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Destra e sinistra: che ne è stato?
21 Dicembre 2018L’antica chiesetta di Santa Caterina d’Alessandria, un modesto edificio a pianta rettangolare di dodici metri per otto, sorge, geograficamente, appena fuori del comune di Udine, in quello di Pasian di Prato, mentre fa parte della parrocchia di Basaldella; nondimeno, è giusto soffermarci su di essa, sia per l’estrema vicinanza al capoluogo di cui la frazione di Santa Caterina è solo il prolungamento lungo l’asse di viale Venezia, sia soprattutto perché alcuni lavori di restauro, eseguiti nel 1993, hanno permesso di riportare alla luce degli affreschi del 1200 e del 1300 che erano stati dimenticati e che sono di notevole valore artistico e di altrettanta importanza sul piano storico. La piccola chiesa è stata edificata nel luogo in cui, fra il 1300 e il 1400, cioè quando la città raggiunse il massimo livello di espansione commerciale e demografica — tanto è vero che si decise di realizzare la quinta cerchia di mura, per abbracciare più superficie edificabile possibile — si svolgeva la caratteristica fiera di Santa Caterina, la più importante della città, che poi si è spostata nel centro di Udine, in Giardino Grande, attuale piazza 1° Maggio, nei giorni intorno al 25 novembre, ricorrenza della santa (mentre il santo patrono è sant’Ulderico, che si festeggia il 4 luglio; e lo stemma cittadino, già che ci siamo, è stato ripreso, senza cambiamenti, dalla nobile famiglia dei Savorgnan, tedesca, ma originaria, pare, della Moravia, e che aveva il suo palazzo nella odierna Piazza Venerio). Prima di essa sorgeva una chiesetta più antica e più piccola, costruita fra il 1000 e il 1100 e già affrescata, forse dedicata a San Biagio. Pare che questa fosse stata costruita sopra un edificio ancora più antico, altomedievale, ma non si è potuto stabilire se fosse una chiesa o un insediamento d’altro tipo. La chiesa attuale risale alla metà del 1300 ed è il risultato di una ristrutturazione ed un ampliamento della precedente; fu abbellita da un nuovo ciclo di affreschi, dedicati a Santa Caterina d’Alessandria; ci furono poi altri rimaneggiamenti e restauri, in particolare nel 1500. Durante la Prima guerra mondiale fu usata come ricovero dagli aviatori italiani del vicino aeroporto e poi, dopo Caporetto, dai soldati austro-ungarici, che la ridussero addirittura a scuderia.
L’importanza artistica di questo piccolo, ma affascinante edificio di culto risiede soprattutto nella ricca decorazione a fresco, venuta in luce fra il 1993 e il 2000, di cui si possono ammirare oggi vasti lacerti, che ci permettono di farci un’idea di come dovesse apparire ai fedeli ben sette secoli or sono, intorno alla metà del 1300, allorché venne completato il secondo e più importante ciclo, quello dedicato alle storie di Santa Caterina d’Alessandria, vergine e martire, che subì il supplizio nella sua città natale durante la persecuzione di Diocleziano, nel 305, e il cui culto era molto vivo nel XIV secolo, specie dopo la composizione e la diffusione della celeberrima Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Notiamo di sfuggita che la "falce" del Vaticano II si è fatta sentire anche nel suo caso, poiché, a partire dagli anni ’60, sono stati avanzati dubbi sulla storicità della santa alessandrina, dubbi che si sono concretizzati nella sua espunzione dal Martirologio romano, fra il 1962 e il 2002, senza però che la Chiesa cattolica ne abbia mai proibito la venerazione; salvo essere reinserita nel martirologio ad opera di Giovanni Paolo II, con permissione di celebrarne facoltativamente la memoria il 25 novembre. Ma c’è qualcosa davanti a cui si fermeranno, questi eruditi e biblisti e teologi post-conciliari? O arriveranno, un bel giorno — e qualcuno ci sta già arrivando — a mettere in dubbio anche la storicità di Gesù Cristo? Intanto si accaniscono contro i Santi non ben documentati, ma in realtà hanno di mira il culto dei Santi in se stesso; logico che uno dei primi a essere "colpito" sia stato il culto di San Simonino a Trento — ce ne siamo occupato in un apposto scritto -, perché in quel caso si trattava di ristabilire le buone relazioni con i "fratelli maggiori" ebrei, offesi dalla santificazione di un piccolo martire che evocava la cupa vicenda tridentina del 1475. Per la descrizione degli affreschi del ciclo trecentesco attingiamo al sito www.archeocartafvg.it/, che ringraziamo:
Le scene relative a Santa Caterina d’Alessandria si dispiegano sulla parete laterale destra (6 episodi) per continuare sulla parete laterale opposta (ultimi 3 episodi, con il martirio), mente sulla retrofacciata ricompaiono 4 scene, scelte fra quelle salienti dell’iconografia della Santa. Inoltre, al di sotto del primo episodio sul fianco sud, ne è stato rinvenuto un altro che rappresenta la medesima scena. La sequenza narrativa procede in direzione est-ovest.
