O con Cristo, o col mondo e la contro-chiesa
13 Marzo 2019
Cosa ci impedisce di capire ciò che sta accadendo?
15 Marzo 2019
O con Cristo, o col mondo e la contro-chiesa
13 Marzo 2019
Cosa ci impedisce di capire ciò che sta accadendo?
15 Marzo 2019
Mostra tutto

Chi vuole la rivoluzione protestante nella Chiesa?

Nella Chiesa cattolica è in pieno svolgimento una rivoluzione di tipo protestante: e chi non ha capito questo, non ha capito nulla. La rivoluzione è stata messa in atto a partire dal Concilio Vaticano II, che è stato utilizzato e strumentalizzato a tale scopo da una minoranza di teologi e vescovi massoni e ultraprogressisti, liberali e filo-comunisti; e concordato con settori del giudaismo, come il B’nai B’rith, volti a sfruttare al massimo i sensi di colpa dei cattolici, peraltro del tutto ingiustificati, per le tragiche vicende del popolo ebreo, che allora erano relativamente recenti (dalla liberazione di Auschwitz, nel 1945, all’annuncio della convocazione del concilio, nel gennaio del 1959, erano passati appena quattordici anni). I fermenti di protestantesimo, comunque, esistevano da prima, in particolare si erano intravisti con la crisi modernista nei primi anni del 1900, pur se vigorosamente combattuti da san Pio X, ma niente affatto scomparsi, solo divenuti più guardinghi e propensi a una penetrazione più lenta e capillare nel clero.

I capisaldi del programma rivoluzionario dei cattolici filo-protestanti erano questi:

1) affermare il principio della superiorità della coscienza personale sulla dottrina, e quindi sulla verità oggettiva;

2) stabilire la prassi della direzione sinodale o collegiale della Chiesa, trasformando il papato in una specie di repubblica democratica;

3) tracciare una netta linea di separazione fra la storicità dei Vangeli e l’interiorità, ovvero la soggettività della fede;

4) respingere o minimizzare la Tradizione a vantaggio della sola Scrittura, e sottoporre quest’ultima a una rigorosa esegesi di tipo filologico, in modo da togliere da essa le "incrostazioni" mitologiche; 5) adottare una liturgia e una pastorale più vicine al sentire del "popolo" e, al tempo stesso, più in linea con le acquisizioni della civiltà moderna;

6) accettare il principio della libertà religiosa e, più in generale, le ideologie moderne: liberalismo, democrazia, socialismo, cioè proprio quelle che Pio IX col Sillabo aveva esplicitamente condannato e quindi modificare il Magistero in senso progressista;

7) non considerare più come eresie le posizioni dottrinarie divergenti dal Magistero stesso, ma al contrario, vedere in esse delle possibilità di arricchimento, di confronto e di dialogo;

8) gettare dei ponti verso le altre confessioni cristiane e verso le religioni non cristiane, sulla base della fratellanza umana (intesa in senso massonico e laicista, cioè prescindendo da qualsiasi richiamo alla verità soprannaturale);

9) sondare il terreno in vista di una introduzione del matrimonio per i consacrati e del sacerdozio femminile;

10) stabilire il principio, ma prima ancora la prassi, che la Chiesa deve "uscire" verso il mondo, deve riconoscere le sue colpe passate (?), deve ammettere di aver ostacolato la ragione e ritardato la scienza, deve fare ammenda per quanto non avviene in modo pacifico nei rapporti con i non cattolici; e deve costituirsi come "popolo di Dio in cammino", con tutto ciò che questo comporta in fatto di storicismo e di antropocentrismo, compresa la riduzione della santa Messa da Sacrificio divino a celebrazione della "cena" pasquale, con i fedeli posti in posizione centrale, e auto-celebrativa, rispetto al Mistero del soprannaturale.

Sono esattamente le linee sulle quali si è mosso il clero progressista e neomodernista a partire dal Vaticano II e che, nel corso di quest’ultimo (illegittimo) pontificato, hanno trovato parziale o, in qualche caso, pressoché totale applicazione, se non a livello di dottrina, a livello di prassi: tanto più che la supremazia della prassi sulla dottrina è divenuta un valore (aberrante) in se stessa, e quindi qualunque battaglia in difesa della vera dottrina viene ora fatta passare, e percepita, come una battaglia di retroguardia, anacronistica e irrealistica, condotta da persone dalla mentalità rigida, formalista e ingenerosa, contro persone le quali, invece, interpretano pienamente il senso delle Beatitudini, anteponendo sempre e comunque il principio della "carità" a quello della verità (e scriviamo carità fra virgolette, perché la carità senza verità, e quindi senza la giustizia, non è la carità cristiana, ma un’altra cosa).

