Non è sano amare il silenzio? Bergoglio bestemmia
11 Novembre 2018
Omaggio alle chiede natie: Santo Stefano
12 Novembre 2018
Non è sano amare il silenzio? Bergoglio bestemmia
11 Novembre 2018
Omaggio alle chiede natie: Santo Stefano
12 Novembre 2018
Mostra tutto

Omaggio alle chiese natie: Santa Barbara

Parlare dell’antica chiesa di Santa Barbara, oggi non più esistente, significa parlare di piazza dei Grani, dove sorgeva; e parlare di piazza dei Grani vuol dire parlar del Palazzo Torriani, del quale era la cappella privata; e parlare del Palazzo Torriani equivale a rievocare una delle pagine più brutte, probabilmente la più brutta in assoluto, della storia di Udine: quella del crudele Giovedì Gasso (Crudel Joibe Grasse) del 1511, quando, sull’onda di una selvaggia rivolta contadina, si consumò una breve ma spietata guerra civile e il sangue fraterno corse e fiumi. Non è questa la sede per farlo: basti dire che la Patria del Friuli, caduta sotto il dominio veneziano nel 1420, ai primi del ‘500 era sconvolta da fortissime tensioni sociali, politiche e religiose. Due partiti si fronteggiavano, quello filo-veneziano degli Zamberlani (o Zambarlani), capitanato da Antonio Savorgan, ma formato soprattutto da contadini, e quello filo-imperiale degli Strumieri, formato dalle più antiche casate nobiliari, capeggiate da Alvise della Torre e Giulio Porcia. Il 27 febbraio 1511, giorno di giovedì grasso, un falso allarme circa un imminente attacco tedesco — si era nel mezzo della guerra della Lega di Cambrai, e truppe imperiali effettivamente scorrazzavano sotto le mura della città — fornì il pretesto per un assalto generale ai palazzi dei nobili, probabilmente concertato e comunque subito strumentalizzato da Antonio Savorgan. Nel giro di poche ore la città fu sconvolta da scene di una violenza raccapricciante, resa ancor più esecrabile dagli oltraggio che la folla imbestialita perpetrò sui cadaveri.

Già da quasi due anni i contadini del Friuli erano inquieti, infatti sin dal 30 luglio 1509 avevano preso d’assolto il castello di Sterpo, di proprietà dei Colloredo. In città si scatenò una caccia all’uomo che vide la morte di molti Strumieri; i contadini, dopo il massacro, indossarono gli abiti dei morti e sfilarono per la città imitando le mascherate del Carnevale. In seguito la rivolta venne domata, i Da Porcia guidarono la controffensiva degli Strumieri e Antonio Savorgan, costretto a fuggire (ironia della sorte) in territorio imperiale, fu raggiunto dalla vedetta mentre usciva dalla chiesa di Villaco, e assassinato a sua volta. Un mese dopo il Crudele Giovedì Grasso ci fu un disastroso terremoto, che, fra le altre cose, abbatté anche il Castello dei Patriarchi, poi ricostruito; per completare il quadro disastroso si scatenò una terribile pestilenza. Tutta quella vicenda è stata narrata da un testimone diretto, umanista udinese Gregorio Amaseo (1464-1541), che fu avvocato, giudice e professore di latino e greco, sposta dosi fra Udine, Padova, Venezia e Bologna, col titolo chilometrico Historia della crudel zobia grassa et altri nefarii excessi et horrende calamità intervenute in la città di Udine et patria del Friuli (pubblicata solo nel 1884, a Venezia), che però è di limitato valore storico perché l’autore, schierato apertamente dalla parte degli Strumieri, non si sforza affatto di essere sereno nei suoi giudizi e anzi mette nella peggior luce possibile Antonio Savorgnan.

Ci affidiamo, per ricostruire quella pagina tremenda della storia cittadina, al libro di Gino di Caporiacco, Udine. Appunti per la storia (Udine, Arti Grafiche Friulane, 1972, 1976, pp. 103-104):

La mattina del giovedì grasso 27 febbraio 1511, Antonio [Savorgnan] fece correre in città la voce che i tedeschi saccheggiavano Pradamano, a tre miglia da Udine. Si suonò allora la campana del castello, il popolo si raccolse furente, altri contadini furono pronti a entrare in città e la folla inferocita si gettò all’assalto della casa dei della Torre.

Il Savorgnan, allora, si mostrò sbigottito. Corse dal luogotenente, gli disse che bisognava far subito qualcosa, lo indusse a recarsi sul posto. La folla insolentì il rappresentante del governo veneto, e, mentre i della Torre fuggivano temendo di essere presi ed uccisi, gli assalitori entrarono nelle loro case, le saccheggiarono e vi appiccarono il fuoco.

