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Il favoloso è un bene o un male per lo spirito religioso?

Da sempre, cioè fin dalle Passiones martyrum, che tramandano in forma narrativa le passioni dei primi martiri cristiani, l’elemento favoloso si accompagna e sovente s’intreccia con l’elemento propriamente storico e con quello teologico-dottrinale nella catechesi del popolo. Fino alla vigilia dei Concilio Vaticano II, il catechista insegnava la dottrina cristiana ai bambini non disdegnando d’inserire nel suo racconto elementi dai tratti favolosi. E una enorme quantità di artisti, specialmente quelli di estrazione popolare, hanno seguitato a rappresentare la storia sacra con abbondanza di elementi favolosi. Se entrate ancora oggi nella famosa chiesa di Saint-Eustache, a Parigi, potrete ammirare un quadro moderno che rappresenta la vicenda del cervo dalle corna d’oro che diede occasione alla conversione di Sant’Eustachio. Nel ciclo pittorico della Cappella degli Scrovegni, a Padova, accanto agli episodi della vita di Maria e di Gesù che sono tramandati dai Vangeli canonici, ve ne sono anche alcuni che provengono dalla narrazione dei Vangeli apocrifi, ad esempio l’incontro di Gioacchino ed Anna presso la Porta Aurea di Gerusalemme. Nella letteratura agiografica per ragazzi, fiorente sino a pochi decenni fa e oggi del tutto abbandonata, specie nelle vite dei santi, s’incontra una quantità di racconti leggendari e favolosi a cornice dei fatti storici veri e propri. Attenzione: non stiamo dicendo che questa era la regola. Vi sono delle passiones, come quella delle sante Perpetua e Felicita, nelle quali vi è solo una fedele narrazione della vicenda, oppure, come in quella di san Massimiliano, un’asciutta trascrizione dei verbali del processo, con le domande del giudice e le risposte del martire (cfr. il nostro articolo: Un testo letterario straordinario: la "Passione di Perpetua e Felicita", pubblicato sul sito di Arianna Editrice il 15/11/10 e ripubblicato su quello di Accademia Nuova Italia il 26/08/17). Nei Fioretti di San Francesco, come è noto, il favoloso e il leggendario abbondano e sono presenti insieme ai dati storici sicuri e accertati: la predica agli uccelli, illustrata anche da Giotto nella basilica superiore di Assisi; il colloquio con la cicala o la storia del lupo di Gubbio, sebbene quest’ultimo episodio faccia ancora discutere gli studiosi moderni, sono difficilmente separabili dai racconti più "realistici" (vedi: La cicala di San Francesco e la cicala di Galilei: due culture e due sensibilità a confronto, sul sito di Arianna il 04/03/13 e su quello di Accademia Nuova Italia il 30/03/18; e Quante zampe aveva il lupo di Gubbio?, sul sito dell’Accademia il 21/03/18). Oppure pensiamo a certi miracoli che la tradizione attribuisce a San Antonio di Padova, come il piede riattaccato al giovane che aveva dato un calcio a sua madre, scena dipinta da Tiziano nella Scuola del Santo, e scolpita da Donatello nell’altare della basilica del Santo; o come la sua predica ai pesci, raffigurata su tela da Paolo Veronese e ora conservata presso la galleria Borghese a Roma? E che dire della Santa Casa di Nazareth, trasportata in volo dagli Angeli dalla Palestina al’Italia, sollevata di peso e deposta in quel di Loreto, per la devozione dei fedeli (vedi: La Santa Casa di Loreto fu traslata dagli Angeli?, sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/01/22). Bisogna dunque pensare che quegli scrittori e quegli artisti si sono resi intenzionalmente complici di una grande frode, simile a quella delle false reliquie medievali, e hanno sfruttato la semplicità e la credulità popolare per diffondere un’idea sbagliata e ingannevole delle vite dei Santi e perciò, direttamente o indirettamente, anche delle verità della dottrina cattolica?

