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Atenodoro e il fantasma

Ed eccoci giunti a parlare di un argomento che, di solito, i filologo classici evitano volentieri: ila credenza nei fantasmi propria del mondo antico. In effetti, ci troviamo di fronte a una mole vastissima di fatti, sia per quanto riguarda la tradizione letteraria strictu sensu, sia per quanto riguarda la memorialistica e, in genere, la produzione di tipo saggistico. Chi non conosce la storia del fantasma apparso a Marco Bruto mentre questi si accingeva a trasportare, con Cassio, l’esercito in Europa dall’Asia Minore, per affrontare Antonio e Ottaviano nello scontro decisivo. Narra Plutarco: "…la notte era molto avanzata. Nella tenda ardeva un lume assai fioco; intorno, l’accampamento giaceva avvolto nel silenzio. Bruto stava indagando e discutendo tra sé qualcosa, allorchè gli parve di udire una persona che entrava nella tenda. Alza lo sguardo in direzione dell’ingresso e vede eretta davanti a sé, muta, un’apparizione terribile e strana, un corpo mostruoso e terribile. Ebbe tuttavia il coraggio di chiedergli chi fosse, se fosse un uomo o un dio, e per quale motivo veniva a trovarlo. Io sono il tuo cattivo Genio, o Bruto – gli rispose il fantasma. — Mi vedrai a Filippi. (1) In Omero, il fantasma di Patroclo appare ad Achille, prima della cerimonia funebre (2); in Virgilio, il fantasma di Ettore appare a Enea nell’ultima notte di Troia e, poco più tardi, a quest’ultimo si manifesta anche il fantasma della dolce sposa Creusa, la cui morte egli perfino ignorava (3).Inoltre Platone nella Repubblica descrive come il soldato Er ritorni in vita quando già è stato messo sulla pira funebre (4), ma questo episodio, come del resto quello della maga tèssala Erichto che ridà voce, con orribili riti, a un cadavere e narrata da Lucano (5) richiama piuttosto la maga di En-Dor che evoca lo spirito di Samuele (6) e rientra, piuttosto, nella fenomenologia delle evocazioni necromantiche. Invece sempre Lucano descrive una tipica apparizione di fantasmi, quando narra dell’ombra di Giulia, prima moglie di Pompeo, che si manifesta all’ex marito e gli profetizza un infausto avvenire. (7)

Tutte queste, comunque, sono fonti puramente letterarie e, se denotano una diffusa credenza popolare nelle apparizioni dei fantasmi, certamente non aggiungono nulla in fatto di testimonianze dirette e attendibili. Invece l’episodio narrato da Plinio il Giovane, e che qui di seguito riportiamo integralmente, travalica l’interesse folcloristico e letterario e sembra avere le apparenze di una pagina di vita vissuta, di un’esperienza reale: "V’era ad Atene una casa ampia e comoda, ma malfamata e maledetta. Nel mezzo del silenzio della notte si udiva un suon di ferraglia e, se ascoltavi più attentamente, uno strepito di catene, da lontano prima, poi più da presso; indi appariva uno spettro, un vecchio estenuato dalla magrezza e dallo squallore, con una lunga barba, i capelli irti; recava i ceppi ai piedi e le catene alle mani e le scuoteva. Perciò gli abitanti della casa trascorrevano vegliando per la paura delle notti sinistre e spaventose; quelle veglie finivano per produrre una malattia e, con il crescere del male, la morte. Giacchè anche di giorno, pur essendo il fantasma scomparso, rimaneva il ricordo di quell’apparizione, sì che il timore durava più a lungo di ciò che l’aveva cagionato. Perciò la casa fu disertata, condannata all’abbandono e lasciata tutta in balìa di quel mostro; v’era però appeso un cartello, per il caso che qualcuno, ignorando così gran guaio, volesse acquistarla o affittarla."

