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Rabbiosi, vendicativi: non capiranno mai niente

È particolarmente istruttivo ascoltare i commenti, le sparate, i comizi da quattro soldi degli sconfitti del 4 marzo 2018, particolarmente i signori del Pd, coloro i quali hanno fatto il bello e il cattivo tempo, nella società italiana, per settant’anni. Anche se hanno governato solo per alcuni anni, hanno però avuto il monopolio culturale pressoché incontrastato, hanno esercitato il potere a livello locale in intere regioni, province e comuni, e hanno avuto il monopolio delle cooperative adibite ai servizi sociali, spesso in felice sincronia con quelle cattoliche ed ecclesiastiche, Caritas in tesa; e, infatti, in perfetta sintonia con esse: ascoltare i discorsi di Galantino o Bassetti sui migranti è come ascoltare i discorsi di Martina, Fiano, Delrio, Romano, eccetera. È istruttivo, perché mostra almeno una cosa: l’assoluta mancanza di fantasia, d’immaginazione, di umiltà, di pura e semplice intelligenza, da parte di costoro; la loro assoluta incapacità, o per dir meglio, indisponibilità, ad imparare qualcosa dalla realtà e dalla vita; la loro impermeabilità ai fatti e la loro cieca adorazione dell’ideologia, la loro: buonista, migrazionista, omosessualista, relativista, permissiva, anarcoide, deresponsabilizzata e deresposabilizzante. Quella che ha portato in malora una delle migliori scuole del mondo; quella che sta portando in malora una istituzione due volte millenaria, la Chiesa cattolica. Per quei signori, le cose non sono ciò che sono, ma ciò che essi hanno deciso che devono essere. Litigano continuamente con il principio di realtà (una mela è una mela, diceva san Tommaso d’Aquino ai suoi studenti), pretendono d’imporre nomi di fantasia alle cose, di stravolgerne il significato: profughi che non sono veri profughi; naufraghi che non sono veri naufraghi; l’integrazione che non esiste, ecc.; come se tutti gli altri fossero ciechi o scemi. E poi, quando il mondo reale dà loro torto, quando gli elettori li bocciano sonoramente, quando li mandano a casa coi fischi e i pomodori marci, s’incazzano. Non accettano la sconfitta, non accettano il verdetto delle urne; non digeriscono l’idea che il "popolo" possa volere altre cose da quelle che vogliono loro, da quelle che essi stabiliscono che devono essere volute. Inaudito! E dove andremo a finire, di questo passo? Come si è lasciata scappare di bocca, a caldo, la giornalista Giovanna Botteri, allorché a vincere le elezioni americane fu l’esecrato Trump e non la beatificata Clinton: ma dove si andrà, di questo passo, se i giornalisti non riescono più a influenzare, a determinare il voto degli elettori? Eh, già: dove andremo a finire? Mah: o tempora, o mores. Che delusione, questi italiani. Se li sono lavorati per decenni; hanno fatto loro, per decenni, il lavaggio del cervello, a scuola, in parrocchia, con la stampa, coi telegiornali: e adesso gli italiani si permettono di pensare con la loro testa, di volere altre cose da quelle che ha hanno stabilito loro, che sono i Buoni, i Giusti, gli Onesti, i Puri, i Disinteressati. Che tristezza, che vergogna.

Ed ecco i commenti di quei signori dopo la disfatta del 4 marzo 2018; ecco, a titolo di esempio, il commento che scrisse, a caldo, per Famiglia Cristiana (a proposito di nomi farlocchi: nonostante il titolo, c’è poco di cristiano in quel giornale) il guru della Comunità di Sant’Egidio – quella che usa la basilica di Santa Maria in Trastevere come refettorio -, Andrea Riccardi:

Le parole di Bergoglio sui migranti sono state ignorate dalla maggior parte degli elettori. Le elezioni politiche italiane hanno dato un risultato incerto. La presenza di tre blocchi non consente una maggioranza omogenea. Su questo, nei giorni passati, sono intervenuti molti commentatori e politici. Ma c’è un aspetto trascurato, anche se non così urgente politicamente: il problema posto alla Chiesa dal voto.

Quale impatto ha avuto il suo messaggio sugli orientamenti della gente? Certo, non lo si misura principalmente con il voto, ma nemmeno è un aspetto da trascurare. Balza agli occhi come il messaggio di papa Francesco e della Chiesa sugli emigrati e i rifugiati non sia stato recepito da una fetta maggioritaria dell’elettorato, anche se tra i comportamenti personali e la scelta elettorale non c’è sempre coerenza. Il "sovranismo", Italia first – direbbe Trump – professato apertamente da una parte della destra, non si concilia con la globalizzazione della solidarietà e l’integrazione europea su cui Francesco ha insistito.

La rabbia e la paura, espresse dal voto, non sono i sentimenti che Bergoglio ha predicato di fronte all’altro e al mondo globale. Non voglio però interpretare le elezioni come un test sull’insegnamento della Chiesa. Tuttavia bisogna riflettere in che misura taluni messaggi diventino cultura e vita del popolo cattolico. Il risultato elettorale avvicina l’Italia al sentire dei Paesi dell’Est. In alcuni di essi è rilevante il peso di Chiese, però, non troppo in sintonia con il messaggio papale sui migranti. Si può dire che il risultato elettorale manifesti uno scollamento dell’idea d’Italia degli elettori da quella solidale del Papa o pacata della Cei e infine della maggioranza dei vescovi.
Eppure la Chiesa non è lontana dalla vita della gente ed è in contatto con i suoi sentimentiNon è vera la rappresentazione, talvolta affiorata nella campagna elettorale, di vertici episcopali "solidali" e di un popolo cattolico che va in altro senso. Il problema è un altro. Le grandi culture popolari italiane di ieri si sono infrante con la globalizzazione e la fine delle ideologie: la gente è sola di fronte alla televisione e ai social in una stagione dominata dalle emozioni. Infatti il voto oggi è molto emozionale. Giovanni Paolo II, nel 1982, disse: «Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata, non fedelmente vissuta».
C’è un ricco vissuto cristiano di solidarietà, di amicizia sociale e di fede. La grande sfida è far emergere da questa realtà una cultura di popolo, capace di sostenere atteggiamenti personali ispirati dal Vangelo. Non si tratta soltanto di un mondo di fedeli, emotivo e volatile, ma anche di offrire al Paese uno spazio di vissuto umano e una cultura umanistica.

Questo è un buon esempio del modo di ragionare, si fa per dire, di quei signori. C’è dentro tutta la stizza, tutto il rancore, tutta l’indignazione di chi vede smentite le sue rosee previsioni, di chi vede disattesa la Grande Verità, di cui si è fatto banditore: è arrabbiato perché il popolo non capisce, non si converte, se ne va per la sua strada. Par quasi di sentire l’arrotare dei denti, il digrignare delle mascelle, dietro il tono falsamente pacato e cristianamente dialogante. Da un lato, c’è una presa d’atto, molto a malincuore, della realtà: Le parole di Bergoglio sui migranti sono state ignorate dalla maggior parte degli elettori. Ma la conclusione non è affatto in linea con tale presa d’atto: se i fatti sono questi, allora i fatti hanno torto, gli elettori hanno torto. Il popolo italiano ha torto. Come volevasi dimostrare: hanno ragione solo loro, sempre loro. Nessuna umiltà, nessuna domanda, nessuna autocritica. Se le parole di Bergoglio sono state disattese, ciò vuol dire che gli italiani non sono stati all’altezza: e avanti coi rimproveri e i ricatti. Italiani cattiva gente, italiani cattivi cristiani, italiani razzisti, populisti ed egoisti. Questo è un perfetto spaccato della forma mentis dei progressisti, cattolici o laici che siano (ma specialmente cattolici): io ti ascolto, ma se tu dici una cosa diversa da quella che penso io, allora non c’è dubbio: tu stai sbagliando, sei fuori strada, devi ravvederti, perché ho ragione io. Il Vangelo è dalla mia; il papa è dalla mia; la verità e la giustizia mi rendono testimonianza. Questo essi pensano, e così hanno sempre fatto, in regime di monopolio, per settant’anni, dal 1945 a oggi. Di fatto, la Repubblica di Pulcinella nata dal mito (taroccato) della resistenza è stata un totalitarismo democratico, buonista e progressista: rispetto per tutte le opinioni, tranne per quelle divergenti. Si poteva dissentire, ma solo all’interno del sistema: tassativamente proibito dissentire in profondità. Chi dissentiva era un fascista, un reazionario, un delinquente; o, come minimo, un egoista, un qualunquista, una brutta persona, abituata a pensare solo ai fatti suoi Orribile colpa, veramente degna della ghigliottina (almeno in senso morale): pensare agli affari propri; una cosa di cui ci si dovrebbe vergognare sino in fondo all’anima. E sentite che capriole intellettuali, che svolazzi di eloquenza nell’analisi del professor Riccardi: la globalizzazione della solidarietà e l’integrazione europea, su cui Francesco ha insistito. Lo sapevate, cari cattolici, che esiste una cosa che si chiama globalizzazione della solidarietà? No? A voi risultava solo che esiste la globalizzazione, che è quella cosa voluta da Soros, da Rockefeller, da Lehman & Brother’s, da Goldman Sachs, per ridurre in schiavitù gli abitanti del pianeta? Be’, adesso lo sapete: c’è anche la globalizzazione della solidarietà. E sapevate che, per essere dei buoni cattolici, bisogna credere ciecamente all’integrazione europea, cioè dire di sì a questa Unione europea, l’Unione dominata dalla Banca centrale europea, la quale, nonostante il nome "europea", è una banca privata, che si fa sempre e solo i c…i suoi, a proposito di farsi gli affari propri, e che sta riducendo in miseria milioni e milioni di disgraziatissimi europei (vedi il caso della Grecia)? No, non lo sapevate? Be’, adesso lo sapete. Se volete essere dei buoni cristiani, dovete essere a favore della globalizzazione e dell’euro. Se avete delle perplessità, dei dubbi; se pensate che l’Italia dovrebbe riprendersi quote della sua sovranità, se pensate che forse dovrebbe uscire dall’euro, siete dei cattivi cristiani. Forse non lo sapevate, ma adesso lo sapete: uomo avvisato, mezzo salvate. Come dite? Perché un cattolico dovrebbe diventare un cattivi cattolico se non ha alcuna fiducia né in Soros, né in Juncker? Ah, ma siete proprio degli zucconi: perché lo ha detto Bergoglio. Sì, avete inteso bene: lo ha detto Bergoglio; lo dice lui, ogni santo giorno. Non è che lo dica un qualsiasi Gesù Cristo, o un san Paolo, o che so, un san Giovanni evangelista; no: lo dice Bergoglio. E che altro volete di più, gente di dura cervice? Di che altro avete bisogno, quali altri segni pretende, la vostra generazione incredula ed egoista? Se lo dice Bergoglio, il discorso è chiuso; lui sa cos’è il vero cristianesimo, cos’è la vera dottrina cattolica. Anche se dice che Dio non è cattolico e che lui non crede a un Dio cattolico. Anche se dice che l’inferno non esiste, e loda la pluriabortista signora Bonino, e lascia lodare sperticatamente il buon Marco Pannella, campione di tutte le battaglie anticristiane degli ultimi decenni, dall’aborto all’eutanasia. Però lui sa cos’è il vero Vangelo, lui sa cosa è giusto e cosa non lo è. Tenetevelo a mente, aggiornatevi: siete rimasti fermi a prima del Concilio, non avete capito che la Chiesa è in movimento, e che lui è venuto a darle la spinta decisiva.

Quanto all’affermazione che la Chiesa non è lontana dalla vita della gente ed è in contatto con i suoi sentimenti, l’interpretazione che Riccardi dà di questo concetto è la conferma, se ce ne fosse stato bisogno, del solipsismo intellettuale di costoro, della loro assoluta indisponibilità a uscire dal cerchio stregato della loro Verità, di vedere qualcosa di diverso dall’immagine di se stessi riflessa in cento e mille specchi. Perché dice, subito dopo, non è vera la rappresentazione, talvolta affiorata nella campagna elettorale, di vertici episcopali "solidali" e di un popolo cattolico che va in altro senso. Se per caso era balenata, per un istante, la tenue speranza che si aprisse uno spazio di riflessione autocritica, queste parole la fanno svanire subito. Non è vero che c’è un clero buono, pro-migranti, e ci sono dei cattolici non buoni, contrari all’immigrazione (invasione). In realtà, Dio sa come (bisognerebbe chiederlo a lui), al fondo sono tutti d’accordo, clero e fedeli; cioè sono tutti buoni e tutti pro-migranti. Si noti come il pensiero si avvita su se stesso e come arriva al corto circuito: i cattolici sono buoni; ma anche il popolo italiano è buono; e siccome essere buoni vuol dire essere favorevoli all’invasione africana ed islamica, camuffata da emergenza umanitaria, allora vuol dire che gli italiani sono favorevoli ad essa, anche se hanno votato contro, e lui stesso lo ha (apparentemente) riconosciuto, in apertura del pezzo. Questa si chiama schizofrenia, ed è il destino di quegli intellettuali che non si rassegnano a dare torto alla propria ideologia, neanche davanti all’evidenza, ma che, d’altra parte, non hanno il fegato di dare completamente torto nemmeno alla gente, perché, dopotutto, sono intellettuali di prestigio, che ai buoni rapporti con la gente ci tengono, eccome, altrimenti le loro posizioni di rendita correrebbero qualche rischio. E allora, come se ne esce? Dando ragione sia all’ideologia, sia al popolo che l’ha bocciata. In che modo? In nessun modo; lo si afferma e basta; contro la logica e a dispetto dell’evidenza. Peraltro, a questo particolare tipo di ginnastica gl’intellettuali italiani della cultura mainstream sono abituati: importante è cadere in piedi, rialzarsi con eleganza anche dopo una batosta, aver l’aria di chi ha sempre ragione e non ha perso l’aplomb, né lo stile, né il sorriso. Figuriamoci: perdere il sorriso per colpa di un Salvini qualunque; non sia mai! E poi, i cattolici progressisti sono i buoni per definizione; se sono buoni, non si arrabbiamo mai. Oh, per odiare, sanno odiare benissimo; ma sempre con un certo garbo, o, se si preferisce, con una buona dose d’ipocrisia. Coltivano in silenzio ciò che Nietzsche definiva il ressentiment, masticano amaro cercando non farlo vedere, sognano rivincite e vendette, sfracelli e ritorni trionfali. Non hanno capito nulla, né imparato nulla, né mai impareranno qualcosa. Sono impermeabili a capire o imparare alcunché. Meritano solo di finire nel nulla, il loro vero elemento…

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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