Ora, una domanda quanto mai interessante è quella su chi siano, esattamente, coloro i quali auspicano, favoriscono e concretamente attuano questa rivoluzione silenziosa nella Chiesa cattolica, mirante a trasformarla, senza che i fedeli se ne avvedano o se ne rendano conto, in una nuova chiesa di tipo protestante. Perché le rivoluzioni, nell’immaginario collettivo, le fa il "popolo": il che si rivela poi, andando a studiare i fatti da vicino, quasi sempre falso. Né la Rivoluzione francese del 1789, né quella bolscevica del 1917, tanto per citare due esempi paradigmatici, sono state fatte dal "popolo". La prova è che la prima dovette usare le maniere forti contro il popolo, mediante il genocidio della Vandea (e lgli studi statistici dimostramo, del resto, che sulla ghigliottina caddero assai più teste di popolani che di nibili o preti); la seconda per prima cosa scille l’Assemblea Costituente, legittimamente eletta dal popolo, per sostituirla con la dittatura, scatenando così la guerra civile che fece milioni di morti. Ebbene, neppure la Rivoluzione protestante (perché è giusto chiamarla così: non "riforma", come ipocritamente dicono i libri di testo, ma rivoluzione vera e propria, in tutto e per tutto) è stata fatta dal popolo, se per popolo intendiamo le classi inferiori, le cosiddette classi lavoratrici, bensì dai ceti medi in ascesa e soprattutto dai ceti intellettuali, con il sostegno determinante dei principi e del clero stesso, passato sotto le bandiere di Lutero: i primi avidi d’incamerare i beni della Chiesa, i secondi desiderosi di conservarli, ma per se stessi. I contadini tedeschi, quando insorsero, nel 1525 contro i loro signori, che li sfruttavano duramente, sappiamo come furono abbandonati da Lutero, che non si limitò a lasciarli soli, ma li scomunicò, li maledisse ed esortò i signori a farne la strage più sanguinosa possibile, in nome di Dio naturalmente. Ma l’elemento veramente decisivo fu la stampa. Dopo l’invenzione di Gutenberg, in Germania e in altri Paesi d’Europa si erano diffuse le stamperie, e furono proprio gli stampatori a passare massicciamente dalla parte di Lutero, al punto che le idee protestanti, diffuse da milioni di opuscoli, manifesti e libelli, si diffusero ovunque, in regime di monopolio perché praticamente senza un vero contraddittorio. Insomma, la maggior parte degli intellettuali dell’epoca, con qualche notevole eccezione, come Erasmo da Rotterdam nei Paesi Bassi e Tommaso Moro nell’Inghilterra di Enrico VIII, si schierarono con la Rivoluzione protestante per convinzione o per interesse, ma di certo non per interpretare un desiderio profondo del popolo e per dargli una guida; semmai, al contrario, per indicare al popolo la via da seguire e fare in modo che seguisse le loro indicazioni, distaccandosi dalle sue tradizioni e dal suo sentire più radicato e profondo.

Scrive il sociologo delle religioni e docente di Scienze sociali Rodney Stark, professore in una università del Texas, quella di Baylor, nella sua monografia A gloria di Dio (titolo originale: For the Glory of God, Prtinceton University Press, 2003; traduzione dall’inglese di Diana Mengo, Torino, Lindau, 2011, pp. 116-117):

Dal momento che la "Riforma" in Germania fu guidata da esperti teologo e preservata dal potere della nobiltà, è facile trascurare il fatto che non sia stato affatto un movimento elitario. Senza il diffusissimo sostegno popolare che si schierò quasi immediatamente con la causa, come esemplifica la folla lungo le strade di Worms, sia Lutero, sia il luteranesimo sarebbero svaniti. Invece, come ampiamente dimostrato di volta in volta dalla grande popolarità dei riformatori precedenti e di molti movimento eretici, la "gente" era pronta a sostenere un cristianesimo più intenso e accessibile. Il richiamo alla fede di Lutero fu accolto con grande favore, e mai prima di allora un simile appello si era diffuso così lontano e così rapidamente.

È importante, comunque, definire in maniera più chiara chi fosse la "gente" che seguiva la dottrina di Lutero. Non si trattava delle classi inferiori. Contadini e braccianti non erano nemmeno cristiani in molte delle aree che poi divennero l’Europa protestante e, nei limiti in cui si interessavano di religione, le loro preferenze erano per rituali e sacramenti che offrivano veloce sollievo nei momenti difficili o un aiuto aggiuntivo nella ricerca dei risultati desiderati […]. Infatti […], molte persone ricorrevano alla "magia" della Chiesa tanto quanto ad altre forme di magia. No, oltre a nobiltà e clero, la "gente" che si schierò per prima a sostegno di Lutero furono i laici ricchi, colti e che vivevano in città,una categoria sociale a quell’epoca in rapida crescita: mercanti, banchieri, professionisti produttori, negozianti, studenti e gilde delle arti e dei mestieri […]. L’immensa capacità di attrazione del luteranesimo fu particolarmente rilevante nei confronti degli stampatori, categoria in rapida crescita di "intellettuali artigiani". Sin dai primi sismi giorni, il luteranesimo godette praticamente di un monopolio della stampa […]. Infatti, come riportò Pollard, "fu solamente con enormi difficoltà che gli stampatori poterono essere indotti a pubblicare opere in difesa della Chiesa cattolica […].