Continua il racconto Plinio all’amico Licinio Sura, nella lettera a lui indirizzata: "Capitò ad Atene il filosofo Atenodoro, lesse il cartello, seppe il prezzo, e messo in sospetto dalla modicità, si informò, venne a conoscenza di tutto e nonostante ciò, anzi a cagione di ciò, prese in affitto la casa. Quando cominciò ad annottare, ordinò che gli preparassero un letto [da lavoro, n.b. ] nella parte anteriore dell’edificio, chiese delle tavolette, uno stilo, un lume; mandò tutti i suoi nelle stanze interne ed egli invece si assorbì — la mente, gli occhi, la mano — nello scrivere, onde evitare che la mente rimasta inoperosa desse corpo alle storie di spettri e a vani timori. Dapprima, come ovunque, il silenzio della notte, poi cominciò un agitarsi di ferri, un muover di catene: quello non alza gli occhi, non ripone lo stilo, ma sta saldo e non bada alle proprie orecchie, cresce lo strepito, continua ad avvicinarsi, e già sembra di udirlo sulla soglia, già oltre la soglia.Si volta, e vede e riconosce la figura di cui gli avevano parlato. Stava ritta e faceva segno con il dito, come a invitare qualcuno; ma il filosofo le fa cenno con la mano, come per dirle di attendere un poco, e si rimette alle tavolette e allo stilo. Essa agitava le catene sopra il capo di lui che scriveva; si volta di nuovo, vede che gli fa cenno come prima; senza esitare, prende il lume e la segue. Essa avanzava con lento passo, quasi la gravassero le catene; dopo essere svoltata nel cortile della casa, improvvisamente svanisce, abbandonando chi la segue. Una volta rimasto solo, Atenodoro contrassegna il posto con delle erbe e delle foglie spiccate. Il giorno dopo va dai magistrati, e chiede loro che ordinino di far scavare in quel posto. Vi trovano, frammiste e avvolte dalle catene, delle ossa che il cadavere putrefatto dall’azione del tempo e del terreno aveva lasciate scarnificate e scavate dalle catene; raccolte, vengono sepolte a spese della città. La casa non fu più visitata dai Mani, sepolti secondo i riti."(8)

Questo il racconto di Plinio. Ora, per inquadrarlo correttamente nella giusta prospettiva, occorre tener presenti alcuni fatti. Primo, il destinatario della lettera, Licinio Sura, era non soltanto un personaggio politico e militare di primo piano ai tempi di Nerva e Traiano, ma anche persona nota per la profonda cultura conseguita con lo studio e per aver lungamente soggiornato in terre straniere. A lui Plinio si era già rivolto, come esperto di questioni scientifiche, a proposito della spiegazione di un fenomeno naturale. (9) Ora ricorre all’amico per interrogarlo circa un fenomeno di tipo soprannaturale e non per fare un semplice pettegolezzo. Secondo, nella stessa lettera Plinio cita altri casi di apparizioni di spectra (singolare, spectrum ): quello, assai noto, di Curzio Rufo, riportato anche da Tacito (10), ed un altro capitato ad un suo liberto, nella sua stessa casa. Il tono serio con cui egli tratta l’argomento è sottolineato dalle seguenti parole: "Certo io credo a chi mi afferma tali cose; ma anch’io posso affermarne qualcosa agli altri." Terzo, il dibattito sui fantasmi esisteva da temppo ed era vivace nella cultura romana: se ne era occupato anche Cicerone, sia in un’opera pubblica che nella corrispondenza privata, mostrando peraltro completo scetticismo al riguardo. (11) Quarto, Atenodoro è certamente un personaggio storico; solo che abbiamo qualche incertezza ad identificarlo con sicurezza, perché sappiamo di due Atenodoro, entrambi filosofi e seguaci della stessa dottrina — lo stoicismo -, ed entrambi originari di Tarso, in Cilicia (la patria di san Paolo) o delle immediate vicinanze. Vissero l’uno al tempo di Catone, l’altro di Augusto: Luigi Rusca inclina a propendere per quest’ultimo. (12) Di lui si racconta che, essendo precettore dell’imperatore, lo consigliasse — quando era sul punto di lasciarsi travolgere dall’ira — di recitare tutte le lettere dell’alfabeto, per avere il tempo di calmarsi e riacquistare l’autocontrollo (non sarà stato un metodo geniale, e tuttavia ispirato a un elementare buon senso non privo di efficacia). Quinto, il fatto di cui parla Plinio, e su cui chiede un parere "scientifico", era noto, alcuni decenni dopo, anche allo scrittore e sofista greco Luciano di Samosata (Plinio visse tra il 61 o 62 e il 112 o 113; Luciano tra il 120 circa e oltre il 180 d.C.), che però lo riferisce non ad Artemidoro ma a un altro filosofo, Arignoto pitagorico, e lo ambienta non ad Atene, ma a Corinto. (13) Naturalmente Luciano, com’è nel suo stile e nella sua visione del mondo, si fa beffe del soprannaturale e colloca l’intero episodio all’interno di un dialogo ironico e dissacrante. Da ciò, tuttavia — e qui dissentiamo dal Rusca — non ne consegue automaticamente la credulità di Plinio, quasi che lo scrittore latino avesse abboccato in pieno a uno dei tanti racconti popolari semiseri, che oggi si chiamerebbero leggende metropolitane. A noi sembra più probabile che Luciano, spirito impertinente e scanzonato quant’altri mai, abbia "rispolverato" il racconto di Plinio e ne abbia fatto per così dire il canovaccio di un suo dialogo scherzoso. Il testo di Luciano, insomma, essendo assai posteriore a quello del romano, non dimostra affatto che entrambi derivassero da un archetipo comune più o meno stilizzato, più o meno verosimile, ma può suggerire altrettanto bene (e forse più) che il più antico sia stato la fonte del più recente. (14)

