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Omaggio alle chiese natie: San Tommaso

La familiarità con le persone che vediamo quasi tutti i giorni, o con le quali addirittura viviamo, fa sì che non percepiamo in maniera oggettiva gli effetti operati su di loro dal trascorrere del tempo: è come se scorressero davanti ai nostri occhi così lentamente, così gradualmente, che quasi non li notiamo, così come è impossibile, fissando la lancetta dei secondi di un orologio, vederla muoversi, anche se ci rendiamo conto che si sta realmente muovendo. Se, però, rivediamo una persona a noi ben nota, una persona che ci è stata cara, a distanza di parecchio tempo, a distanza di venti anni, o trenta, ecco che le zampate degli anni trascorsi ci appaiono in maniera vistosa, quasi intollerabile: ricordavamo un viso giovane, un corpo elastico, una pelle morbida e liscia, e invece quelle rughe, quella rigidità di movimenti, quelle pieghe sotto gli occhi, quelle macchie di melanina sulle mani, producono su di noi un effetto sconvolgente. Stentiamo a credere ai nostri occhi, siamo turbati, scontenti, amareggiati, come se fossimo stato traditi, defraudati di qualcosa che ci apparteneva, che era nostro: ma come è possibile che lui, o lei, siano proprio quelli? No, deve esserci uno sbaglio; eppure… Naturalmente, questa sensazione di straniamento, di stupore e di delusione, è maggiore o minire a seconda dei casi; ci sono persone sulle quali il trascorrere del tempo produce effetti vistosissimi, magari nel giro di pochi anni, magari di un solo anno; e che ne sono altre le quali, al contrario, "invecchiano bene", conservano a lungo la loro freschezza, la loro espressione giovanile, le loro movenze di un tempo. Non siamo tutti uguali e non tutti subiamo allo stesso modo l’opera modificatrice dell’invecchiamento: c’è chi la subisce in maniera rapida e impressionante, ad esempio chi perde i capelli quasi del tutto, o chi incanutisce interamente, e chi si mantiene simile a com’era da ragazzo, al punto che, visto da lontano, sembra che sia rimasto quasi lo stesso; tanto che non posiamo fare a memo di domandarci: Ma dunque ha fatto un patto col diavolo, costui, per conservare l’eterna giovinezza? È quasi inutile dire che l’effetto modificatore del tempo sulle persone dipende, in larga misura, dal legame che noi avevamo con esse: e questo è un fattore decisamente soggettivo, non oggettivo. Se eravamo molto legati a una certa persona, ma poi, per qualche ragione l’abbiamo persa di vista, e abbiamo tuttavia conservato un legame affettivo nei suoi confronti, il fatto di rivederla, forse per caso, a distanza di due, tre decenni, o anche di più, e trovarla assai cambiata, ci colpisce come un pugno nella stomaco, ci lascia senza fiatato. Infatti, per qualche giorno non riusciamo a dissipare da noi la triste impressione che quell’incontro ci ha provocato; oltretutto, sentiamo che se n’è andato anche un bel pezzo della nostra vita, e cominciamo a sospettare, magari per la prima volta, che impressioni e sensazioni simili provano anche gli altri nei nostri confronti, se ci rivedono a distanza di molto tempo; cominciamo a capire, ma "capire" nel vero significato della parola, che anche noi stiamo invecchiando, che non siamo più quelli di un tempo, e che il fiume della nostra vita si è già avvicinato alquanto alla sua meta finale, cosa che sapevamo perfettamente in senso generico e astratto, ma cui non avevamo mai dedicato un pensiero preciso e personale.

Ebbene, la stessa cosa vale per una città, per la città nella quale siamo nati e nella quale viviamo, passando dall’infanzia all’adolescenza, giorno dopo giorno, anno dopo anno, fino all’età matura. Non ci accorgiamo più di tanto delle trasformazioni che essa subisce, delle vecchie case che scompaiono, dei nuovi edifici che subentrano, addirittura delle nuove strade che vengono aperte, perché riceviamo tali impressioni in dosi omeopatiche, con un ritmo tale che la nostra coscienza le registra, sì, ma senza stupirsene, come non si stupisce del fatto che l’anno scorso è nato un nipotino, due anni fa è venuto a mancare uno zio o un nonno, e tre anni fa è arrivato il momento di andare in pensione. Tutto ciò fa parte della vita e segue un flusso naturale, risponde a una logica prevedibile e prevista. Non ci stupiamo leggendo, su di un necrologio, che un vecchio compagno di università è passato a miglior vita, più di quanto ci stupiamo per il fatto che il vecchio cinema, chiuso da anni, è stato abbattuto, e al suo posto è stato aperto un supermercato. Se, però, dalla città natale ce ne siamo andati nell’età della prima adolescenza, conservandone intatto il ricordo insieme alle memorie più care dell’infanzia; e poi, a distanza di venti, trenta anni, e magari anche più, torniamo a vedere che ne è stato della nostra città, allora i cambiamenti che si sono verificati in quell’arco di tempo ci si presentano tutti insieme, come un muro compatto: un muro che ci nasconde la città che ricordavamo e che ci offre la vista di una città che è ancora quella, ma non lo è più; che sembra ancora quella, ma in realtà è diventata un’altra; che a tratti ci sorride come se l’avessimo lasciata ieri, e a tratti ci presenta il volto duro, chiuso, indifferente, di un perfetto estraneo, che non ci ha mia visti né conosciuti, e che neppure noi abbiamo mai visto né conosciuto. È come rivedere una persona cara dopo trent’anni di lontananza: si resta impressionati, al punto che ci si chiede come sia possibile far combaciare l’immagine che ricordavamo con quella che ci sta ora innanzi. E ci si rende conto che no, non è possibile, che non c’è alcun modo per farlo.

