
E se anche gli scienziati leggessero un poco Omero?
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Omaggio alle chiese natie: San Pietro Martire
30 Luglio 2018Si dicono e si pensano molte cose sbagliate sull’Inquisizione medievale (altra cosa fu l’Inquisizione spagnola nel XVI e XVII secolo): basta pronunciare quel nome perché tutti assumano un aspetto accigliato e compreso, e pensino fra sé: Eh, già, l’Inquisizione: che tremendo capitolo della storia passata!, più o meno come si farebbe se venisse nominato il nazismo. Ma la verità è che la maggior parte delle persone non ne sa quasi nulla, e quel poco deriva da romanzi o da film come Il nome della rosa, e poco altro, o poco di meglio. Basta fare una ricerca in rete, per esempio scegliendo Immagini da Google: verrà fuori una galleria degli orrori, strumenti di tortura, sadici frati che interrogano sventurate donne sottoposte ai più tremendi supplizi, meglio se queste sono di aspetto piacente e seminude. Come nel caso della leggenda nera riguardo alla conquista dell’America centro-meridionale da parte degli Spagnoli, la propaganda protestante ha vinto e stravinto e neppure a distanza di secoli è ancora possibile orientare l’opinione pubblica in una diversa direzione o, quanto meno, suggerirle altre possibili interpretazioni del fenomeno "Inquisizione". Lungi da noi voler rivalutare o giustificare l’uso spregiudicato della violenza da parte degli inquisitori; né intendiamo esercitarci nella misera dialettica consistente nel rispondere a ogni crimine cattolico con un crimine, magari più orrendo, dei protestanti, come pure si potrebbe fare, partendo dal rogo di Michele Serveto da parte di Calvino, o dalla decapitazione di Tommaso Moro per ordine di Enrico VIII: peraltro, riforma e controriforma sono al di fuori dei limiti cronologici del Medioevo e appartengono a un altro universo intellettuale e spirituale, quello della modernità, che è già, nel suo intimo, post-cristiano e, tendenzialmente, anticristiano, anche se la cosa sarebbe divenuta esplicita solo due secoli più tardi, con il libertinismo e con l’illuminismo. Vogliamo semplicemente riportare il fenomeno dell’Inquisizione nel suo esatto contesto storico e far vedere come essa, ritenuta necessaria per difendere la purezza della dottrina, fondamento anche della stabilità sociale, fosse tutt’altro che una perfetta macchina di distruzione, bensì un’istituzione dalle risorse limitate, tutt’altro che onnipotente, e, in alcuni periodi, costretta a strare sulla difensiva dal dilagare delle eresie, specialmente quella catara, nel XIII secolo, mano a mano che i profughi dalla crociata condotta in Francia contro di essa affluivano in Italia. Non era raro che le autorità comunali prendessero posizione contro gli inquisitori e contro i legati papali, né che ricusassero obbedienza al papa e negassero l’arresto o la consegna di persone ricercate dall’Inquisizione; nel caso dei comuni ghibellini, anzi, possiamo dire che ciò fosse la regola, almeno fino alla decisiva sconfitta del partito ghibellino, dopo la disfatta di Manfredi a Benevento nel 1266. È noto che la stessa politica di Federico II, benché formalmente anti-ereticale, nascondeva una ambiguità di fondo: se l’imperatore, infatti, era ostile agli eretici per ragioni politiche, era anche ostile al papato e quindi, sul terreno propriamente religioso, tutt’altro che maldisposto verso gli eretici, tanto da essere egli stesso considerato un eretico e perfino uno strumento dell’inferno. Nei comuni guelfi, più strettamente legati al papato, la vita, per i gruppi ereticali, era certamente più difficile, non però impossibile, specialmente nei periodi nei quali le lotte fra papa e imperatore, fra comuni guelfi e ghibellini, e poi fra comuni guelfi neri e guelfi bianchi, faceva sì che l’attenzione dei podestà e dei senati cittadini fosse assorbita in tutt’altra direzione, per cui agli eretici era concesso di riorganizzarsi e perfino di predicare in pubblico, con tanto di contraddittorio fra vescovi catari e vescovi cattolici. Vi furono momenti nei quali nelle città italiane, a cominciare da Milano, i cattolici erano costretti a starsene buoni e in silenzio, perché i catari e altri gruppi ereticali, come quelli facenti capo alla Pataria, erano troppo forti e organizzati per poter essere combattuti apertamente. Gli inquisitori che viaggiavamo per la Penisola con il mandato di contrastare il diffondersi dell’eresia e di fondare associazioni di preghiera e devozione cattolica, nonché di predicare alla folla, per rinsaldarne la fede, lo facevano, sovente, a loro rischio e pericolo. Non sempre erano sostenuti dai podestà e non sempre erano materialmente al sicuro dalle vendette degli eretici o dai tumulti di piazza suscitati da questi fra la popolazione. Più di una volta degli inquisitori vennero uccisi nel corso di sollevazioni popolari, o cacciati fuori dalle città; e più di uno cadde vittima di veri e propri agguati e assassini premeditati, magari organizzati minuziosamente da parte di personaggi importanti, che si servivano dell’opera di delinquenti di professione. Tale fu il caso dell’assassinio di Pietro da Verona, oggi noto come san Pietro Martire, un giovane molto brillante che si era opposto per tempo ai suoi genitori, seguaci dell’eresia catara, aveva studiato a Bologna e poi, divenuto frate domenicano, aveva spiegato il massimo zelo a predicare nelle città dell’Italia centro-settentrionale, sino a Firenze, contro l’eresia, e a fondare delle associazioni cattoliche che ravvivassero nel popolo il sentimento religioso e lo riconducessero entro l’alveo dell’ortodossia cattolica.
