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Guido De Ruggiero e la povertà dell’idealismo

La filosofia dell’idealismo, nelle due versioni crociana e gentiliana, più qualche frangia eretica come quella evoliana, ha dominato incontrastato per una settantina d’anni il panorama complessivo della cultura italiana, il che ha rappresentato un pesantissimo fattore d’immobilismo e di ritardo, anche se — magra consolazione — le alternative che allora andavano per la maggiore, il marxismo, il pragmatismo, il neopositivismo e il neokantismo, non erano certo tali da poter dare, se avessero preso il sopravvento, un contributo più apprezzabile alla qualità delle ricerche filosofiche nel nostro Paese, dove fare filosofia era considerato, allora come oggi, soprattutto fare storia della filosofia, profittando del pensiero altrui per salirci in groppa e come la mosca cocchiera dispensare a destra e a manca le proprie personali perle di saggezza, ma senza sobbarcarsi la fatica di elaborare un proprio sistema o anche solo un proprio pensiero critico. Pessima abitudine, che si spiega col fatto che i filosofi, in Italia, sono quasi sempre dei professori di filosofia, i quali hanno appunto questa impostazione mentale: non cercare da sé stessi la verità, ma fare le pulci a quelli che ci hanno provato, sia pure tentando e sbagliando; passatempo che è rimasto attaccato alla categoria dei professori di filosofia e nel quale continuano a dilettarsi, generalmente parlando, e salvo lodevoli eccezioni, percependo uno stipendio dallo Stato non per insegnare ai giovani a pensare, ma per indottrinare i giovani con le loro letture e le loro personali opinioni, sfruttando l’autorità della cattedra per imporsi all’altrui rispetto, laddove non possiedono né originalità, né vigore di pensiero per farsi apprezzare in base ai loro meriti di ordine intellettuale. In altre parole, da noi gli studiosi di filosofia sono essenzialmente una categoria, se non proprio una casta, di burocrati dallo stipendio assicurato: da ciò il loro piatto conformismo, le loro sordide cautele, la loro banale rilettura di chi, invece, il pensiero lo usa per davvero, e per questo ha il difetto di destabilizzare il loro fragile castello di certezze e la loro ancor più fragile autostima. Non ce ne vogliano i professori di filosofia che non lavorano così: il fatto è che sono pochi; nella maggioranza dei casi, sono più dei retori in pantofole che dei cercatori della verità, e le pubblicazioni di cui si gloriamo, e che arricchiscono il loro profilo professionale, sono in gran parte dedicate a questioni erudite di corto o cortissimo respiro, e ben di rado osano sollevarsi al livello di riflessioni di portata universale, e guai se vanno contro i dogmi del politicamente corretto: che, in filosofia, hanno avuto quali stelle polari Croce per l’idealismo (assai meno Gentile, gravato per sempre dall’orribile colpa d’esser stato fascista) e i vari Gramsci, Sartre, Adorno, Lukács e Castoriadis per il marxismo. Ora che finalmente la sbornia sta passando, si comincia a vedere la reale statura di quei signori; come si comincia a vederla, o la si vede già da un poco, in ambito letterario, ove dei nani, dei pornografi o dei malati rabbiosi e rancorosi, come Gadda, Moravia o Pasolini, allora fatti passare per dei giganti, e magari insigniti del Premio Nobel, com’è accaduto in anni recenti a Dario Fo, cominciano a scivolare là dove avrebbero dovuto restare: nel dimenticatoio.

