
Che ne è della Chiesa missionaria?
27 Giugno 2018
Rabbiosi, vendicativi: non capiranno mai niente
29 Giugno 2018Vuoi vedere che il ricatto buonista, migrazionista, omosessualista, insomma politically correct dell’inossidabile cultura dominante progressista, è finito per sempre? Vuoi vedere che il lavaggio del cervello, cui sessanta milioni di italiani sono stati sottoposti quotidianamente, per anni, per decenni, ha prodotto un fenomeno di rigetto totale, inesorabile, che sarebbe parso inimmaginabile solo pochi mesi fa? E che, a forza di tirare la corda, lorsignori ne hanno provocato la rottura, senza alcuna possibilità che se ne fabbrichi una nuova, almeno in tempi brevi? I segnali ci sono, e sono parecchi. Non bisogna cercarli solo nell’ambito della politica in senso stretto, benché tutto sia partito proprio da lì, dalle elezioni politiche del 4 marzo 2018, le prime dopo quattro governi abusivi, nominati dai presidenti della Repubblica e in perfetta assenza di un mandato popolare, e dalle successive elezioni amministrative. Bisogna cercarli soprattutto in ambiti apparentemente lontani dalla politica: per esempio, sui social legati alla televisione di Stato. Facciamo un esempio. Dal lontano 1996, tutte le sante sere che Dio manda, tranne il sabato e la domenica, va in onda su Rai Tre Un posto al sole, una soap opera, la prima ed unica completamente italiana, che è ormai arrivata al bel traguardo dei ventidue anni di programmazione ininterrotta, per un totale di oltre 5.000 puntate. Va in onda nella fascia di massimo ascolto, all’ora di cena, quando un milione e mezzo di telespettatori la seguono, mangiando la pastasciutta e bevendo il caffè che chiude il pasto, dopo una giornata di lavoro. Ebbene, la puntata del 19 giugno 2018 è stata la classica goccia che fa traboccare il vaso. Già da tempo si era notata la tendenza didattica e pedagogica, si fa per dire, del politicamente corretto, progressista e di sinistra: sì all’omosessualità e alle coppie omosessuali, sì ai migranti e all’inclusione, come oggi va di moda dire (specialmente tra i fan di papa Bergoglio), eccetera, eccetera. Ma quella sera, si era nel pieno della vicenda Aquarius, il personaggio di Michele Saviani (vi ricorda qualcuno?), giornalista radiofonico impegnatissimo nei temi sociali e tipico intellettuale post-sessantottino, e il suo giovane collaboratore Vittorio Del Bue, ragazzo con poca voglia di studiare, ma dal cuore grande (perché a Napoli, e lo sceneggiato è ambientato a Napoli, tutti quanti hanno un cuore grande, si sa) e dai forti interessi sociali pure lui, non la finivano più, parlando ai microfoni della loro radio, di esaltare la figura dl migrante, di piangerne l’amaro destino, di esortare e rimproverare la torpida e un po’ egoista coscienza degli italiani che non si fanno sufficientemente carico del dramma di questi 65 milioni di persone "costrette" ad abbandonare i loro Paesi, soprattutto africani, per cercare un futuro migliore in Europa e in Italia. E bisognava sentire con che tono petulante, saccente, da mestrina dalla penna rossa, i due si alternavano nel battere ribattere nel cranio dei loro ascoltatori — cioè, in effetti, dei telespettatori della soap — le loro sacrosante verità progressiste, buoniste e multiculturaliste: come se il 4 marzo non ci fosse stato, come si fosse ancora ai bei tempi di Gentiloni che riceve solennemente il filantropo George Soros, di Renzi, di Letta, o magari di Monti, quando ogni desiderio del’Unione europea era un ordine, e ogni ordine della Conferenza episcopale italiana era un divino precetto, un dogma di fede. Parlavano Michele e Vittorio, ma era come se parlassero la signora Boldrini o monsignor Galantino, oppure la signora Bonino e monsignor Paglia, oppure ancora la signora Gruber e il signor Fiano, o la signora Fedeli ed Enzo Bianchi. Bisogna proprio dire che i progressisti non imparano mai niente e ripetono, con testardaggine degna di miglior causa, sempre gli stessi errori: del resto, non hanno null’altro da dire, la sola lezioncina che sanno snocciolare è quella, non possono far altro che ripeterla all’infinito, come un disco rotto, martellandola nel cranio finché, a forza di sentirla, anche gli italiani più recalcitranti finiscono per saperla a memoria: com’è stato col mito della resistenza, poi con quello dei diritti civili, infine, coi sedicenti rifugiati (anche se le statistiche ufficiali dicono che, su 100 persone giunte illegalmente in Italia, il 93% non sono per niente profughi e scroccano due, tre anni di mantenimento gratis, senza averne alcun diritto).