Ha scritto il medievista italiano Raul Manselli (Napoli, 8 giugno 1917-Roma, 20 novembre 1984) nel suo libro L’eresia del male (Napoli, Morano, 1980):
Capitale dell’eresia nella Lombardia era certamente Milano, ove convivevano le più disparate sette ereticali e la situazione dei cattolici era così compromessa che Giacomo de Vitry, vistandola nel 1216 e trattenendo svisi anche per predicare, la chiamò "fovea hereticorum", osservando pi come appena si trovasse in tutta la città chi resistesse agli eretici: eccezione facevano solo gli Umiliati, allora, nei primi tempi della loro attività, in piena fioritura.
Se ne ebbe la prova quattro ani dopo, quando Milano, resistendo ad ogni sollecitazione da parte della Chiesa, rifiutò di inserire nei suoi statuti, nel luglio 1221, la "Consitutio in basilica beati Petri" contro gli eretici ed in difesa delle libertà ecclesiastiche, mentre invano si protestava contro il potestà, Amizone Sacco, da parte del legato papale Ugolino di Ostia, lamentando la "astutia demonum", la "hereticorum perfidia" e la "sevicia tyrannorum".
Un periodo di severità contro gli eretici si ebbe nel 1229, in coincidenza con la podesteria di Oldrado di Tresseno, di cui dice la statua, giunta fino a noi nel palazzo della Ragione a Milano, che "cataro, ut debuit, ussit". Nel culmine della lotta tra l’impero e molti comuni italiani, quando Federico acerbamente rimproverava al papa la sua alleanza con gli eretici e cioè proprio con Milano — chiamata da Matteo Paris "civitas illa omnium hereticorum" -, appunto allora, la città, impegnata duramente nella sua lotta contro l’accerchiamento che le stava intorno ponendo il sovrano, poco poteva, invece, interessarsi degli eretici. Questi, infatti, giovandosi d’un tale stato di cose contavano sull’impunità completa, contro cui non molto ottenne Pietro da Verona, poi s. Pietro Martire. Il domenicano riuscì ad organizzare una "Militia Christi", un’associazione di fedeli contro l’eresia, ma non riuscì a fermare l’attività degli eretici: un vescovo eretico, da lui catturato, poté così tenacemente polemizzare contro di lui. Se fu mortificato, alla fine, da un prodigioso intervento divino, è certo anche, come sembra, che ne uscì impunito. L’indicazione dell’importanza degli eretici a Milano e nel territorio milanese ci è data proprio dalle vicende dell’assassinio di Pietro da Verona e del processo dei suoi uccisori.
S. Pietro Martire, anche prima d’essere inquisitore, si era mostrato attivissimo, non solo a Milano, ma in tutta l’Italia settentrionale, ovunque gli fosse consentito di combattere l’eresia e di organizzare i cattolici, di cui cercava di ravvivare il fervore come aveva fatto a Como, a Bergamo, a Pavia, a Lodi, con buoni risultati e con qualche conversione clamorosa, come quella dell’eretico Ranieri Sacconi, divenuto poi anch’egli domenicano, inquisitore ed il più abile compagno dello stesso Pietro. I due, quindi, costituivano per gli eretici una vera minaccia, per cui questo decisero di corree ai ripari, eliminando i due pericolosi avversari. Si organizzò un vero complotto al quale presero parte eretici di tutta la Lombardia: ne fu l’anima un nobile milanese, Stefano Confalonieri.
Vennero assoldati due sicari — ma uno all’ultimo momento non osò prender parte all’agguato — e la mattina del 6 aprile 1252 fu ucciso Pietro da Verona insieme con un suo compagno. L’assassino, Pietro da Balsamo, detto Carino, arrestato subito, riuscì poi a fuggire, finché dopo molte vicende, pentitosi del suo delitto cercò rifugio in un convento domenicano, ove morì in fama di santità.