Prendiamo il caso dell’idealismo, feudo personale di don Benedetto, il glorioso e vanitoso pensatore antifascista che ancora nel 1924, dopo il delitto Matteotti, consigliava di votare il listone fascista alle elezioni e che poi, per aver redatto il Manifesto degli intellettuali antifascisti (pensate che tremenda dittatura era il fascismo, visto che si poteva firmare un manifesto contro di esso e restarsene tranquilli e indisturbati per tutto il Ventennio, come fu per Montale, De Ruggiero, Moretti, il quale addirittura fu premiato dall’Accademia d’Italia al tempo della Repubblica Sociale), poté godere di autorità, rispetto e ammirazione per tutta la vita, quale capo di una surreale opposizione morale, ciò che gli permise anche di godere un momento di gloria politica, ovviamente nella Repubblica di Pulcinella sorta dopo la disfatta del 1945. Stessa gloria di brevissimo momento, con tanto di ministero della Pubblica Istruzione, per pochi mesi, nel Regno del Sud del 1944, toccò a un altro filosofo idealista: Guido Re Ruggiero (Napoli, 23 marzo 1888-Roma, 29 dicembre 1948), che specialmente dopo la Liberazione vide ripubblicati una lunga serie di libri, quasi tutti di carattere storico-filosofico, ma aureolato di gloria per aver firmato il Manifesto del 1925 (salvo poi giurare fedeltà al fascismo, per conservar la cattedra, nel 1931: siamo nel tipo antropologico del tengo famiglia), anche se lui personalmente non visse abbastanza da godersi la raggiunta celebrità. Alzi la mano lo studente di filosofia che, fra gli anni ’20 e gli anni ’70 (mezzo secolo: mica poco!), non si è nutrito dei tredici volumi della sua arcinota e onnipresente Storia della filosofia, editi fra il 1918 e il 1948 dalla Laterza, la stessa casa editrice di don Benedetto; la cui obiettività può esser giudicata, anche senza aprirli e sfogliarli, solo osservando la rispettiva mole: più che robusta in quelli dedicati a Hegel e all’idealismo in generale, agili per non dire smilzi, invece, quelli dedicati alle altre scuole filosofiche e specialmente a quelle più lontane dai personali gusti dell’Autore. Per quanto poi riguarda l’originalità e l’onestà intellettuale del contenuto, ci piace soffermare l’attenzione su un caso particolare, che tuttavia è paradigmatico del modo di procedere del Nostro, nonché della sua stessa forma mentis liberale, laica, razionalista e debitamente anticlericale e anticattolica: la filosofia del cristianesimo, tre volumi nell’edizione originale. E ci sia permesso farlo servendoci, a nostra volta, della sintesi, che condividiamo in pieno, di un insigne studioso domenicano, oggi purtroppo un po’ dimenticato, padre Mariano Cordovani (Serravalle di Bibbiena, Arezzo, 25 febbraio 1883-Roma, 5 aprile 1950), nel suo libro Il Rivelatore (Roma, Editrie Studium, Roma, 1945, vol. 1, pp. 215-218):

Come l’idealismo italiano snaturi il cristianesimo e tenti ridurlo ad una teogonia dello stesso spirito umano. E come radicalmente la dottrina attualista sia la negazione del Vangelo e della teologia cattolica, si può documentare colle opere di Giovanni Gentile, delle quali sintetizza il pensiero p. Ciocchetti nel capitolo sesto del suo volume "La filosofia di Giovanni Gentile" (Milano, Vita e pensiero, 1922).

Più direttamente il De Ruggiero ha preso a studiare la filosofia del cristianesimo" in un volume che porta questo titolo. Le più avventate ipotesi sono da lui accolte come oro di sapienza. La sua virtuosità di parola cela insensibilmente lo svisamento del contenuto evangelico, adattandolo violentemente agli schemi dell’idealismo italiano.

Secondo lui s. Paolo fonda "una costruzione del tutto nuova sulla personalità del maestro" ("La filosofia del cristianesimo, Bari, Laterza, 1920, p. 140); "l’ulteriore sviluppo della filosofia cristiana dipende assai più dalla cristologia paolina che dalla semplice umana parola di Gesù" (ibidem); "l’idea d evangelizzare il mondo non era nel piano della sua missione" (p. 121); "la fede creatrice, quella che ha dato la prima intuizione di Gesù risorto, esplica la sua forza oggettivante e costruttiva nel produrre gli episodi del martirio" (p. 116); "il seguace di Gesù deve rinunziare ad ogni cosa che rende cara la vota, abbandonare la famiglia naturale, anzi odiarla" (p. 111). "In Gesù la speranza escatologica è così imminente che il suo nichilismo non è neppure una dolorosa rinuncia, ma un volontario abbandono di tutto ciò che non conferisce immediatamente al prossimo avvento del Regno" (ibidem).

Questo è un piccolo saggio del modo come l’autore concepisce la cosa. Ecco il pensiero di questo autore intorno alla grazia: "La falsificazione della grazia comincia ad aver luogo fin dal principio della speculazione cristiana quando un illecito trasferimento del rapporto causale nella sua trama delicata la trasforma in un effetto di qualche cosa… Noi dobbiamo vedere invece nella grazia, così come la concepisce Gesù, qualcosa di molto più semplice, quasi lo stupore della coscienza che si risveglia per la prima volta alla vita morale e non sa, né può attribuirsi il merito di un bene che ancora non ha compiuto, ma solo era in grado di compiere e sente come un miracolo divino la propria rinnovazione" (p. 92).