Prima di andare avanti, vogliamo chiarire una cosa. In un recente scritto dedicato alla Cabala, abbiamo definito quest’ultima come un insieme di favole senza capo né coda, e presentato i cabalisti come falsi mistici e falsi filosofi, piuttosto come dei maghi che si spacciano per ciò che non sono e diffondono un’idea erronea, empia e pericolosa della divinità, confondendo le anime e le intelligenze. Ma allora, osserverà qualcuno, è chiaro cosa dobbiamo pensare delle favole in un contesto religioso: non possiamo che condannarle e giudicarle un elemento di confusione e di deviazione dalla vera fede, la quale, se si appoggia sulla solida base del Vangelo di Gesù Cristo, è limpida e trasparente come il cristallo. Ebbene: non è così. Questa sarebbe una visione grettamente materialista, illuminista e positivista, che non ci appartiene, né tanto né poco. Inoltre bisogna distinguere fra il favolistico e il favoloso; e non è una questione puramente nominalistica, cioè di lana caprina. Favolistico, dice il vocabolario Treccani, è semplicemente ciò che attiene alle fiabe; favoloso, pur provenendo dalla stessa la radice, fabula, -ae, ha un significato più ampio: designa anche ciò che ha un carattere simile a quello delle fiabe, pur non essendo propriamente una fiaba, un po’ come fiabesco. Perciò dire che una certa cosa è favolosa, significa che ha, sì, dei caratteri da fiaba, ma che può anche essere vera: così lo scrittore Bruno Cicognani definisce l’infanzia come l’età favolosa, cioè definisce favolosa una cosa che in se stessa è vera, ma viene percepita dal bambino con dei caratteri che hanno attinenza con il mondo delle fiabe. Questo perché il bambino non fa una netta separazione fra il mondo delle fiabe e il cosiddetto mondo reale; in ciò, per un certo aspetto, è più vicino al vero dell’adulto, perché l’adulto esclude, o tende a escludere, le realtà invisibili, o comunque non verificabili sperimentalmente e scientificamente, mentre il bambino non esclude nulla, è disposto ad accogliere tutto, e quindi ha un atteggiamento di apertura mentale che lo mette in grado di percepire, insieme a delle cose che sono decisamente irreali oltre che irrazionali, anche delle cose che sono invece reali, estremamente reali, ma sfuggono al campo percettivo e alla mappa mentale dell’adulto. Restando nell’ambito del religioso: qualcuno si è chiesto perché la Madonna appare di preferenza a dei bambini, e non a dei bambini istruiti, di città, ma piuttosto a dei pastorelli (La Saette, Fatima) o comunque di modesta condizione sociale e d’istruzione ancor più che modesta (Lourdes, Ghiaie di Bonate)? Definito in questo senso, l’elemento favoloso, presente senza dubbio in molta parte della tradizione cattolica (e diciamo qui "tradizione" con la lettera minuscola, per tenerla distinta dalla Tradizione proveniente direttamente da Gesù Cristo e dalla chiesa primitiva), potrebbe essere rivalutato e considerato non più come una sovrastruttura caduca e per certi aspetti come qualcosa che toglie credibilità e autorevolezza alla realtà della vita cristiana, ma, al contrario, come una sorta d’introduzione pedagogica all’umiltà di chi si accosta, in punta di piedi e con santo timore di Dio, alla sfera della realtà soprannaturale, che è invisibile per definizione e per definizione non misurabile o quantificabile, né riproducibile secondo gli standard scientifici moderni?

Per provare a rispondere a questa domanda, ecco alcuni brani tratti da La leggenda aurea di Jacopo da Varagine (traduzione di D. Oscar Righi; Alba, Pia Società San Paolo, 1938, pp. 336, 482):

SAN GIORGIO.

Giorgio nacque in Cappadocia. Recatosi in Libia, in una città di nome Silene, trovò i cittadini terrorizzati dalla presenza nelle vicinanze di un mostro che più volte aveva fatto fuggire quelli che erano andati, armati, per ucciderlo. Spesso si avvicinava alle mura della città, uccidendo col proprio alito tutto ciò che di vivente trovava sulla sua strada. Per evitar simili visite e per calmare la sua voracità, ogni giorno gli venivano date due pecore, e se un giorno non gli si dava la solita provvigione, assaliva le mura della città e col suo alito pestifero ammorbava l’aria sicché molti ne morivano.

Essendogli state date tante pecore, si incominciò a sentire scarsezza di questi animai, e non era più possibile continuare a dargli la solita provvista, perciò i cittadini, radunati a consiglio, decisero che ogni giorno sarebbe stato esposto al mostro oltre che una pecora anche un uomo, senza tener conto né di età né di sesso, in modo che nessuno fosse eccettuato.

La sporte cadde un giorno sulla figlia del re, il quale rattristato offrì tutte le sue ricchezze e metà del suo regno, purché gli fosse risparmiato questo dolore, e sua figlia fosse liberata da tal genere di morte.

Il popolo però non ne volle sapere e disse chiaramente al re che, siccome la morte crudele aveva rapito tanti giovani, non era lecito eccettuare la sua figlia e gli fu minacciato l’incendio del palazzo ove egli non acconsentisse.

Il re allora si mise a piangere per la triste sorte della figlia, e chiese al popolo una dilazione di otto giorni per poter piangere la sua figliuola.

Passati gli otto giorni il popolo si recò al palazzo reale e disse al re: – Perché tardi e mandi in rovina il popolo il popolo per piangere tua figlia? L’alito del mostro ci fa morire tutti.

Il re vide chiaramente che non era possibile sottrarsi a tal sacrificio; perciò, fatta vestire di splendidi abiti la figlia,piangendo le disse: – Figlia mia cara, avrei creduto di rivivere nei tuoi figliuoli, e speravo di invitare i grandi del mio regno alle tue nozze e di vederti adorna di ornamenti regali e accompagnata da suoni e canti; invece stai per diventar preda del mostro! Perché non sono morto prima di vederti far tal fine?

Allora la figlia, gettandosi ai piedi del padre, gli chiese la sua benedizione e dopo che il padre l’ebbe benedetta e teneramente abbracciata, essa se ne andò verso lo stagno dove stava il mostro.

Giorgio che la incontrò piangente per via, le domandò dove andasse e perché piangesse, ella rispose: -Salve, giovane; affrettati a montare a cavallo ed a fuggire perché non abbia a morire con me.

STORIA DEI LONGOBARDI. (…)

Si legge in una Cronaca che al tempo di questo imperatore [Lotario] e precisamente l’anno 857 del Signore, nella città di Magonza alcuni spiriti maligni si insediarono in certe case, che col battere i martelli sulle muraglie e col gridare ad alta voce resero inabitabili.

Quando i sacerdoti andarono a fare gli esorcismi, furono accolti a sassate e più d’uno restò ferito. Più tardi il demonio confessò che quando i sacerdoti andavano coll’acqua benedetta a fare gli esorcismi egli si nascondeva sotto la veste di uno dei preti che accusò di aver commesso un brutto peccato. Tale miracolo fece così grande impressione sul re dei Bulgari che si convertì alla fede e ceduto il trono al suo primogenito si ritirò in convento; ma poi siccome questo suo figlio si portava male e voleva tornare al culto degli idoli, egli tornò alla testa delle truppe, prese prigioniero il figlio, gli cavò gli occhi, lo mise in carcere e poi diede il trono al secondogenito; in seguito si ritirò di nuovo in convento.

Si narra che a Brescia per tre giorni e tre notti cadde una pioggia di sangue; nella stessa epoca un numero straordinario di cavallette apparve in Francia: avevano tre paia di ali, tre paia di piedi, e due denti più duri che pietra, e volavano come esercito schierato in battaglia. Occupavano lo spaio di una giornata di cammino, e per un raggio di cinque miglia distruggevano piante, erbe, alberi. Giunte alle rive del mare di Bretagna furono cacciate in acqua dal vento, e là morirono, ma rigettate sulla riva dal flusso delle acque ammorbarono l’aria sicché ne nacque una pestilenza per cui morì un terzo degli abitanti.

Con il domenicano Jacopo da Varazze, o, alla latina, da Varagine, che fu vescovo della cittadina ligure e poi arcivescovo di Genova nel XIII secolo, siamo in piena epoca favolosa (vedi il nostro ampio saggio: San Giorgio Martire, sul sito dell’Accademia Nuova Italia); in quel Medioevo cristiano in cui i confini tra il visibile e l’invisibile, il terreno e l’ultraterreno, il naturale e il soprannaturale, erano assai più labili e sfumati di quanto lo siano oggi, in tempi di Chiesa adulta e di cattolici che credono più al "santo vaccino" che alla Redenzione e alla salvezza portate dall’unico Signore Gesù Cristo, confortati dall’autorevole opinione espressa nell’aprile 2019 dall’arcivescovo di Berlino, Heiner Koch, secondo il quale Greta Thunberg è come Gesù (evidentemente perché ci salva dal cambiamento climatico, come Gesù ci salva dalla schiavitù del peccato). Certo siamo molto fortunati a vivere nel terzo millennio e ad ascoltare i sermoni di pastori come Heiner Koch o le omelie del signor Bergoglio, mentre i cristiani di alcuni secoli fa, e perfino i nostri poveri nonni, cresciuti nella fede prima del Concilio Vaticano, imparando a memoria il Catechismo di San Pio X, erano così primitivi e superstiziosi, così ingenui e creduloni da mandar giù tutto, anche l’agiografia fatta di santi che predicano a pesci e uccelli, ammansiscono lupi feroci, riattaccano piedi mutilati e combattono draghi per liberare principesse in pericolo. Eh sì, poveretti: erano come dei bambini. Mentre noi, fortunatissimi, siano cristiani adulti, dialoganti ed inclusivi. Però, una domanda: se siamo così inclusivi e dialoganti, come mai vogliamo chiudere le porte in faccia al soprannaturale? Se ci piace tanto il dialogo, perché non dialogare coi Fioretti di San Francesco e la Legenda aurea?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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