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«Che cosa hai fatto della mia Parola?»

Che cosa fa della Parola del Signore, il cristiano che l’ha ricevuta? Come vive la responsabilità di averla appresa e di averla accettata? Dice Gesù stesso, nel Vangelo di Giovanni (5, 24): In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. Infatti, come aveva dichiarato san Pietro (cfr. Giovanni, 6, 68), soltanto Gesù ha parole di vita eterna; e questo fa di Lui l’unico Maestro che sia degno di essere creduto, di essere preso a modello della propria vita, il solo al quale ci si possa interamente abbandonare, con piena e assoluta fiducia. Non perché prometta piaceri e soddisfazioni, ché, anzi, profetizza ai suoi discepoli ogni sorta di persecuzioni ed esige da essi che prendano su di sé ciascuno la sua propria croce; ma perché in Lui soltanto si sente l’accento della Verità, e gli uomini, benché vadano a tentoni nelle tenebre, sono fatti per la verità: per questo sono stati chiamati alla vita, per cercare la verità; ne hanno una struggente nostalgia e non si riposano finché non l’hanno trovata.

Certo, in un gran numero di persone, forse addirittura la maggioranza, quella voce interiore, quella nostalgia si sono talmente affievolite da non esser quasi più percepibili; ciò non significa, però, che esse non agiscano ugualmente, a livello sub-conscio, testimoniando una tensione dell’anima verso la verità che, pur non essendo chiara ed esplicita, perché offuscata da cento altre voci e da cento altre sollecitazioni, di natura per lo più materiale, tuttavia esiste e potrebbe in qualsiasi momento, sotto l’effetto dello stimolo giusto, riemergere in piena luce e farsi sentire in maniera estremamente chiara, perfino imperiosa. Il compito della sana educazione è appunto quello di abituare il bambino a non lasciarsi dominare dalle voci secondarie o nocive, a fare chiarezza nella propria interiorità e a lasciar emergere la sola voce che conti veramente, quella della verità. L’educazione cristiana, poi, ha il fine di far comprendere al bambino che la voce della verità è la voce di Dio, e che Dio non è un’entità astratta e misteriosa, perché si è rivelato agli uomini e ha assunto addirittura un corpo mortale, condividendo il pane e il sudore degli uomini e facendo l’esperienza del dolore e della morte, come uno di essi, per poi risorgere e mostrare la destinazione finale degli uomini, nella dimensione dell’eterno.

Ora, tutto questo non è mito, non è leggenda, ma storia: perché, incarnandosi, il Verbo è entrato nella storia nella maniera più diretta e sconvolgente, e gli uomini che l’hanno visto, coi quali è vissuto, ai quali ha insegnato, ne hanno tramandato la memoria in alcune testimonianze scritte ben precise. Ed eccoci alla Parola. Così come l’universo creato nasce dalla Parola di Dio, quella stessa Parola è stata ricevuta e trasmessa dagli uomini che hanno condiviso la missione terrena di Gesù Cristo e l’hanno fedelmente riportata, per nostra edificazione e per nostra salvezza. La Parola di Dio, contenuta nella Bibbia, e specialmente nel Nuovo Testamento, è la Parola salvifica che ruota intorno a queste poche frasi (Giovanni, 12, 44-46): Chi crede in me, non crede in me, ma in Colui che mi ha mandato; chi vede me, vede Colui che mi ha mandato. Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Qui sorge, però, un problema, anzi, un duplice problema. Da un lato, questa Parola non viene sufficientemente letta e meditata, non è entrata nel bagaglio intellettuale e spirituale di tutti i cristiani, più di quanto non vi siano entrati l’Iliade o i Promessi Sposi, per non parlare di opere letterarie più recenti e per nulla edificanti; tanto che si può affermare che i cristiani, e specialmente i cattolici, sono forse quelli che meno, fra tutti, conoscono per lettura diretta i testi sacri sui quali poggia la loro fede, la quale, di conseguenza, diviene una specie di idea astratta, o, peggio, un fatto puramente emozionale. Dall’altro lato, una piccolissima élite di studiosi, di "tecnici", biblisti e teologi progressisti, si è impadronita delle Scritture e le ha sottoposte a un esame spietato, puramente storico e filologico, con le stesse identiche categorie scientifiche con le quali si studia qualsiasi altro testo antico e tralasciando la cosa essenziale, cioè che la Scrittura va letta innanzitutto con fede, poi con gli strumenti dell’indagine razionale. In questo modo, essi hanno prodotto un duplice, catastrofico danno: hanno cominciato a dubitare della loro fede, trasmettendo copiosamente i loro dubbi alla massa dei fedeli, con il far notare incongruenze e imprecisioni dei testi sacri, con il sottinteso di ricondurli a una dimensione puramente umana e immanente, cioè togliendo loro l’aura sacra della divina ispirazione; dall’altro, hanno dato a intendere, sia implicitamente, sia, qualche volta, esplicitamente, che la "fede" è una cosa puramente irrazionale, adatta alle persone rozze e ingenue, agli illetterati e ai sempliciotti, ma che una persona colta e intelligente non potrà mai e poi mai accostarsi al Vangelo, e leggerlo, rinunciando alla propria superbia intellettuale di uomo moderno, che si crede più evoluto di tutte le generazioni precedenti. In tal modo, hanno colpito sia in alto che in basso: hanno seminato l’incredulità fra le persone colte e hanno deprezzato la fede fra le masse. E, di nuovo, si sono scordati del chiarissimo e severo ammonimento di Gesù Cristo, il solo Signore e Maestro, il quale disse a gran voce, esultando (Matteo, 11, 25-27): Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

Dunque, la Parola: tutto comincia con la Parola di Dio, e la Chiesa è stata costruita su quella Parola. Non sulla parola di Buddha, di Lao Tzu o di Confucio; non sulla parola di Mosè, di Maometto, di Helena Blavatsky; e nemmeno su quella di Lutero, Calvino, Zwingli. È cristiano ed è cattolico chi crede che la Parola di Gesù Cristo è la Parola di Dio, perché Gesù Cristo è il Figlio di Dio; e non lo è chi non ci crede. Per essere più precisi: è cattolico chi crede che solo la Parola di Gesù Cristo è la Parola di verità, perché solo Gesù Cristo è la via, la verità e la vita; chi non lo crede, chi crede che la parola di Mosè; Maometto, Buddha, eccetera, siano altrettanto vere e altrettanto valide, non è cattolico e non è nella verità. Quanta falsa delicatezza, quanto falso rispetto nel non voler più adoperare l’espressione "false religioni", che si usava abitualmente fino al Concilio Vaticano II. Poi è venuta la stagione dell’ecumenismo, che è una eresia in se stesso, perché pone le diverse religioni su uno stesso piano di verità, e arriva ad affermare esplicitamente che gli ebrei sono già nella verità, e dunque anche nella salvezza: il che è come nullificare l’Incarnazione di Gesù Cristo e disprezzare, negandolo, il valore di redenzione della sua Passione, Morte e Resurrezione. Ecco; anche chi non trasmette fedelmente questa Parola; anche chi, per un falso rispetto di natura tutta umana, finge di non vedere che una sola è la via che conduce alla verità, anche se esistono, indubbiamente, altre vie dignitose e meritevoli di rispetto, ma nessuna tale da condurre alla verità, alla Verità tutta intera e non a qualche brandello e frammento di verità: chi è ancora legato e trattenuto da questi riguardi umani, è simile a colui che desidera piacere agli uomini, ma non si cura di piacere a Dio. Non è che Dio voglia che gli uomini siano in contesa a causa sua; ma li vuole nella verità, se possibile tutti quanti: perché solo nella verità è la pace, solo nella verità è il bene; e solo il Dio annunciato da Gesù Cristo è la Verità, e quindi anche il Bene.. Non vi è nulla di irrispettoso verso gli altri uomini, in questo. Gli altri uomini sono fratelli in Dio e meritano non solo il rispetto, ma l’amore: ama il prossimo tuo come te stesso, dice Gesù, e fa l’esempio del buon samaritano, che non è un ebreo, per insegnare chi sia il nostro prossimo. Dopo di che, il rispetto e l’amore per gli uomini non possono generare un equivoco imperdonabile, quello del dovere rispetto e amore verso le false immagini della verità, verso le false immagini del bene, come avviene nel caso delle false religioni. Le religioni non cristiane sono false, perché non conducono alla verità; ma questo non significa che i loro seguaci, in quanto persone, non meritino rispetto e amore. Sono due cose diverse. Il rispetto e l’amore vanno rivolti alle persone; ma la verità è una sola, e non si possono adorare due verità, o tre, o cento, così come non si possono servire due padroni. Su questo punto, Gesù è stato chiarissimo: Voi non potete servire due padroni; dovete scegliere.

Scriveva don Luigi Pozzoli nel libro E soffia dove vuole. L’azione libera e creativa dello Spirito di Dio (Milano, Edizioni Paoline, 1997, pp. 106-107):

C’è un ammonimento di Bernanos che mi ha sempre turbato.

Nel giorno del giudizio — dice Bernanos — il Signore ci rivolgerà anche questa domanda:

"Che cosa hai fatto della mia Parola? Restituiscimi la mia Parola!"

La sua Parola è un dono che ci viene dispensato con una prodigalità senza misura. Come l’aurora all’inizio di ogni giornata. Come il saluto di una persona amica.

La sua Parola ci raggiunge dentro gli spazi sacri delle celebrazioni liturgiche e ci sorprende anche in tanti altri momenti di grazia particolare, frammista al brusio o al rumore delle parole usuali.

Qual è il destino della sua Parola, una volta che ci è stata affidata?

Il rischio che corre lo conosciamo.

È un rischio molteplice: di essere presto dimenticata, divenire piegata a sostegno delle nostre parole, di diventare sulle nostre labbra una parola spenta, senza un fremito di passione o un lampo di luce.

Meno avvertito, e tuttavia ugualmente grave, è il rischio che rimanga soffocata dentro la dimensione privata della nostra vita, quando invece la sua ambizione — sarebbe meglio dire: la sua passione incandescente — è quella di comunicarsi in modo contagioso, da cuore a cuore, in un’avventura senza confini.

Non basta perciò essere cercatori del volto di Dio.

Bisogna essere cercatori anche del volto dell’uomo a cui confidare i segreti di Dio.

In questo brano, quel che ci sembra di poter condividere è l’idea che la Parola di Dio ci è stata data perché poi la condividiamo con gli altri; quello che ci sembra meno condivisibile, se abbiamo capito bene, è che la cosa più importante sia quella di diffonderla, anche con i comportamenti pratici: perché c’è una cosa ancora più importante e che viene prima di questa, ossia recepirla e poi trasmetterla integralmente e fedelmente. Infatti, diffondere la Parola di Dio in maniera poco fedele, equivale ad adulterarla, a falsificarla, il che costituisce un male ancor più grave del tenerla chiusa in se stessi, perché rischia di trascinare le anime nell’errore. E quale male più grande questo, che allontanare gli uomini da Dio, ingannandoli, cioè facendo credere loro che li si sta avvicinando al loro Signore? Pensiamo, a questo proposito, alla responsabilità tremenda che si caricano sulle spalle quei teologi, quei vescovi e quei sacerdoti i quali annunciano una "parola" che solo esteriormente è la Parola di Dio, ma in realtà è cosa ben diversa, è cosa tutta loro, tutta umana, e riflette i loro umori, il loro desiderio di giustizia terrena (cosa in sé legittima, ma che è illegittimo presentare come la stessa cosa del Vangelo), e anche, purtroppo, non di rado, le loro passioni disordinate: l’orgoglio, la superbia, il narcisismo, la brama di essere applauditi, di rendersi popolarti; e perfino la lussuria. Quei teologi e quei pastori i quali sostengono che la Chiesa deve riconoscere il "diritto" a praticare alcuni gravissimi peccati, negando che si tratti di peccati e proclamandoli comportamenti perfettamente leciti e naturali, si preoccupano di piacere alle folle, ma non di piacere a Dio. E quei teologi e quei pastori i quali predicano il "dialogo", ma a senso unico, e, in ultima analisi, la relativizzazione della verità, come se abbracciare il giudaismo, o il cattolicesimo, o il protestantesimo, o l’islamismo, fosse la stessa cosa; come se fossero tutte scelte ugualmente legittime e ugualmente veritiere, ebbene, costoro mentono sapendo di mentire, e, quel che è più grave, falsificano la Parola di Dio che è stata loro affidata, per raccogliere dei frutti che non hanno niente a che fare con la seminagione di Gesù Cristo, dei frutti che riflettono la prospettiva di un mondo dove tutto è ugualmente lecito e vero, dove non esiste più la verità, e dove il bene coincide con quel che ciascuno, soggettivamente e irrazionalmente, ritiene buono e giusto, o anche, magari, semplicemente piacevole e utile. Perciò, alla domanda: Che cosa hai fatto della mia Parola?, il cattolico dovrebbe essere in grado di rispondere: L’ho accolta interamente, mio Signore e mio Maestro, senza riserve; l’ho custodita lealmente e l’ho trasmessa, con gli atti e i discorsi, nella maniera più fedele, lasciandomi guidare dallo Spirito di Verità e non dalle mie passioni, dalla mia intelligenza, dal mio desiderio di ricevere approvazione. Anzi, sono incorso costantemente nella disapprovazione degli uomini, solo per piacere a Te, mio Dio e mio Salvatore. Perché questo solo è necessario: che ogni ginocchio si pieghi in terra, sopra la terra e sottoterra, nel nome di Cristo Gesù.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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