Che dire sulla natura specifica del fatto riportato da Plinio? Esiste una letteratura sterminata su tali questioni, e non è certo il caso di ricorrervi in questa sede. Da anni la parapsicologia si occupa delle apparizioni dei defunti, considerandole eminentemente da un punto di vista psichico. Qui ci limiteremo ad osservare che lo spettro apparso ad Artemidoro non si è limitato a mostrarsi, produrre dei suoni oggettivamente percepibili (perché uditi da diversi testimoni e in differenti circostanze) e muoversi attraverso la casa. Esso ha mostrato di avere una missione da adempiere, o meglio, una richiesta da fare ai viventi: ottenuto quanto desiderava, è scomparso. Ora, sappiamo bene che la mancata sepoltura costituiva, nel mondo greco e romano, la massima sciagura per l’anima di un defunto: si confronti, al riguardo, il notissimo episodio di Palinuro che implora da Enea, nell’Averno, affinché. il suo corpo riceva degna sepoltura, pena dover continuare ad errare sulla riva dell’Acheronte, senza pace e senza speranza. (15) D’altra parte, esiste una ricca casistica, nella letteratura specialistica odierna, di apparizioni di defunti che in qualche modo interagiscono con i viventi, o per chiedere o per informare o per proteggere o per predire il futuro. (16) Anche nel Medio Evo tali fatti erano attestati: uno, pure famosissimo, riguarda il ritrovamento dei canti finali del Paradiso dantesco, che rischiavano di andare smarriti per sempre dopo la morte dell’autore. Fu il sommo poeta, o meglio il suo fantasma, ad apparire in sogno al figlio Jacopo e a mostrargli il luogo ov’erano riposti: cosa che fu riscontrata esatta. (17) Ma ciascuno è libero, ovviamente, di trarre le conclusioni che crede da episodi del genere, attestati ininterrottamente dall’antichità fino ai giorni nostri.