Cominciò a correre per le strade di Udine il terrore. Le case di Gian Battista Candido, di Francesco di Cergneu, di Troiano Percoto, dei Soldonieri, di Leonardo Gubertini, di Sebastiano Tommasi, di Agostino di Partistagno, di Polidoro e Gian Leonardo della Frattina, di Albertino di Colloredo, di Giovanni Candido, di Battista Bertolini, di Antonio di Brazzacco, di Marzio Valentini, di Pietro Urbano di Castello, di Troilo Arcoloniani, di Federico di Colloredo, di Giacomo di Castello furono prese, saccheggiate e bruciate.

Furono uccisi Luigi, Isidoro e Nicolò della Torre Teseo di Colloredo, Federico di Colloredo, il Soldonieri, Leonardodo della Frattina, Battista Bertolini e Apollonio Gorgo "che furono fatti giacere ignudi… per la via, senza che alcuno osasse aprir bocca… e la notte furono sepolti senza esequie in una fossa comune nella chiesa maggiore".

Il giorno seguente fu carco di tensione. Il 1° marzo arrivarono da Gradisca cento cavalieri e l’ordine fu, in qualche modo, ristabilito. Non così nelle campagne. Furono bruciati e saccheggiati molti castelli.

Una grave pestilenza scoppiò dopo questi fatti sanguinosi (Candido) e un terrificante terremoto devastò il Friuli, il 26 marzo. Fu distrutto, tra gli altri, edifici, anche il castello di Udine e parve il segno di un disfacimento che aveva ormai toccato il suo acme. Crollarono a che parte della chiesa di Santa Maria e il vecchio campanile. Dell’antico castello patriarcale non rimasero in piedi che pochi muri

Molti friulani videro in quegli avvenimenti un castigo del Cielo e forse un annuncio di quanto scritto nell’Apocalisse. Durante i moti sanguinosi del 27 febbraio anche il palazzo dei Torriani che sorgeva nella odierna piazza XX Settembre venne distrutto, sia pure non completamente, per essere ricostruito dopo che l’ordine fu ripristinato in città con la sconfitta degli Zamberlani e l’esecuzione sommaria dei loro capi. Ciò avvenne per opera di Girolamo della Torre nel 1540, quasi trent’anni dopo la distruzione del Giovedì Grasso. Ma ecco che appena quarant’anni dopo, nel 1580, i della Torre vendettero il loro palazzo ad Antonio di Martino Marchesi, un mercante di origine tedesca che aveva un negozio di Ferramenta nella via Mercatovecchio, all’insegna Del Gesù. Dopo la ricostruzione, il palazzo rimase in piedi per quasi altri due secoli, finché il governo veneziano emise una condanna a morte nei confronti di Lucio Sigismondo della Torre, feudatario di Villalta, capo di una banda di briganti, ladro, stupratore e assassino, giustiziato a Gradisca d’Isonzo il 3 luglio 1723, e decretò la distruzione del suo palazzo (cfr. Arduino Cremonesi, Udine. Guida storco artistica, Arti Grafiche Friulane, 1978, pp. 76-77, 147). E se a qualcuno sembrasse troppo severa la pena che gli venne inflitta, tenga presente che, fra le altre cose, costui aveva sferrato una bastonata a sua moglie, colpendo, però, il suo stesso figlioletto, che rimase ucciso; dopo di che non mostrò mai segni di rimorso e anzi pare che fosse più infastidito dal pianto disperato della povera donna che dalle conseguenze del suo gesto. Quando lasciò la testa sul patibolo, questo fior di galantuomo aveva appena ventisette anni.

Quando il palazzo di città di Lucio della Torre venne abbattuto, era il 1717 e tre sole cose si salvarono dalla demolizione: le due imponenti statue di Ercole e Caco (familiarmente note coi nomi scherzosi di Florean e Venturin), che gli udinesi delle ultime generazioni, giovani e vecchi, hanno sempre visto sul rialzo di piazza Libertà (anticamente chiamata Contarena, dal nome di un luogotenente veneziano), che una dedica posta dopo il 1797 dice dono dei Torriani alla città, mentre sono il frutto della requisizione decisa dal governo veneziano; e la chiesa annessa alla dimora gentilizia, che venne risparmiata perché era un edificio sacro. Va notato che questa cappella, in origine, era dedicata a San Martino. Fu solo dopo la confisca e la demolizione del palazzo che essa venne concessa alla Confraternita dei Bombardieri e divenne perciò nota come chiesa di Santa Barbara, la protettrice degli artiglieri. A quell’epoca era già stata spogliata sia dei quadri che delle campane, che furono venduti a dei privati. La fine di questa vecchia chiesa di Udine venne con la caduta della Repubblica di Venezia, nel 1797: il corpo dei bombardieri venne sciolto, la facciata in pietra venne rimossa e l’edificio, così mutilato e ormai sconsacrato, venne destinato ad abitazione privata.

