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La santità dei preti è diventata un optional?

Nel loro ultimo, commovente incontro, avvenuto il 13 maggio 1887, il papa Leone XIII, che lo stimava e lo amava moltissimo, disse a don Bosco, che di lì a poco avrebbe lasciato il suo corpo mortale (cit. in: Card. Carlo Salotti, Il santo Giovanni Bosco, Torino, S.E.I., 1950, pp.,648-649):

Quello che mi preme d’inculcare a voi e al vostro Vicario, si è che non siate tanto solleciti del numero dei Salesiani, quanto della santità di quelli che già avete. Non è il numero che aumenta la gloria di Dio; è la virtù, è la santità dei soci. Perciò siate molto cauti e rigorosi nella”accettare nuovi membri dell’istituto; badate anzitutto che siano di una moralità provata.

Davanti a queste parole, a questi semplici, ma chiarissimi concetti, non si può fare a meno d’istituire un confronto con quel che sta accadendo nella Chiesa cattolica ai nostri giorni, con il clima che vi regna da quando è stato eletto al soglio di san Pietro l’argentino Jorge Mario Bergoglio, e, più in generale, grazie agli orientamenti pastorali che vi prevalgono, e che vanno sempre più accentuandosi, da quando la teologia di Karl Rahner e dei suoi degni successori, come Walter Kasper, si è di fatto imposta alle sorgenti del magistero (che, a questo punto, scriviamo con la lettera minuscola), scalzando quella di san Tommaso d’Aquino e, nel suo complesso, tutta la sana, schietta, limpida teologia cattolica che, da sempre, tramandava e custodiva, chiarificando e illuminando le menti, ma senza alcuna pretesa di cambiare o modificare il sacro Deposito della fede. 

Qualche mese fa il signor Bergoglio si è recato in "pellegrinaggio" (le fonti vaticane hanno usato proprio questa espressione) in quel di Barbiana e il falso papa si è fermato, pensoso e commosso, a meditare sulla tomba del "grande" don Lorenzo Milani, profeta inascoltato dello spirito conciliare e di chi sa quali altre meravigliose novità pastorali, educative e pedagogiche. Diceva Qualcuno che l’albero si riconosce dai frutti, e che né l’albero buono può dare frutti cattivi, né frutti buoni l’albero cattivo. Ora, le vicende processuali del Forteto, scoperchiando lo squallido pentolone di maltrattamenti e abusi su minori e bambini, dicono chiaramente una cosa: che l’albero di Barbiana non poteva essere buono, visti i pessimi frutti che ha prodotto. E lo dice anche se i beatificatori di don Milani, ovviamente, si sono affannati a precisare che il fondatore della scuola di Barbiana, lui, non c’entra niente con certi suoi indegni e scellerati "discepoli", e che oggi, se fosse qui, non esiterebbe a esprimere tutta la sua indignazione e la sua ferma condanna nei loro confronti. Certo, certo. Però degli eredi di don Bosco nessuno è stato trascinato a processo; di quelli di don Milani, sì. Un caso? Una combinazione? Sarà. Ma si prenda il tanto decantato libro Esperienze pastorali dell’"eretico" don Milani, come lo chiamano, con evidente compiacimento, i suoi stessi fans, dato che è cosa bella e buona essere dei cattolici eretici (si veda l’ineffabile iniziativa del Festival dell’eresia di Triverno, il paese di Fra Dolcino, con la presenza dell’immancabile ex prete Franco Barbero e dell’impareggiabile simil-teologo Vito Mancuso), perché ciò dimostra che non si è cattolici "clericali", cosa orribile e vituperevole, come dice sempre il signor Bergoglio. Sfidiamo chiunque a trovarvi un accenno alla santificazione delle anime: del sacerdote stesso e dei suoi parrocchiani. No, la santificazione delle anime non rientrava nell’orizzonte mentale e spirituale di don Lorenzo Milani: a lui, come a papa Begoglio, interessavano più che altro le sette opere di misericordia corporale: l’uno per i "suoi" bambini, figli di contadini poverissimi, l’altro per i "suoi" migranti, tutti profughi e tutti meritevoli dell’accoglienza più incondizionata (però a spese dell’Italia, non del Vaticano). Inoltre, a don Milani premeva d’inculcare nella testa dei "suoi" ragazzi i loro diritti negati, alimentare in essi il rancore sociale contro le professoresse brutte e cattive, le quali, in omaggio alla discriminazione di classe, bocciavano i ragazzini ignoranti e sgrammaticati e avevano l’orribile vizio, capitalista e fascista, di promuovere quelli che sapevano leggere decentemente, scrivere e far di conto. Voleva renderli edotti di quanto fossero stati defraudati dei loro diritti e della loro stessa dignità da una società classista e sfruttatrice: altro che santificazione! Quelli sulla santificazione delle anime son discorsi buoni per le sacrestie, per le vecchie bacchettone che non sanno come passare il pomeriggio e se ne vanno tutti i giorni in chiesa a recitare il Rosario. Ma ai "suoi" ragazzi, don Milani aveva cose più importanti da dire e da insegnare. Altro che parlare del peccato e della grazia, dell’inferno e del paradiso: leggere il giornale in classe, sapere le novità della politica, informarsi dei propri diritti, fare le proprie esperienze in libertà: queste erano le cose veramente importanti che dovevano imparare.

Ora, è pur vero che anche don Bosco, nei fatti, si occupava dei diritti e della dignità dei suoi ragazzi, nonché del loro stomaco pieno; e, nei fatti, lui solo era capace di portare a spasso, in gita sulle colline torinesi, un centinaio di ragazzi del riformatorio, tutti con storie difficilissime alle spalle, farli divertire in maniera sana e poi riportarli indietro, a sera, senza averne perso per la strada neppure uno, proprio come il buon pastore. Però, però… diciamola tutta. Don Bosco era troppo ottocentesco, troppo clericale, tropo papalino; e poi si occupava troppo della salvezza delle anime, faceva troppi sogni su questo argomento, vi consumava troppo tempo ed energie. Sì: si preoccupava anche d’insegnare un lavoro a quei ragazzi, di inserirli nella società da persone oneste, questo è innegabile; ma che volete, dalla talare di don Bosco emana un odore di conservatorismo, di cose vecchie e superate. Non c’era ancora la svolta antropologica di Karl Rahner a illuminare la sua pastorale; non c’era ancora Jorge Mario Bergoglio ad incitarlo nel servizio agli ultimi. E poi, era tropo rigido in fatto di morale: sì, gli piaceva scherzare e fare persino il giocoliere per divertir quei ragazzi, ma poi, in chiesa e in oratorio, era tutto un altro discorso. Lui non allestiva le mense per i poveri spostando i banchi della chiesa, non preparava i giacigli per la notte ai piedi dell’altare, come fanno quelli della Comunità di Sant’Egidio, i capofila del buonismo e dell’immigrazionismo selvaggio, che certo hanno l’occhio rivolto più a don Milani che a don Bosco. E non scriveva lettere agli amici, come faceva don Milani, frasi di questo tipo: Io so che se un rischio corro per l’anima mia, non è certo di aver poco amato, piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto). No, un pensiero così sporco come quello di portarsi a letto i suoi ragazzi, a don Bosco non sarebbe venuto neanche se lo avessero torturato; e mai si sarebbe sognato di esprimere pensieri di quel genere, neppure parlando o scrivendo in privato. I suoi impulsi innaturali, se pure ne aveva (ma non risulta affatto che ne avesse, lui, a differenza di quell’altro, oggi tanto acclamato che presto verrà fatto santo), don Bosco li ricacciava giù, nelle cantine dell’anima, dove ciascuno di noi avrebbe un bel po’ di fango da spalare, qualora ne avesse la voglia e qualora i preti di oggi ricordassero qualche volta ai fedeli, oltre che a se stessi, che siamo tutti peccatori e che dobbiamo stare in guardia contro una parte di noi stessi: perché non siamo tutti belli, bravi e buoni, ma rechiamo impresse nell’anima le conseguenze del Peccato originale, sotto la forma della concupiscenza, che ci trascina verso il male.

Prendiamo il caso di don Andrea Contin, sul conto del quale venti donne hanno ammesso, nel corso dell’inchiesta giudiziaria, di aver aver partecipato a orge sessuali, anche violente, con lui (il quale, per ora, ammette i rapporti sessuali con cinque parrocchiane): il tutto letteralmente sotto il naso del vescovo di Padova, monsignor Cipolla, troppo impegnato a fare viaggi in America latina per visitare gli "ultimi", invece di dare ascolto alle denunce che pure gli erano arrivate su quel prete un po’ troppo disinvolto.  Oppure il suo amico, don Roberto Cavazzana, che ammette di aver fatto sesso con tredici delle sue parrocchiane. Don Contin è stato sospeso, don Cavazzana, per ora, no; forse perché il primo risulta aver commesso dei reati veri e propri, delle violenze, dei ricatti, a differenza del secondo, che aveva "solo" l’hobby di trastullarsi fra le lenzuola con numerose amanti; e del resto, che vuoi che sia? I suoi parrocchiani lo hanno difeso a spada tratta: in chiesa, hanno detto, era un buon prete; s’impegnava molto per la nostra comunità: ed è questo che conta, no? Sarà. Anche questo è un indice di quanto è caduta in basso la Chiesa cattolica, oggi, non solo nella componente consacrata, ma anche dalla parte dei laici. Se si può essere un buon prete e intanto spassarsela con tredici parrocchiane vogliose e piacenti, allora tutto è possibile, ma veramente tutto, e anche il contrario di tutto. Non esiste più il senso del peccato, né il pudore; e neppure il senso del giusto, di ciò che è lecito, di ciò che è opportuno. Ultimo a prendere il volo dal vaso di pandora, anche il senso del ridicolo. come si fa a non percepire il ridicolo e il grottesco di una frase come questa: Dite quel che vi pare, per noi era un buon prete? Relativismo, soggettivismo, appunto: la morale è cosa mia e me la faccio io, me la ritaglio su misura; sulla misura dei miei porci comodi. E voi non metteteci becco. La scuola di Bergoglio; la scuola dei diritti, cioè la scuola di Barbiana. Tale l’albero, tali i frutti. Come mai, fino al Vaticano II, nessuno osava pensare così, esprimere concetti del genere? E come mai adesso, sotto questo "pontificato", tutto questo è diventato la regola? E chi ha seminato la confusione? Come mai gli adulteri separati possono fare la Comunione in certe diocesi, in certe parrocchie, ed altri no? Da dove viene questa baraonda, questo fai-da-te, questa anarchismo pastorale? Viene da don Bosco, per caso, oppure da don Milani? Viene da un papa come Leone XIII, o da un papa come Bergoglio? Cerchiamo di essere onesti, nel rispondere a queste domande. Non stiamo forzando le cose, non stiamo strumentalizzando i fatti. I fatti sono lì, sotto i nostri occhi, che parlano da soli: si tratta solo di essere onesti e conseguenti nel tirar le somme. L’albero buono non dà, letteralmente non può dare, frutti cattivi.

Come siamo arrivati a questo punto, dunque? A nostro parere, e anche se le cause sono molte e partono da lontano, la spinta decisiva l’hanno data la nuova dottrina e la nuova morale del falso papa Bergoglio. A lui, attraverso innumerevoli discorsi, interviste e anche omelie, e sopratutto con la mai abbastanza deprecata esortazione "apostolica" Amoris laetitia, si deve l’equiparazione della vita sacramentale a semplice morale umana, sostanzialmente laica; meglio ancora, la sostituzione della prima con la seconda. Si tratta di una giusta osservazione del teologo Giulio Maiettini nel suo recente libro: Amoris laetitia, i Sacramenti ridotti a morale. Perché la morale laica, ispirata alla sola legge naturale, conduce al relativismo e al soggettivismo, dove ciascuno decide da sé quello che è bene e quello che è male; e lo decide in un senso puramente umano, spogliato di ogni trascendenza, di ogni sacralità, di ogni senso del divino. Si legga attentamente tutta l’esortazione Amoris laetitia e poi si risponda onestamente alla domanda: C’è qualcosa, in essa, che sappia di trascendenza, di sacralità, di soprannaturale? C’è la sensazione, se non l’esplicito pensiero, che la legge del cristiano viene da Dio, da quel Dio che è si è Incarnato in Gesù Cristo, è morto ed è risorto per amore degli uomini e per liberarli dal peccato? No: c’è l’uomo, l’uomo che fa  e che disfa, l’uomo che propone e che dispone, così, da se stesso, senza Dio, anzi, chiamando Dio a testimone e persino a complice del proprio peccato. Ma l’uomo, con le sue sole forze, non riesce a fare il bene; spesso non riesce nemmeno a vederlo, a riconoscerlo. Ed è proprio per questo che Gesù Cristo ha detto agli uomini: Chi vuol seguirmi, prenda la sua croce e mi venga dietro; io sono la Via, la Verità e la Vita. Non ha detto (come ha detto Bergoglio nella famigerata intervista a Eugenio Scalfari, all’inizio del suo pontificato):giudicate le cose secondo la vostra coscienza; non ha detto: cercate, ciascuno di voi, la sua via, la sua verità e la sua vita. No, ma ha detto: Io sono Via, Verità e Vita.

E qui si arriva al nocciolo della questione. Ci si arriva, anche se non ci si vorrebbe affatto arrivare; anche se si preferirebbe mille volte sbagliarsi, aver preso un abbaglio, e poter attribuire a se stessi una errata interpretazione dei fatti. E il nocciolo della questione, veramente drammatico, è questo: abbiamo un falso papa, eretico e apostatico, che vuol trascinare, scientemente e deliberatamente, milioni e milioni di anime nella sua stessa eresia e nella sua stessa apostasia. Abbiamo un papa che non può piacere a Dio, ma che piace molto al mondo e specialmente ai nemici giurati della vera Chiesa; un papa che sicuramente piace al diavolo. Sono parole terribili, è un concetto tremendo, questo che stiamo esprimendo, ne siamo perfettamente consapevoli e, nel dirlo, ci tremano le vene e i polsi. Ma è una verità che va detta: non la si può tacere ulteriormente, per nessuna ragione, neanche per amore della Chiesa. Il vero amore della Chiesa non può consistere nel tacere, quando un pericolo così grave la minaccia dall’interno. Tacere, arrivati a questo punto, equivarrebbe a farsi complici del male. Mai il diavolo era arrivato, come oggi, così vicino alla realizzazione della sua massima ambizione: controllare la Chiesa dal suo interno; spargere l’errore e il traviamento di false dottrine dalla sua sommità, favorendo così il dilagare del disordine, della rilassatezza, del peccato. Il tutto senza che la sua presenza, il suo odor di zolfo, siano avvertiti e denunciati; al contrario, sotto le apparenze di una rinascita del sentimento religioso, di una rinnovata popolarità della "chiesa" cattolica, non importa se ridotta alla controfigura di se stessa, anzi, a una vera e propria anti-chiesa o contro-chiesa, blasfema, lussuriosa, sodomita, tacitamente favorevole all’aborto, all’eutanasia, alle unioni omosessuali e alle relative adozioni di bambini da parte delle coppie d’invertiti. E allora, coraggio: è nostro dovere, è dovere del cristiano, dovere di carità e di fraterna correzione, parlare chiaro e schietto, senza alcun rispetto umano, perché la posta in gioco è troppo grossa. Il falso papa Bergoglio deve andarsene, ha già fatto anche tropo male, ha già inferto sin troppe ferite nel Corpo mistico di Cristo; la Chiesa, la vera Chiesa cattolica, deve fare un profondo ripensamento su molte delle cose che sono accadute, al suo interno, a partire dal Concilio Vaticano II. Non tutte sono sbagliate, ma alcune lo sono senz’altro. Si deve aprire una riflessione molto seria e approfondita, e, se necessario, una sincera autocritica: altro che Concilio Vaticano III. Senza quella riflessione preliminare, sarebbe un suicidio: sarebbe veramente la fine. Il diavolo non aspetta altro e già pregusta la sua vittoria, sempre facendo leva sugli stessi, antichi vizi dell’uomo, che ora la falsa chiesa non presenta nemmeno più come peccati: lussuria, superbia e cupidigia. 

Coraggio: non è ancor detta l’ultima parola. L’ultima parola, sicuramente, se non la diremo noi, la dirà Gesù Cristo. Sia sempre lodato il suo santo Nome.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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