Ciò nonostante, non c’era nulla di veramente nuovo nel luteranesimo. Tutti i maggiori punti teologici erano già stati espressi di volta in volta nel corso dei secoli da riformatori della Chiesa della pietà e da molte sette dissidenti

La situazione odierna ricalca perfettamente quella creatasi nell’Europa centrale a partire dal 1517, con la storica affissione delle 95 tesi sul portone della chiesa del castello di Wittenberg. Anche oggi la maggioranza degli intellettuali cattolici, anche all’interno del clero, e specialmente i teologi, i biblisti, i filologi e gli storici, si sono schierati a favore della "svolta" conciliare, da essi interpretata (ma avendo l’astuzia di non dirlo troppo in giro!) come una vera e propria strategia rivoluzionaria, da portare avanti sul terreno della prassi, scavalcando continuamente la dottrina e mettendo così i fedeli davanti al fatto compiuto, un gradino dopo l’altro, fino a discendere tutta la scala e a trovarsi sullo stesso terreno delle altre chiese protestanti: con la dottrina del doppio uomo, interiore ed esteriore, e della libera interpretazione delle Scritture; con il rifiuto del "clericalismo", che equivale al rifiuto della Chiesa da parte di Lutero; con l’idea di una "chiesa" che deve farsi mondo e di un clero che deve farsi simile ai laici, appunto per esser più vicino alla "gente" e per allontanare da sé ogni residuo del bruttissimo vizio del clericalismo. Ma è degno di nota il fatto che il "popolo" cattolico non desiderava tutto questo, anche se poi, una volta franata la diga, a partire dagli anni ’60 del Novecento, è stato sospinto dalla forza stessa delle cose, e dall’esempio stesso del clero progressista e neomodernista, ad accogliere favorevolmente tutta una serie di cambiamenti che costituivano, nel loro insieme, la strategia rivoluzionaria perseguita da quel clero, e specialmente dai gesuiti. L’importante, però, era che il comune fedele non si rendesse conto sino in fondo della portata di quei cambiamenti. Non bisognava dirgli chiaro e tondo, come fece Lutero nella Germania di cinque secoli fa, che si voleva rivoluzionare tutto: perché il popolo cattolico era naturalmente conservatore, a ciò abituato da secoli e secoli di liturgia, pastorale e dottrina sempre fedeli a se stessi e alieni da ogni "novità" che avesse il sapore d’una rottura con il passato. La Chiesa del 1958 era ancora, sostanzialmente, la Chiesa del Concilio di Trento, e infatti tale era rimasta la santa Messa, la Messa di Pio V, cuore e perno di tutto l’edificio. Ci voleva l’elezione di un nuovo papa, ormai anziano, ma deciso ad agire velocemente, in quanto amico dei modernisti, dei massoni e degli ebrei, per avviare la silenziosa rivoluzione protestante, mediante la convocazione d’un concilio che avrebbe dovuto essere puramente pastorale (cosa di per sé assurda, e che avrebbe perciò dovuto suscitare almeno qualche sospetto), ossia che non avrebbe affermato nessun nuovo dogma, né avrebbe minacciato alcuna scomunica, neppure contro il comunismo ateo che stava perseguitando milioni di credenti: come se fossero sparite tutte le eresie e scomparsi tutti i nemici. A proseguire l’opera, in particolare con l’introduzione della nuova Messa; che non ha mai abolito de jure l’antica, anche se il nuovo messale è stato imposto ad esclusione dell’antico, nel 1969 e in uno spazio di soli sei mesi. Una cosa mai accaduta nella storia della liturgia cattolica e oltretutto discutibile sul piano canonico, perché nessun documento del Magistero, e neppure i documenti prodotti dal Concilio Vaticano II, avevano mai parlato di abolizione del vecchio messale. La ragione di queste ambiguità risiede nel fatto che la rivoluzione non doveva apparire come tale; ai fedeli non doveva esser data l’occasione di rendersi conto che una rivoluzione stava accadendo sotto ai loro piedi. Al contrario della famosa frase del principe di Salina, nel Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, bisognava che niente cambiasse (in apparenza, beninteso) affinché nulla rimanesse com’era prima…

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.