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9 Ottobre 2018È venuto il momento di parlare di alcune chiese invisibili: cioè di quelle chiese che, ancora nella prima metà del Novecento, erano in piedi e sovente officiate, ma che poi, nel giro di poco tempo e per improvvida decisione delle autorità comunali, vennero demolite, per fare spazio ad altri edifici, cancellando così pezzi di storia e gioielli di spiritualità e arte, come se non fossero mai esistite, al punto che se n’è perso velocemente il ricordo. È questo uno degli aspetti impietosi del progresso: quando i vecchi muoiono, va persa la memoria delle cose che hanno fatto e che hanno visto, delle quali sono stati testimoni; e ciò vale, naturalmente, non solo per le cose visibili, ma anche per quelle immateriali: valori, sentimenti, affetti, ideali, sacrifici, lavoro, risparmio, onestà, senso della famiglia, eccetera. La società moderna procede in gran fretta, va per la sua strada, si taglia i ponti dietro le spalle, si disinteressa di ciò che è stato, non riconosce alcun valore alla tradizione: di conseguenza, nonostante il sovraccarico d’informazione (buona o cattiva, è un altro discorso) che la caratterizza, rispetto alle società pre-moderne, essa è anche quella che dimentica più in fretta, perciò non solo non si cura, ma addirittura non ama ricordare, ha quasi fastidio del passato, lo vede come una palla al piede di cui ci si deve sbarazzare al più presto. Si direbbe che gli urbanisti e i pubblici amministratori abbiano una gran fretta di far "sparire" il passato; ed è quello che gli intellettuali progressisti fanno, sul versante culturale, demonizzando il sapere e i valori di ieri e proclamando, col poeta Arthur Rimbaud, che bisogna essere assolutamente moderni, pena l’obsolescenza e l’ammuffimento. E a chi piace essere considerato attardato e fuori moda?
La chiesa di Santa Maria maddalena sorgeva nella centralissima via Vittorio Veneto, sulla destra, all’angolo di via Marinelli, e perciò quasi in vista del Duomo, che staglia la sua mole, e quella del possente campanile, un poco più avanti, sulla sinistra. Era una bella chiesa settecentesca, ristrutturata e quasi rifatta dall’architetto veneziano Domenico Rossi, e la sua demolizione fu una specie di crimine perfettamente legale. Benché fosse ancora in buono stato, come provano anche le fotografie tuttora esistenti, fin da prima della guerra 1915-18 era stato deciso di abbatterla, cosa che puntualmente avvenne a guerra finita, nella prima metà degli anni ’20, per fare spazio al nuovo, pretenzioso Palazzo delle Poste, progettato dall’ingegner Gino Tonizzo. E insieme ad essa venne abbattuta una serie di edifici attigui, l’oratorio dell’Assunzione di Maria e l’ex ospedale dei padri Filippini, posto nell’angolo fra via Marinelli e l’attuale via Prefettura (che, prima della Seconda guerra mondiale, si chiamava via Costanzo Ciano). Fu una specie di crimine, perché non vi era alcuna ragione valida per attuare quelle demolizioni, se non la smania di sostituire la città vecchia con gli edifici-simbolo del "progresso", e, probabilmente, una mai sopita vena di anticlericalismo, che già aveva trovato ampio modo di sfogarsi nel 1866, quando queste terre vennero unite all’Italia, e numerosissimi edifici sacri furono chiusi e sequestrati, e incamerati nel demanio con tutti i loro beni, mentre un buon numero di congregazioni religiose venne soppresso. Alla chiesa e al vecchio ospedale di santa Maria Maddalena è particolarmente legata la memoria di un concittadino illustre, una figura di altissima spiritualità, padre Luigi Scrosoppi (1804-1884), proclamato santo nel 2001,da Giovanni Paolo II, che aveva fondato nel 1845 la congregazione delle Suore della Provvidenza di San Gaetano da Thiene, dedite alla protezione e all’educazione delle fanciulle orfane. Padre Scrosoppi, al quale la città di Udine ha dedicato una via dove sorge tuttora il convento e la chiesa di quelle religiose, tentò, con altri, di impiantare in città la congregazione dei padri Filippini, ma con scarso successo, finché, nel 1866, il governo italiano, subentrato a quello austriaco, sequestrò tutti i loro beni e soppresse il loro ordine. Monsignor Guglielmo Biasutti, del quale abbiamo già parlato quando ci siamo soffermati sulla chiesa del Bearzi, ha scritto una pregevole biografia di questo valoroso uomo di Chiesa, alla quale rimandiamo per ulteriori approfondimenti; quanto a noi, che già abbiamo detto qualcosa sulla chiesa di Santa Maria Maddalena (cfr. l’articolo Sapere e ricordare è un atto d’amore verso se stessi, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 31/12/17), per rievocare il destino di quel nobile edificio ci serviamo di una pagina tratta dal sito http://www.viaggioinfriuliveneziagiulia.it/:
Il Palazzo delle Poste sorge in via Vittorio Veneto 42. L’area, precedentemente alla costruzione di questo palazzo, era occupata da una serie di edifici, alcuni dei quali di notevole importanza per la storia di Udine. Tra essi: l’Ospedale di Santa Maria Maddalena che dava sulle attuali Via Marinelli e Via Prefettura; la chiesa di Santa Maria Maddalena; l’Oratorio dell’Assunzione; la Casa Daneluzzi Braida. Questi edifici in un certo periodo costituirono, si può dire, un corpo unico, con facciate che si estendevano su Via Vittorio Veneto da Casa Tinghi sino a tutta Via Marinelli.