Come annota Giovanni Battista della Porta nel la sua preziosa opera Memorie su le antiche case di Udine

Scrive Maurizio Buora nella sua Guida di Udine (Trieste, Lint, 1986, p. 264):

Il vasto spazio in cui si trova la platea sopraelevata [di piazza XX Settembre] , di giorno completamente invasa dalle automobili parcheggiate, era fino al 1717 occupata dal palazzo Torriani, di cui restano disegni del’epoca. In quell’anno il Consiglio dei Dieci di Venezia condannò a morte il ribaldo conte Lucio (di protagonista di un omonimo romanzo storico ottocentesco di G. Marcotti), ne fece confiscare le proprietà (di qui l’antico nome di "piazza del Fisco") e ordinò di raderle al suolo. Si salvarono le due statue colossali dette di Ercole e di Caco, che allora furono trasportate davanti alla loggia del Lionello e la cappella privata del palazzo, in quanto edificio sacro, la quale passò alla confraternita dei Bombardieri, la quale vi venerava la propria protettrice. A perenne ricordo fu eretta nella piazza così ottenuta una colonna d’infamia, abbattuta solo nel 1798. In verità o della Torre si schierarono sempre dalla parte dell’impero piuttosto che da quella veneziana e perciò il loro palazzo fu assalito e distrutto una prima volta già nel 1511. In seguito, dopo la venuta degli Austriaci, l’area fu restituita ai della Torre, e rimase proprietà privata fino al 1868, quando fu acquistata dal Comune che intendeva spostarci il mercato delle granaglie (che diede origine al vecchio nome "mercato dei grani") nell’area in cui prima si vendevano polli e anche pesce (ne conserva il ricordo il nome della "Trattoria alla pescheria", ricostruita al posto di un edificio distrutto da un bombardamento dell’ultima guerra).

E la chiesa di Santa Barbara, che fine ha fatto? Abbiamo visto che, dopo la firma del Trattato di Campoformio, che concludeva in maniera poco gloriosa la gloriosissima e più che millenaria storia di Venezia, i bombardieri vennero rimandati a casa e la cappella, un tempo dedicata a San Martino, trasformata in abitazione privata, dopo aver perso tutti i suoi preziosi arredi. Uno, però, si è salvato, ed è stato trasportato nella chiesa di San Pietro Martire: si tratta del terzo altare del lato sinistro, dedicato a Sant’Antonio di Padova, ornato con una statua del Santo di Giuseppe Torretti. Intanto, nel 1799, l’intendenza di Finanza di Venezia riconosceva le buone ragioni dei fratelli Antonio e Raimondo della Torre, i quali avevano intentato causa per ottenere la restituzione della loro antica proprietà di famiglia. Così la chiesa, ormai irriconoscibile, con l’intero fondo, ritornò agli antichi proprietari, mentre la colonna d’infamia veniva abbattuta: un riconoscimento del governo austriaco nei confronti di una famiglia di nobili friulani che era sempre stata favorevoli alla casa d’Asburgo. Nel 1815 ebbe luogo l’istanza per ridurre l’ex chiesa ad abitazione privata, dopo di che perdiamo definitivamente le tracce di questo importante manufatto, mentre la proprietà passava dai della Torre agli Antiveri, da questi agli Angeli e infine al Municipio di Udine, che decise di adibirla a piazza per il mercato dei grani.

Fa una certa impressione pensare che la piazza XX Settembre, con il bel palazzo Kechler, in stile neoclassico sul lato ovest, il palazzo INA in stile liberty sul lato nord, e la cosiddetta Casa Veneziana sul lato est, in stile gotico veneziano (la quale sorgeva un tempo in via Rialto, dietro la Loggia del Lionello, ed è stata smontata e ricomposta qui nel 1929), ospitava proprio al centro, dove ora c’è un rialzo adibito a parcheggio, il palazzo Torriani (che non va confuso con quello di via Marinoni, già palazzo Manin). È suggestivo pensare che lo spazio vuoto di oggi si è creato in seguito alla demolizione di quell’antico edificio, abbattuto parzialmente una prima volta, a furor di popolo, nel 1511, e la seconda, definitivamente e minuziosamente, pietra su pietra, per ordine del governo veneziano, nel 1717, in punizione degli orrendi delitti del suo proprietario. Oggi, specie in cere parti d’Italia, pare che sia un’impresa quasi impossibile, per le pubbliche autorità, abbattere anche solo una qualsiasi villetta abusiva, costruita magari in un luogo pericoloso dal punto di vista idrogeologico; mentre la Repubblica di Venezia, ancora nell’ultima fase della sua storia, e ormai prossima al tramonto, sapeva mostrare il volto severo della legge, senza guardar in faccia ai membri di un nobile casato, né farsi troppi scrupoli per la distruzione di un bene che, oggi, sarebbe quasi certamente protetto da un vincolo delle Belle Arti. Sarà per questo che è durata più di mille anni?

Fonte dell'immagine in evidenza:

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.