
Se Dio è il Bene, come mai c’è il male?
13 Ottobre 2018
È in atto la guerra delle banche contro i popoli (e i governi stanno con le banche)
14 Ottobre 2018È probabile che molti udinesi ignorino che la dedicazione completa del Tempio Ossario è "parrocchia di San Nicolò Vescovo al Tempio Ossario"; e che la chiesa parrocchiale, prima della costruzione del Tempio Ossario, che avvenne fra il 1925 e il 1940, era un’altra chiesa, quella appunto di San Nicolò, che comprendeva tutto il borgo di Poscolle, fino al Piazzale XXVI Luglio e oltre, fino al principio di Viale Venezia, dove poi, sulla sinistra, si sarebbe formata la parrocchia di San Rocco. A nord, la parrocchia di San Nicolò arrivava a includere anche via Zanon, passando per via Viola, che all’epoca comprendeva pure il tratto più settentrionale, che ora si chiama via Giusto Muratti, il patriota triestino la cui casa sorge all’angolo fra zia Zanon e la via che porta adesso il suo nome. Quando via Muratti non esisteva, ed era parte di via Viola, sull’angolo opposto alla casa di Giusto Muratti sorgeva la vecchia parrocchiale di San Nicolò, dove ora c’è un banalissimo condominio di tre piani, con una agenzia di viaggi e un negozio di alimentari al piano terra. Proprio lì, fino al 1933, s’innalzava la vecchia chiesa parrocchiale, la cui anima era monsignor Clemente Cossettini, un sacerdote che aveva fatto in prima linea la guerra del 1915-18 (prima del Concordato del 1929 anche i religiosi erano chiamati a svolgere il servizio militare: toccò perfino a quel Santo di padre Pio!), uomo dinamico e tenace, che, al ritorno dalla guerra, decise di non poter più attendere per la costruzione di una nuova chiesa, essendo divenuta troppo piccola quella esistente, peraltro molto antica e già più volte ricostruita, ampliata e rimaneggiata. Solo che, essendo assai cresciuta la popolazione della parrocchia, specialmente sul lato di via Poscolle e di viale Venezia, con le adiacenze di piazzale XXVI Luglio, venne deciso di spostare la nuova alquanto più a sud, oltre la vecchia porta di Poscolle, appunto sul lato del piazzale che adduce al viale Marco Volpe; inoltre si pensò di edificare una chiesa che fungesse, contemporaneamente, anche da tempio ossario per i caduti della Prima guerra mondiale.
La vecchia chiesa di San Nicolò era l’ultima edificata sullo stesso luogo, nel 1879, dopo una prima del XIV secolo e alcune altre, fino alla penultima, nel secondo decennio del XVIII. Aveva un impianto classico, a pianta longitudinale, facciata al livello della strada con portale, due grandi finestre rettangolari a tutto sesto, quattro lesene con capitelli e poggianti su alte basi, timpano con cornici rilevate. L’edificio aderente alla sua sinistra, con un caratteristico basamento di pietra bianca a vista, è tuttora esistente: è il Palazzo Politi, che ora ospita una sezione dell’Università degli Studi. Dio solo sa se era il caso di utilizzare lo spazio risultante dalla demolizione del sacro edificio per tirar su una palazzina moderna, anonima e mediocre (dipinta di color verde oliva ai piani superiori!), ammesso e non concesso che non si potesse salvare la vecchia struttura della chiesa, mediante lavori di restauro, e sia pure destinandola a funzioni civili e amministrative. Sta di fatto che quella tremenda palazzina è il solo edificio moderno lungo tutto il lato meridionale di via Zanon; poco più avanti ci sono la casa delle agostiniane (ora affidata alle Figlie di Maria Ausiliatrice) e la chiesa della Presentazione di Maria al Tempio, detta delle Zitelle, poi il Palazzo di Brazzà, indi la Torre di Santa Maria, tutte costruzioni che recano l’impronta di secoli di storia e un indubbio pregio architettonico, per cui ci sta in mezzo come i classici cavoli a merenda. Come era bella, via Zanon, quando era ancora in piedi la Chiesa di San Nicolò, ad appena trenta metri da quella delle Zitelle, e, di fronte, oltre la fila dei platani, la roggia e il mercato fisso, con le sue allegre bancarelle; e il platano centenario, enorme, che stendeva i suoi palchi giganteschi e pareva destinato a durare quanto la città stessa, al punto che pareva impensabile immaginare il giorno in cui la sua fresca ombra non si sarebbe più posata sui venditori e i clienti del mercato, sulle bancarelle delle scarpe, delle borse e di cento altre cose, sui giocattoli di plastica che facevano bella mostra di sé, poggiati sul muretto della roggia che scorreva veloce e sempre uguale, e che i bambini divoravano con gli occhi, passando di lì tenuti per mano dalle loro mamme.
