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Quando dove come nasce l’Europa cristiana-cattolica

È un darto ormai acquisto a tutte le persone di cultura media che la nascita dell’Europa avvenne per l’azione concomitante e convergente del cattolicesimo e del germanesimo, dolo che, con il crollo dell’Impero romano di Occidente, si era creato un vuoto politico e minacciava di crearsi anche un vuoto culturale (fino ad allora scongiurato dal persistere, nella Chiesa cattolica, della tradizione giuridica e letteraria romana). Ma quando, esattamente, dove e come avvenne la nascita dell’Europa, un concetto (e a maggior ragione una realtà) che non era mai esistito né nella sfera culturale greca, né in quella romana?

Per rispondere a queste precise domande, ci rivolgiamo a un classico della storiografia medievale: La nascita dell’Europa di Christopher Dawson (titolo originale: The Making of Europe, 1932; traduzione dall’inglese di Cesare Pavese, Torino, Einaudi, 1959, e Milano, Il Saggiatore di Alberto Mondadori, 1969, pp. 111-114):

Il ponte fra il mondo romano e quello medievale si trova nella Gallia. Nelle province mediterranee le tradizioni della cultura romana erano ancora fortissime. Nella Germania e nella Britannia romane la società tribale barbarica aveva spazzato via tutto. Fu solamente nella Gallia che le due società e le due culture s’incontrarono in condizioni relativamente pari, e le circostanze risultarono favorevoli a un processo di fusione e di unificazione che poteva fornire la base di un ordine nuovo.Prima che ciò risultasse possibile, era necessario tuttavia trovare un principio di unione. Non era sufficiente che i barbari tollerassero la cultura romana e adottassero esteriormente alcune delle forme esteriori del governo romano. L’autentico rappresentante della popolazione assoggettata non era il burocrate né l’avvocato romano, ma il vescovo cristiano. Quando ebbe luogo il tracollo del governo imperiale in Occidente, il vescovo rimase il capo naturale della popolazione romana. Egli organizzò la difesa della sua città, come Sidonio Apollinare a Clermont; trattò coi barbari, come san Lupo con Attila e san Germano col re degli alani; e soprattutto fu il rappresentante, insieme, della nuova società spirituale e dell’antica cultura laica.

In tutto il rovinio dell’epoca delle invasioni, i capi della società cristiana, uomini come Sidonio Apollinare o sant’Avito, serbarono fede non soltanto alla loro religione, ma al destino imperiale di Roma e alla supremazia della cultura antica. I cristiani sentivano che, finché sopravvivesse la Chiesa, l’opera dell’impero non poteva andare distrutta. Diventando cristiani, o piuttosto cattolici, i barbari sarebbero diventati romani, «il fiotto barbarico si sarebbe infranto contro la rupe di Cristo». Come scrive Paolino da Nola intorno a un missionario cristiano (Niceta di Remesiana).

L’unico grande ostacolo alla fusione di romani e barbari in una sola società era la differenza di religione. Tutti i più antichi regni germanici, nella Gallia i burgundi e i visigoti, gli ostrogoti in Italia, i visigoti e gli svevi nella Spagna, e soprattutto i vandali in Africa, erano ariani, e, come tali, in stato di permanente opposizione alla chiesa dell’impero e alle popolazioni soggette. Donde il fatto paradossale che l’unificazione della Gallia partì non dal regno goto-romano del Sud-Ovest relativamente incivilito, ma dal barbarico regno franco del Nord-Est. Eppure, nonostante il loro paganesimo, i franchi possedevano una tradizione di rapporti con l’impero più antica di qualunque altro popolo germano-occidentale. I franchi salii erano insediati su territorio imperiale in Belgio e sul basso Reno fin dalla metà del secolo IV, e nel V come alleato dei governatori della Gallia combatterono contro i sassoni, i visigoti e gli unni. Nel 486 il loro re Chlodovech o Clodoveo conquistò il territorio compreso fra la Loira e la Somme, ultimo avanzo della Gallia romana indipendente, e divenne così capo di un regno misto romano-germanico. Ma fu la sua conversione al cristianesimo cattolico nel 493 a segnare una svolta nella storia del tempo, perché inaugurò l’alleanza fra il regno franco e la Chiesa, che fu il fondamento della storia medievale e che in definitiva diede origine al restaurato Impero d’Occidente sotto Carlo Magno. Il suo effetto immediato fu di facilitare l’unificazione della Gallia con l’assorbimento dei regni ariani, e di produrre da parte del governo imperiale di Costantinopoli il riconoscimento di Clodoveo come rappresentante dell’autorità romana.

Fu come rappresentante del cattolicesimo contro l’arianesimo che Clodoveo intraprese la sua grande campagna contro i goti nel 507. «In verità mi affligge il cuore — sembra dicesse — che questi ariani occupino una parte della Gallia; con l’aiuto di Dio andiamo a sconfiggerli e a prendere i loro territori». Nelle pagine di Gregorio di Tours la campagna appare come una guerra santa, e l’avanzata di Clodoveo è accompagnata a ogni passo da miracolosi segni del favore divino. La vittoria di Vouillé e la conquista dell’Aquitania segnavano certo l’apparizione di un nuovo stato cattolico nell’Occidente, e l’importanza di esso venne riconosciuta dall’imperatore Anastasio, che conferì immediatamente a Clodoveo le insegne di magistrato romano. Nel corso dei successivi trent’anni la monarchi franca avanzò con straordinaria rapidità. Non soltanto la Gallia fu ancora una volta riunita, ma verso oriente il suo dominio si estese assai oltre le antiche frontiere romane. Gli alemanni, i turingi e i bavari vennero assoggettati in una rapida successione, e sorse un grande stato, che fu la matrice non soltanto della Francia, ma pure della Germania medievale. E in null’altro i franchi mostrarono così chiaramente di aver assimilato la cultura romana che in quest’opera di conquista e organizzazione della riva destra del Reno. Ancora oggi la Germania meridionale porta il segno del loro dominio.

Christopher Dawson, insigne storico nato nel Galles (1889-1970), professore di Storia della civiltà e Filosofia della religione a Exeter, Liverpool, Edimburgo e Dublino, s’era convertito al cattolicesimo durante gli studi universitari preso il Trinity College di Oxford, nel 1914, ed era divenuto figura di spicco della rinascita culturale cattolica in Inghilterra della prima metà del Novecento. Questo brano di prosa è un ottimo esempio di come, nello studio della storia, si debbano valutare, coordinare e integrare i fattori di natura politica, militare, dinastica, ecc., con quelli di ordine culturale, spirituale e religioso; di come si possa e si debba sfrondare la ricostruzione degli eventi da tutto ciò che è secondario e accidentale (che ha la sua importanza, certo, perché del passato «non si butta via nulla», ma un’importanza relativa, che non deve fare ombra all’essenziale) per puntare direttamente al cuore dei problemi.

In questo caso, il problema storiografico consiste nel capire quando, dove e come sia nata l’Europa moderna; quali forze, ispirandosi a quali modelli e secondo quali linee di tendenza abbiano messo in movimento le vicende che hanno condotto, nell’arco di tempo che va dal 476, la caduta formale dell’Impero romano d’Occidente, al Natale dell’800, cioè alla nascita (rinascita?) del Sacro romano impero a opera di Carlo Magno e più ancora di papa Leone III. Il quando è presto detto: dopo che Clodoveo conquistò il regno di Siagrio (ultimo lembo dell’Impero di Occidente sopravvissuto al naufragio) nel 486, promosse la fusione del suo popolo coi gallo-romani e gettò le basi della loro conversione al cattolicesimo; indi sottomise, uno a uno, i regni barbarici ariani e da ultimo sconfisse il più potente di essi, quello dei Visigoti.

Stando alle apparenze, le cose avrebbero dovuto andare in tutt’altro modo. I Visigoti si erano convertiti al cristianesimo assai prima dei franchi e si erano insediati nella parte più civile e più romanizzata della Gallia, il Mezzogiorno. Un loro re, Ataulfo, aveva addirittura sposato la sorella dell’imperatore di Ravenna, Onorio, Galla Placidia (nipote, quindi, di Teodosio il Grande); mentre in Italia, cioè nella culla dell’Impero d’Occidente, gli Ostrogoti di Teodorico avevano fondato, con l’approvazione di Costantinopoli, il regno romano-barbarico più brillante, più evoluto e, a un certo punto, più potente, o almeno più rispettato e prestigioso. Come mai l’Europa moderna non aveva tratto dai visigoti o dagli ostrogoti gli elementi essenziali per la sua nascita dalle rovine dell’antico impero d’Occidente e della sua civiltà, ma dai franchi, assai più primitivi, meno romanizzati e, ancora all’alba del VI secolo, pagani, nonché condizionati dallo svantaggio di aver fondato un regno in posizione strategica marginale, tra la Gallia del nord e la Germania del sud, quando il baricentro della civiltà cristiana era tuttora nel Mediterraneo, fra Costantinopoli, Ravenna, Venezia, Roma, Siracusa (ove per un momento l’imperatore bizantino Costante II penserà di trasferire la sua capitale), Cartagine e Tolosa, e non certo nella valle della Senna, a Parigi, né tanto meno nella valle della Mosella (descritta come ridente nell’omonimo poemetto di Ausonio del IV secolo, ma poi di nuovo imbarbarita) e neppure nella valle del Reno, a Strasburgo, a Treviri, ad Aquisgrana?

Lo spiega Christopher Dawson: ciò fu dovuto a tre fattori principali. Primo, la repentina espansione araba, che portò l’islam in Siria, Egitto e nord Africa (più tardi anche in Spagna), rompendo la secolare centralità del Mediterraneo e riducendo drasticamente l’estensione e la forza dell’Impero d’Oriente, da quel momento (salvo alcuni sussulti) costretto sostanzialmente a stare sulla difensiva, dunque sempre meno capace di esercitare un predominio in Occidente. Secondo: la subitanea conversione di Clodoveo direttamente dal paganesimo al cattolicesimo (nel 496, a Reims, per mano del vescovo Remigio) che gli assicurò l’appoggio della Chiesa e la collaborazione dei gallo-romani, conferendo alla sua guerra contro i visigoti ariani il carattere di una crociata (e infatti Gregorio di Tours ne parla in termini simili a quelli usati, due secoli, prima, da Eusebio di Cesarea nei confronti di Costantino in guerra contro Massenzio). Terzo: l’intuizione strategica di Clodoveo che la sua espansione doveva dirigersi, oltre che verso il Sud, anche oltre il Reno, portando la croce nelle regioni mai romanizzate della Germania e sconfiggendo nel 491 i turingi, nel 496 gli alamanni, nel 500 i burgundi, acquisendo una statura superiore a quella d’un barbaro bramoso solo d’ingrandire il suo regno, il che indusse l’imperatore d’Oriente a puntare su di lui come interlocutore in Occidente. E ciò mentre Teodorico, che aveva aspirato a quel ruolo, perdeva terreno, sia per il conflitto che lo opponeva, come ariano, al papa e alla Chiesa, sia per la persecuzione antisenatoria che sarebbe sfociata nei tragici processi contro Simmaco e Boezio, facendolo rientrare nel ruolo (non voluto e certo immeritato) di barbaro crudele, nemico della civiltà romana.

Insomma erano due i candidati a svolgere il ruolo di protagonisti dell’unificazione europea, che passava per la progressiva integrazione dell’elemento germanico con quello romano e, per forza di cose, per una politica di amicizia e stretta cooperazione del germanesimo con la Chiesa (i papi dal canto loro rimasero fedeli agli imperatori d’Oriente fino alla metà dell’VIII secolo, quando la politica iconoclasta iniziata da Leone III e la contemporanea minaccia longobarda, li spinsero all’abbraccio definitivo coi franchi). Uno era Teodorico, insediato in Italia e quindi, teoricamente, in possesso delle carte migliori per ergersi a restauratore dell’impero in Occidente, facendo leva sulla tradizione romana e la collaborazione di uomini come Boezio e Cassiodoro; l’altro era Clodoveo, più lontano dal centro dell’Occidente, ma favorito dalla conversione al cattolicesimo e dal fatto di non essere implicitamente in competizione coi sovrani di Bisanzio, dato che questi ultimi, dopo Giustiniano, si sarebbero rassegnati alla perdita della Gallia ma non a quella dell’Italia, e quindi non erano disposti a "lasciar andare" Roma e il papato, che anzi, con l’esarca di Ravenna, tenevano sotto stretta osservazione. D’altra parte, dopo aver abbattuto il regno ostrogoto con una guerra durissima (535-553) non avevano più la forza di difendere l’Italia e il papa dai longobardi, senza contare che non avevano saputo presentarsi che come rapaci stranieri, interessati solo a spremere senza pietà le nuove province e quindi facendo sentire la loro presenza in senso puramente negativo, come residuo del passato e ostacolo alla nascita del nuovo.

Teodorico, al culmine della sua potenza, ebbe la sua grande occasione, ma non seppe coglierla. Era giunto in Italia nel 490, su invito dell’imperatore Zenone, per spodestare Odoacre; aveva fondato un regno e raggiunto una sorta di supremazia diplomatica e morale sugli altri regni romano-barbarici. Ma commise due errori clamorosi: non aiutò Alarico II, suo genero, contro Clodoveo, e intervenne tardivamente, sconfiggendo i franchi ad Arles e annettendosi la Provenza, e così perse il primato a livello geopolitico; perseguitò il senato romano e la Chiesa (fece arrestare perfino papa Giovanni, che morì in prigione) e s’inimicò la corte di Costantinopoli, alienandosi il favore di tutti i cattolici. Aveva saputo pensare in grande, ma non quanto Clodoveo. Ormai era deciso: l’Europa sarebbe nata sotto l’egida dei franchi, non degli ostrogoti; e il suo cuore sarebbe stato fra la Gallia del Nord e la Germania occidentale, non più l’Italia. Frattanto monaci inglesi e irlandesi predicavano il Vangelo fra i popoli germanici pagani, spostando a Nord il baricentro della cristianità. Ma tutto era iniziato quando Clodoveo, in guerra con gli alamanni, aveva capito il vantaggio di allearsi con la Chiesa…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Biswajeet Mohanty from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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