
Là dove c’è il pericolo, là cresce ciò che salva
29 Dicembre 2018
Uomini siate, e non pecore matte
30 Dicembre 2018Ci sono delle forme di amore, naturalmente malsano, che sono, in realtà, delle forme di odio appena superficialmente mascherato. Se ne possono vedere ogni giorno, basta aprire gli occhi. Ecco una scolaresca in viaggio d’istruzione: è un esempio che abbiamo conosciuto personalmente. La meta, l’itinerario, il mezzo di trasporto, tutto è stato scelto in funzione di un’alunna gravemente disabile, cieca e in carrozzina perché affetta da distrofia muscolare, ma perfettamente intelligente. La accompagnano sia la madre che uno zio: non per aiutarla nei movimenti, non per assisterla nei pasti, ma per sorvegliare che queste cose le facciamo i professori. Loro non muovono un dito: stanno a guardare i professori che le porgono il cucchiaio alle labbra, che la fanno salire e scendere dai mezzi urbani: si accertano che facciano ogni cosa e la facciano bene. Per il resto, si limitano ad adorarla, a esternare con sguardi e parole tutto il loro amore: ma è un amore che, ci permettiamo di sospettarlo, cerca di nascondere a se stesso un sentimento di segno opposto, qualcosa d’indicibile, molto simile all’odio. Chi ama davvero, non sorveglia gli altri, fa; chi ama non si serve degli altri per obbligarli a fare al proprio posto. Certo, non è facile vivere con una persona disabile, bisognosa di assistenza continua: ma c’è un quid che permette di capire se lo si fa con autentica dedizione oppure per senso del dovere, immagazzinando rancore e desiderio di rivalsa. Rivalsa contro chi? Contro gli altri, contro i sani innanzitutto; ma anche, in ultima analisi, contro Dio. Perché Dio mi ha fatto questo? Certo, ripetiamo: è dura, per una madre, accettare un figlio disabile; ma è ancora più duro se si guarda alla vita nella prospettiva liberal-radicale, cioè come se fosse un viaggio assicurato e costellato di diritti garantiti, dove, se qualcosa va storto, si va dall’avvocato per fare causa a qualcuno: al comune perché il marciapiede era sconnesso e la nonna è inciampata, alla società autostrade perché c’era la nebbia e il nonno è stato tamponato, alla regione perché la casa degli zii è venuta giù a causa di una piena, anche se era stata costruita abusivamente, a due passi da un torrente dal regime imprevedibile…
Nella cultura dei diritti garantiti non c’è spazio per gli inconvenienti, gli infortuni, le difficoltà; specialmente per l’inconveniente che si chiama morte. Al nostro paese, un uomo di ottant’anni è morto precipitando dalle scale della casa di riposo, dove si era recato a vistare la moglie. La donna era lì da dieci anni, bisognosa di assistenza; lui era depresso da tempo: forse è scivolato, forse ha deciso di farla finita. Quel che è certo è la casa di riposo avrà rossi guai da affrontare: la passeranno al setaccio orde di periti per controllare se c’erano le balaustre, se erano a norma, se si poteva evitare, eccetera, eccetera. In ballo ci sono fior di quattrini: una causa di risarcimento può concludersi con una condanna a sborsare somme enormi. Si vuole individuare un colpevole, non si ammette che le persone debbano rassegnarsi a un certo grado di fatalità, di imprevedibilità. Come si permette quella montagna di franare, e sia pure su delle case abusive? E quella slavina, come osa travolgere gli sciatori che pur sciavano fuori pista? E il terremoto, chi lo ha autorizzato a far cadere o lesionare parecchie abitazioni? Ci deve essere un colpevole; qualcuno ne deve rispondere, qualcuno deve pagare. Ma con chi prendersela, se un bambino nasce con un grave difetto fisico o psichico, magari sfuggito all’ecografia (perché, diversamente, sappiamo come si usa fare, da alcuni anni a questa parte)? Con Dio, evidentemente. Anche se si è cattolici; o meglio: specialmente se si è cattolici. Il non credente, a rigore, non ha nessuno con cui prendersela, se non il caso o la natura matrigna; ma il credente? Dov’è l’amore di Dio, in simili casi? Dove sono la sua bontà, la sua tenerezza, la sua misericordia? La teologia, il clero, hanno sempre saputo rispondere a tali domande, da duemila anni: rispondere, s’intende, entro i limiti della comprensione umana. E la risposta centrale era questa: Dio non ha dato qualcosa di meno, a quella madre, ma qualcosa in più: le ha affidato una creatura bisognosa di maggiori cure, proprio per fare di lei una madre privilegiata: così come non si affida un compito delicato al primo che passa, ma a una persona di estrema fiducia. Lui, poi, insegnerà a quella madre a sorridere e a trasformare il dolore in gioia, a vivere la sua situazione nel modo giusto, offrendo ogni preoccupazione a Chi le ha posto in grembo quella creatura, come si depone una pietra preziosa nel mantello di colui che si ama. Ma poi sono arrivati i falsi teologi, sono arrivati gli Enzo Bianchi, e i falsi papi, come il signore argentino; ed ecco, da un giorno all’altro la chiesa non ha più saputo dire cosa sia la sofferenza, che senso abbia, come la si possa e la si debba vivere. E così i cattolici sono diventati impazienti, insofferenti; mordono il freno, stringono i pugni, digrignano i denti: Dov’è Dio, dove si è nascosto? Perfino la Madonna, secondo le empie parole del signore argentino, quando suo Figlio veniva innalzato sulla croce, ha pensato: Era tutto un inganno! Sono stata ingannata! Costui renderà conto a Dio, quando verrà la sua ora, anche di queste parole infami: renderà conto anche del turbamento e dello scandalo che hanno sicuramente provocato in milioni e milioni di fedeli.