1) PLUTARCO, Vite parallele, Bruto, 36. Trad. di Carlo Carena, 3 voll., Milano, A. Mondadori,

1974, II, p. 295. Al che Bruto, impeturbabile, avrebbe risposto semplicemente: "Va bene"; ma,

il mattino seguente, raccontò il fatto all’amico Cassio che, da buon razionalista (era seguace di

Epicuro), gli replicò: "Come si può credere che esistano i cosiddetti Geni? E se anche esistono,

che abbiano aspetto di uomini, o una voce e un potere tali da estendersi fino a noi?".

2) OMERO, Iliade, XXIII, 62 sgg.

3) VIRGILIO, Eneide, II, 771 sgg.

4) PLATONE, La Repubblica, X, 614b e sgg. Peraltro nel caso di Er non si tratta, propriamente, d uno spettro ma di un risorto. Giovanni Caccia in Platone, tutte le opere,5 voll., Roma, Newton

Compton, 1997, IV, p. 518-19, ricorda che "casi di resurrezione non erano inoltre sconosciuti

alla mitologia greca ed erano attribuiti anche a persone rivestite di un’aura di leggenda, come

Aristea di Proconneso, Epimenide di Creta, Zamolxis il Trace."

5) MARCO ANNEO LUCANO, Bellum civile, VI, 507 sgg.

6) Primo Libro di Samuele, XXVIII, 3.

7) LUCANO, Op. cit., III, 8 sgg.

8) PLINIO IL GIOVANE, Lettere ai familiari, VII, 27. Trad. di Luigi Rusca, Milano, Rizzoli,

1961, pp. 223-25.A questo racconto sembra essersi ispirato lo scrittore inglese Edmund Gillian

Swain (1861-1938) per la sua storia The Easter Window. Tr. it. In Storie di fantasmi, a cura di

G: Pilo e S. Fusco, Roma, Newton & Compton, 1995, pp. 645-51, La finestra a oriente.

9) PLINIO IL GIOVANE, Op. cit., IV, 30.

10) TACITO, Annali, XI, 21: "Quand’era giovane fatto e si trovava al seguito del questore cui era

toccata la provincia d’Africa, mentre nella città di Adrumeto, sul mezzogiorno, passeggiava

tutto solo per i portici deserti, gli apparve una figura di donna, di statura più alta che l’umana,e

udì una voce che diceva: Sei tu, o Rufo,che sei destinato in questa provincia come proconsole!

Trad. di Luigi Annibaletto, Milano, Garzanti, 1974, p. 271.

11) CICERONE, nel De Officiis, I, 6, 19, sostiene che è per lui un difetto "dedicare troppo amore

ed eccessiva cura nello studio di cose oscure e difficili ed anche non necessarie" (trad. di Anna

Resta Barrile, Milano, Rizzoli, 1993, p.89); nelle Familiares, XV, 16, si pronuncia nel modo

più esplicito contro la credenza nei fantasmi.

12) Op. cit., p. 494, n. 5.

13) LUCIANO DI SAMOSATA, Philops., XXXV; tr. di Luigi Settembrini in L. di S., i dialoghi e gli epigrammi (2 voll.), Genova, F.lli Melita, II, pp. 729-46, Il vago di bugie, o l’incredulo.

14) Osserva acutamente G. Berettoni, curatore dell’ediz. sopra cit. di Luciano, che vi è nel dialogo

"una intenzione maligna di satireggiare le taumaturgie narrate dai cristiani e deriderle profanandole" (p 729), cosa inverosimile in Plinio, stante il ben noto carteggio — appunto riguardo ai Cristiani — fra lui e l’imperatore Traiano (Epistulae, X, 96 e 97).

15)VIRGILIO, Eneide, VI, 337 sgg.

16)Vedi, ad es., ANNIBALE PICCIOLI, Esistono i fantasmi? Come oggi si spiegano?, Milano, Ceschina, 1968; cui bisogna aggiungere, almeno, UGO DETTORE, Le due facce della realtà,

Milano, Armenia ed., 1977.

17)GIOVANNI BOCCACCIO, Vita di Dante, a cura di Paolo Baldan, Bergamo, Moretti & Vitali,

pp. 171-75.

Francesco Lamendola

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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