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Uomini siate, e non pecore matte

Scrive Dante, nel V canto del Paradiso (74-81): Avete il novo e l’l vecchio Testamento, / e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida; / questo vi basti a vostro salvamento. / Se mala cupidigia altro vi grida, / uomini siate, e non pecore matte, / sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida! Ora, a parte l’evidente e intollerabile antigiudaismo del sommo Poeta (che fa il paio, per altro, con il suo anti-islamismo: al punto da mettere Maometto all’inferno, squartato da un demonio con la spada), il quale fa correre fremiti d’orrore e di disgusto in tutti gli ecumenisti e i fautori del dialogo interreligioso, in tutte le anime belle delle marce per la pace di Assisi, in tutti i preti con la sciarpa arcobaleno e i vescovi di strada (perché non si può ignorare che Dante, all’inferno, ci mette anche i sodomiti), per non parlare del signore argentino che bacia il Corano, bacia la Bibbia protestante, e poi, avendo esaurito i baci, annuncia trionfante, motu proprio, che i Giudei sono dispensati alla conversione al Vangelo, perché sono già eletti, salvi e beati in anticipo, e non parliamo di bazzecole come la crocifissione di Cristo, la lapidazione di santo Stefano o la decapitazione di san Giacomo, a parte tutti questo, una cosa resta chiara ed evidente: che alle pecore matte si può rifilare qualunque fandonia, quando si tratti di scusare i loro peccati e assecondare i loro vizi, perché quella è la musica che piace ai loro sensibili orecchi. E poco importa se lo spettacolo, visto da fuori, è comico, o tragicomico (sì che ‘l Giudeo di voi tra voi non rida), perché si può anche detestare un avversario, e tuttavia provare un senso di rispetto verso di lui, quando è integro e si batte per ciò in cui crede; ma non si può nutrire alcun rispetto, ma solo disprezzo, per l’avversario che finge di essere quel che non è, che viene a compromessi macroscopici coi suoi stessi principi, che elemosina l’approvazione altrui pur di riuscire gradito, o non del tutto sgradito, alla maggioranza degli uomini: e tale è la condizione in cui sono stati posti i veri cattolici, oggi, dalle manovre della sciagurata setta modernista che ha occupato, con un colpo di Stato, tutte le posizioni chiave della chiesa, agli occhi del mondo e di tutti i recenti e antichi nemici del Vangelo. Costoro non possono che sorridere nel vedere le contorsioni del clero apostatico e di questo falso papa traditore, anche se mostrano deferenza esteriore, perché comunque questi turpi personaggi sono ancora utili, e lo saranno fino a che l’ultimo chiodo della bara sarà stato piantato sulla Sposa di Cristo: dopo di che, staremo a vedere il bel mondo radicale e progressista, gli intellettuali neomarxisti e i politici massoni, e soprattutto i finanzieri della tirannide plutocratica: staremo a vedere che cosa se ne faranno di questi preti senza fede, di questi vescovi sena carità, di questi cardinali senza onore e di questi papi senza timor di Dio. Li congederanno con una pedata nel sedere, se essi non avranno avuto il buon senso di sparire a tempo debito: ora sono ancora utili, ma domani non ci sarà più bisogno di loro, i loro servigi saranno diventati inutili e riceveranno il premio che sempre meritano i traditori: esser spazzati via, con disgusto e con infamia. La loro stessa esistenza fisica sarà intollerabile ai signori del Nuovo Ordine Mondiale, perché potrebbe ricordare qualcosa che dovrà essere dimenticato; e inoltre rammenterà loro il tempo in cui avevano bisogno dei servigi di siffatti individui, di così spregevoli voltagabbana, e quindi la loro presenza evocherà brutti ricordi anche per loro. Ecco perché questa mala setta di apostati, dal signore argentino andando in giù, fino all’ultimo prete di provincia che chiude la chiesa e nega la Messa di Natale ai suoi fedeli "per protestare contro il decreto sicurezza", sono già morti adesso, sono dei cadaveri viventi, e non lo sanno; anzi, nelle loro anime pervertite s’immaginano e si lusingano di essere gli araldi del futuro, i trombettieri di un nuovo e glorioso esercito, che inaugurerà il regno della pace, della giustizia e dell’amore, che ora solo a fatica e con una riserva mentale chiamano il regno di Dio, ma che, nella loro testa, è sempre stato e sempre sarà il regno dell’Uomo, proprio come vuole la massoneria ecclesiastica. Di fatto, Dio è scomparso dai loro discorsi e dalle loro omelie; se ancora si degnano di nominarlo, è solo per brandire quella parola come una mazza sulla testa dei loro nemici, i populisti e i "razzisti" in primis.

Certo, una cosa Dante non poteva immaginare, quando diceva e ‘l pastor de la Chiesa che vi guida: che il papa avrebbe potuto essere eretico, o, per dir meglio, ateo. Il signore argentino è ateo: non lo diciamo noi, lo dicono le persone intelligenti, credenti e non credenti; lo dice, per esempio, e non da oggi, Vittorio Sgarbi. Il papa è ateo e di conseguenza piace agli atei: il segreto del suo successo mediatico, della sua vasta popolarità, è tutto qui. In un mondo ateo, un papa ateo è caduto come la ciliegina sulla torta: era l’ultimo dettaglio che ancora mancava perché il trionfo dell’ateismo fosse completo. Non ci si lasci ingannare dalle apparenze; non ci si faccia ricattare da un senso malriposto di obbedienza e fedeltà al vicario di Cristo. Costui merita obbedienza e fedeltà fino a quando lui per primo si dimostra fedele e obbediente a Gesù Cristo; non ne merita affatto, se si mostra apertamente infedele. Ora, è dal primo giorno, è dal primo istante della sua elezione, che quel signore, eletto al soglio pontificio da una cricca di cardinali massoni e modernisti, meritevoli della scomunica per aver manipolato un atto così importante, mostra apertamente quel che è e quel che vuol fare: è un ateo che vuol distruggere la Chiesa dall’interno. Non ci si lasci suggestionare da alcuna considerazione astratta; si guardino i fatti, si giudichino le azioni e le parole: che cosa non ha fatto e non ha detto, costui, sin dal principio del suo pontificato, che non andasse nella precisa direzione di seminare confusione, smarrimento, amarezza, angoscia, e infine perdita della fede, in milioni e milioni di fedeli, a cominciare dal clero? Ha forse mai cessato di insinuare dubbi, di demolire certezze, di incrinare valori, di aprire spiragli nei confronti di tutto ciò che nega, rifiuta e combatte la verità di Cristo? Per lui, sin dal primo giorno, gli altri sono meglio, mille volte meglio dei cattolici; e del resto, Dio non è cattolico, lo ha detto apertamente. Di che altro c’era ancora bisogno, e parliamo della fase iniziale del suo pontificato? In questi cinque anni, non c’è nulla che costui non abbia fatto, di quanto era umanamente pensabile e attuabile, per sgretolare la dottrina e per demolire la fede dei cattolici; nulla che potesse fare o dire, che non abbia detto e fatto, per dare ragione ai non cristiani e a tutti gli anticristiani. Un papa che bacia il Corano e che si rifiuta di benedire i fedeli? È incredibile: basterebbero questo due soli episodi per qualificarlo per ciò che realmente è. Si rifletta se simili gesti sarebbero stato tollerati solo dieci, quindici anni fa. No, mai. Nessun papa che avesse baciato il Corano e che si fosse rifiutato di benedire i fedeli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, sarebbe rimasto tranquillamente sulla cattedra di Pietro. Ci sarebbe stata una rivolta generale; lo avrebbero costretto a dimettersi, magari con una diagnosi di malattia mentale, tanto per salvare le apparenze. Ma ora costui fa e dice simili cose, e pare che nessuno, o solo pochi, si scandalizzino; pare che alla gente vada bene così. Come mai? Semplice: perché è quel che desiderano, nel loro intimo, la maggior parte dei cosiddetti cattolici: essere sollevati dal fardello della croce, divenuto tropo pesante. E anche questo è logico: il giogo di Cristo diventa leggero solo per chi ha la fede; ma per chi l’ha perduta, sebbene non voglia confessarlo, costituisce un peso insopportabile.

Oggi il cattolicesimo è quasi scomparso. Sopravvive nel cuore e nella vita di un certo numero di persone, consacrate e laiche; ma come religione universale, come visione del mondo che abbia ancora un peso nel panorama delle ideologie contemporanee e nei relativi stili di vita, non c’è più. È scomparso da una cinquantina d’anni; e il de profundis è stato il Concilio Vaticano II. Rinunciando a condannare gli errori del mondo moderno, proclamando il dialogo incondizionato, ponendo la pastorale e la misericordia prima della verità, senza la quale non esiste il Vangelo non esiste la fede, non esiste nulla, il Concilio ha deliberatamente spezzato l’asse portante della Chiesa cattolica. Quel che è accaduto in seguiti, dapprima gradualmente, poi, a partire dal 2013, con un ritmo sempre piè precipitoso, non è che la logica conseguenza di quella rottura. La spina dorsale del cattolicesimo è stata spezzata: il Concilio ha introdotto nella Chiesa lo spirito del mondo, e, a partire dal quel momento, il mondo ha cominciato a dominare la chiesa. Quel che vediamo accadere oggi è naturale, una volta compreso il significato di quell’evento iniziale. Non che il Concilio, di per sé, abbia avuto il potere di distruggere un corpo sano e vigoroso: ma il corpo della chiesa era già malandato, e a stento dissimulava la malattia sotto un’apparenza di salute e di vigore. Di fatto, l’infiltrazione della modernità nella chiesa cattolica, incominciata almeno dal XVIII secolo, cioè con l’illuminismo, non è mai cessata del tutto. Quando Pio X ha condannato il modernismo, era già troppo tardi: eppure quel santo papa è stato accusato di durezza, di