopportare
avete messo a soqquadro mezzo mondo
- col vostro Solidsrnosc, polaccuzzi
voi buttaste giù il Muro di Berlino
con tutto quello ch’è venuto dopo;
e anche nel 1939 la catastrofe
– diciamo la verità per una volta –
- l’avete un po’ voluta, porcogiuda:
vi credevate più forti dei nazisti
in pochi giorni volevate prendere Berlino
lanciandovi al galoppo con le sciabole
contro i panzer da quaranta tonnellate.
- Avete mandato a fuoco il mondo intero
per Danzica che non è neanche polacca
era tedesca tedeschissima perdio
questo neanche la Madonna Nera può negarlo
rompicoglioni di Polacchi piantagrane.
- Dai retta, torna alla tua Warszawa
ai tuoi boschi di tigli, non c’è altro
solo boschi di tigli avete, porcogiuda
tigli e Madonne, tigli e santini
e rosari e crocifissi e catechismi
- e poi tigli e ancora tigli e solo tigli
potete farci un oceano di tè
bevetelo alla salute di Wojtyla
ma vi prego restate a casa vostra
avete rotto, per piacere andate via.
V
- Pensando alla bionda Maja che lassù
aspetta il suo Marek sotto i tigli
– bevendo certo tè di tiglio nell’attesa –
un’altra bionda immagine mi sfiora
quella che vorrei cacciare indietro
- perché non ho più voglia di lottare
di soffrire come un cane tutto solo
di rotolarmi come un cane idrofobo
divorato dalle zecche del rimpianto.
Cristo, questo è anche peggio dei Polacchi
- l’anima mia è triste fino alla morte
e, come dicevo, quando si è troppo tristi
ci s’incarognisce mica male
si sognano macelli universali
che daranno sollievo alle ferite
- col gradito spettacolo del sangue.
Eh, bei tempi quelli dei Romani
quando per pochi soldi o anche gratis
ci si poteva divertire tutto il giorno
coi deliziosi spettacoli del circo:
- uomini che si sbudellano fra loro
uomini divorati dalle belve
uomini arsi vivi, uomini crocifissi
uomini messi alla ruota, alla graticola
uomini impalati per il culo come spiedi
- e donne, anche, qualche volta
così, per cambiare, ci vuole qualche extra.
Niente nevrosi, niente psicanalisti
niente cattiva coscienza, sensi di colpa
niente rimorsi preghiere pentimenti
- ma un sano godimento estetico-sessuale
che c’è di meglio della carne squarciata
abbrustolita martoriata fatta a brani?
Non si sognava il sadismo di nascosto
– questo appetito così sano e naturale –
360 nel chiuso di fantasie inconfessabili:
ma apertamente, gioiosamente si godeva
bastava trovarsi dalla parte giusta
rispetto alle fauci spalancate del leone
o al tridente insanguinato del reziario:
- quella del pubblico, naturalmente.
Intanto ai due lati della strada
schizzano i platani lucidi di pioggia
con ancora qualche foglia (incredibile!)
aggrappata a quei rami scheletriti:
- povera foglia rugosa e rattrappita
che il vento sferza ma non fa cadere
resiste come un brandello dell’estate
come un brandello di quel maggio disperato
in cui per sempre un’ineffabile presenza
- uscì dalla mia vita amaramente
lasciandomi più solo e più cattivo.
Per voi, coraggiose foglie di gennaio
verrà a suo tempo una nuova primavera
un nuovo Sole brillerà per voi
- e fresca linfa nutrirà le gemme
cui passerete il testimonio della fede
in un domani ancora e sempre luminoso;
per me una primavera senza Sole,
né linfa nuova, né teneri germogli
- ma solo un vuoto immenso senza fine
perché, perdendo te, so molto bene
d’aver perduto anche me stesso.
Ventiduesima parte
IO DAREI TUTTO QUELLO CHE HO
Io darei tutto quello che ho
per guardarti negli occhi un’altra volta
e leggervi che tutto è sempre vero.
NO, NON SON CAMBIATO
No, non son cambiato
dietro l’apparenza del rancore
ti voglio bene come il primo giorno
ancora di più, se possibile:
come allora ti vorrei proteggere
come allora vorrei rasserenarti
dirti grazie dal profondo dell’anima.
No, non son cambiato
Benché imbruttito dall’angoscia
incanaglito dalla disperazione
ti voglio bene come il primo giorno
anche di più, se possibile:
so che te ne vorrò sempre
anche se non lo sai.
IL CIELO È OPACO, VISCHIOSO
Il cielo è opaco, vischioso
in una triste sera di primavera
che sa di tardo autunno.