Noi abbiamo fatto questa esperienza, che ci ha consentito di osservare il cambiamento verificatosi durante i lunghi decenni della nostra assenza dalla città natale. È stato sconcertante; tuttavia, simultaneamente, la distanza di spazio e di tempo ci ha permesso di guardare le cose con più distacco, con maggiore obiettività, e anche, se ci è consentito l’ossimoro, con una curiosità più disinteressata. Per quanto riguarda le chiese della nostra infanzia, e in genere della nostra città natale, è stato molto stimolante andare a cercare le loro storie, la loro origine, le vicende che le hanno accompagnate nel corso degli anni e dei secoli. Una sorpresa nella sorpresa è stata la scoperta di alcune chiese oggi non più esistenti, oppure esistenti, ma sconsacrate ed esteriormente perfino irriconoscibili, che erano, e sono, piuttosto numerose. Così ci siamo accorti che la nostra città, pur non essendo molto grande (il perimetro della quinta e ultima cerchia di mura, terminata nel 1463, era di 7.119 metri, quindi la superficie del centro storico doveva essere circa un decimo di quella del comune odierno, che è di 56 kmq.), è piena di cose che ignoravamo, di edifici che non conoscevamo, di architetture nascoste, delle quali neanche sospettavamo l’esistenza. Che l’antica chiesa di Santa Lucia esistesse ancora, ma trasformata in un locale che oggi fa parte della biblioteca universitaria di via Mantica (allora borgo di Santa Lucia), chi lo avrebbe immaginato? E che il borgo di San Lazzaro ricevesse il nome da una chiesa, dedicata a San Lazzaro, che esisteva fuori le mura e che faceva parte di un lazzaretto? E che l’antica chiesa di San Pietro avesse resistito, in piazzetta del Pozzo, fino a dopo la Seconda guerra mondiale, quando i bombardamenti aerei l’avevano atterrata? Oppure che la chiesa di Sant’Ermacora, in borgo Aquileia, fosse sopravvissuta, all’interno del palazzo Sbrojavacca, trasformata in mensa ufficiali della caserma Gerolamo Savorgnan? E che la parrocchiale di borgo Poscolle, prima della costruzione del Tempio Ossario, fosse la chiesa di San Nicolò, ancora esistente all’inizio degli anni ’30 del Novecento? E che in pieno centro, a due passi dal Duomo, sorgesse una chiesa importante, molto frequentata e molto amata dagli udinesi, la Chiesa di Santa Maria Maddalena, sul luogo ove adesso sorge il Palazzo delle Poste? Tutte sorprese, e sorprese non piccole, anzi, estremamente affascinanti: un po’ come scoprire, nella soffitta polverosa di casa, una quantità di oggetti, di ricordi e di vecchie fotografie, che aprono numerosi squarci inediti su quel che si credeva di conoscere circa la storia della propria famiglia.

