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Se comandano i teologi la prassi domina la dottrina

La gravissima crisi in cui versa la Chiesa cattolica ai nostri giorni non è la conseguenza dell’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio; questa ne è, semmai, la conseguenza. La crisi parte da molto lontano; e, osservando attentamente fra le pieghe della storia della Chiesa,se ne potrebbero scorgere alcune avvisaglie risalendo indietro addirittura di secoli: perché è da alcuni secoli che forze non cattoliche operano nell’ombra per insinuarsi nella Chiesa cattolica e per condizionarne, dall’interno, la vita, la pastorale, la dottrina. Nondimeno, se vogliamo fissare una data simbolica più vicina, e di più evidente risonanza, senz’altro dobbiamo indicare il Concilio Vaticano II, o meglio, l’elezione di Giovanni XXIII, ossia del papa che, pur anziano e malato, volle fortissimamente convocare il Concilio, quel Concilio, con quelle caratteristiche, con quella prospettiva, con quegli obiettivi, pur conoscendo benissimo – Pio XII li aveva giustamente paventati – i rischi enormi che ciò avrebbe comportato. Bergoglio, quindi, non è che l’ultimo, in ordine di tempo, e il più esplicito, quanto alla sua azione e anche alle sue intenzioni, di una serie di papi, sei per l’esattezza, a partire dai quali si è mostrata una manovra, sempre più evidente, per stravolgere la dottrina della Chiesa e per portare un miliardo e mezzo di fedeli cattolici verso una religiosità che non è più cattolica, ma eretica, e che tale sarebbe stata sicuramente considerata, e condannata, da uno qualsiasi dei duecentosessanta papi che hanno preceduto il conclave del 1958. Facciamo questa affermazione, di per sé gravissima, con perfetta cognizione di causa, anzi ribadiamo il concetto: nessuno dei papi che si sono succeduti nell’arco di millenovecento anni, da san Pietro, il capo degli Apostoli, a Pio XII, avrebbe trovato normale la prassi che si è instaurata nella Chiesa del Concilio e del dopo Concilio; in tutti gli ultimi sei pontificati vi sono elementi, dottrinari, pastorali o liturgici, gravemente difformi dalla vera dottrina cattolica; elementi che avrebbero provocato una reazione di censura, e, nei casi più gravi, di scomunica, da parte della legittima autorità ecclesiastica, cardinali, vescovi e sommi pontefici in testa. Oggi la situazione è arrivata a livelli intollerabili, perché sia dal vertice della Chiesa, sia dalla base, dai parroci, dai membri degli ordini religiosi, arrivano le cose più impensate, i comportamenti più sconvenienti, le affermazioni più discutibili, e, addirittura, gli insegnamenti più difformi dalla vera fede cattolica; ma il male, ripetiamo, parte da lontano, e si è fatto avanti, in maniera alquanto esplicita, fin dal 1962. Chi oggi ha almeno una sessantina d’anni, ha potuto vivere e osservare il sottile, inesorabile, metodico cambiamento, e può valutare la distanza abissale che separa la Chiesa del 1962 da quella odierna; ma chi è più giovane, e non ha mai visto cos’era la Chiesa di prima del Concilio, è portato a credere che la Chiesa sia sempre stata questa, che la pastorale sia sempre stata questa, che la dottrina sia sempre stata questa, che la liturgia sia sempre stata questa, e non immagina che tutto ciò è la caricatura e la contraffazione eretica, qualche volta blasfema, della vera Chiesa cattolica. I giovani sono portati a pensare che l’improvvisazione, il protagonismo, il narcisismo scomposto di tanti, troppi sacerdoti, i quali si permettono di cambiare lo svolgimento della santa Messa, di introdurvi usi discutibili, di trasformare le omelie in gazzarre o in spettacoli da circo, siano cose normali. Succede, ad esempio, in una parrocchia della provincia di Vicenza, dove il parroco abusa della sua veste sacerdotale per fare il buffone durante la santa Messa  e strappare a ogni costo la risata (se a qualcuno squilla il telefonino, lui dice: Risponda pure e speriamo che non sia la sua amante, altrimenti fa una brutta figura!), invece di accompagnare i fedeli nella preghiera e nella serietà dei sacri Misteri, dove si rinnova per gli uomini il sacrificio eucaristico di Gesù Cristo.

