Grandezza (poca) e miseria (molta) dell’esistenzialismo
12 Giugno 2018
I Promessi Sposi: un romanzo cattolico?
12 Giugno 2018
Grandezza (poca) e miseria (molta) dell’esistenzialismo
12 Giugno 2018
I Promessi Sposi: un romanzo cattolico?
12 Giugno 2018
Mostra tutto

Siamo fatti per l’eternità, non per questo mondo

Siamo fatti per l’eternità, non per questo mondo. Queste semplici parole, immensamente rasserenatrici per qualsiasi credente, da molti anni non si odono più dall’ambone delle chiese; da molti, troppi anni, i preti parlano sempre e solo di questo mondo, come se dovessimo viverci in eterno, o peggio ancora, parlano di politica, di questioni sociali e sindacali, cose che non attengono alla vita dell’anima e che durano lo spazio di qualche mese o qualche anno, mentre la ragion d’essere della Chiesa è condurre le anime a riflettere sul loro destino eterno. In particolare, da alcuni anni, da quando è salito al soglio pontificio il signor Bergoglio, pare che vescovi e sacerdoti non abbiano altro da fare, altro da dire, se non che bisogna "accogliere" i migranti, farli sbarcare, fare loro posto nella nostra società, considerarli come fratelli, come il prossimo di cui parla Gesù Cristo, che ha fame e sete, e che deve essere sfamato e dissetato. Come se quello dei migranti non fosse un problema politico, che non coinvolge la buona volontà di singole persone, ma il destino di un popolo intero, e cioè il nostro; il quale, con la scusa della solidarietà e dell’accoglienza, si trova perpetuamente sotto scacco morale, inchiodato e crocifisso a un ricatto intollerabile: se non sei favorevole agli sbarchi e all’accoglienza, vale a dire se non sei favorevole a questa invasione quotidiana (centinaia di arrivi al giorno) e a questa rapida sostituzione di popolazione (basta confrontare gli indici di natalità degli italiani e degli stranieri…), allora non sei un buon cristiano, anzi, sei un peccatore, un egoista, un cattolico di cui ci si deve vergognare, un cattolico del quale il papa non sa che farsene. E infatti va molto più d’accordo, lui, con la signora Emma Bonino, al punto da favorire le sue concioni nelle chiese: perché sarà stata anche capofila della "battaglia" abortista, e avrà anche diverse migliaia di aborti sulla coscienza (ammesso che ne abbia una), però è favorevole all’accoglienza e alla solidarietà; e dunque è più buona e più cristiana lei, di certi brutti ceffi di finti cattolici, per giunta leghisti e populisti, i quali, parola di Bergoglio, Galantino, Paglia & Compagnia Bella, con il Vangelo di Gesù Cristo non c’entrano assolutamente niente, a differenza di loro, che ne hanno addirittura il monopolio.

Dunque, una volta si entrava in chiesa, per la santa Messa, ed era una cosa normale, normalissima, praticamente scontata, udire il sacerdote che, nel corso dell’omelia, invece di parlare di immigrati, di inclusione e di società aperta, diceva queste semplici, chiarissime parole, dense di significato e tali da spalancare orizzonti infiniti alla meditazione: Siamo fatti per l’eternità, non per questo mondo. Oppure si entrava in chiesa per i quaresimali, era corsa voce che fosse venuto un bravissimo predicatore da fuori, un domenicano, di solito, oppure un francescano; ed ecco lì, nell’edificio gremito, in cui non c’era neanche un posto libero per sedersi, che quel sant’uomo, carico di dottrina e di saggezza, abbracciava con un sorriso l’uditorio, e scandiva, come se stesse guardando negli occhi tutti quanti, uno a uno: Siamo fatti per l’eternità, non per questo mondo. E anche i bambini che frequentavano il catechismo, in vista della prima Comunione, sedevano nei loro banchi e ascoltavano il catechista, o la catechista, i quali, parlando della vita terrena, delle sue gioie e dei suoi affanni, e poi della morte e della vita che inizia dopo di essa, dicevano, senza alcuna mestizia, senza alcun senso di frustrazione, semmai con la soavità di chi pregusta un premio a lungo differito: Siamo fatti per l’eternità, non per questo mondo. E quelle parole non producevano alcuna tristezza; al contrario: illuminavano gli ascoltatori di speranza, perché confermavano la loro intima certezza: che il regno di Dio, benché abbia inizio qui, sulla terra, nella misura in cui gli uomini si aprono al mistero della sua grazia, tuttavia si compie e si realizza pienamente solo nella dimensione soprannaturale. I nostri nonni sapevano perfettamente che il mondo di quaggiù, pur non essendo in sé malvagio, ma soltanto ferito dalle conseguenze del peccato di Adamo, non potrà mai soddisfare la nostra sete di verità, di giustizia e di bellezza; che solo pensarlo, è follia; che il cristianesimo non è la Buona Novella del mondo, ma per il mondo, e ha di mira l’eterno.