L’IMPERATORE MASSENZIO. Si tratta della scena di primo stato rinvenuta al di sotto di quella tipologicamente corrispondente, che è stata staccata e appesa al muri nella zona a fianco. Presenta la figura regale seduta entro una struttura lignea, vestita con elegante manto rosso porpora, presentato di profilo con corona sul capo, la gamba destra accavallata nel tipico atteggiamento di comando, sul ginocchio appoggia la mano sinistra guantata di bianco mentre nel braccio destro, al di là dell’ampia lacuna, si è conservato il dito indice alzato, in segno di comando. Ai suoi piedi un moretto vestito di verde si gira a guardarlo. Vista l’ampia lacuna si può solo ipotizzare che la scena tratti di Massenzio che in Alessandria ordina di sacrificare agli idoli pagani, oppure Massenzio che viene informato su Santa Caterina.
L’IMPERATORE MASSENZIO E ASTANTI. Si tratta del primo episodio, staccato durante il restauro e attaccato su pannello e appeso nella zona adiacente. Molto frammentario, con l’imperatore vestito di rosso, il volto e le mani alzate verso un gruppetto di astanti e probabilmente l’imperatrice identificabile nel busto in alto accanto al marito.
CATERINA VIENE CONDOTTA DALLA MADRE PRESSO L’EREMITA. La giovane in abito chiaro viene condotta dalla madre, che indossa abiti principeschi, presso un eremita raffigurato sulla destra, seduto entro un edificio in laterizio di colore amaranto come il mantello. Altri personaggi accompagnano i tre protagonisti, ma la grossa lacuna ci priva dei loro volti.
BATTESIMO DI CATERINA. L’eremita si è alzato per battezzare Caterina, che nuda, si è inginocchiata dinanzi a lui e china il capo. La accompagna tenendole le spalle un personaggio maschile con abito rosso scuro. Alle loro spalle un gruppetto di astanti tra cui spiccano parecchi personaggi femminili.
MATRIMONIO MISTICO DI SANTA CATERINA. D’ora in poi Caterina viene raffigurata con l’aureola e in questi ultimi episodi sulla parete destra indossa sempre il medesimo abito a vistosi scaglioni a zig-zag in colori alternati. Sulla destra del riquadro la Madonna è seduta su una panca e il piccolo Gesù si sporge sulle sue ginocchia per dare l’anello alla giovane Caterina che sta in piedi lì davanti, accompagnata sul retro dalla madre (riconoscibile dalla corona) e dalle altre dame.
CATERINA ALLA PRESENZA DELLA MADRE DISPUTA CON L’IMPERATORE. Caterina è dipinta al centro con il viso rivolto verso la madre posta sulla sinistra del riquadro. Accanto alla madre, scalati verso il centro della sena alle spalle di Caterina, sono dipinti degli astanti. Sulla destra la figura intera di quello che pare essere l’imperatore che, vestito di rosso, guarda verso Caterina.
CATERINA DISPUTA CON I FILOSOFI. La Santa occupa l’estremità sinistra della scena, mentre tutto il resto del riquadro è riservato al nutrito gruppo di filosofi, convocati dall’imperatore. I quattro al centro sono abbigliati con lungo mantello rosso scuro, con cappuccio alzato sul capo e bordato di ermellino, sulla destra in alto si intravedono ulteriori teste di astanti.
Le storie di Santa Caterina proseguono sulla parete di fronte, con i tre episodi dipinti nella zona più orientale dell’aula (di fronte c’era, all’epoca, il vano sacrestia). I riquadri prevedevano in alto, in una fascia bianca, iscrizioni didascaliche riferite alle singole scene.
MASSENZIO CONDANNA SANTA CATERINA AL SUPPLIZIO DELLA RUOTA (?). La scena si presenta estremamente lacunosa. Sicuramente l’imperatore seduto in trono con gesto di comando verso un soldato che gli sta di fronte è Massenzio. I frammenti di ali di angelo in alto è l’indizio che propendere per la scena indicata.
TRASPORTO DI SANTA CATERINA SUL SINAI (?). Rimangono solamente i due lembi estremi della scena che raffigurano due angeli, dalle ali riccamente rese nel piumaggio.
DECAPITAZIONE DI SANTA CATERINA. L’imperatore in trono ordina ad un soldato l’uccisione di Santa Caterina, che viene decapitata da uno sgherro sulla destra che aveva sfoderato la spada, mentre sul collo della giovane si vede la ferita sanguinante.