Ma quella sera, qualcosa è andato storto. Gli italiani hanno detto no: a decine, a centinaia, il popolo dei social ha tempestato la rete, sfogando una rabbia troppo a lungo repressa, una voglia di farsi sentire che finora è rimasta totalmente inascoltata. Già sono costretti a udire la propaganda democratica e anticonservatice della signora Botteri da New York, pagata di tasca nostra; già sono costretti a mandar giù i polpettoni del signor Fazio, la quintessenza del politically correct; per non parlare dei programmi fissi di giornalisti come Corrado Augias, incollati alle poltrone della Rai peggio che se avessero il mastice sul fondoschiena, non importa quanti ascolti facciano, basta che il lavaggio del cervello camuffato da programmi impegnati e diretto agli studenti prosegua senza mai perdere una battuta. Ma dover sopportare i soliti pistolotti sul dovere dell’accoglienza e della integrazione, anche mentre si guarda un programma leggero e di tutto riposo come una soap opera è veramente troppo: peggio che obbligare il ragionier Fantozzi e i suoi colleghi a sorbirsi la decima visione della Corazzata Potemkin. C’è un limite a tutto: ma i signori del politicamente corretto, quel senso del limite, nonché della decenza – perché dopotutto parliamo della Tv di Stato pagata coi soldi dei contribuenti, e non di una propaganda sovvenzionata da enti privati – non ce l’hanno, né l’hanno mai avuto. Sono capacissimi di venire a far la predica sul dovere dell’accoglienza anche alle vittime dei furti, delle rapine, degli stupri, delle aggressioni e degli omicidi perpetrati da una fetta non trascurabile dei 600.000 clandestini che si affollano nella Penisola, grazie al buonismo criminale dei nostri governati, dei magistrati e degli intellettuali come Roberto Saviano e Andrea Camilleri. Ecco il tenore di alcuni commenti dei telespettatori imbestialiti (cit. da Il Fatto Quotidiano.it, articolo di Davide Turrini del 26 giugno 2018):
"È propaganda gratuita pro PD, basta!". "Siete una lagna voi e questi rifugiati". "Puntata vergognosa e di propaganda". Fino all’ultimatum di un fan del primo giorno: "Questo programma è diventato indegno. Lo dico col cuore sanguinante. Vi seguo dalla prima puntata. Vi registravo quando andavate in onda alle 18.30,non ho mai perso una puntata, ma ora non vi si può più guardare, orari improponibili argomenti assurdi mi sembra di vedere la campagna elettorale del PD. Datevi una regolata".
Chissà, quei signori non capiranno niente, ma questo, forse, è l’inizio di una riscossa. Il popolo dei miti si è stancato, ne ha piene le palle del buonismo progressista venduto a un tanto il chilo, del ditino alzato dei Delrio e dei Galantino, in borghese o in clergyman, non fa differenza: si è rotto le palle di tutti i ditini alzati di tutti i chiacchieroni che si sono autonominati i soli buoni, i soli titolati a dar la pagella al mondo intero, i soli che stanno sul piedistallo dell’etica, dall’alto del quale giudicano e assolvono o condannano tutti gli altri. Semplicemente gli italiani si stanno svegliando. Per settant’anni, da quando è nata la Repubblica di Pulcinella, sulla base di una guerra civile (subito negata) e di una grossa menzogna storica, il mito della "liberazione", gli hanno rifilato una massiccia dose quotidiana di balle; eppure, non sono riusciti a rimbecillirlo in maniera irreparabile. Si sta risvegliando; ed è anche un po’ incazzato. Vede e misura tutta l’arroganza, tutta la strafottenza con cui lo hanno trattato: si facevano pagare, mediante il canone Rai, per ingannarlo e prenderlo in giro. Valga per tutti l’episodio clamoroso di Giovanna Botteri, la quale, davanti alla vittoria — per lei sconcertante ed inspiegabile — del repubblicano Trump, dopo che tutti i media politicamente corretti avevano fatto un tifo sperticato per la Clinton, e raccontato ai telespettatori che l’America non ne voleva sapere del razzista miliardario, mentre adorava la nobile progressista e paladina dei diritti civili, si è lasciata sfuggire una domanda clamorosa, rivolta più che altro a sé stessa, ma fatta con disarmante candore: Dove andremo a finire, se nemmeno i mass media riescono più ad influenzare in maniera decisiva l’elezione d’un presidente americano? Forse presentiva che la stessa cosa potrebbe accadere perfino da noi, nel Bel Paese, dove quei signori hanno agito in regime di monopolio per sette decenni… Eh, sì: non c’è più religione. Dove andremo a finire di questo passo? Che cosa succederà, se neanche l’azione concentrica, simultanea, di tutti i mezzi d’informazione riesce a manipolare il voto dei cittadini in una democrazia? Incredibile! E poi qualcuno si permette di dire che il mestiere del giornalista non è quanto di più ingrato…