Un uomo dalla fede semplice, ma intensa, Renato Baron (1932-2004), di Schio, in provincia di Vicenza, è stato il destinatario di una serie di apparizioni mariane, a seguito delle quali è nato il movimento mariano Regina dell’Amore, attivo con gruppi di preghiera e attività caritative e assistenziali che si diramano anche al di fuori dell’Italia e dell’Europa. Pur non avendo ricevuto il pieno riconoscimento delle autorità ecclesiastiche, e dopo aver subito un processo per abuso di credulità popolare, che si concluse con la completa assoluzione, Baron, insieme ai fedeli che si erano raccolti intorno a lui, si era fervidamente impegnato a diffondere un messaggio di fratellanza e amore, che neppure una grave malattia, da cui fu colpito negli ultimi anni e che lo ridusse sulla sedia a rotelle, valse a fermare o rallentare. Ci piace qui riportare uno dei discorsi da lui rivolti ai fedeli, al termine della Via Crucis al monte di Cristo, il 14 luglio 1993, quando, fra le altre cose, disse (cit. sulla rivista del movimento mariano Regina dell’Amore, Schio, Vicenza, n. 276, maggio-giugno 2016, pp. 12-13):

"La vostra preghiera sarà la vostra forza", questo l’abbiamo capito perché continuiamo a pregare, ma c’è un’altra frase che deve colpirci stasera: la Madonna ci chiama "strumenti" e dice che ci rende facile accogliere la Parola di Dio, affinché attraverso di noi si illumini tutta la terra. Ma in questi ultimi anni, la lampada che doveva stare sopra il moggio l’abbiamo messa sotto, cioè il mondo ha nascosto la luce che Dio ci ha dato affinché tutti vedano. Dio dice: a che cosa serve il sale se non salerà più, se diventa insipido, a che cosa serve se non ad essere calpestato? Oggi questo mondo è diventato insipido, ha perso il senso di quello che dovrebbe essere la primizia di tutta la nostra vita; il pensiero dell’eternità! La Madonna molte volte ne parla e vorrebbe che tutti vivessimo già nell’eternità, ma è una parola grossa per questo mondo, non la capisce più perché non la vuole, perché non la accetta, perché non vede la luce. Fratelli, bisogna tornare a Dio, non mi stancherò mai di gridare queste parole perché la Madonna le grida e le grida a noi!

San Paolo sapeva molto bene dirci nelle sue Lettere come è questa eternità, perché dobbiamo portare i nostri pesi con gioia: "Il momentaneo e leggero peso della nostra tribolazione ci procura un peso smisurato ed eterno di gloria, perché noi non fissiamo lo sguardo sulle cose visibili, ma su quelle invisibili". Non pensiamo che questo peso che portiamo finisce presto e poi ci sarà questa smisurata eternità, e nella Lettera ai Romani san Paolo questo ce lo ricorda: "Ritengo che le sofferenze di questo momento non siano paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi".

Ecco allora, fratelli, dobbiamo stare attenti a quello che il mondo ci presenta tutti i giorni, siano in un cammino difficile perché il mondo continua ad attirarci fuori strada, il mondo ha bisogno di noi, vuole vendere, vuole guadagnare, vuole divertirsi, e noi a volte siamo preda di queste vanità del mondo. Dobbiamo dire al mondo: hai perso la misura! Crollerà la luna, fratelli, il sole, crolleranno le stelle, crolleranno le montagne, noi saremo polvere, ma la nostra anima ci sarà ancora! Ecco l’eternità!

Noi siamo fatti per l’eterno e san Francesco ha detto: "È tanto il bene che mi aspetto, che ogni pena mi è diletto". Vediamo quante malattie, quante poche gioie oggi nel mondo, e il Cielo non solo ci avverte: "State attenti figli miei perché siete nel grave pericolo!", ma ci ha donato Maria. E la Madonna vorrebbe stringerci tutti a Lei, salvarci e ci invita a pregare perché la preghiera cambia il cuore, il cuore cambia la mentalità, la mentalità cambia l’uomo e l’uomo cambia il mondo. La Madonna desidera cambiare il mondo. Sta scritto nel Libro sacro che anche per pochi giusti Dio perdonerà tutti: facciamo il possibile per essere questi pochi giusti almeno noi, perché c’è da salvare il mondo!".

Abbiamo un esempio davanti, quel transatlantico che si chiama "Titanic", partito un giorno verso gli Stati Uniti. In una notte profonda, arriva un segnale di avvertimento attraverso la radio: nella sua rotta, c’era un iceberg, un grande iceberg. Ma la nave non ha cambiato rotta, ha continuato. I superstiti dicono che non hanno saputo niente e sapete perché? Perché tutti nella nave stavano ballando, c’era un grande ballo quella sera e dopo pochi istanti, lo schianto, il brande rumore e tutta questa gente viene scaraventata nel mare, e inghiottita. Questo, fratelli, è un grande segnale, è un esempio per noi oggi. Stiamo attenti perché davanti a noi, nel nostro cammino, c’è un iceberg molto più grande e la Madonna vuole avvertirci di questo. C’è qualcosa che non capiamo, ma che terribile e la Madonna ci avverte che siamo in questa rotta e questa rotta ci porterà verso la fine: chi ha orecchi per intendere, intenda!

Senza voler entrare nella controversa questione dell’autenticità delle sue apparizioni, qui vediamo che Renato Baron, come in tante altre occasioni, ha dato voce a un pensiero che è caratteristico della spiritualità cristiana e che ha accompagnato, come dicevamo, generazioni e generazioni di fedeli, aiutandole a trovare serenità e pace nelle difficoltà della vita, e a non distogliere mai lo sguardo dalla metà del nostro cammino terreno: siamo fatti per l’eternità, non per questo mondo. È un pensiero semplice e chiaro, assolutamente cristiano, tale, anzi, da racchiudere il cuore del messaggio evangelico; ed è quasi la trascrizione delle precise parole di Gesù Cristo, il quale, interrogato da Ponzio Pilato se Egli fosse Re, e se il suo Regno fosse di questo mondo, rispose bensì ma di essere Re, ma che il suo Regno non è di questo mondo (cfr. Gv. 18,36). E con ciò è detto tutto. È detto anche che, se qualcuno cerca di capovolgere la prospettiva e di falsificare questo concetto; se qualcuno cerca di persuaderci del contrario, e afferma, o suggerisce, o si comporta come se il Regno di Dio sia di questo mondo, e il compito della Chiesa sia quello di realizzarlo pienamente in questo mondo, ebbene costui mente, sapendo di mentire, e si macchia del più terribile dei peccati: il peccato contro lo Spirito Santo, che è Spirito di Verità (cfr. Mc. 3,29). E tanto basti per esprimere quel che pensiamo di tutti quei teologi, quei vescovi, quei cardinali, quei sacerdoti e quei religiosi, nonché quei fedeli laici, i quali da troppo tempo, e cioè dagli anni del Concilio Vaticano II, stanno facendo il possibile e anche l’impossibile per convincere la massa dei cattolici che le cose stanno altrimenti: che Gesù è venuto per instaurare la giustizia sulla terra, per insegnare agli uomini a risolvere tutti i problemi, e per fare in modo che essi non abbiano più bisogno d’altro, né di Lui, né del Padre, né dello Spirito, e neppure dell’aiuto della Madonna, degli Angeli e dei Santi, perché possono camminare benissimo con le loro gambe.

Purtroppo, molti cristiani, e anche un gran numero di consacrati, sembrano essersi scordati che la vita terrena è solo un pellegrinaggio, è una fase temporanea e dal significato limitato: una semplice tappa di avvicinamento al nostro destino eterno. Che non sarà una "eternità" neutra, e neppure una beatitudine garantita a tutti, per la gratuita "misericordia" del Signore, come in tanti ora vanno dicendo, e fra questi c’è anche la voce del signor Bergoglio, il quale sta predicando un Dio tutto suo e una religione tutta sua, dove le anime dei malvagi cesseranno di esistere e tutti gli altri andranno direttamente presso Dio; ma sarà un’eternità fatta di eterni tormenti per i dannati, e di eterna felicità per i beati, secondo l’indefettibile promessa di Gesù Cristo (cfr. Mt. 25, 31-46). Questa consapevolezza, che la vita terrena è solo un pellegrinaggio, e che non bisogna attaccarsi ad essa e alle sue lusinghe, è il cuore della psicologia cristiana: se si toglie questo, si spalancano le porte alla mondanità, e si trasforma il cristianesimo in una fede nell’al di qua, senza più nulla di trascendente, di spirituale, di mistico. Anche le nostre nonne, con la loro fede semplice, ma solida, lo sapevano perfettamente; ricordate la canzone mariana: Andrò a vederla un dì? Fin dai primissimi versi, esse cantavano: Andrò a vederla un dì, / in Cielo patria mia, / andrò a veder Maria, / mia patria e mio amor. E ripetevano, per tre volte di seguito, e subito dopo per altre tre volte: Al Ciel, al Ciel, al Ciel, / andrò a vederla un dì. E poi, ancora: Andrò a vederla un dì / è il grido di speranza / che infondemi costanza / nel viaggio e fra i dolor. Le nostre nonne, che nulla sapevano di lauree e diplomi, perché avevano fatto solo la quinta elementare, quel concetto lo avevano ben fitto in testa: la patria del cristiano è il Cielo; la vita terrena è un viaggio, spesso difficile e doloroso; la meta finale è presso Dio, la Madonna, gli Angeli e i Santi. Esattamente come, nella Divina Commedia, scrive Dante, che spende 4.720 versi per ribadire questa medesima certezza: la vita terrena è solo un pellegrinaggio, una preparazione e una prova; la vita vera è con Dio, nell’eternità. Ma poi è arrivato Karl Rahner, è arrivato il Concilio Vaticano II, è arrivata la "svolta antropologica", e in pochi anni, non si sa come (direbbe Pirandello, parafrasando il titolo di uno dei sui drammi), la prospettiva si è completamente rovesciata. Adesso perciò a noi la scelta: vogliamo continuare ad essere cattolici, o farci rahneriani?

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Chad Greiter su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.