Una di queste sorprese è stata quella di scoprire che fino al 1931, cioè fino a tempi relativamente recenti, c’era, in pieno centro di Udine, precisamente in via Cavour, all’angolo con la via Nazario Sauro, una chiesa di cui nulla avevamo mai saputo, neanche per sentito dire: la chiesa di San Tommaso (o San Tomaso), il cui nome ci era completamente sconosciuto. Eppure, quante volte eravamo passati di lì, noi che abitavamo in centro, proprio sotto il Castello: per esempio, dopo aver attraversato la Piazza Libertà, per andare verso via Poscolle, o per raggiungere la piazza XX Settembre, che allora tutti chiamavano Piazza dei Grani, o Piazza del Grano. C’erano diverse mete che portavano in quella direzione: un bellissimo negozio di giocattoli sotto i portici della floreale Casa I.NA. di Provino Valle, da Battaglia; le bancarelle del mercato di Via Zanon; il cinema Astra, situato nel Palazzo Kechler; oppure — occasione di certo assai meno gradita — per le sedute dal dentista, il dottor Eppingher, in via Sauro; e, più tardi, quando la passione della lettura ci aveva precocemente conquistati, tre delle quattro principali librerie cittadine: la Moderna, appunto in via Cavour; da Bruni, in via Nazario Sauro (specializzata in testi scolastici), e infine la libreria Carducci, posta nella galleria sotto palazzo Kechler (la quarta era la storica Tarantola, sotto i portici di via Vittorio Veneto, sempre a due passi da casa nostra). Come! C’era stata una chiesa, una chiesa costruita nel primo ‘400, all’incrocio di via Cavour e di via Nazario Sauro, e noi non lo avevamo mai saputo? E adesso non ne rimane più niente, assolutamente niente. Difficile persino capire a quale fra i Santi di nome Tommaso fosse dedicata; perché, senza contare quelli vissuti dopo il ‘400, ce ne sono almeno quattro che potevano esserne i dedicatarii: Tommaso Appostolo, Tommaso di Farfa, Tommaso Becket e Tommaso d’Aquino; più altri tre, diciamo così, minori: Tommaso di Emesa, Tommaso di Hereford e Tommaso di Dover: tutti venerati dalla Chiesa cattolica. Da quarto ci è parso di capire, la chiesa doveva essere annessa, o attigua, al palazzo di tre piani che sorge tuttora all’angolo fra Via Cavour e via Sauro (quest’ultima allora inesistente), e che ospita gli uffici della banca Intesa. Edificio più che decoroso, in stile neoclassico, della fine del ‘700 o del primo ‘800, senza balconi, ma con le sue belle, grandi finestre in pietra con architrave, tutte rettangolari, tranne quella centrale al primo piano, ad arco. Peccato solo che, per ristrutturarlo e adibirlo ad uso commerciale e direzionale, qualcuno abbia avuto la bella pensata di creare un portico sostenuto da poderosi pilastri rettangolari moderni, nudi e crudi, che creano una spiacevole sovrapposizione di stili e servono solo a conferire al portico l’aria semibuia e mortificata di un caveau o di un rifugio antiaereo. Che pena questa velleità di modernizzare a ogni costo anche l’antico, inutilmente, scioccamente, solo per far vedere che si sa marciare al passo con il progresso.

Scrive Maurizio Buora nella sua utilissima Guida di Udine. Arte e storia tra vie e piazze (Trieste, LINT, 1986, p. 289):

Dove oggi nasce la via N. Sauro [all’angolo di via Cavour] c’era fino al 1931, la chiesa di San Tommaso, costruita nel 1410 per volontà di un notaio nella sua casa, in cui aveva sede la Confraternita dei macellai di Udine, fin dal sec. XVI.

E lo storico Gino di Caporiacco nel suo libro Udine (Udine, Arti Grafiche Friulane, 1976, p. 86):

Va segnalata, intanto [cioè verso il principio del XV secolo], l’erezione a Udine, lungo l’odierna via Cavour, di una chiesa dedicata a S. Tommaso, voluta con testamento datato 1410 dal notaio Giovanni della Messa.

Abbiamo consultato diversi libri e guide di Udine: niente. La chiesa pareva sparita, dimenticata; né abbiamo trovato una sola riproduzione da cui potersene fare un’idea. Non ci siamo arresi. Abbiamo fatto ricorso al libro fondamentale, quell’introvabile miniera di notizie dettagliate che è Memorie su le antiche case di Udine di Giovanni Battista Della Porta (a cura di Vittoria Masutti, Istituto per l’Enciclopedia del Friuli-Venezia Giulia, 1984, vol. 1, § 471, pp. 176-177), ed ecco che abbiamo trovato la nostra chiesa, compresa la precisazione che il Santo dedicatario è proprio l’Apostolo di Gesù Cristo. Abbiamo così appreso che essa fu voluta dal notaio Giovanni delle Messe nel febbraio 1410, e che ebbe, poi, tutta una serie di vicissitudini, simili a quelle di tante altre chiese cittadine. Dopo ben quattro secoli di vita, fu requisita dal demanio del Regno d’Italia nel 1806, al tempo delle soppressioni napoleoniche, e nel 1810 fu venduta a un privato, un certo Antonio Tavellio; una sommaria descrizione è contenuta nella perizia che venne fatta in quella occasione da Giuseppe Clocchiatti. Dopo varie vicende, nel 1850 l’edificio ospitò una filanda di seta con quattro fornelli, di proprietà di un tale Francesco Mercanti; ma appena due anni dopo la proprietà passò a Giuseppe Cozzi. Bene o male, comunque, l’ex chiesa era ancora in piedi e fu solo nel luglio del 1931 che ne venne decretato l’abbattimento, per aprire la via Nazario Sauro, che allora non esisteva. Quegli intelligentissimi amministratori, a quanto pare, non ebbero né la sensibilità di porre un’iscrizione, come fu fatto, due anni dopo, sul luogo della chiesa abbattuta di San Nicolò, né di eseguire delle foto da conservare negli archivi municipali o nella biblioteca civica. Omnia tempus edax depascitur.

Fonte dell'immagine in evidenza:

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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