Magari non sarà l’effetto di grandi ragionamenti, di profonde analisi, però una cosa è certa: la gente si sta svegliando, sta facendo sentire la sua voce, sta esprimendo ciò che il buon senso, l’evidenza, la realtà dei fatti mostrano, e che smentisce completamente la narrazione dei Signori del linguaggio. L’incantesimo è finito, la gente sta uscendo dallo stato di ipnosi cui decenni di lavaggio del cervello l’aveva indotta. I media dicevano, e continuano a dire: emergenza umanitaria. Ma la gente si è resa conto che un’emergenza, quando è permanente, non è più tale; è qualcos’altro, qualcosa del tutto diversa. I media dicono: quei disperati in fuga da guerra e fame. Ma poi vede le immagini di coloro che sbarcano: tutti giovani robusti e ben nutrititi, pieni di muscoli e di ormoni, quasi tutti maschi, quasi tutti sui vent’anni, e si chiede: in fuga da guerra e fame? C’è la guerra in Senegal, c’è la guerra in Nigeria, c’è la guerra nella Costa d’Avorio? Essi dicono: profughi. Ma la gente si chiede: i profughi, quelli veri, non dovrebbero cercare rifugio nel Paese più vicino al proprio, e contare le settimane, i giorni, nell’attesa bruciante di poter tornare, rivedere le loro case, riabbracciare i loro cari? I profughi, se sono tali, non si presentano in Paesi lontani migliaia di chilometri, pretendendo di essere accolti e di restare per sempre: questo, i veri profughi non lo fanno; lo fanno i bugiardi e i codardi: bugiardi perché impegnano la giustizia per anni, costringendo le nostre autorità a complicatissime ricerche per sapere chi sono, da dove vengono, quali presunti pericoli li minacciano; codardi, perché hanno piantato in asso le loro famiglie, i loro vecchi, per ragioni puramente economiche. Le statistiche dicono che i veri profughi sono il 7%; il restante 93% è formato da impostori. I media dicono: migranti. Ma che vuol dire, migranti? Il vocabolario parla di emigranti e di immigrati, come lo erano i nostri nonni. Ma loro avevano i documenti, avevano un posto di lavoro che li attendeva, si sottomettevano alle leggi e alle usanze dei Paesi nei quali si trasferivano: non varcavano le frontiere illegalmente, sulla base di un ricatto morale, esponendosi al pericolo per obbligare le autorità ad accoglierli. I media dicono: naufraghi. Ma la gente sa che essere naufraghi è un’altra cosa: il naufrago è colui che viaggia per mare, la sua nave subisce un incidente e affonda, o sta per affondare: allora si mettono in mare le lance e i passeggeri si trovano nella condizione di naufraghi. Le leggi del mare dicono che qualsiasi nave si trovi nelle vicinanze, ha l’obbligo di modificare la sua rotta e andarli a soccorrere. Ma i cosiddetti migranti non sono affatto dei naufraghi: partono su barconi sovraccarichi, che potrebbero rovesciarsi al primo accenno di mare mosso: partono in condizioni di precarietà, di insicurezza, e appena partiti lanciano l’SOS coi telefonini: e le navi delle ONG li vano a prendere, li trasbordano con gran gioia degli scafisti, e li scaricano direttamente nei porti italiani, senza neppure chiedere il permesso, facendo tutto di loro iniziativa. Se l’obiettivo fosse quello di scongiurare un possibile naufragio, li riporterebbero in Libia, cioè nei porti più vicini. Ma quelle persone non vogliono essere messe al sicuro, vogliono arrivare in Italia, a qualsiasi costo; e le ONG li accontentano. Non si tratta di metterli al sicuro, ma di trasbordarli in Italia, mettendo quest’ultima sotto ricatto: o ci date il permesso di attraccare, oppure avrete dei morti sulla coscienza. E per chiarire il concetto, i media sbattono le immagini del bambino morto annegato, sottinteso per la nostra cattiveria. Lo fanno da dieci, da venti, venticinque anni; sempre lo stesso copione. Prima i signori della Chiesa cattolica e quelli del suo prolungamento politico, il Pd, pretendevano che a sobbarcarsi tutto il lavoro fosse addirittura la nostra marina militare, oltre alla guardia costiera; che il sevizio taxi dalla Libia lo facessero le nostre Forze Armate. Ora lo hanno delegato alle ONG, cioè a quel gran filantropo di Soros. Ma la gente si sta svegliando: sa che il problema è Soros, è la finanza di rapina, sono le banche e il Fondo Monetario Internazionale; e si chiede: possibile che questi stessi signori si diano il disturbo di spendere dei soldi per finanziare le navi delle ONG, al solo scopo di salvare vite umane? Se lo scopo fosse quello dichiarato, cioè di salvare vite umane, non sarebbe molto meglio scoraggiare le partenze? O, una volta partiti, ricondurli nei porti libici? Che è proprio quanto ora sta pretendendo il governo italiano: il quale, sia detto fra parenesi, sta spendendo fior di quattrini per rifornire la Libia di motovedette e di personale militare addestrato. Perciò, la gente ha capito che non si tratta per niente di naufraghi; e comincia a incazzarsi. Sente che i mass media vogliono prendere il popolo italiano per i fondelli; che continuano a raccontargli non la verità, ma una versione fantasiosa della verità: la versione che piace a Soros, al FMI, alla Chiesa e al suo prolungamento politico, il Pd. E ne ha le tasche strapiene.
Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Christian Lue su Unsplash