Prendersela con Dio, però, è una parola; più facile dirlo, che farlo! Come si fa, a prendersela con Dio? Con un essere umano si può litigare, lo si può aggredire, lo si può minacciare, lo si può insultare; si può intentargli una causa in tribunale, esigere da lui il pagamento dei danni morali e materiali. Ma con Dio, che fare? E poi, non starebbe bene mostrare apertamente la propria ira e il proprio sdegno: no, non sarebbe un bello spettacolo. Un credente non può farlo, altrimenti gli altri gli chiederanno contro del suo atteggiamento, lo provocheranno, dicendogli: Lo vedi che anche tu sei senza fede, come noi? Perché non getti la maschera, allora, e non proclami apertamente il tuo ateismo? Se tu credessi in Dio, non ti ribelleresti a questo modo, non ri arrabbieresti con nessuno, e meno di tutti con Lui! Se poi si tratta di un sacerdote o di un vescovo, o del papa: sai che seccatura dover confessare il proprio ateismo. Bisogna togliersi la tonaca; bisogna rinunciare alla poltrona; bisogna privarsi dello stipendio e di tutti gli agi e le comodità connessi con lo status di membro del clero, specialmente dell’alto clero. È così bello, oggi, far parte dell’alto clero: con la crisi di lavoro che c’è, si guadagna bene (dai 5.000 euro in su come cardinale), si pubblicano libri, si va in televisione, si è ascoltati e riveriti. In cambio, basta dire quelle quattro cose che piacciono alla gente; basta mettersi, sempre a parole, dalla parte dei poveri (come il cardinale Maradiaga, che prende 36.000 euro al mese per stare dalla parte dei poveri); basta puntare il dito contro l’indifferenza, l’egoismo, la xenofobia dei "ricchi", senza andar troppo per il sottile a vedere chi sono, in definitiva, questi "ricchi", perché si potrebbe scoprire che di poveri italiani ce ne sono almeno 5 milioni, altro che poveri immigrati, i quali hanno il pasto, il tetto e i diritti garantiti, perfino il diritto di scioperare se il menu non è abbastanza vario, e perfino il dirotto di spacciare droga, per arrotondare le entrate e concedersi qualche lusso, qualche divertimento, che so io…
Ecco, allora, che i due rancori s’incontrano e si sommano; e si sposano meravigliosamente con la pigrizia di chi ha perso la fede, ma non lo vuole ammettere, non lo confesserà mai, perché, se lo facesse, dovrebbe andarsene, rinunciare a tutti i suoi comodi e privilegi, rinunciare perfino — nel caso di certi monsignori ed eminenze — ai loro giovani amanti, con i quali si rotolano così comodamente, all’ombra delle sacre stanze, fra un discorso e l’altro dedicato ai poveri… I rancori sono il rancore contro Dio, che non si può manifestare apertamente, e contro gli uomini: specie quelli che non subiscono il ricatto delle vittime di professione, quelli che non si piegano alla tirannide buonista, quelli che non vedono perché l’essere sfortunati dia diritto a un risarcimento. Proviamo a chiederci; perché la Comunità di sant’Egidio vuole colpevolizzare il mondo intero, ogni inverno, per la morte dei barboni che vivono nelle nostre città e soccombono al freddo e alla fame? Una cosa è aiutare il prossimo; un’altra cosa, e ben diversa, è puntare il dito contro tutti quanti, ogni volta che capita qualcosa di brutto a un essere umano. Non è detto che ogni volta ci sia un colpevole; al contrario, è possibile che gli altri, il comune, la parrocchia, i vicini di casa, abbiano fatto tutto quel che potevano; e così lo Stato; e può anche succedere che qualcuno non ce la faccia, non per colpa dell’indifferenza altrui, ma in conseguenza delle proprie scelte di vita. Se qualcuno non ha voglia di lavorare, se qualcuno è drogato o alcolizzato; se qualcuno entra ed esce dalle carceri perché vive disonestamente: non è detto che la colpa sia sempre della società cattiva, qualche volta – chi lo avrebbe mai detto? Rousseau no di certo, e i suoi nipotini odierni nemmeno, magistrati progressisti in testa — potrebbe anche essere colpa sua. Se siamo dotati di libero arbitrio, almeno. Altrimenti, tanto vale dire che qualsiasi cosa accade di male, nell’universo, è sempre colpa di qualcun altro. Una comitiva di speleologi si caccia nei pasticci, entra in una caverna durante la stagione delle piogge, si mette a rischio della vita? Ma è chiaro: se costoro moriranno, la colpa sarà del mondo cinico e indifferente, o forse della montagna cattiva o delle piogge assassine. È successo, come tutti ricorderanno, in Thailandia: e l’imbecille maggiorenne che ha portato nella grotta una comitiva di ragazzini, e causa della cui imbecillità uno dei soccorritori è morto annegato, è stato fatto passare per un eroe nazionale, quasi per un santo: mancava solo che gli erigessero un monumento. Sì, avrebbero dovuto davvero costruirgli un monumento: un monumento all’idiozia. A lui sì, qualcuno avrebbe dovuto fare causa: se non altro lo Stato, costretto a sborsare somme enormi per tirar fuori dal pericolo lui e i suoi ragazzini. Ma questo è un discorso che nessuno si è permesso di fare, perché sarebbe stato troppo politicamente scorretto.
