
L’Italia è di nuovo un laboratorio mondiale
7 Ottobre 2018
Omaggio alle chiese natie: Santa Maria Maddalena
8 Ottobre 2018I giovani stanno smettendo di far funzionare il cervello; il cervello dei giovani si sta atrofizzando. E c’è un colpevole: il telefonino; insieme alla televisione, al computer, ai giochi elettronici e a tutto il contesto della società informatizzata, superficiale, edonista. Ma gli adulti se ne sono accorti, o no? Chi fa l’insegnante, per esempio, dovrebbe aver notato che, nel corso degli ultimissimi anni, la situazione è letteralmente precipitata. Fino a una decina d’anni fa, si notava che i ragazzi erano sempre più distratti, avevano sempre più difficoltà a concentrarsi; ma, a parte questo, riuscivano ancora a fare dei ragionamenti di senso compiuto. Magari molto poveri, perché privi sia di corretta informazione, sia di una prospettiva complessiva e di un criterio di valutazione dei fatti stessi, per non parlare del linguaggio; però, in qualche modo, si poteva ancora ragionare. Vogliamo dire che un professore di lettere, fino a una decina d’anni fa, se assegnava i sui studenti di liceo la lettura di un capitolo dei Promessi Sposi, poi li poteva interrogare e riusciva ancora a cavare, come si dice, un ragno dal buco. Magari doveva constatare che molti si esprimevano maluccio, che il loro vocabolario era sempre più limitato, quindi sempre più generico e impreciso; che la loro capacità di fare collegamenti, di cogliere significati, di andare dritti al cuore del discorso, lasciava alquanto a desiderare. Ma insomma, più o meno tutti gli studenti riuscivano a spiccicare quelle quattro acche da cui risultava che avevano letto, che avevamo capito (press’a poco), che avevano riconosciuto i tratti essenziali della vicenda e del comportamento dei personaggi.
Oggi non è più così. In realtà, non c’è stato un brusco passaggio; è stato un processo graduale, che parte da ben più di dieci anni fa. Chi è giunto, come noi, quasi alla fine della carriera, e quindi si torva da oltre quarant’anni di fronte agli studenti, si è accorto che da alcuni decenni le cose hanno preso una piega drammatica; e che uno studente di oggi, anche fra i più bravi, possiede meno della metà, forse meno di un quarto, del bagaglio culturale di un ragazzo della generazione dei suoi professori, della sua capacità di ragionare, di collegare, di approfondire, di porsi interrogativi. Sia come sia, per quanto graduale, il processo degenerativo è stato sempre più rapido, e, negli ultimissimi anni, si è sviluppato a velocità esponenziale: negli ultimi tre, quattro anni, esso ha fatto più strada di quanta ne avesse fatta negli ultimi venti. La situazione attuale è quella di una specie di paralisi dell’intelligenza: pertanto è un grido d’allarme quello che stiamo lanciando. Attenzione: le intelligenze stanno svaporando; la memoria, l’attenzione, la concentrazione, stanno sparendo; e la capacità di pensare, cioè di riflettere sulle cose, per esempio su un testo letterario, ma anche su un fatto, un’esperienza, un viaggio, una conversazione, un film, si è quasi dissolta. Anche di fronte alle domande più semplici, uno studente-tipo di oggi vi guarda con occhi imbambolati: non riesce neppure a capire ciò che gli viene chiesto. E non stiamo parlando di dettagli, di pignolerie; stiamo parlando di significati generali, di saper cogliere il senso complessivo di una situazione, di un comportamento, di un carattere. Vi guardano e non capiscono: non sanno cosa rispondere. Vi guardano e nei loro occhi si intuisce che c’è, anche da parte loro, una domanda, una domanda che esprime stupore, incredulità, sbigottimento: Ma costui cosa vuole da me? Cosa pretende? Cosa mi sta chiedendo? Pare quasi che la domanda sia stata fatta loro in un’altra lingua, in un idioma sconosciuto.