Le cose hanno perduto i contorni
le avvolge un’umida foschia
sfuocandole come acquerelli senza luce
senza bellezza.
Così è ora di noi
immersi in un oblio vischioso
che ruba lo splendore di quei giorni
si appende ai rami delle nostre vite
come spettrali barbe di lichene.
VORREI POSAR LA MANO, DOLCEMENTE
Vorrei posar la mano, dolcemente
sulla tua bella fronte ora pensosa
toglierne la sofferenza per incanto
come un raggio di Sole nella stanza
ridestandola al profumo della vita.
HO LA FEBBRE A TRENTANOVE
Ho la febbre a trentanove
– di marzo, poi: ma che strano –
e sto tremando palmo a palmo
come una tremula foglia di pioppo.
Lo so io cos’è stato, Sabina:
l’altro giorno mi chiesero di te.
La forza devastante del ricordo
m’è esplosa sino in fondo al cuore
cogliendo impreparato l’organismo
e aprendosi una breccia a viva forza
attraverso le sue timide difese.
Sabina, Sabina: come vorrei
un po’ di pace, per entrambi.
Invece non finiamo di pagare
il prezzo delle mezze verità
delle mezze bugie;
la luce era a portata
delle nostre mani
ma non fummo capaci di vestircene.
ABBIAMO TRADITO LA VERITÀ
Abbiamo tradito la verità
per trenta denari di paura.
L’abbiamo rinnegata per orgoglio
e flagellata a sangue, come folli.
La bellezza del nostro incontro
abbiamo coronata di spine
rigandone la fronte di vermiglio.
Infine, non ancora sazi,
abbiamo crocifisso la pietà
spartendoci le vesti del perdono,
giocandocele ai dadi come stracci.
Ora il corpo di quel puro sentimento
che ci ha uniti fra tante avversità
giace freddo e solo, nel sepolcro.
Dio, come vorrei credere
che non sarà per sempre!
Che al terzo giorno, quando ormai
tutto sembrerà perduto
si alzerà
liberandosi del sudario
fatto immortale uscirà fuori
splendendo come Sole nel mattino.
ABBIAMO RITROVATO L’EQUILIBRIO
Abbiamo ritrovato l’equilibrio
o almeno una sua cattiva imitazione.
Le nostre vie, dopo la tempesta,
sono rientrate tranquille nei binari.
Di nuovo formalmente rispettabili
senza più sensi di colpa tormentosi
recitiamo la commedia del dovere
con serietà di bimbi puntigliosa.
E l’ordine ha vinto un’altra volta,
anche stavolta hanno trionfato i buoni.
Peccato ci sia un prezzo da pagare
un po’ salato, Cristo santo,
anzi diciamo pure esoso, esorbitante:
si tratta, né più né meno,
di continuare a vivere ogni giorno
guardandosi morire.
QUESTA NOTTE DI GHIACCIO INTERMINABILE
Questa notte di ghiaccio interminabile
popolata di beffardi, lividi spettri
verrà infine sconfitta dalla luce.
Tornerà il Sole nei nostri cuori intirizziti
dissipando i fantasmi ghignanti e menzogneri.
Il giardino del nostro dolce incontro
ritornerà a fiorire nell’azzurro
cullato da un chioccolio di acque terse.
Usignoli torneranno a posarsi sui rami.
timidi dapprima e quasi increduli,
per modulare poi i loro canti a gola tesa.
La barriera di paure e incomprensioni
ci si scioglierà in petto piano piano
e la benda funesta dagli occhi ci cadrà.
Con passo sereno ci verremo incontro,
trepidanti come inesperti adolescenti,
lo splendore radioso negli sguardi.
Non ci sarà neppur bisogno di parole:
guardandoci capiremo tutto
perdoneremo tutto
ritroveremo tutto.
Sarà bello, vedrai, dolce amica:
forse in quel momento sentiremo
di non aver pagato un prezzo esoso
per una gioia così piena
così vera.
SFIORANDO LA TERRA CON PIEDE LEGGERO
Sfiorando la terra con piede leggero
entrerà nei nostri cuori la fiducia
l’esultanza di un tesoro ritrovato.
Batterà forte la gioia nelle vene
quando ogni cosa perduta tornerà.
Sarà come il mattino del mondo
per i nostri vergini sguardi.
AFFIDO QUESTE PAROLE DI SPERANZA
Affido queste parole di speranza
come sui cavalloni dell’oceano
un messaggio dentro la bottiglia.
Un giorno – non so quando né come –
arriverà nelle tue mani grandi
nelle tue mani bellissime
come sempre bellissima sei dentro tu.
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels