
Omaggio alle chiese natie: San Marco
14 Agosto 2018
Omaggio alle chiese natie: S. Maria della Misericordia
15 Agosto 2018Difficile spiegare perché, ma Paderno ci ha sempre affascinato: eppure non ha niente di speciale, giudicando da un punto di vista puramente razionale. Nondimeno, da bambini, prendere l’autobus a e arrivare fin lì, dal centro dove abitavamo; oppure, meglio ancora, magari in una bella mattina di primavera, fare la lunga passeggiata di circa 3 km e arrivarci a piedi, qualche volta in bicicletta, era sempre una festa. Era bella la strada per arrivarci: prima il caratteristico borgo Gemona, poi il piazzale Osoppo e il lungo, alberato viale Volonari della Libertà, con le sue originali ville in stile liberty sulla destra, al sommo dell’argine della roggia; poi il piazzale Chiavris, e l’ampio e già campagnolo viale Vat; infine la rettilinea via Alessandria, il tutto lungo vecchie case, la roggia coi suoi ponticelli, alberi e giardini, e un’aria di pace, di tranquillità, al riparo dalla principale arteria di traffico (il viale Tricesimo, che è una strada statale, la Pontebbana, diretta in Austria per il valico di Tarvisio). Ecco: la fortuna di quel luogo era di non trovarsi sul maggiore asse viario, ma di giacere un po’ in disparte. Arrivati in piazza, davanti alla chiesa, non c’erano che case solide, massicce, dai muri spessi e intonacati a calce come le stalle o le caserme, e tuttavia quasi eleganti nella loro estrema semplicità; e poi, prendendo a sinistra, strade di campagna, con le abitazioni sempre più distanziate e un’aria buona, rustica, di fieno, di animali… Chissà, forse eravamo noi soli a vederlo così; forse, per gli altri abitanti del centro, quello era un luogo assolutamente banale, privo di qualunque attrattiva: niente negozi, tranne poche botteghe per i generi di consumo quotidiano; niente alberghi o ristoranti famosi; niente locali di divertimento, insomma niente di niente, neppure un supermercato, o un sala giochi… per fortuna. A noi, pareva poco meno del paradiso: un posto in qualche modo remoto, persino vagamente favoloso (nell’infanzia che cosa non è, o non può essere, favoloso?), quasi alla fine del modo. Perché li, in effetti, davanti alla bianca facciata della chiesa di Sant’Andrea Apostolo, si chiudeva l’orizzonte settentrionale, oltre il quale svettava la barriera vicina delle Alpi Giulie e quella, poco più lontana (ma da lì paiono una cosa sola) delle Carniche. Paderno non è più periferia, è un piccolo paese a sé, che la crescita della città, dopo la Seconda guerra mondiale, ha trasformato in una frazione; e resta in una condizione ambigua, qualcosa più di una semplice località, come Chiavris, però meno di un vero paese, insomma né carne né pesce, ma quietamente, senza stridori o stonature, accettando con filosofia la propria natura anfibia. C’era poi un’altra ragione per la nostra preferenza una ragione psicologia che non avremmo saputo spiegare: il fatto che quel luogo era a Nord. Per andarci, si prendeva verso Nord e si proseguiva sempre dritto, in direzione delle Alpi. Per qualche ragione, era quella la direzione che ci attraeva, con la forza dell’ago magnetico di una bussola; mai la direzione opposta, sempre il Nord. Certo, era solo un’idea, un po’ bizzarra come sono certe idee infantili. Il Sud voleva dire la bassa pianura, poi il mare, il sole, vacanze, spiaggia, odore di pesce. Il Nord invece voleva dire abeti, profumo di pioggia e resina, ombra, aria frizzante, montagne, boschi, neve. Fra le due, non avevamo alcuna esitazione: Nord, sempre Nord. Le nostre passeggiate ci portavano invariabilmente in tale direzione: Est e Ovest erano varianti apprezzabili purché tendessero a Nord. Si dice che l’Italia è una penisola mediterranea; sarà. Ma l’Italia al di qua degli Appennini non è una penisola, è parte del continente; e il Friuli, in particolare, è Italia come la Bretagna può essere Francia, o la Scozia, Inghilterra. In realtà, è un’altra cosa; mille fili la legano al mondo della Mitteleuropeo, al bacino danubiano; poco o niente la unisce alla Penisola. Questa non è ideologia, è un fatto. Storia, etnografia, clima, cultura: tutto qui è italiano quanto uno scozzese può sentirsi inglese, cioè per niente. Nessuna spocchia, nessun razzismo: l’Italia è la Patria più grande; ma la piciule Patrie è il Friuli.
La chiesa di Sant’Andrea Apostolo è semplice e tuttavia elegante. È sopralevata rispetto al piano stradale, con la bianca facciata rettangolare tripartita e scandita da quattro semicolonne; tre portoni, quelli laterali più piccoli, sormontati da un timpano triangolare; un cornicione fortemente aggettante; infine un timpano a cornice modanata con oculo centrale e due statue di angeli ai lati; e di fianco, verso ovest, ma arretrata, la robusta torre campanaria. Tutto l’insieme è armonioso, spira forza e solidità, e riflette il puro stile neoclassico della fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo; è allora, infatti, che il vecchio edificio, ormai cadente e bisognoso di restauri e di ampliamento, venne praticamente rifatto nelle forme attuali; sebbene le origini della chiesa siano antichissime, e rimontino addirittura alla fine del 1200. Citiamo da www.padernopoi.it:
Don Vincenzo Forni, ormai all’inizio del Settecento, ideò la costruzione della nuova chiesa di Paderno, visto che l’edificio preesistente si era rivelato ormai insufficiente per le esigenze della popolazione, i lavori di ricostruzione dovettero incominciare con il Forni alla fine del Seicento o all’inizio del secolo successivo e proseguirono per tutta la metà del Settecento visto che la consacrazione fu celebrata dall’arcivescovo di Udine Daniele Delfino il 30 giugno del 1755; in quell’anno era parroco don Francesco Palladio da Olivis. L’edificio era costituito da un’unica aula rettangolare la cui facciata si ergeva circa all’altezza del campanile; a riprova di ciò i recenti lavori di ristrutturazione della chiesa hanno fatto emergere all’interno dell’attuale corridoio laterale, retrostante al campanile, una zona in cui si evidenza lo stacco fra la muratura della costruzione settecentesca (corrispondente alla facciata di tale periodo) e quella relativa all’allungamento dell’aula eseguito nell’Ottocento. Verso nord la chiesa possedeva un piccolo presbiterio, molto meno marcato di quello attuale.
Relativamente alla storia della parrocchia nel Settecento è necessario ricordare l’introduzione nella nostra chiesa del culto della Beata Vergine Addolorata. Nel 1770 fu introdotto il culto di San Giobbe, protettore degli animali, con l’erezione di un altare a lui dedicato. Due grandi personalità dettero lustro alla parrocchia in tale secolo. Si tratta del padernese don Giacomo Sabbadini, docente di filosofia nel Seminario di Udine, che venne promosso arcidiacono delle pieve di Santa Maria Alto But, e di don Valentino Potrei di Cavalicco, emerito teologo e pievano di Spilimbergo, Pasian di Prato, Dignano, che istituì nel suo paese natio, a Paderno, Feletto e Colugna delle scuole per l’insegnamento di filosofia, teologia, grammatica e retorica. Sempre per quanto riguarda il Settecento si può, infine, ricordare che alcuni abitanti di Paderno furono processati con l’accusa di aver stipulato patto col demonio e di aver esercitato riti magici; si trattò, comunque, di episodi isolati non essendo esistita a Paderno nessuna setta eretica.
L’Ottocento si inaugurò con due fatti importanti: nel 1809 l’altare della chiesa fu solennemente consacrato alla deposizione della Croce e nel 1818 la Fabbriceria di Paderno ordinò la demolizione della chiesetta di San Pantaleone a Vat. All’inizio del Milleottocento è parroco a Paderno don G.B. Sguazzi, sacerdote pieno di iniziative. Nel 1823 amplia la canonica e nel 1828 inizia la ristrutturazione della chiesa ormai insufficiente. Chiama l’artista veneziano Sebastiano Santi e fa affrescare la chiesa. Questi affreschi sono magnificamente conservati e mostrano tutta la loro bellezza ora, dopo il restauro eseguito dalla ditta Lizzi Enzo nel 1997. Nel 1858 inizia la costruzione del nuovo campanile che viene inaugurato nel 1864. Nel 1896 viene promossa dal parroco don Antonio Pellizzari un iniziativa di carattere sociale: nasce la Cassa rurale.
Nel 1926 troviamo parroco don Lodovico da Toni e durante il suo servizio pastorale a Paderno viene inaugurato il monumento ai caduti (1926) e l’asilo infantile delle Ancelle della Carità in via Molin Nuovo. La chiesa parrocchiale viene arricchita da 12 tele dipinte dallo stesso parroco.
Don Giona Sebastianis, sacerdote attivo e dinamico e con grandi e felici intuizioni, sarà parroco fino al 1985 e a don Giona succede don Angelo Saccavini. Nascono la casa della gioventù, la sala cinematografica, viene rifatto il tetto della chiesa, il pavimento della stessa, l’organo; viene dato un nuovo assetto a tutta la proprietà parrocchiale.
La successione dei parroci di questa chiesa, come del resto quella di altre parrocchie, fa balzare una differenza sostanziale con la Chiesa dei nostri giorni. Allora i parroci erano delle figure stabili, così come stabile era la famiglia e stabile, prima del boom economico, la società. I preti giovani venivano spostati qua e là come cappellani, per fare esperienza e per maturare la coscienza dei loro doveri pastorali; poi, una volta promossi a titolari di una parrocchia, raramente venivano spostati dal vescovo, beninteso se facevano buona prova Il che avveniva il più delle volte. Per una serie di circostanze che non vogliamo idealizzare, ma indubbiamente erano, nel complesso, favorevoli, si creava spesso un forte legame fra la comunità e il pastore spirituale. Le famiglie contavano su di lui, e lui su di esse; si conoscevano bene. Il parroco passava ogni anno nelle case per la benedizione, e, attraverso il confessionale e le attività parrocchiali, conosceva un po’ tutto quel che riguardava la vita esteriore e interiori dei suoi parrocchiani. Seguiva l’asilo infantile, le opere di beneficenza, l’orfanotrofio; dirigeva le processioni e le altre manifestazioni della devozione popolare; allestiva spettacoli nell’oratorio o nel cinema parrocchiale, seguiva il gruppo teatrale, accompagnava le famiglie in gita al santuario più vicino, si interessava ai problemi del lavoro, dei quali s’intendeva, specialmente di cose agricole, figlio di contadini pure lui, o al massimo di piccoli impiegati o commercianti; dava consigli, provvedeva ad aiutare i bisognosi. Era instancabile e generalmente apprezzato; gli si perdonavano certe bizze, certi piccoli difetti, purché desse prova di amare la sua chiesa; ci si affidava a lui per una parola buona, anche per una raccomandazione. Era in buoni rapporti col sindaco, col medico condotto e con il maestro elementare, e questo quartetto seguiva un po’ tutto lo svolgimento della vita sociale. Si occupava anche delle lezioni di catechismo, se non c’erano altri le teneva lui stesso ed esigeva la massima disciplina. Poi organizzava le collette per le famiglie in difficoltà, ma anche per i restauri e la manutenzione della chiesa, per la riparazione dell’organo, per la ristrutturazione o l’ampliamento dei locali parrocchiali: allora andava in banca e trattava dì personalmente col direttore per ottenere un prestito. Era un accentratore, prendeva decisioni quasi da solo, i fabbricieri seguivano la sua volontà, ma non lo consideravano un tiranno, si rimettevano alla sua esperienza e alla sua saggezza. Qualche volta, come abbiamo visto nel caso di Paderno, era lui stesso un artista autodidatta, dipingeva la Via Crucis, o componeva la musica per la Messa, e spesso era un amante delle tradizioni, era una piccola autorità in fatto di storia locale, conosceva le opere contenute nella chiesa e si serviva dell’archivio parrocchiale per compilare la storia del paese e della sua comunità. Era discretamente colto, poteva sostenere una conversazione intelligente con chiunque, e, se capitava un confratello da un Paese stranero, potevano intendesi benissimo in latino. Conosceva la dottrina quanto bastava per sentire la puzza di un’idea eretica a un miglio di distanza, e aveva abbastanza familiarità con la preghiera, la meditazione e l’adorazione eucaristica, per poter dare il buon esempio ai parrocchiani e anche ai preti più giovani. Questo, almeno nei paesi, dove la vita era più sana e la pratica religiosa molto più seguita. Nelle città, e specialmente in quelle più grandi, era diverso: lì c’era molta meno selezione, specie nei collegi e all’ombra delle curie vescovili. Lì si annidavano anche i preti senza fede, dalla condotta scandalosa, che peraltro tenevano celata, per quanto possibile; lì c’erano anche i lupi travestiti da agnelli, i preti pedofili che molestavano i bambini nelle parrocchie e soprattutto i seminaristi, nei seminari. Erano, però, una piccola minoranza, almeno fino alla metà del ‘900; solo in Vaticano cominciavano ad essere forti e a costituire delle vere e proprie lobby, spesso intrecciate con la finanza, la massoneria e altri gruppi di potere occulto. E in città, nelle facoltà teologiche, cominciavano la loro irresistibile scalata al potere i teologi neomodernisti, questa mala razza di sedicenti riformatori, a loro volta infettati dal clero d’Oltralpe, succube dei pastori luterani, che gli apparivano più moderni, più avanzati e al passo coi tempi nuovi, il cui vero obiettivo era rivoluzionare la chiesa, trasformandola in una chiesa protestante e modernista. Così, alla vigilia del Concilio, la Chiesa cattolica era un colosso dai piedi d’argilla. Dava ancora un’impressione di forza, ma solo guardandola da lontano; e appariva ancora radicata nella società e nelle famiglie, ma la società e le famiglie stavano per subire una vera mutazione antropologica, fatta di laicizzazione accelerata, di nuovi costumi sessuali, di richiesta del divorzio e dell’aborto, di netta separazione tra la fede e la vita di ogni giorno, di disgregazione e ricomposizione di nuovi nuclei familiari, spesso de facto. I giovani erano sempre più inquieti, le donne attratte dalle sirene del femminismo, l’autorità del capofamiglia indebolita, quella dei professori incrinata dalla contestazione e, su tutto, il dilagare del diabolico consumismo. La Chiesa aveva fatto diga per decenni, per secoli; i tempi erano maturi perché crollasse di colpo. Bastava una piccola spinta, e questa arrivò: la congiura massonico-modernista era pronta a scattare…