La più antica di queste vecchie costruzioni era l’Ospedale di Santa Maria Maddalena. Già ricordato in un documento del 1260, sorgeva sulla Via Marinelli tra Via Vittorio Veneto e Via Prefettura. Annessa all’ospedale fin dal 1329 esisteva la chiesa omonima, con fronte su Via Vittorio Veneto.
Con l’andar del tempo, la chiesa e l’ospedale erano andati in degrado e nel periodo tra il 1701-1709 ci furono sostanziali trasformazioni, cominciando da alcune casette che davano su Via Vittorio Veneto che furono abbattute per costruire l’Oratorio dell’Assunzione, attaccato alla chiesa di Santa Maria Maddalena, che venne anche ampliata con l’acquisto di un fondo dal conte Pace. Nel frattempo, dal 1702, dopo l’acquisto dei terreni, si procedeva alla costruzione del nuovo ospedale vicino alla chiesa di San Francesco.
Il patriarca Dionisio Delfino benedisse la prima pietra (ora al Museo di Udine) il 24 aprile 1709. Soltanto tre anni dopo la chiesa venne ultimata per opera di due tra le figure di maggior spicco nel campo dell’architettura in Friuli: il veneziano Domenico Rossi, architetto di grido, e l’operoso capomastro Luca Andrioli.
La facciata venne poi in parte riformata nel 1855, dall’architetto Giuseppe Zandigiacomo, grazie alle elargizioni di alcuni privati e, principalmente, della contessa Lucia Beretta.
I padri Filippini officiarono fino al 1810, anno della soppressione francese delle istituzioni monastiche. Ritornati a Udine pochi anni dopo abitarono la Casa Daneluzzi Braida: un vecchio edificio posto fra la Casa Tinghi e l’Oratorio dell’Assunta. Dopo la definitiva secolarizzazione dei Filippini, nel 1866, tutti i loro beni furono donati dallo Stato al Comune.
Nel 1875 il complesso divenne sede della Società Ginnastica Udinese a cui il Municipio concesse prima l’oratorio, poi la chiesa e quindi il giardino. Il destino della chiesa era però ormai segnato, perché le esigenze di una città in continua espansione avevano bisogno di un nuovo e molto più grande ufficio postale.
La sede dell’Ufficio delle Poste, che dal 1707 era di fronte alla fontana di Piazza della Libertà, all’angolo di Via Vittorio Veneto allora chiamata Via delle Poste, venne trasferito nel 1845 nella Casa della Contadinanza, all’angolo di Via Rauscedo (questa fu poi demolita e ricostruita in Castello). Per anni si discusse per trovare l’area adatta per costruire i nuovi uffici, varie furono le idee, con acquisti di fondi da parte del Comune, finché non vennero proposti i locali dei Filippini che erano già proprietà comunale. Così (scrive amaramente il Vale) «l’Oratorio e la chiesa di Santa Maria Maddalena, architettonicamente una delle più belle di Udine furono abbattuti e nel sito fu eretto il nuovo Palazzo delle Poste. Gli altari, l’organo, gli arredi sacri, dai nuovi padroni furono venduti all’asta e col ricavato il felice regno d’Italia si arricchì».
Il ricco e prezioso patrimonio di dipinti invece era stato nel 1868 scelto su incarico del Comune dal pittore Luigi Plettri e distribuito tra il Museo Civico e la chiesa si San Vito in Cimitero.
Per la costruzione del nuovo edificio si dovette attendere però la fine della Prima Guerra Mondiale e il 16 maggio 1921: le prime tegole calate dal campanile della chiesa dei Filippini in quel giorno, come scrive certo L. M. sulla "La Panarie", segnarono l’inizio della demolizione.
Il Palazzo venne costruito dal 1921 al 1926, con uno stile che richiama il rinascimento toscano, su progetto dell’ing. Gino Tonizzo. I fregi all’esterno sotto la gronda sono di Enrico Miani; le decorazioni scultoree di Francesco Grossi; le tele nell’atrio, con figure allegoriche, di Antonio Morocutti (1926).