In realtà, non c’è da stupirsi troppo, perché la situazione presente non è che la logica e necessaria evoluzione di ciò che è stato fatto nel 1962-65.  La "grande" intuizione, ancor oggi sbandierata come qualcosa di geniale, di papa Giovanni XXIII, in particolare con la convocazione del Concilio e con l’indirizzo che ad esso venne impresso (sorprendendo, è bene ricordarlo, la buona fede della stragrande maggioranza dei padri conciliari, i quali tutt’altro si aspettavano da quel che poi effettivamente accade, e che si trovarono a recitare una commedia il cui copione era già stato scruto da una minoranza estremamente determinata di vescovi e soprattutto di teologi progressisti) fu che all’uomo moderno bisogna predicare la fede in maniera diversa da come era stata predicata sino ad allora; che i tempi nuovi esigevamo una pastorale nuova; e che la nuova pastorale, cioè il nuovo modo d’insegnare il Vangelo, era così importante, da richiedere un apposito Concilio. Nessuno, infatti, ebbe l’ardire di dichiarare che si voleva un concilio per cambiare la dottrina: sarebbe stato impossibile, perché la dottrina cattolica è perenne e immutabile. Quel che si può mutare, dicevano i progressisti, era il modo di porgerla agli uomini: e fu su quella pretesa che si convocò il Concilio, riuscendo a trasformarlo, però, sin dall’inizio, in un grimaldello per scardinare la dottrina della Chiesa, ma in modo così graduale, così abile, così prudente (almeno, fino a un certo punto) che ben pochi se ne resero conto fra gli stessi padri conciliari, e molti fedeli e semplici sacerdoti non se ne sono accorti praticamente mai, neppure in seguito. In effetti, come immaginare una congiura – perché di questo si è trattato – di così vaste, di così inaudite proporzioni? Si tratta di un pensiero che fa tremar le vene e i polsi, perché implica che a concepire e attuare una simile congiura devono essere state delle forze potentissime, dalle possibilità quasi inimmaginabili. Non solo: vi era, e vi è, anche una difficoltà di tipo teologico, oltre a quella di tipo psicologico: come pensare che lo Spirito Santo non fosse presente nel Concilio? E, se era presente, come pensare che avrebbe tollerato il consumarsi di un tradimento così odioso nei confronti della fede di milioni e milioni di anime innocenti? Eppure, a ben considerare, Gesù non ha mai garantito che nella Chiesa non si sarebbero verificate apostasie e autentici tradimenti: non è stato tradito Lui stesso, e proprio da uno dei dodici apostoli? Certo, nei venti concili precedenti non era mai accaduto che forze anticattoliche riuscissero a impadronirsi della direzione dei lavori; ma una tale possibilità, teologicamente parlando, esiste, perché lo Spirito Santo non è un paracadute assicurato e garantito, non è un deus ex machina che salva e raddrizza qualsiasi situazione, a dispetto della volontà degli uomini. Se esiste una volontà maligna, neppure lo Spirito Santo la può imbrigliare: diversamente, dovremmo negare il libero arbitrio, la cosa più bella della dottrina cattolica (e che la differenzia dal cupo, angoscioso protestantesimo, oggi tanto sbandierato da certi cattolici mal consigliati). Gesù Cristo ci ha assicurato, questo sì, che sarà sempre presente accanto ai suoi, sino alla fine del mondo; e che le porte degli inferi non prevarranno contro la sua Chiesa. Tuttavia, non ha mai promesso che non ci saranno persecuzioni, anzi, le ha preannunciate; e non ha specificato se sarebbero venute sempre dall’esterno, e non anche dall’interno, come ora sta accadendo, della Chiesa stessa. In altre parole, lo Spirito Santo c’è, e indubbiamente c’era anche nelle assise del Concilio; ma ciò non significa che non potesse esservi anche qualcun altro, per esempio l’antico avversario, ben deciso a sfruttare la sfrenata ambizione, la superbia temeraria e l’orgoglio intellettuale di alcuni teologi e dei loro amici vescovi progressisti, i quali si erano auto-nominati "innovatori" della Chiesa. Dimenticando, però, che la Chiesa deve anzitutto custodire il Deposito della fede, e che tutto il resto deve essere subordinato a tale finalità principalissima. 

