Come un medico di campagna scoprì l’iguanodonte
26 Gennaio 2018
Basilio di Cesarea e la scoperta del paesaggio
28 Gennaio 2018
Come un medico di campagna scoprì l’iguanodonte
26 Gennaio 2018
Basilio di Cesarea e la scoperta del paesaggio
28 Gennaio 2018
Mostra tutto

Liturgia, libertà religiosa, ebraismo: tre documenti per scardinare la Chiesa

Quando diciamo che è necessario ripensare il Concilio Vaticano II, non questo o quell’aspetto di esso, non questo o quel documento, ma il Concilio nel suo insieme, senza perdersi nelle vane distinzioni fra il Concilio stesso e il cosiddetto "spirito del Concilio" che ha imperversato e impazzato per decenni, fino ad oggi, ci rendiamo conto di dire una cosa molto forte, ossia che il Concilio non solo è da ridiscutere, ma da invalidare, perché, fino a quando sussisteranno gli errori dogmatici e teologici che ne sono alla base, la Chiesa non potrà mai tornare ad essere se stessa, quello che stata per millenovecento anni, con l’assistenza dello Spirito Santo, e cioè la Chiesa cattolica, apostolica e romana, una e santa, ma sarà sempre qualcosa di sostanzialmente diverso, anzi, di estraneo. Il Concilio è da invalidare perché si è fatto promotore di alcuni gravi errori dottrinali, oltre che di una vera orgia di abusi liturgici. Non c’è stato un Concilio "buono", quello dei dibatti e dei documenti ufficiali, e uno "cattivo", che vi si è sovrapposto, forzando, con la complicità dei mass media, il significato di quei dibattiti e di quei documenti. D’altra parte, il Concilio non è stato, in se stesso, l’origine della deviazione della Chiesa dalla sua millenaria Tradizione: è stato, al contrario, il punto d’arrivo. I fermenti modernisti, combattuti a viso aperto da san Pio X, erano stati costretti a nascondersi, ma non erano stati eliminati; anzi, negli anni successivi alla Pascendi, del 1907, non avevano fatto che ingrossare, sempre di più incontrandosi con un certo spirito d’insofferenza anticattolica cresciuto dentro le stesse facoltà di teologia, gli stessi seminari e le stesse parrocchie; un certo spirito protestante che i cattolici tedeschi e olandesi avevano contratto dalla lunga vicinanza con gli scismatici luterani, e che poi avevano trasmesso a tutta la Chiesa, come un’infezione. E si tenga presente che le simpatie protestanti nascevano dall’aver riconosciuto nei luterani, o almeno nei luterani del XX secolo, dei cristiani ormai tali solo di nome, ma, in effetti, intimamente assai più vicini all’ateismo che alla fede; dei "cristiani" i quali, autonominandosi maturi e responsabili, pretendevano di rifare duemila anni cristianesimo.

Uno dei primi frutti avvelenati di quella contaminazione, sommandosi agli errori del Concilio stesso, era stato il Nuovo Catechismo Olandese, del 1966, nel quale si trovano, ancora in embrione, i germi di tutte quelle pestifere novità, eresie e bestemmie che ora, sotto il pontificato del falso papa Bergoglio, stanno dilagando alla luce del sole e, non che nascondersi, si mostrano ovunque, con ostentazione, con arroganza, nella certezza che nessuno le riprenderà e che l’intero organismo della Chiesa visibile è ormai di fatto in ostaggio nelle loro mani. In generale, ciò che caratterizza le tendenze progressiste, moderniste e filo-protestanti in seno alla Chiesa, specialmente a partire dal Concilio Vaticano II, è il desiderio di giungere a una specie di accordo, di modus vivendi, con il mondo: presentando la cosa sotto la luce positiva del "dialogo", dell’apertura, della collaborazione, e occultando la sua reale natura di ritirata, di resa, di tradimento del Vangelo, perché una cosa è certa: sul Vangelo non sono possibili compromessi. Lo ha detto Gesù Cristo, e tanto basta: Non potete servire due padroni. Chi sceglie Gesù, rompe la relazione col mondo; e viceversa. O si sceglie di servire il Vangelo di Gesù Cristo, oppure ci si abbandona allo spirito del mondo: spirito di egoismo, di lussuria, di superbia e di cupidigia; spirito d’incontinenza e d’insaziabile ricerca del proprio piacere, del proprio tornaconto. E il tanto celebrato "spirito del Concilio" è nient’altro che lo spirito del mondo; non ha niente a che fare con lo Spirito Santo, con la dimensione del divino: è, in tutto e per tutto, cosa umana, terrena, immanente, senza un briciolo di spiritualità, senza l’ombra di un reale abbandono alla volontà di Dio.