mancanza di comprensione e di misericordia; ancora oggi non gliel’hanno perdonata. Ma nel 1907, all’epoca della Pascendi, il male della modernità aveva già intaccato, sotto la superficie, la fibra stessa della vita cristiana: i cattolici si stavano già avviando ad essere tali solo di nome. Sicché quando, settant’anni dopo, i referendum sulle leggi abrogative del divorzio e dell’aborto sancirono la vittoria definitiva dei divorzisti e degli abortisti, fu facile vedere che a quel trionfo avevano massicciamente contribuito proprio i cattolici; ma nessuno, nella chiesa, ebbe il coraggio di trarne le conclusioni e di affrontare di petto la questione, come sarebbe stato doveroso. Fu allora, negli anni ’70, che i cattolici smisero definitivamente di essere cattolici, nella loro maggioranza; e che il clero smise di fare il proprio mestiere, cioè ammonire i peccatori e predicare la penitenza e la conversione a Cristo. Non si può predicare qualcosa in cui non si crede; non si è credibili, e tutti se ne accorgerebbero. Così, forse per decenza, forse per pudore, la maggioranza dei vescovi e dei sacerdoti smisero di battersi sulla morale, poi anche sulla dottrina; si adattarono. Avevano di fronte dei "cattolici" che praticavano, o che approvavano, il divorzio e l’aborto; poi hanno avuto di fronte dei "cattolici" che praticavano, o approvavano, le unioni sodomitiche e l’eutanasia: e hanno finto che non sia successo nulla. Hanno smesso perfino di toccare i temi scomodi, per non infastidire l’uditorio, come un furbo politicante che non parla mai delle cose che potrebbero indispettire il suo elettorato. Anzi, la loro improntitudine e la loro misera furbizia è giunta al segno che non di rado, sono proprio loro, i preti progressisti e i vescovi modernisti, a prendere l’iniziativa, ad anticipare le tendenze del mondo: e trasformano le chiese, perfino durante la santa Messa, in oscene passerelle, dove si presentano all’ammirazione dei fedeli delle coppie omosessuali, e si auspica un sollecito riconoscimento, da parte della chiesa, di questa forma di amore "coniugale"; oppure organizzano, sempre dentro le chiese, le veglie di preghiera per allontanare quella orribile calamità che incombe sul gregge di Cristo e sulla società tutta, che è… l’omofobia. Ma in questo modo, la chiesa è già morta. È morta una chiesa dove si tace sul peccato e non si predica più la conversione: è un cadavere vivente, dove si praticano rituali sempre più stanchi ed esteriori. Del resto, la cosiddetta riforma liturgica, diretta dall’arcivescovo massone Annibale Bugnini, e la nuova Messa di Paolo VI avevano già ampiamente desacralizzato i riti della religione cattolica, portandoli su un piano sempre più scopertamente umano e immanente. Via la trascendenza, via il senso del mistero, via il senso del sacro: fino alla nemesi odierna, con le chiese trasformate in sale da pranzo e in dormitori per la gioia di tutti i cattolici progressisti che, così facendo, credono di mostrarsi più zelanti e misericordiosi dei cristiani che li hanno preceduto in questi duemila anni. Ma se era tutto così chiaro e così semplice, perché sant’Agostino e san Tommaso non l’hanno insegnato? Perché Leone Magno, Gregorio VII, Innocenzo III non hanno aperto le chiese ai poveri e le hanno adoperate per allestire mense e dormitori? Perché Pio IX non lo ha fatto, e neppure Leone XIII, l’autore della Rerum Novarum, che pure era così sensibile alle questioni sociali? E san Giovanni Bosco, l’educatore perfetto, l’amico dei giovani "difficili", perché nemmeno lui lo ha fatto? E il santo curato d’Ars, perché non dava da mangiare ai poveri della sua parrocchia dentro la chiesa? Perché tutti costoro non dicevano Vade retro Cavour, vade retro Rattazzi, vade retro Crispi? Eppure, quegli uomini politici hanno agito con durezza immensamente maggiore del governo attuale, verso la Chiesa o verso i "poveri"; solo che non erano poveri di colore, ma poveri italiani. Mentre oggi, questi vescovi di strada e questi preti progressisti hanno occhi e orecchi solo per il dramma dei migranti, e la loro lingua sa parlare solo di loro, dei loro diritti, e del nostro dovere di accoglierli. E nemmeno una parola sul dramma delle decine di milioni di cristiani perseguitati in una ventina di Paesi, fra Africa e Asia: quegli stessi Paesi da dove, ora, partono le ondate dei sedicenti profughi. Paesi nei quali essere cristiani è un delitto, e si rischia la vita ogni volta che si entra in una chiesa: come i copti dell’Egitto, che pure è un Paese islamico moderato…Ma il problema è la perdita della fede, e tutta l’ipocrisia intellettuale e morale che ne deriva. Alle pecore matte si può rifilare qualsiasi "verità": credono a tutto, purché non le si disturbi nei loro vizi. Si può perfino puntare il ditino contro il governo, come fa il cattocomunista Delrio, perché esso attenta alla dignità del parlamento: lui che da ministro dei Trasporti ignorò due interrogazioni parlamentari sul ponte Morandi; proprio lui, ora, punta il ditino…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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