Basta una semplice lettura del Vangelo per capire che questa teoria vi è negata radicalmente; del resto non fa meraviglia, se ricordiamo come questo autore valuta i quattro Evangeli: Riportiamo le sue parole: "I VANGELI NON SONO OPERE STORICHE, MA APOLOGIE MESSIANICHE e annunci di salvezza; più che a raccogliere documenti autentici intorno a Gesù, essi mirano a riabitare la figura del Messia crocifisso, a integrala con quella del Risorto, per preparare la speranza della nuova e gloriosa parusia. Nella grande massa di racconti evangelici, che rappresentano tutte le tendenze ideali in cui si ramifica l’originaria fede, la chiesa ha raccolto e canonizzato quattro Vangeli soltanto, che meglio impersonano le tendenze proprie. E la critica moderna, a sua volta, ha nettamente distinti i tre primi Vangeli dal quarto, non solo come espressioni di tempi e mentalità diversi, ma ancora come documenti affatto eterogenei, e disparati, avendo I SINOTTICI IL VALORE DI TESTIMONIANZE STORICHE INTORNO A GESÙ, mentre il Vangelo di Giovanni, privo quasi del tutto di questo carattere, apprezzabile sotto un altro aspetto, come una grande costruzione teologica" (p. 146). In queste parole l’autore nega in principio ed afferma in fine il valore della testimonianza evangelica. Nell’insieme basta per capire dove e come egli abbia attinto i caratteri del suo cristianesimo. E dire che l’idealismo italiano osa proclamare di aver superato, oltrepassato il pensiero cristiano, quando non l’ha ancora raggiunto e si è reso essenzialmente incapace di capirlo e valutarlo! A me basta dimostrare come la preoccupazione di proiettare sulla storia le nostre categorie di pensiero ci rende impotenti a capire la storia e irragionevoli, e come il grande fatto e la grande figura di Gesù ci si imponga e corregga i nostri errori e il falso atteggiamento della nostra mentalità soggettiva. Il pensiero umano non crea, non costruisce; non ha altra potenza che di capire e rendersi conto della realtà. la luce del pensiero sfavilla dalle nostre intelligenze, ma l’oggetto pensato non si identifica col soggetto pensante, e molto meno con l’atto del pensare. Il non voler comprendere questa verità, di senso comune, è filosofare in contrasto con la natura del pensiero; questo costituisce la sorgente di tutti gli smarrimenti moderni nel campo della filosofia, della storia e della religione: è il sistema tolemaico trasportato nel campo filosofico e religioso.

Non c’è molto da aggiungere all’analisi, così chiara, pacata e precisa, di padre Cordovani. Le puntuali citazioni del De Ruggiero sono inequivocabili; e coglie perfettamente nel segno anche l’interpretazione complessiva: l’errore dell’idealismo nasce dalla sua natura antifilosofica (Maritain parlava addirittura di ideosofia, per sottolineare come l’idealismo non rispetti nessuno dei normali caratteri della ricerca filosofica). Che altro aspettarsi da chi antepone il pensiero all’essere e pretende che il pensiero abbia il potere di creare la realtà, invece di limitarsi ad indagarla? È la vecchissima tentazione gnostica: perché accettare il limite ontologico dell’uomo, quando, a parole, si può oltrepassarlo, e poi dire che lo si è oltrepassato veramente? A questa impostazione l’ingegno di De Ruggiero si presta in pieno: il suo modo di argomentare somiglia più a quello dell’avvocato nel foro, che sceglie e scandisce la parole ben tornite, per colpire e stupire il pubblico, che al sobrio procedimento del vero pensatore, che non si preoccupa se non di andare al cuore dei problemi, senza alcun artificio retorico. E cosa c’è al cuore delle argomentazioni di De Ruggiero sulla filosofia del cristianesimo? La sorpassata teoria che san Paolo ha creato una religione su Gesù che era tutt’altra cosa dalla religione di Gesù; e l’ancor più bislacca affermazione, peraltro non dimostrata in alcun modo, che la Chiesa ha "scelto" i quattro Vangeli che le facevano comodo, fra tutti quelli della tradizione gnostica (senza badare al piccolo dettaglio che sono gli unici scritti a breve distanza di tempo dai fatti e che sono scritti o dettati da testimoni oculari, quando erano ancora in vita molti che videro e udirono Gesù in persona). Quel che dice della grazia è un balbettio penoso per superficialità teologica e presunzione razionalistica. Insomma, i giudizi di De Ruggiero fanno venire in mente le risibili tesi di Dan Brown più che la seria speculazione filosofica: eppure, questo signore è stato considerato un maestro da almeno due generazioni di studenti, e tenuto in grandissimo conto dai professori del liceo e dell’università. Lo diciamo con una certa tristezza, perché anche noi, a suo tempo, ci siamo accostati a quei libri col rispetto che l’ambiente culturale suggeriva di avere: come dubitare della profondità e della scrupolosità di un filosofo che la cultura ufficiale annoverava fra i suoi massimi esponenti? Questo è solo un esempio, fra i tanti, di come la cultura italiana dopo il 1945, in clima di libertà e democrazia, ha costruito una serie di giganti fasulli e miti di cartapesta, profittando del vantaggio di essere al tempo stesso giudice e avvocato di se stessa, mente lo spirito critico dei giovani veniva strangolato nella culla. Siamo lontani mille miglia da quando all’Enciclopedia Italiana lavoravano i migliori studiosi sia fascisti che antifascisti.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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