In particolare, tre sono stati i cunei che la malizia di alcuni vescovi e cardinali, sfruttando l’ingenuità e la buona fede della maggior parte dei Padri conciliari, è riuscita a introdurre in quel Concilio che veniva presentato come puramente pastorale e non dottrinale; cunei che la generazione successiva di vescovi massoni e di sacerdoti modernisti si è adoperata ad allargare sempre più, sino a farli penetrare in profondità nella dottrina e, alla fine, a stravolgere e sovvertire la dottrina stessa: la costituzione Sacrosanctum Concilium, sulla liturgia; la dichiarazione Nostra Aetate, sui rapporti della Chiesa con le altre religioni; la dichiarazione Dignitats Humanae, sulla libertà religiosa. Ad essi si può aggiungere un quarto documento, la costituzione Lumen Gentium, sulla organizzazione della Chiesa, la sua natura, la sua vocazione, la sua finalità. Con il Sacrosanctum Concilium, si è attuata una vastissima, radicale riforma liturgica che si è risolta, alla fine, nella distruzione della millenaria liturgia cattolica e nella sua sostituzione con una "liturgia" spogliata del soffio della trascendenza e ridotta a gestualità laica, quasi profana. Con la Dignitatis Humanae, contraddicendo il precedente magistero e in particolare il Sillabo e la Quanta Cura di Pio IX, si accoglie il principio liberale secondo il quale ciascuno è padrone di seguire, in coscienza, qualsiasi fede religiosa; anche se si conserva la foglia di fico della distinzione fra la fede "vera", quella cattolica, e le altre, che però non vengono chiamate false, anzi, sono valorizzate al massimo, specie l’ebraica. Quest’ultimo tema viene ripreso dalla Nostra Aetate, che, come è noto, scaturiva da un documento specificamente dedicato agli ebrei, e nel quale è più facilmente ravvisabile l’influenza del B’nai B’rith, col quale alcuni cardinali e vescovi intrattenevano relazioni più che amichevoli. Non solo le altre fedi religiose sono poste su un piano di dignità intrinseca che le equipara, di fatto, al cristianesimo; si apre anche la strada alla successiva ed esplicita affermazione (di Giovanni Paolo II) che l’Antica Alleanza di Dio con il popolo ebreo è sempre valida, il che equivale a negare che esista una vera differenza fra essere cristiani ed essere giudei e toglie significato alla stessa Incarnazione e alla Passione, Morte e Resurrezione di Gesù Cristo. Da ultimo, la Lumen Gentium rivaluta al massimo il ruolo dell’episcopato e getta le premesse per una limitazione delle prerogative del pontefice a favore dei vescovi e del concilio. E un primo assaggio di ciò si era visto quando i vescovi, per impulso di quelli tedeschi e olandesi, avevano respinto gli schemi preparatori proposti da Giovanni XXIII, per rifarli tutti di sana pianta. E l’abilità consumata dei distruttori fu quella di inserire delle proposizioni contrastanti con la dottrina e il Magistero di sempre, in maniera tale da far sì che non venissero percepite come tali, ma che apparissero sotto una luce innocua e perfino benefica, mescolate e quasi nascoste in mezzo a tante altre affermazioni del tutto ortodosse. A ciò si aggiunga che le modalità di votazione nelle singole commissioni, le quali, di fatto, si sostituirono alla collegialità del Concilio, furono spesso sleali e truffaldine, Cesare Baronio dice perfino criminali, nel senso che sfruttarono ogni espediente, anche il più meschino e il più sporco, per ingannare deliberatamente la maggioranza ignara e far passare la linea dei "progressisti", i quali, da parte loro, avevano studiato e concordato ogni dettaglio in anticipo, a differenza dei loro avversarti "tradizionalisti". Altrimenti come spiegare, tanto per fare un esempio, che la Dignitatis Humanae venne approvata con 2.308 voti favorevoli e solo 70 contrari, mentre, alla vigilia della stesura del documento, solo poco più di 200 vescovi erano favorevoli alla libertà religiosa? Davvero il 90% dei Padri si era convertita alla nuova posizione dalla mattina alla sera, come san Paolo sulla via di Damasco? 

Vediamoli da vicino, alcuni di questi passaggi rivoluzionari abilmente disseminati, e quasi dissimulati, nel corpo dei documenti conciliari. In certi casi, sono poche righe, o una singola frase, che rovesciano il senso dell’intero documento e capovolgono, o sono suscettibili di capovolgere, se debitamente sviluppati, il Magistero di sempre e, quindi, lo stesso Depositum fidei.