Rimasero impuniti, però, i mandanti, contumaci anche se furono condannati a pene severe: caratteristiche e tipiche addirittura le vicende di colui che era stato il vero organizzatore dell’assassinio, il Confalonieri, che più volte arrestato, condannato e graziato, riuscì, in realtà, ad evitare ogni castigo fino agli ultimi anni del Duecento.
Proprio l’uccisione di s. Pietro Martire rafforzò lì’impegno del superstite Ranieri Sacconi contro l’eresia. Questa, infatti, incontrava il favore dei cittadini ancora verso il 1260, se protestarono contro l’azione dell’inquisitore da loro ritenuta eccessiva e vessatoria. Solo negli ultimi decenni del secolo, grazie anche alle mutate condizioni politiche, sociali e religiose, fu possibile ottenere un lento, ma tenace regresso dell’eresia, che, in ogni caso, aveva perso ogni effettivo mordente nella vita cittadina.
Quanto alle altre città della Lombardia dovremo limitarci soltanto a ricordare che esse dovevano offrire una tranquilla ospitalità agli eretici, se erano le sedi cercate come rifugio dai catari, fuggiti dalla Francia: così Cuneo, ancora alla fine del secolo XIII; aveva dato a Pierre Autier — ma da decenni era la meta sospirata dagli scampati all’inquisizione provenzale — la possibilità, durante ben quattro anni […], di compiere il periodo di prova e di concludere la formazione spirituale necessaria prima di ricevere il consolamento. Altre ancora ci risultano rifugio d’eretici di Francia e, quindi, tranquillo asilo di quelli cittadini: Pavia, Piacenza, Lodi, Brescia sono ricordate in documenti dell’inquisizione di Tolosa o di Carcassona, infatti, come sedi di fuggiaschi. Se nelle città guelfe, come Milano, l’eresia aveva delle difficoltà perché l’inquisizione, seppure osteggiata, finiva però con l’ottenere una certa libertà d’azione e di movimento, poteva essere ben più libera in quelle che avevano aderito, invece, al ghibellinismo, come Cremona.
La vicenda dell’assassinio di Pietro da Verona, e, ancor più, di ciò che è accaduto in seguito, appare significativa sotto vari aspetti. Il principale responsabile del delitto, il nobile Confalonieri, poté eludere la condanna e farsi beffe della giustizia, e ciò nel maggior comune dell’Italia settentrionale, un comune guelfo: il che mostra quanto l’Inquisizione fosse, agli occhi di molti, una tigre di carta, che era possibile sfidare nel modo più clamoroso, senza subire serie conseguenze. Il responsabile materiale, Carino, al di là del fatto che si sia convertito e che sia entrato, a sua volta, nell’ordine domenicano — cosa che mostra, più di qualsiasi ragionamento, l’immenso ascendente morale che la Chiesa aveva rispetto alle sette ereticali — non dovette scontare neanche un giorno di prigione, né qualcuno gli intimò di presentarsi alle autorità per pagare il suo debito con la giustizia umana: evidentemente, ai suoi superiori bastavano il suo pentimento e il suo proposito di condurre una vita santa, in riparazione dell’omicidio. Ma anche il vescovo eretico milanese, Daniele da Giussano, si convertì, avverando la profezia di Pietro da Verona, il quale, poco prima di cadere sotto la roncola dell’assassino, aveva predetto la sua morte imminente, affermando che sarebbe stato più pericoloso per gli eretici da morto che da vivo. Il papa Innocenzo IV, colui che lo aveva inviato a Milano come inquisitore, lo canonizzò nel 1253, meno di un anno dopo la morte. Carino, che aveva avuto quale direttore spirituale il mistico (poi beato) Giacomo Salomoni, morì nel 1293, nel convento dei domenicani di Forlì, in fama di santità, e sarà dichiarato beato nel 1822. I suoi resti sono stati traslati nella chiesa di San Martino a Cinisello Balsamo, suo paese d’origine, mentre quelli di s. Pietro Martire riposano nella basilica milanese di S. Eustorgio. Prima di morire, si dice che san Pietro abbia intinto il dito nel suo stesso sangue e abbia scritto a terra: Credo. Questa è stata la forza del cristianesimo: una straordinaria forza morale, più che materiale, la quale ha sorretto gli uomini del Medioevo e ha assicurato alla Chiesa il suo prestigio, nonostante periodi di crisi e di vero e proprio sbandamento morale. Finché ha potuto disporre di uomini così, cioè fino a qualche decennio fa, essa ha potuto superare ogni avversità e affrontare a testa alta i suoi nemici, chiamandoli apertamente per nome. Ora che ha deciso di fingere che l’eresia non esista più, in nome di una "dottrina" che abbracci tutti e non escluda alcuno — una assurdità in termini – e che ai Pietro Martire e ai Giacomo Salomoni sono subentrati i Paglia e i Galantino, è assai difficile dire cosa sarà di lei…
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