Dunque, tornando ai santegidini e a tutti i catto-progressisti dell’universo mondo, è chiaro a cosa mirano, ormai: a far sentire perennemente in colpa l’umanità, a cominciare dal popolo italiano — che è notoriamente cinico, egoista, crudele, strafottente — per ogni singolo bambino che muore di fame nell’Africa sub-sahariana; per ogni singolo barcone che rischia di affondare nelle acque del Mediterraneo; per ogni singolo rom che viene sfrattato dalle case abusivamente occupate; per ogni singolo barbone, preferibilmente di colore, che viene trovato morto di freddo nelle notti invernali, in qualche sottoscala o su qualche panchina. È chiaro: è colpa nostra, colpa della nostra durezza di cuore, della nostra insensibilità. È successo l’altro giorno in una cittadina del Veneto profondo, Castelfranco, in provincia di Treviso: un barbone marocchino di 37 anni è stato trovato morto. Subito i santegidini hanno puntato il dito, il gesto che sanno fare meglio, è hanno accusato: Questa morte di poteva evitare; non c’è stata sufficiente attenzione nei confronti di quel poveretto. Il sindaco, sdegnato, ha risposto esprimendo il suo cordoglio per quella vita interrotta, ma negando che il comune sia stato insensibile. Del resto, scene identiche si registrano ovunque, da Roma a Bologna: muore un clochard e subito la Comunità di Sant’Egidio, o qualcun altro che la pensa a quel modo, punta l’indice e accusa: Si poteva evitare! Quelle morti sono da addebitarsi alla mancanza di carità, di accoglienza, di attenzione per gli immigrati. In verità, non ricordiamo una mobilitazione così compatta quando, fino a un po’ di anni fa, a morire di freddo erano solo i barboni italiani. Allora non si allestivano pranzi e dormitorio nelle chiese; non si riduceva la stupenda, mistica basilica di Santa Maria in Trastevere in una trattoria piena di tavoli, piatti e bottiglie, gente che mangia e beve, gente che ride e scherza, il tutto davanti all’altare ove per più di mille anni si è celebrato il sacrificio eucaristico, e, se non andiamo errati, lo si celebra tuttora. Perché, non ci sono sufficienti spazi nei saloni parrocchiali, nei seminari ormai deserti, in tutte le case di riposo riservate al clero, per allestire mense e dormitori? Bisogna proprio farlo in chiesa? Sì, se si nutre un profondo, ma inconfessato rancore verso Dio. Tu, o Dio, sei così insensibile da far morire di freddo i povero clochard; e noi ti puniamo così: facendo entrare i clochard nelle tue chiese, trasformandole in ostelli per i poveri. È anche quello un modo di fargliela pagare: desacralizzare le chiese. Le chiese sono fatte per pregare, e soprattutto per rinnovare il mistero del sublime Sacrificio di salvezza di Cristo, e offrirlo a Dio. Ma Dio è degno di una tale offerta, quando ci sono delle persone che muoiono di stenti, che non hanno abbastanza cibo né il modo di scaldarsi? Persone di colore, ripetiamo: finché i poveri erano "solo" italiani, tanta mobilitazione non si era mai vista. E non si era mai visto un papa gettare una corona di fiori in mare e dire a voce alta: Vergogna!, alludendo alla morte in mare di un gruppo di africani che cercavano di passare in Italia. Eppure, di italiani morti per mancanza di lavoro, ad esempio sucidi, che hanno lasciato soli e indigenti i figli e le mogli, ce ne sono stati, eccome, in questi anni di crisi. Mai però abbiamo udito un papa sibilare: Vergogna! Forse perché i colpevoli di quelle morti vanno cercati fra gli speculatori finanziari, che hanno messo in ginocchio la nostra economia, ma che sono, guarda com’è piccolo il mondo, gli stessi che ora finanziano generosamente le organizzazioni non governative, affinché "salvino le vite nel Mediterraneo" (perché è noto che le vite si salvano incoraggiando i migranti a imbarcarsi); e chi non è d’accordo vada all’inferno, vade retro Salvini, come intima il giornale ex cattolico Famiglia Cristiana? È una bella domanda, questa: nessuno sputa nella mano che gli dà il cibo, non è vero?
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