Nel Sacrosanctum Concilium, 36, § 1, si afferma: L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini. Chiarissimo, no? Il latino sia conservato come lingua liturgica. Ma subito dopo, al § 2, si aggiunge: Dato però che, sia nella messa che nell’amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l’uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si concede alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti. E anche questo parrebbe chiaro: l’eccezione, la deroga alla regola generale. Invece, come tutti sanno, è avvenuto immediatamente il contrario: in pochissimi anni, il latino è stato di fatto abolito in tutta la liturgia di tutta la Chiesa cattolica; e il Messale è stato rifatto nelle lingue nazionali. Difficile pensare a un processo spontaneo; e ancor più difficile credere che gli autori del § 2 non avessero ben chiaro il disegno di "svuotare" il § 1, puntando alla completa eliminazione del latino. L’eccezione che distrugge la regola.

Nella Nostra Aetate, al cap. 2, si afferma che La Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni; e si sta parlando delle false religioni. Già qui vi è una patente contraddizione, anche di ordine logico, dovuta alla ripugnanza di tirare la necessaria conseguenza della unicità e della assolutezza della Verità di Cristo: si vuol trovare del "vero" e del "santo" anche in ciò che è falso. Ma v’è di più. Al cap. 4 si afferma: E se è vero che la Chiesa è il nuovo popolo di Dio, gli ebrei tuttavia non devono essere presentati come rigettati da  Dio, né come maledetti, quasi che ciò scaturisse della Scrittura. Eppure, proprio nel Vangelo, è Gesù Cristo in persona che dice: La pietra, rigettata da voi, costruttori, è diventata testata d’angolo (Mc 12,10; Lc 20,17; Atti, 4,11). Perciò  non si capisce: gli ebrei sono ancora il popolo dell’Alleanza? ma non ha sempre insegnato la Chiesa, e non è scritto in parecchi documenti del Concilio stesso, che la Chiesa stessa è il popolo della Nuova Alleanza? Usando perfidamente espressioni come rigettati e maledetti, si vuol suggerire che gli ebrei sono già nella salvezza, senza dover riconoscere la divinità di Cristo. Sono passati solo vent’anni dalla liberazione di Auschwitz e tutto il mondo vive un forte di senso di colpa per quel che è successo agli ebrei nella Germania hitleriana. Qualcuno soffia sul fuoco per alimentare quel senso di colpa: fra le altre cose, agitando il ricatto dei pretesi "silenzi" di Pio XII sul genocidio perpetrato dai nazisti…

Nella Dignitatis Humanae, cap. 1, § 2, si afferma: Questo Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha il diritto alla libertà religiosa. Il contenuto di una tale libertà è che gli esseri umani devono essere immuni dalla coercizione da parte dei singoli individui, di gruppi sociali e di qualsivoglia potere  umano, così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata.  Inoltre dichiara che il diritto alla libertà religiosa si fonda realmente sulla stessa dignità della persona umana quale l’hanno fatta conoscere la parola di Dio rivelata e la stessa ragione. Questo diritto della persona umana alla libertà religiosa deve essere riconosciuto e sancito come diritto civile nell’ordinamento giuridico della società. E questo dopo aver asserito (§ 1) che quella cristiana è l’unica vera religione. È evidente che qui l’astuzia è stata quella di mescolare e confondere due concetti diversi: che la religione non deve essere imposta ad alcuno con la forza, sul piano materiale e su quello giuridico; e che ciascuno è libero di rifiutare la Verità e di professare l’errore, sul piano morale e religioso. Il primo può essere sottoscritto da tutti i cattolici; il secondo, assolutamente no. Dal punto di vista morale, e su questo punto è necessario essere molto chiari, non è nemmeno pensabile una libertà religiosa, se non come libertà di peccare: perché conoscere la Verità implica l’obbligo di seguirla, non contempla la possibilità di rifiutarla, se non al prezzo della rottura con Dio. Concetto, del resto, che viene esposto, sia pure in maniera un po’ ambigua e sfumata, nel proemio della Dignitatis Humanae

Infine, nella costituzione Lumen Gentium, si afferma (§ 22): Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, formano tra loro un tutto. (…) La suprema potestà che questo collegio possiede su tutta la Chiesa, è esercitata in modo solenne nel Concilio ecumenico. Con molte tortuosità, sia fra l’uno e l’altro di questi due passaggi, sia dopo il secondo, si ribadisce che il papa è il capo della Chiesa e che le decisioni conciliari non hanno valore se non approvate da lui; tuttavia, dicendo che il collegio dei vescovi possiede la suprema potestà su tutta la Chiesa, si suggerisce anche qualcosa di diverso, e cioè che i vescovi riuniti possono considerarsi il vertice della Chiesa. Fa capolino insomma un conciliarismo neanche tanto dissimulato, o, quanto meno, la possibilità di sviluppare queste premesse, volutamente ambigue, in senso conciliarista, per ridurre sostanzialmente le attribuzioni papali e trasformare la Chiesa in un organismo assembleare, sul modello delle democrazia parlamentari. E tutto ciò non è abbastanza?

Fonte dell'immagine in evidenza: sconosciuta, contattare gli amministratori per chiedere l'attribuzione

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.