Segue un ciclo minore, dedicato alle storie di un’altra santa, Santa Lucia. Sono quattro episodi che raffigurano il giudizio do condanna del procuratore romano, la comunione della Santa e il suo seppellimento. Sulla controfacciata della chiesa, un altro ciclo dedicato ancora a Santa Caterina d’Alessandria: il suo matrimonio mistico; la tortura della ruota; il martirio; il seppellimento sul Monte Sinai. Completano la decorazione di questa affascinante chiesetta medievale gli affreschi di quella che era l’antica sacrestia, che rappresentano il profeta Daniele, un Santo vescovo non identificato, in abiti pontificali, una Crocifissione con la Madonna e San Giovanni ai lati della Croce e con Santa Maria Maddalena e San Francesco, inginocchiati, ai piedi di essa. L’autore, o meglio gli autori dell’intera decorazione a fresco, sono ignoti; certo vi è stata una collaborazione di diversi artisti ed aiutanti, ma il risultato complessivo è fortemente unitario. Il fedele che entra in questo luogo si sente avvolto da un’aura mistica: le storie di Santa Caterina d’Alessandria e di Santa Lucia, storie che parlano di fede, di coraggio, di passione e d’incrollabile aspettazione della vita eterna, sono di per se stesse altamente edificanti e ricordano la verità fondamentale della antropologia cristiana: che la vita terrena è solo un passaggio, con tutta la sua gloria, sovente illusoria, e con tutte le sue pene: e la sola cosa che resta è il Cristo, al cui giudizio tutti dovranno un giorno sottostare. Ed è proprio in un luogo come questo, carico di storia e impregnato delle preghiere di generazioni di fedeli, nonché santificato dalle cento e cento volte in cui il sacerdote alzò il calice con l’offerta a Dio (a Dio, non ai fedeli) della Carne e del Sangue del suo divino Figlio, che si può misurare tutta l’inanità, l’imprudenza o, peggio, la sconsideratezza di quei cattolici, a cominciare da certi teologi, quelli della svolta antropologica, i quali sono convinti che, con la Rivelazione cristiana si debba procedere esattamente come con qualsiasi altro libro o qualsiasi altra tradizione, cioè passando al setaccio filologico ogni singolo elemento, tagliando ed eliminando tutto ciò che non trova una conferma assolutamente certa e incontrovertibile sul piano rigorosamente scientifico.
Ora, a parte il fatto che non tutto può esser documentato, storicamente, con assoluta certezza (ma la stessa cosa, a ben guardare, vale anche per molti aspetti della storia profana), resta il fatto che la divina Rivelazione è un tutto indivisibile, e così la dottrina che la racchiude e la esprime, per cui non si possono tagliare a cuor leggero singole parti — non si può, ad esempio, cambiar la traduzione del Padre Nostro dopo duemila anni che viene recitata in un certo modo – senza che tutta la dottrina ne risenta. E non solo la dottrina, ma anche la liturgia: è un tutt’uno, come un vestito confezionato in un unico taglio di stoffa; ogni più piccola modifica deve essere ponderata infinite volte, perché quel che pare moderno oggi, sarà vecchio domani, e il segreto della perennità è che essa non si cura di aggiornamenti o di ristrutturazioni. Ma, soprattutto, la dottrina cattolica, così com’è, o meglio, com’era fino al Vaticano II, esprimeva una visione mitica del mondo: intendendo con tale espressione un qualcosa che è al di sopra, non al di sotto, di una visione meramente razionale, anzi, razionalista e scientista. Il mito di cui è intessuta può essere paragonato, semmai, al mito come lo intendeva Platone: una maniera simbolica di esprimere una verità profonda, che sfugge a un’analisi di tipo esclusivamente logico-scientifico. Il mito della caverna, per esempio, non va inteso nel senso letterale, come se un uomo fosse stato davvero imprigionato, eccetera, ma in senso figurato: è vero che l’uomo inconsapevole si trova nelle stesse condizioni di un prigioniero relegato nelle profondità di una grotta; ed è vero che egli tenderà a interpretare in maniera erronea le cose che riuscirà a vedere, provenienti dal mondo esterno, perché gli manca la nozione di cosa è il mondo all’aria aperta. Allo stesso modo, è semplicemente stupido discettare se il Mar Rosso si sia aperto materialmente davanti a Mosè in exitu Israel de Aegypto: la verità della narrazione biblica non è materiale, ma simbolica. Quanto c’è di simbolico e quanto di letterale nei racconti delle Scritture e specialmente nei testi del Nuovo Testamento, quelli che ci parlano della vita di Gesù e quelli nei quali si delinea la prima teologia cristiana? Ecco: questa è una domanda da eruditi, da filologi, non da fedeli cattolici. Chi si pone davanti alla Rivelazione con la mentalità di un filologo è già fuori dalla giusta prospettiva: ha già perso la fede, e cerca dei pretesti per giustificarsi. Ricordiamo la verità essenziale: che se la Chiesa non sa convertire il mondo, sarà il mondo a convertire la Chiesa…