Fate la prova, se non ci credete. Provate a chiedere per quale motivo Gertrude decide di farsi suora, pur non avendo la vocazione e pur, in realtà, non volendolo affatto. E diciamo Gertrude, immaginando di aver lasciato allo studente la libertà di scegliersi l’argomento, o il personaggio, di cui parlare. Vi dirà, nove su dieci: Perché il padre l’ha costretta. – Benissimo, direte voi; ma come l’ha costretta? Qui incominciano i problemi. Se il ragazzo è lasciato libero di andare avanti come preferisce, per lui il discorso è già finito: che altro c’è da dire? Gertrude si è fatta monaca; è diventata l’amante di Egidio; e quando al convento arriva Lucia, prima la prende in simpatia, poi la tradisce e l’abbandona al suo destino. Che altro c’è da dire? Se voi gli chiedete: Sì, ma come ha preso il fatto di esser diventata suora, come ha vissuto in quel convento, prima che arrivasse Lucia? Perché son passati degli anni, direte voi, e vorremmo sapere che tipo di suora è stata suor Gertrude. – Una suora un po’ così, risponderà quello; infatti, quando arriva Lucia, la vediamo con una ciocca di capelli che le sfugge da sotto il velo, segno che non osserva scrupolosamente la regola. – Benissimo, direte voi, però quello è un singolo dettaglio; ma che tipo di suora è stata? Faceva la maestra delle educande: che tipo di maestra è stata? Niente, silenzio. Allora voi prenderete il libro e leggerete la pagina precisa del capitolo X, in cui Manzoni descrive il comportamento di suor Gertrude quale maestra delle educande; poi ripeterete la domanda. Ancora silenzio. Allora farete notare gli sbalzi d’umore di suor Gertrude; farete notare che passava da un eccesso di severità, che poi non era severità, ma sfogo della propria rabbia, a eccessi di allegria, che poi non era allegria, ma una forma di euforia malsana. E dunque? Niente: lo studente vi guarda, e nei suoi occhi c’è la domanda: Ma che vuole costui? E allora gli farete notare che quello della monaca di Monza è un comportamento ambivalente, schizoide, quasi bipolare: è come se ci fossero in lei due persone diverse; e le educande certo se ne rendevano conto. A quel punto chiederete: Per quale ragione il comportamenti della monaca di Monza era schizofrenico? Niente. Poi, forse, il ragazzo vi dirà: Era invidiosa delle giovani. – Benissimo, direte voi; c’era anche questo. E poi? Quello ci pensa su un bel poco, poi dice: Era rabbiosa. – Benissimo, direte voi: e una persona rabbiosa, invidiosa, che riversa sugli altri la sua rabbia e la sua invidia, perché agisce in tal modo? Niente, silenzio; domanda troppo difficile. Una persona che si comporta così, direte allora voi, per sboccare il punto morto, lo fa perché è molto… Molto che? Non si sa; nessuna risposta. Poi, di nuovo: Rabbiosa, invidiosa. – Sì, lo abbiamo già detto; ma da cosa nascono quella invidia, quella rabbia? Pensate che nove persone su dieci fanno proprio così; mariti, mogli che riversano la rabbia e l’invidia per un matrimonio infelice, rendendo la vita difficile agli altri: ai figli, ai colleghi, ai vicini…
Credete che finalmente quel ragazzo, o uno dei suoi compagni, riuscirà a dire: perché quelle persone sono infelici? Che riuscirà a dire: perché la monaca di Monza era infelice? Figuriamoci, poi, fargli capire quel che intendeva Manzoni, quando diceva che perfino in una situazione sgradita e indesiderata, si può ugualmente affrontare la vita in maniera accettabile, costruttiva, purché si chieda l’aiuto di Dio e ci si rivolga per aiuto alla fede. Noi, qui siamo sul pianeta Marte. Eppure, Manzoni lo scrive: non c’è bisogno di supporlo, il lettore non deve immaginare qualcosa che non c’è, perché è tutto scritto, nero su bianco. Ma i ragazzi di oggi leggono e non capiscono. Forse sono le numerose parole che non conoscono, e la pigrizia fa sì che non vadano a controllare sul vocabolario cosa significano: perciò, alla fine di un capitolo, hanno capito sì e no la metà di quel che c’è scritto. Del resto, delle 47.000 parole che potrebbero usare, nella loro vita di ogni giorno ne usano solo poche centinaia: sempre le stesse, e sempre più storpiate, imprecise, usate a sproposito. Sempre per merito del telefonino e dei messaggini. O forse il problema è ancora più profondo: a parte la conoscenza delle parole, quel che sfugge loro è proprio la comprensione del testo. Semplicemente, non sono più abituati a leggere. Se per caso leggono, leggono Federico Moccia e Fabio Volo. Ma per leggere quei libri non serve un cervello, basta un midollo spinale. Non ci sono idee, solamente emozioni. Però se lo sentono ripetere ogni giorno, da cento parti, e specialmente dalla televisione: la vita è fatta di emozioni; bisogna vivere le emozioni sino in fondo; che vita sarà mai, una vita senza le emozioni?