Lo stesso dicasi per il ruolo e le funzioni del sommo pontefice. I papi vengono eletti per custodire, insegnare e diffondere la dottrina; ma la dottrina cattolica non è loro, non appartiene a loro, è l’espressione del Deposito della fede; e il Deposito della fede è perenne e immutabile. Voler cambiare qualcosa per adattarlo allo "spirito dei tempi" è una mistificazione e una eresia. Una mistificazione, perché non esiste uno "spirito dei tempi", è solo un’astrazione, così come non esiste un "uomo moderno", ma esistono diversi tipi umani "moderni", il polacco, l’ungherese, l’africano, l’asiatico, il latino-americano, mentre i progressisti –  l’osservazione è di monsignor Antonio Livi, noi ci limitiamo a riprenderla e svilupparla – vorrebbero generalizzare e assolutizzare, per le loro ragioni inconfessabili, il tipo del "parigino", o magari, aggiungiamo, del newyorkese, perché no, dell’ebreo newyorkese (quello descritto nei romanzi di Philip Roth e di Tama Janowitz e nei film di Woody Allen, e reso popolare dalle case editrici e dal cinema, facendone un "tipo" universale. Ma ciò è falso. Se il tipo delle metropoli occidentali ha smarrito la fede, non così avviene per gli altri tipi, anzi, anche all’interno del tipo più "moderno" si osserva che la stragrande maggioranza delle persone crede in Dio, e può crederci nella maniera in cui Dio è sempre stato predicato dalla Chiesa cattolica; a non credere in Dio è una minoranza di aridi intellettuali, di nichilisti di professione, i quali, controllando la stampa, la televisione e il cinema, riescono a far credere agli altri che Dio è morto e che, se si vuole resuscitarlo, bisogna che la Chiesa assuma i toni, i modi e magari anche i contenuti del mondo moderno, nelle sue forme più spinte e discutibili. Come altro giudicare le recentissime, inaudite affermazioni del cardinale De Kesel, di Bruxelles, sul fatto che la Chiesa deve riconoscere il "diritto" alla pratica dell’omosessualità? Inoltre, il concetto che all’uomo moderno si deve predicare il Vangelo in una maniera nuova e moderna, è una eresia, perché il Vangelo è sempre quello, e se, per annunciarlo all’uomo moderno, bisogna cambiarlo, allora si compie un tradimento ai danni della fede, e si falsificano milleduecento anni di magistero ecclesiastico. Magistero che il papa ha il compito e il dovere di tramandare fedelmente (tradidi et quod accepi).

E qui veniamo al punto. La funzione del papa è, prima di tutto, magisteriale: egli deve insegnare, e prima ancora custodire, la dottrina: la vera dottrina cattolica, che non è una opinione dei teologi, ma è l’interpretazione delle Scritture e della Tradizione da parte della Chiesa stessa. Ma la Chiesa non può contraddire se stessa, il Magistero non può smentire se stesso. Se questo accade, lì siamo in presenza di una patente eresia. Il papa esercita il suo Magistero in maniera legittima e autorevole finché rimane nel solco del Magistero di sempre, quello elaborato da tutti gli altri papi, uniti al Collegio dei vescovi. Se un papa pretendesse di discostarsi dal Magistero perenne, sarebbe ipso facto eretico. Il papa, nessun papa, ha una simile facoltà: se l’avesse, non sarebbe il papa, cioè il "padre" della Chiesa, ma un tiranno. E che altro è un papa il quale, dopo aver formulato un documento magisteriale (e sia pure del Magistero ordinario) in fortissimo sospetto di eresia, come Amoris  laetitia, si rifiuta, poi, di rispondere ai legittimi, anzi, ai doverosi dubia di quattro suoi eminenti cardinali? Si comporta forse da padre, oppure da tiranno ? Gesù Cristo si comportava in tal modo. interrogato su questioni di fede, non rispondeva, e fingeva addirittura di non vedere quelli che gli facevano le domande? Eppure, una ratio c’è, in questo modo di agire: il primato della prassi sulla dottrina, della pastorale sul Magistero. Tale primato è stato suggerito per primo da Giovanni XXIII, e silenziosamente sviluppato e costruito nei decenni successivi; ma era già implicito nelle linee guida del Concilio, un concilio puramente pastorale (come fu esplicitamente riconosciuto dai suoi stessi laudatores). Ora, molti contrappongono Benedetto XVI e il suo pontificato, a quello di Francesco; ma la verità è che Benedetto era un teologo che continuò a fare il teologo anche da papa, e che scrisse delle encicliche di tipo teologico, più che dottrinale. Non è questa la vera funzione del papa; non è per questo che esiste il pontificato. Il papa deve insegnare la dottrina, e questo è Magistero; non deve studiare la dottrina, perché questa è teologia. Ma la teologia è fallibile, la dottrina no; per restare nella vera fede cattolica bisogna seguire il Magistero (quello perenne e non un non meglio precisato magistero post-conciliare, che non esiste): chi si affida ai teologi, rischia di trovarsi nell’eresia, perché la teologia non è infallibile, e di fatto, storicamente, quasi sempre le eresie sono nate da interpretazioni teologiche erronee della vera dottrina cattolica. Benedetto