E, più specificamente, sulla chiesa udinese di Santa Maria Maddalena, riportiamo questa pagina dal sito http://www.movio.beniculturali.it/
Nel 1309 la chiesa di Santa Maria Maddalena era unita all’antico Ospedale degli Esposti, già esistente dal 1260. Entrambi erano sotto la giurisdizione del Comune di Udine che pertanto ne gestiva i beni. Dalla seconda metà del XV secolo l’amministrazione dell’ospedale venne conferita al Collegio dei notai, che però nel 1584, a fronte delle spese insostenibili, la ricedette al Comune e all’Ospedale di Santa Maria dei Battuti. Successivamente la chiesa fu abbandonata fino a quando nel 1643 Giovanni Francesco Romanetti superiori, Carlo Soardo e Sebastian Gorgo, coadiutori della congregazione dell’oratorio di S. Filippo Neri, ottengono il libero uso dell’edificio religioso e l’affitto delle case annesse con il cortile e l’orto. Il 20 novembre del 1649 il Patriarca Marco Gradenigo concede a Padre Gaspare Colombina di poter amministrare i sacramenti e la divina parola.
Nei primi anni del XVIII secolo furono eseguiti importanti interventi di rifacimento sia della chiesa sia degli edifici adiacenti, come riportano le bolle patriarcali del 1702 e del 1709, conclusisi nel 1715 con la benedizione del Patriarca Dionisio Delfino.
Nel 1856 fu realizzata la nuova facciata grazie alle copiose offerte di privati ed in modo particolare dalla contessa Lucia Beretta Puppi. I lavori interessarono l’omissione di tutte le pattere e fori circolari, perché non molto in carattere con lo stile della chiesa, e portare la trabeazione intermedia del prospetto in relazione col coperto delle navate laterali della chiesa anziché attenerla alla ricorrenza del vicino oratorio. Negli anni successivi l’edificio fu sconsacrato, passando definitivamente all’amministrazione comunale che intervenne con opere di adattamento della struttura a palestra di ginnastica. Alla vigilia della prima guerra mondiale il Comune di Udine decise di abbattere la chiesa di Santa Maria Maddalena per far posto ad un nuovo edificio da destinarsi agli uffici postali. Il 16 maggio 1921 le prime tegole iniziarono ad essere tolte. Nel 1926 il nuovo palazzo venne inaugurato.
È una cosa ben triste l’oblio del passato, anche di quello recente; se poi si tratta di un oblio voluto e programmato, la cosa è ancor più grave, perché si tratta di un attentato alla nostra memoria, quindi alla nostra identità. Per sapere chi siamo, dobbiamo conoscere la nostra storia, le nostre radici. Il fatto che, dal 1875, il complesso di Santa Maria Maddalena sia stato ceduto alla Società Ginnastica di Udine, e che tutti i sacri arredi, e perfino gli altari, siano stati venduti, come fossero merce qualsiasi, ha qualcosa di derisorio, di beffardo nei confronti di quello che era stato un vivo centro di spiritualità. Dalla chiesa, infatti, partivano le maggiori iniziative devozionali cittadine. Sotto la rettoria di padre Scrosoppi, come scrive il Biasutti nella sua biografia, la chiesa, oltre che per le pratiche oratoriane, si distingueva specialmente per la coroncina all’Addolorata dalla domenica di sessagesima all’ultimo dì di carnevale, per la solenne celebrazione del mese mariano iniziata prima del 1850 e per l’intensità del culto ai Cuori di Gesù e di Maria. Quanto a noi, nati a vissuti a Udine fino all’età della prima adolescenza, mai avevamo sentito dire di questa chiesa, che esisteva ancora una generazione prima e sorgeva a poche decine di metri da casa nostra. I nonni, da giovani, l’avevano vista e, forse, frequentata; ci erano entrati a pregare, senza dubbio, almeno qualche volta, poiché erano persone pie e abitavano poco lontano. Eppure, dopo la costruzione del Palazzo delle Poste, il ricordo di quella bella chiesa è caduto rapidamente nell’oblio, e nulla si è fatto per conservarlo. Le cose passate vengono lasciate scivolar via quando non si ha più amore per ciò che si è: perché si è quel che si è stati, e nessun vero progresso si può costruire cancellando il passato, semmai la barbarie. L’ignoranza delle proprie radici è la barbarie; l’ignoranza della propria identità è il nichilismo. La civiltà moderna è il trionfo della barbarie e del nichilismo. Chissà se capiremo che divenire dei barbari nichilisti è l’ultima tappa sul cammino che conduce all’auto-dissoluzione…