Non sta a noi giudicare se proprio non si potesse fare altrimenti; monsignor Cossettini era un uomo di valore, che faceva le cose in grande, e se giudicò che la vecchia chiesa non fosse recuperabile, e che fosse semplicemente da abbattere, avrà avuto le sue ragioni; di ciò non discutiamo. E tuttavia il comune, da pare sua, doveva proprio autorizzare la costruzione di quel piccolo condominio stile anni ’30, che pare uno schiaffo dato all’intero borgo, quasi un atto di aperto disprezzo, non solo verso la tradizione, ma anche verso il buon gusto e il più elementare buon senso? Certo, sindaci e assessori non sono tenuti ad essere esperti di urbanistica, o studiosi di storia cittadina, né, tanto meno, architetti o ingegneri; una cosa, però, potrebbero e dovrebbero possedere: un vero amore per la città che sono chiamati ad amministrare, amore che non può non esprimersi anche nel rispetto per ciò che gli antenati hanno realizzato, e che i nostri padri ci hanno affidato intatto, affinché noi lo conservassimo con rispetto e affetto filiale. L’ignoranza non è mai una scusante e l’interesse economico non può essere il criterio prioritario nella tutela del ricco e glorioso patrimonio storico-artistico delle nostre città. Un solo atto di pietas hanno avuto coloro i quali demolirono la vecchia chiesa e consentirono alla costruzione del nuovo edificio: vollero che fosse realizzato un bassorilievo, non bello, ma insomma prendiamo per buona l’intenzione, nel lunotto a tutto sesto che sovrasta il portone del n. 4, sede oggi di uno studio notarile, a memoria dell’antica parrocchiale. Il Santo benedicente, la mitra in testa, tiene con la sinistra un modellino della sua chiesa, il campanile sulla destra, mentre in alto, a sinistra, c’è una croce con un ramo d’ulivo; ai due lati le date, 1328 e 1939, che scandiscono la vita dell’antica parrocchia udinese di borgo Poscolle: un arco di tempo notevolissimo, se si pensa che questa chiesa esisteva già quando ancora l’America non era stata scoperta e la Divina Commedia era ancor fresca d’inchiostro. E, a proposito, chissà se il divino Poeta è passato di qui, come vuole una certa tradizione, secondo la quale proprio la capitale del Patriarcato di Aquileia sarebbe stata il luogo che vide la composizione di una parte, almeno, dell’immortale poema (la questione è trattata nel nostro saggio: Dante e la Venezia Giulia, pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 04/05/2006, e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 20/11/17).
Per ricostruire brevemente le vicende delle due chiese parrocchiali di San Nicolò, la vecchia e la nuova (della quale abbiamo già parlato in un’altra occasione), riportiamo, dal sito http://www.tempioudine.it/, i seguenti brani:
Nel 1919 la prima guerra mondiale, che l’Italia aveva vittoriosamente combattuto insieme a Francia, Inghilterra, Stati Uniti e Russia, contro il nemico austro-ungarico e germanico, era finita da pochi mesi. C’era nell’aria euforia e un giusto orgoglio, ma quanti morti era costata la vittoria, quanti danni aveva subito la nostra terra, teatro delle sanguinose battaglie del Carso, delle Alpi venete e friulane e della temporanea invasione nemica conseguente alla rotta di Caporetto! Questo era il clima che mons. Clemente Cossettini, dal 1913 parroco di San Nicolò, aveva trovato al suo ritorno dal servizio militare. Con ancora negli occhi le orrende stragi della guerra e con la visione, che già conosceva, delle fatiscenti condizioni della sua ormai vetusta chiesa all’angolo tra le vie Viola e Zanon in borgo Poscolle, mons. Cossettini ebbe l’idea di costruirne una nuova che fosse parrocchia e, al tempo stesso, Tempio Votivo alla memoria dei Caduti per la Patria. Nella realizzazione di questa idea, mons. Cossettini profuse per 20 anni ogni energia non arretrando di fronte a logoranti difficoltà, non soltanto economiche, che resero lungo e sofferto l’iter dei lavori per la costruzione del Tempio (1925-1940). (…)
La prima notizia che attesta l’esistenza di una chiesa dedicata a San Nicolò in via Viola di borgo Poscolle risale al 1328. Si tratta di un atto testamentario — conservato nell’archivio parrocchiale — con cui venne beneficiata la fraterna "situata in ecclesia Sancti Nicolai de Postcolle". Nel 1333 accanto alla chiesa di San Nicolò sorse, per legato testamentario, un ospizio e alcuni anni dopo, nel 1341, il Patriarca di Aquileia Bertrando di Saint Geniès diede alla semplice chiesa di San Nicolò un ordinamento di chiesa regolare ("erigit in ecclesiam regularem"). Nella stessa data il patriarca istituì nelle adiacenze un monastero di suore agostiniane.
Con la crescita della città e l’incremento della popolazione, nella comunità di San Nicolò in borgo Poscolle crebbe l’esigenza di una maggiore autonomia ecclesiale di cui la confraternita si fece portavoce e nel 1348 ottenne per la comunità un importate successo con l’istituzione canonica di una cappellania. Con questa concessione la chiesa di San Nicolò, pur non essendo ancora indipendente dal Capitolo del Duomo, assicurava l’assistenza religiosa attraverso l’opera di un sacerdote eletto dalla confraternita che provvedeva anche al suo sostentamento.
Ma la città si stava espandendo oltre l’ultima cerchia di mura che aveva inglobato tutti i villaggi adiacenti al primitivo nucleo. Alla comunità di borgo Poscolle si aggregò la crescente popolazione che abitava sulla direttiva ovest (il futuro viale Venezia), fino ai casali di San Roco e al torrente Cormor. La situazione determinò la nascita delle confraternite di San Rocco (1510) e del SS. Sacramento (1581) che affiancarono quella di San Nicolò. La costituzione di una parrocchia autonoma divenne sempre più urgente e — benché ostacolata dal Capitolo del Duomo — finalmente fu conseguita, su richiesta delle tre confraternite, il 20 gennaio 1595, quando il Patriarca d’Aquileia Francesco Barbaro, in base al dettato del Concilio di Trento, emise un decreto che stabiliva l’istituzione in città di 8 parrocchie tra cui quella di San Nicolò.
Nel 1614 i borghigiani di Poscolle riedificarono la chiesa nel medesimo sito e l’arricchirono di arredi e opere d’arte. Due secoli e mezzo dopo, di fronte al continuo aumento della popolazione, questa chiesa divenne insufficiente e fu demolita nel 1877, ricostruita nella stessa sede tra via Viola e via Zanon e consacrata il 2 giugno 1879 con grande partecipazione di fedeli. Nel 1933 la chiesa fu demolita definitivamente e nel 1940 la parrocchia di San Nicolò fu trasferita definitivamente nel piazzale 26 luglio ove nel frattempo era sorto il Tempio Ossario in onore ai Caduti italiani della prima guerra mondiale su iniziativa del parroco mons. Clemente Cossettini.
(Per le notizie storiche dell’antica chiesa di San Nicolò di borgo Poscolle si è fatto riferimento ai testi dei seguenti Autori: Giovanni Battista Passone, "Noterelle storiche sulla parrocchia di San Nicolò Tempio Ossario di Udine", p. 13, Arti Grafiche Friulane, Udine, 176, nel 25° di ministero parrocchiale di mons. Giorgio Vale; Gian Carlo Menis, "La parrocchia di San Nicolò al Tempio Ossario di Udine", in "Vita, storia e arte della Parrocchia di San Nicolò in Udine", p. 18, Fondazione Crup, Tipografia Tomadini, Udine, 2001, 50° anniversario di sacerdozio di mons. Vittorino Di Marco).
È triste e commovente pensare che una chiesa fra le più antiche della città, una delle prime otto parrocchie istituite nel 1595, in ottemperanza alle decisioni del Concilio di Trento sulla riorganizzazione delle diocesi e delle parrocchie, sia stata demolita con tanta leggerezza nel XX secolo, dopo qualcosa come seicento anni di vita, per essere sostituita da un condominio destinato ad ospitare attività commerciali e abitazioni private, il tutto nella relativa indifferenza dei fedeli e della popolazione. Ed è ancora più malinconico constatare come la sua memoria sia stata obliata tanto in fretta, e pensare che, scomparsi ormai quanti poterono vederla, da giovani, prima che venisse abbattuta, solo poche fotografie in bianco e nero ne preservano ancora la memoria, insieme a qualche accenno contenuto in alcuni libri di memorie. I giovani non ne sanno nulla, senza contare che, nel clima consumistico oggi dominante, non solo si tende a dimenticare in fretta qualsiasi cosa, ma addirittura sta venendo meno la curiosità per il passato, compreso quello più recente, Vi sono bambini che non sanno nulla dei nonni, e che a stento sanno dire il mestiere che fanno i loro genitori: per molti ragazzi che pure frequentano il liceo, ciò che accadde subito prima della loro nascita è remoto quanto l’età medievale, o quella romana. Evidentemente, la scuola non riesce a trasmettere loro, non diciamo l’amore per il passato o il senso della storia, ma neppure un minimo di interesse per ciò che riguarda le loro radici più prossime: nessuna curiosità per il volto delle loro città, dei loro quartieri, come si presentavano solo pochi decenni addietro; figuriamoci se si tratta, come nel caso della chiesa di San Nicolò, di quasi un secolo fa. Eppure è proprio da qui che bisogna ripartire, se si vuol ricreare un senso di identità e di appartenenza. Non c’è identità possibile senza la consapevolezza del legame che unisce le vecchie generazioni alle nuove; e non c’è progettualità degna di questo nome se si ignora tutto di ieri: è come voler costruire una casa senza le fondamenta.