XVI si era affidato alla teologia, ma non alla teologia classica della Chiesa, fondata sulla metafisica, bensì sulla teologia sorta col Concilio, fondata sulle "situazioni", sui "tempi", sui "modi" della evangelizzazione: in poche parole, a una teologia storicista e fenomenologica. Insomma, le basi teologiche di Benedetto erano vacillanti e tutt’altro che sicure dal punto di vista della vera dottrina cattolica, anche se lui, personalmente, era senza dubbio un uomo pio, forse un santo. Nemmeno i santi hanno, però, la prerogativa della inerranza; e i papi ce l’hanno solo su questioni inerenti al dogma, solennemente formulate e proclamate. Un santo può sbagliarsi in fatto di convinzioni religiose, e, qualche volta, questo è accaduto, ed è storicamente dimostrabile. Le idee di san Carlo Borromeo sulle streghe e sul modo di combattere la stregoneria erano sbagliate, anche se egli fu un grande santo. E come san Carlo si è sbagliato in fatto di stregoneria e di demonologia, altri santi si sono sbagliati in ambiti specificamente teologici; anche se una delle prerogative della santità è l’umiltà, e il santo, per il fatto di essere umile, solitamente si rimette all’insegnamento della Chiesa su tutte le questioni dottrinali, e non si pone al seguito dei teologi, per quanto prestigiosi. Il più grande teologo che sia apparso nella storia del cristianesimo, san Tommaso d’Aquino, era talmente umile che, nelle questioni intellettualmente dubbie, posava la penna, andava in chiesa e abbracciava l’altare col Santissimo, supplicando Dio di mostrargli la verità. Ma i teologi  moderni sono smisuratamente cresciuti in superbia, tanto quanto sono diminuiti nello studio della vera dottrina; e la superbia li ha mal consigliati. Qualcuno s’immagina un Karl Rahner che entra in chiesa e abbraccia l’altare per essere illuminato a Dio? Sarebbe un po’ difficile immaginarsi una scena del genere, visto che Karl Rahner, durante il Concilio, quel Concilio che ha così fortemente influenzato con le sue convinzioni teologiche (fallibili, e, di fatto, disastrose) si teneva costantemente in contatto con la sua amante, una femminista ultra-progressista e ovviamente non cattolica, anzi, anticattolica. E come potrebbe Dio ispirare e illuminare il peccatore impenitente; come potrebbe lo Spirito Santo guidare i passi di chi calpesta i suoi Comandamenti, posto e non concesso che questi abbia la faccia tosta, più che l’umiltà, di rivolgersi a Lui? 

Il fatto è che, sulla teologia, si è creato un grosso malinteso, e non in maniera innocente. La solo teologia che la storia della Chiesa conosce, è la teologia cattolica, che prende le mosse dalla vera dottrina, così come è esposta dal Magistero perenne e infallibile. Esiste poi, ai nostri giorni, una teologia non cattolica, che si spaccia tuttavia per tale, anche se, il più delle volte, ha la pretesa di presentarsi come "teologia" e basta, senz’altra specificazione. La cosa nasce, come sempre, dal desiderio di stabilire un "dialogo" coi non cattolici, e specialmente coi protestanti; ma la verità è che la teologia esiste e ha un senso nella misura in cui aiuta la fede, mentre tradisce la sua vocazione se mette in crisi la fede, se semina dubbi e disorientamento nelle anime dei fedeli. E questo è ciò che sta accadendo, in maniera sempre più esplicita e massiccia, a partire dal Concilio Vaticano II. Ormai i teologi fanno a gara a chi le spara più grosse: da Teilhard, a Rahner, a Schillebeeckx, a Congar, a De Lubac, a Kasper, fino agli attuali Bianchi, Grillo, Mancuso, e passando per Hans Kung, che cattolico non è più, ma che ha avuto solo il "torto" di partire all’attacco con qualche anno di anticipo. Sotto il pontificato di Bergoglio, lo avrebbero portato in trionfo. E il male è che sulle teorie di questi teologi eretici, o inclini all’eresia, si è fondata la pastorale e la stessa azione "magisteriale" (fra virgolette, a questo punto) degli ultimi sei pontefici. Giovanni XXIII era stato amico del modernista Ernesto Buonaiuti, come Benedetto XVI è stato amico di Hans Kung; e non parliamo solo di relazioni affettive, ma di relazioni e consonanze intellettuali. Ora  vediamo che Francesco è "amico" di Kasper, il discepolo prediletto di Rahner. Così, il cerchio si chiude: dal modernismo del primo ‘900, condannato da san Pio X con l’enciclica Pascendi, si arriva, logicamente e necessariamente, al neo-modernismo dei nostri giorni, nel quale esiste solo una differenza di toni (e di cultura) fra Benedetto XVI e Francesco; i quali, però, nella sostanza, sono concordi: e cioè nel prendere il fatto storico del Concilio come una "nuova Pentecoste", ossia come un fatto soprannaturale, perciò indiscutibile, vincolante e auto-evidente. Ma un concilio è un concilio, cioè un fatto storico: ed è divinamente ispirato se rispetta e difende il Deposito della fede, mentre non lo è, se pretende di cambiarlo…

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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