E così siamo arrivati al nodo del problema: i giovani, oggi, non sanno più leggere, perché non sanno riflettere; e non sanno riflettere, perché non hanno più un cervello. Non lo usano, è come se non l’avessero. Del resto, l’organo inutilizzato finisce per marcire. Una bella intelligenza potenziale avvizzisce e muore, se lasciata a far la muffa. I giovani, oggi, tendono a lasciare che il loro cervello faccia la muffa. Perché dovrebbero usarlo? Hanno un sacco di cose già belle e pronte, a cominciare dai giochi, quando sono ancora bambini. I giochi elettronici sono giochi che giocano al posto del bambino; il bambino è solo un’appendice, una variabile secondaria. Il gioco fa tutto da sé; il bambino è lo spettatore di un gioco che è già stabilito, che è già organizzato. Per giocare a un gioco elettronico, bastano riflessi e manualità con i tasti: il pensiero non c’entra. Il pensiero è riflessione, non riflessi. Coi riflessi si può addestrare anche un cane, un cavallo, una scimmia. Il pensiero è un’altra cosa, richiede altre abilità, mobilita altre energie. Richiede attenzione, concentrazione, capacità associativa, elaborazione mentale, memoria, apertura, rielaborazione personale dei dati. Soprattutto, pensiero astratto. Tutte cose che vengono richieste sempre meno dalla vita moderna. Nella maggior parte dei casi, la vita moderna non ci chiede di possedere, e tanto meno di sviluppare, simili abilità. Il resto del pedaggio autostradale ve lo dà la macchinetta, non occorre che voi facciate il calcolo. Il risultato di una moltiplicazione ve lo dà la calcolatrice, non serve che lo facciate voi. Perfino una creazione artistica, come un disegno, può farlo il computer, elaborando i dati che voi vi immettete. Al telefono, può rispondere per voi la segreteria automatica. Alla verifica di scienze, o di latino, basta che lo studente metta una crocetta sulla casella di destra o di sinistra, tipo quiz: giusto, sbagliato, dipende dalla x sulla casella. Si potrebbe anche tirare e a caso, il risultato non cambierà molto; in ogni caso, nessuno chiederà allo studente di motivare la sua risposta. Ha messo la x su quella casella, e saprà lui perché l’ha fatto fatto; sono fatti suoi. Del ragionamento, del pensiero logico e discorsivo, del pensiero astratto, nessuno sente più la mancanza. E i professori che fanno le verifiche distribuendo questionari a risposte secche: "sì" o "no", avranno tutte le giustificazioni di questo mondo, a cominciare dal poco tempo a loro disposizione rispetto al programma che devono svolgere, e dalle classi troppo numerose, però è certo che contribuiscono, per la loro parte, alla caduta della facoltà raziocinante nei giovani.
Non c’è più bisogno di pensare, nel novanta per cento delle situazioni, ma solo da compiere certi gesti, da conoscere un certo tipo di manualità. E il risultato è questo: l’avanzare di una sub-umanità, formata da ex persone che hanno dato il cervello all’ammasso. Semplicemente, non sanno più pensare. Non ne hanno bisogno e non ne sentono la mancanza; anzi, si direbbe siano liete di essersi tolte un peso dalle spalle. Evviva, un fastidio in meno: la vita moderna è già tanto complessa, è già tanto faticosa. Almeno in questo c’è una nota positiva: che qualcuno ci solleva dalla fatica e dalla necessità di pensare. Così resta più tempo per i giochi elettronici, per lo shopping, per guardare il Grande Fratello alla televisione, per mandare messaggini a destra e a sinistra, a ogni ora del giorno e della notte, compreso mente si cammina per la strada, si sta seduti al bar o si va a dormire, la sera. Questa sì che è una cosa buona del progresso: che si viene sollevati dalle cose inutili e noiose, come il pensare, e agevolati nelle cose piacevoli e simpatiche, come scrivere su Facebook o altri social, e poter dire Mi piace o Non mi piace al blogger che ci mostra l’ultimo grido della moda, l’ultima tendenza del vestire, e di che colore sono le borse nella nuova stagione, e — cosa d’importanza ancor più vitale – se le scarpe hanno la punta oppure no, e se la camicia va infilata dentro i pantaloni oppure lasciata cader fuori. E le mutande, dove le mettiamo le mutande? Certo, bisogna che siano a vista, almeno nella bella stagione: sono i vantaggi delle temperature elevate. Ma quel che si vede, quanto deve essere succinto? E di che colore? Le mutande a vista devono essere gialle oppure nere? E i pantaloni, quanto devono essere bassi, quanto devono lasciar vedere quel che c’è sotto? Vuoi mettere, è una differenza di portata determinante: di quelle che fanno la differenza fra una ragazza che sa il fatto suo e una povera sfigata. E questo, ripetiamo, è un grido d’allarme che stiamo lanciando. Forse i danni prodotti da questo sistema di vita – danni cerebrali, misurabili e quantificabili oggettivamente – sono già irreparabili; o forse no, forse siamo ancora in tempo a sottrarre i giovani, o almeno una parte di essi, al destino di ridursi allo stato vegetativo. Dell’aspetto sanitario non parliamo nemmeno: non si sa quali siamo gli effetti dell’abuso dell’elettronica, specialmente del telefonino, anche se possiamo sospettare che le onde elettromagnetiche siano responsabili dell’aumento dei tumori, e specialmente dei tumori al cervello, anche nella fascia più giovane della popolazione, persino fra i bambini. Lo sospettiamo, ma non se siamo certi. Per cui dovremmo adottare un elementare principio di precauzione: non fare mai qualcosa se non si conoscono gli effetti di quella certa cosa. Invece abbiano totalmente rinunciato al principio di precauzione: così, senza neanche pensarci. In compenso, diamo retta alla pubblicità degli spray che ammazzano tutti i microbi dentro casa, per proteggere i nostri pargoletti da chissà mai quali orribili virus e malattie. Come volevasi dimostrare: il nostro cervello se n’è andato allegramente in pappa…
Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione