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Quante sono le opere di misericordia?

Qualunque bambino che frequenta il catechismo sa che le opere di misericordia, cioè le opere che scaturiscono dal cuore buono (tale è l’etimologia della parola: cor misericors, da misèreo, ho pietà), sono quattordici: sette di ordine spirituale e sette corporale. Non sono un’invenzione dei preti o dei moralisti: Gesù le ha insegnate nel Vangelo (Matteo, 25). Le prime sette sono: 1) consigliare i dubbiosi; 2) insegnare agli ignoranti, 3), ammonire i peccatori; 4) consolare gli afflitti; 5) perdonare le offese; 6) sopportare pazientemente le perone moleste; 7) pregare Dio per i vivi e per i morti; le seconde sono: 1) dar da mangiare agli affamati; 2) dar da bere agli assetati; 3) vestire gli ignudi; 4) alloggiare i pellegrini; 5) curare gli infermi; 6) visitare i carcerati; 7) seppellire i defunti.

Ora si sta verificando una cosa piuttosto curiosa: la Chiesa cattolica, nelle persona di molti suoi esponenti, dal falso papa Bergoglio in giù, fino all’ultimo don Olivero e all’ultimo don Farinella, per non parlare dei neoteologi alla Enzo Bianchi, parlano sempre e solo delle sette opere di misericordia corporale, ma non parlano affatto delle opere di misericordia spirituale, le quali, semmai, sono più necessarie di quelle, secondo l’esplicito insegnamento di Gesù Cristo che, rivolto alla sorella di Lazzaro, disse: Marta, Marta, tu ti agiti e ti affanni per molte cose, ma una sola cosa è necessaria; Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta. Insomma, pare che la Chiesa dei nostri giorni, la chiesa che non pochi chiamano ormai, con sfacciata impudenza, la chiesa di Francesco, come se la Chiesa non fosse solo ed esclusivamente di Gesù Cristo, sembra aver fatto proprio un aspetto dell’eresia americanista degli ultimi anni del XIX secolo e dei primi del XX (nonostante la condanna formale di Leone XIII con la lettera apostolica Testem benevolentiae nostrae, del 1899), cioè la distinzione fra virtù attive e passive, affermando la necessità delle prime e tacendo del tutto sulle seconde, come se solo le opere di misericordia corporale fossero necessarie, e non le altre. Cosa vuol dire trasformare la vetusta e gloriosa Basilica di Santa Maria in Trastevere in un refettorio e in un dormitorio per i poveri (e il sagrato in un accampamento di senzatetto, e la vasca del Bernini in una vasca personale e una toilette), se non che sfamare gli affamati è più importante che pregare Dio? Infatti, refettori e dormitori si possono benissimo allestire nei locali parrocchiali; ma la chiesa è la casa di Dio. Pertanto, gli autori di tali iniziative, ormai frequentissime in tutta Italia, avallate dai rispettivi vescovi, si direbbe proprio che perseguano un scopo ulteriore e non detto, diverso da quello ufficiale: desacralizzare le chiese e suggerire che la religione cattolica si risolve in un generico amore del prossimo, ridotto, a sua volta, a sollecitudine verso le sue necessità corporali. Ma questo è peggio che un impoverimento della religione cattolica: è un tradimento del Vangelo, bello e buono. Quante volte Gesù ha voluto ricordare il concetto che non di solo pane vive l’uomo, ma anche della parla di Dio? E queste precise parole, non le ha forse rivolte al diavolo che lo stava tentando, nel deserto, proprio con l’obiettivo di distoglierlo dalla sua divina missione di redenzione nei confronti dell’umanità? Il Vangelo annuncia la redenzione degli uomini, non vuole semplicemente riempire loro lo stomaco. E quei vescovi, come monsignor D’Ercole, ad Ascoli, i quali affermano che prima bisogna sfamare i poveri e poi si potrà annunciare loro il Vangelo, non stanno falsando e travisando l’autentica dottrina cattolica? Non stanno capovolgendo il Vangelo, da annuncio del Regno di Dio, che non è di questo mondo, ad annuncio del regno dell’uomo, che l’uomo stesso deve realizzare sulla terra, con le sue forze, e poi, se gli avanzerà tempo e voglia, potrà occuparsi anche di cose secondarie come Gesù Cristo e il Regno di Dio? 

Proviamo a vedere, allora, punto per punto, se il signor Bergoglio sta insegnando ai fedeli cattolici il valore e il significato delle sette opere di misericordia spirituale. 

Consigliare i dubbiosi? 

Niente affatto. Egli non solo non dà consigli, ma butta in faccia ai fedeli i suoi stessi dubbi, anche gravissimi, riguardo a questioni centrali della fede cattolica, come il valore della sofferenza. E del resto, lo ha detto – non in chiesa, ma durante la prima, famosa intervista a Eugenio Scalfari – che, in caso di dubbio morale, ciascuno deve interrogare la propria coscienza. Bel consiglio davvero, non diciamo per un papa, ma per un qualsiasi sacerdote. Lo stesso consiglio che avrebbero potuto dare Bonino e Pannella: è l’uomo che deve interrogare se stesso, la legge morale la fa ciascun singolo individuo. Questo non è neanche più relativismo: è soggettivismo puro e semplice. E non si dica che anche san Tommaso d’Aquino dà un consiglio analogo; perché san Tommaso d’Aquino lo dà, ma in un contesto ben preciso: quello della dottrina cattolica; e dunque lo dà pensando a quei rarissimi casi nei quali, effettivamente, i confini fra l’azione gusta e lecita e quella ingiusta e illecita, sfumano pericolosamente. Non lo dà per le situazioni ordinarie: per quelle, ci sono i Dieci Comandamenti e c’è il Vangelo; poi, c’è il Magistero della Chiesa, che, comunque, non aggiunge e non inventa nulla di suo, ma si limita a definire e precisare ciò che già è presente nel Deposito della fede. 

Insegnare agli ignoranti.

Certo: la Chiesa è docente, e ciascun cattolico, anche laico, ha il dovere di cogliere tutte le occasioni per annunciare la Verità di Gesù Cristo. Oggi ad ignorare la Verità divina sono, spesso, proprio i cattolici, la cui istruzione religiosa è bassissima, per giunta confusa, e che, forse, non si son mai dati la pena di leggere, non diciamo la Bibbia, ma neanche il Vangelo. A costoro bisogna insegnare le verità della fede; ma, ovviamente, bisogna farlo nel pieno rispetto dell’ortodossia, senza omettere né modificare nulla. Se anche io stesso o un Angelo del Cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello di Gesù Cristo, sia anatema, scrive san Paolo ai galati. I cristiani, specialmente i pastori, vescovi e sacerdoti, hanno una doppia, grandissima responsabilità: insegnare il Vangelo e farlo fedelmente, cioè integralmente. Non potrebbero togliere da esso neppure uno iota, senza falsificarlo. Un clero e dei teologi i quali non insegnano più tutte le verità di fede, compreso il peccato e la grazia, il Giudizio universale, l’inferno e il paradiso, non svolgono onestamente e lealmente la loro missione, e di ciò dovranno rendere conto. Un sacerdote cattolico, come il gesuita Sosa Abascal, il quale afferma che il diavolo non esiste, si assume la responsabilità di diffondere, e sia pure per mezzo di un’intervista a un giornale profano, un insegnamento menzognero in materia di fede.

Ammonire i peccatori? No davvero: questo il neoclero non lo fa; e Bergoglio si è reso celebre, sempre in quella tale, scandalosa intervista, col suo: Chi sono io per giudicare? Ma la vera Chiesa non solo può, ma deve giudicare il peccato e ammonire il peccatore: se no, che razza di Chiesa sarà mai? Sarà un’associazione, un club, un movimento di opinione; non la Chiesa cattolica.

Consolare gli afflitti. 

No, questa neochiesa non è in grado di consolare gli afflitti. Per fare una cosa simile, bisogna lasciare che a parlare sia lo Spirito attraverso di noi; se l’uomo vuol parlare con parole umane, non è capace di consolare alcuno. A un bambino il quale, dopo aver peso la mamma adottiva, aveva perso anche la nonna, cioè la persona che si occupava di lui, e gli chiedeva una parola di consolazione, Bergoglio non saputo rispondere altro che un giorno avrebbe capito da solo; ma che lui, quanto a se stesso, non sapeva che cosa dirgli, e nessuno avrebbe saputo dirgli perché Dio permette simili cose. E ha aggiunto, per buona misura, che non si deve credere a quelli che dicono di avere le risposte. Ora, siccome la Chiesa cattolica si gloria di avere la risposta — non lei, ma il Vangelo di cui lei è custode e annunziatrice, è come se il signor Bergoglio avesse dato dei bugiardi e dei cialtroni a migliaia di uomini di Dio, i quali, nel corso dei secoli, hanno consolato gli afflitti, dicendo loro che neppure la piuma di un passero cade a terra, se Dion non lo vuole; e tutto, ma proprio tutto, fa parte del grande disegno di Dio; e quel che Egli ci manda è bene, anche se noi, per adesso, non possiamo capire ogni cosa (state contenti, umana gente, al quia; ché, se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria, dice Dante); il solo male è quel che viene da noi, quando ci rifiutiamo di ascoltare la chiamata di Dio e preferiamo, ispirati dal diavolo, ascoltare solo noi stessi, i nostri impulsi inferiori, e assecondare le nostre passioni disordinate, che abbiamola la faccia tosta di chiamare, il più delle volte, "amore", mentre esse a tutto somigliano, tranne che al vero amore.

Perdonare le offese.

Ammesso che si possano considerare "offese" le critiche che gli vengono rivolte, la reazione di Bergoglio è tutt’altro che di perdono: è una reazione irosa, vendicativa, implacabile. Quasi ogni giorno, dal pulpito, tuona contro coloro i quali osano opposi al suo progetto di cambiamento della Chiesa; li descrive con termini aspri, si rivolge a loro in maniera sprezzante, altera, sarcastica. Ai quattro cardinali che gli chiedevano chiarimenti su Amoris laetitia non ha mai risposto; e a due di loro non risponderà mai più, visto che nel frattempo sono morti. Silenzio totale anche verso i Francescani dell’Immacolata, così duramente colpiti, e non si sa perché. Lo stesso contegno è proprio di tutti i preti e i cattolici progressisti e dei cosiddetti vescovi di strada: nei confronti di quei cattolici che non capiscono le loro "riforme" e che essi spregiativamente definiscono tradizionalisti, non hanno che ironie e frecciate; mai si sono abbassati a prendere sul serio le loro osservazioni, mai si degnano di ascoltare con un po’ di attenzione, non diciamo di carità cristiana, le loro opinioni. Poiché rappresentano il progresso, il neoclero e i neoteologi vanno dritti per la loro strada. Il loro modo di fare è l’opposto del perdono fraterno verso quelli che non sono riusciti a convincere.

Sopportare pazientemente le persone moleste.

Bergoglio ha silurato tutti i vescovi e i cardinali che hanno mostrato di non condividere sino in fondo la sua "linea" e li ha rimpiazzati con persone di sua assoluta fiducia, agendo più come un dittatore che come un capo della Chiesa, meno ancora come un semplice "vescovo di Roma" quale, stando alle sue stesse parole, inizialmente voleva essere. Analogo atteggiamento mostrano i teologi, i vescovi e i sacerdoti progressisti e neomodernisti: pieni di rancore e vendicatività verso qualunque opposizione, vorrebbero spegnere le voci critiche, magari a colpi di censura, con querele e azioni legali, senza tralasciare insinuazioni e calunnie. E di ciò noi possiamo dare personale testimonianza.

Pregare Dio per i vivi e per i morti.

Nulla possiamo dire in proposito, ovviamente, per ciò che riguarda la preghiera personale. Per la preghiera collettiva, il neoclero brilla per il suo silenzio: già è cosa rara che parli di pregare, dato che l’unica cosa veramente cristiana, per esso, sembra il fare, specie l’accoglienza ai cosiddetti migranti; pregare per gli altri e per i defunti, poi, si direbbe non faccia parte del suo dna.

Individuando nella crisi della fede l’elemento decisivo della deriva dottrinale, pastorale e liturgica, il cardinale Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino, ha detto, parlando in una chiesa gremita di fedeli (citato da Marco Tosatti su La Nuova Bussola Quotidiana), e facendo riferimento anche allo scandaloso episodio di don Fredo Oliviero il quale, a Torino, durante la santa Messa natalizia, ha detto che non avrebbe recitato il Credo perché "lui non ci crede":

La fede è venuta a mancare, non solo a livello di popolo di Dio, ma anche fra i responsabili della Chiesa; ci si può chiedere qualche volta se abbiamo davvero la fede. (…) Penso che oggi i sia una grande crisi di fede e anche una grande crisi della nostra relazione personale con Dio.

E il padre Thomas Weinandy, insigne teologo cappuccino americano, nel corso di una conferenza tenuta a Sidney il 24 febbraio 2018, ha rinnovato l’accusa che già aveva lanciato apertamente a Bergoglio con una lettera aperta dell’estate scorsa, resa pubblica il 1° novembre 2017, di non agire come deve agire un papa. Fra le altre cose, ha detto (citato da Sandro Magister in Settimo Cielo):

A volte sembra che papa Francesco identifichi se stesso non come promotore di unità ma come agente di divisione. La sua filosofia pratica, se si tratta di una filosofia intenzionale, sembra consistere nella convinzione che un bene unificante maggiore emergerà dal presente conflitto di opinioni divergenti e dalla turbolenza delle decisioni che ne derivano. (…) La mia preoccupazione qui è che tale approccio, anche se non intenzionale, colpisce proprio l’essenza del ministero petrino come inteso da Gesù e come perennemente compreso dalla Chiesa. Il successore di san Pietro, per la natura stessa dell’ufficio, deve essere, letteralmente, l’incarnazione personale e quindi il segno compiuto della comunione ecclesiale della Chiesa, e così il principale difensore e promotore della comunione ecclesiale della Chiesa.

Dobbiamo pregare perché questo sia solo l’inizio e perché altri sacerdoti, come Sarah e Weinandy, trovino in Cristo il coraggio del vero, e richiamino la Chiesa al dovere della fedeltà al divino Sposo.

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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