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Cattolici emarginati dal Concilio: i Cenacoli Serafici

Può capitarvi, entrando in una chiesa di provincia, di dare uno sguardo al banco situato presso il portale d’ingresso, sul quale è esposta la "buona stampa", come si diceva una volta, e di trovare anche delle pubblicazioni che non avete mai visto prima, né nelle librerie paoline, né nelle chiese delle città, dove, evidentemente, vige una più rigorosa sorveglianza, e certi giornalini non sono tollerati dall’occhiuto clero progressista e dialogante con tutti, ma proprio tutti, tranne che coi cattolici da esso sprezzantemente definiti tradizionalisti. Si tratta di pubblicazioni che già dalla scelta grafica si presentano in un certo modo, con un certo stile; diciamolo pure: con lo stile di prima, ossia prima del Concilio, quando la Chiesa non parlava solo o quasi solo di questioni sociali, di migranti, di ambiente e così via, ma anche, guarda un po’, del bene e del male, della grazia e del peccato, del Paradiso e dell’Inferno. Prima del Concilio l’imprimatur era d’obbligo per la stampa e l’editoria, poi è stato abolito e attualmente viene dato solo all’autore o l’editore che ne facciano richiesta. La locuzione nihil obstat, letteralmente "nulla impedisce", significa semplicemente che la Chiesa, nella persona del vescovo, ha esaminato quel giornale o quel libro e non vi ha trovato nulla che sia in contrasto con la dottrina e cattolica e non che approvi tutto, pagina per pagina: distinzione sottile, ma importante.

L’abolizione della censura ecclesiastica, in omaggio alle dottrine liberali del mondo moderno, e in omaggio al "dialogo" e alla "libertà di coscienza", ha fatto sì che chiunque può scrivere e stampare un libro o una rivista di argomento religioso e farli circolare negli ambienti cattolici. Non c’è più un filtro: ciascun fedele deve capire da solo se quella che ha fra le mani è davvero una pubblicazione cattolica o no. Anche da ciò si capisce quale è stato l’effetto più immediato e disastroso dello spirito del Concilio: non c’è più il pastore a vigilare sulla fede delle pecorelle; anzi, per dirla tutta, non ci sono più pastori né pecorelle: sono diventati tutti, una bella mattina, così, per incanto, cattolici adulti e vaccinati. Non ci sono più né le eresie, né gli eretici; non ci sono i mitomani, gli esaltati, i paranoci che spacciano le loro farneticazioni per oro purissimo, proveniente addirittura dalla bocca di Gesù Cristo e della Vergine Santissima. Paradossalmente, però, l’esperienza ci ha insegnato che ci può essere più dottrina autentica in quelle rivistine e quei foglietti stampati un po’ alla buona, ma con tanto amore e sincera devozione da qualche gruppo di cattolici irriducibili, che nelle riviste patinate distribuite in tutte le chiese e nelle librerie paoline, formate da qualche teologo che va per la maggiore o da qualche vescovo che si atteggia a destinatario di una non ben definita "seconda Pentecoste", come si usa dire, appunto, a partire dal Vaticano II, per contrabbandare come moneta buona qualunque empietà, falsità e ipocrisia. Logico: da quando i massoni hanno preso il controllo della gerarchia (correva l’anno 1958: non ieri o l’altro ieri, ma più di sessant’anni fa!) e hanno fatto il lavaggio del cervello ai seminaristi, se si vuol sentore ancora qualcosa di cattolico, bisogna andare nei luoghi appartati, nelle parrocchie fuori mano, o presso qualche gruppo di preghiera non riconosciuto dalla Chiesa. È un rischio, evidentemente: anche da quella parte, non tutto è moneta buona; tuttavia, a spanne, ci vien da dire che per un gruppo o una rivista che va fuori dal seminato, ce ne sono dieci, di quelle patinate e largamente distribuite, perché emanazione diretta della C.E.I. o di qualche associazione gradita al vaticansecondismo, che la fa bellamente fuori dal vaso — e nessuno, in alto loco, ci trova mai nulla da dire.

Tipico è il caso dei Cenacoli Serafici, una fondazione che fa capo all’Eremo di Bassiano, in provincia di Latina, che sorse per impulso e sull’esempio di una suora veneta, Floriana De Marchi, delle Missionarie del Sacro Cuore, la quale avrebbe avuto delle visioni mariane fra il 1955 e il 1962, poi delle visioni di Gesù Cristo, nel contesto di una vicenda assai oscura e controversa: le profanazioni eucaristiche avvenute nella chiesa di Castagnole (Treviso), ove peraltro due inchieste avviate dalle due Curie vescovili coinvolte, Treviso e Latina, giunsero alla conclusione che né le visioni, né le profanazioni risultavano provate e convincenti. Trasferita a Borgo Grappa, nella diocesi di Latina, e raggiunta da una consorella, suor Nicolina, anch’ella proveniente da Castagnole, nonché sostenuta da un cappuccino, padre Eligio Loi, persuaso invece della sincerità di suor Floriana e della soprannaturalità delle sue visioni e dei suoi messaggi, la francescana non rientrò nei ranghi e anzi finì per deporre la veste, insistendo nell’opera dei Cenacoli Serafici (ufficialmente fondati dal padre Loi), come l’avrebbe esortata a fare la Madonna stessa. Finché, nel 1982, addirittura l’Osservatore Romano scese in campo, diffidando i fedeli dall’entrare a far parte dei Cenacoli Serafici, e ammonendo che questi ultimi non godevano di alcun riconoscimento da parte della Chiesa. Sconfessati dalla Chiesa, i Cenacoli ebbero poi il riconoscimento dello Stato, quale ente morale, con un decreto del 1993; suor Floriana rese l’anima a Dio nel 2005, a ottantun anni di età, essendo nata nel 1924, a Cavasagra di Vedelago, in provincia di Treviso. La sua casa è ancor oggi meta di pellegrinaggio dei suoi devoti, i quali dovrebbero aggirarsi, secondo alcune stime, sulle seimila unità.

Va detto, per completezza, che suor Floriana sosteneva di aver ricevuto l’approvazione privata alla sua opera da parte dell’allora vescovo di Treviso, Egidio Negrin, il quale si sarebbe ammalato e sarebbe morto per una malattia molto rapida e dolorosa nel 1958, proprio a causa delle profanazioni eucaristiche: o per il dolore che gli avrebbero causato, o per avere offerto se stesso quale vittima sacrificale in riparazione di esse. Sta di fatto che questa versione è sostenuta unicamente da suor Floriana e dai suoi figli spirituali: non c’è nessuna fonte "ufficiale" che la confermi, e secondo la versione ufficiale monsignor Negrin è morto semplicemente di malattia; né risulta che abbia mai creduto al racconto delle profanazioni notturne, meno ancora che abbia autorizzato suor Floriana a dar vita a dei gruppi di preghiera. Nel 2002 un terzo vescovo è sceso in campo, dopo quelli di Treviso e di Latina, l’arcivescovo di Trento, sempre per schierarsi contro suor Floriana e per mettere in guardia i fedeli dal non dare credito né a lei, né ai suoi gruppi di preghiera. Situazione che ricorda un po’, anche se molto più in piccolo, quella che si era creata dopo la formazione dei gruppi di preghiera ispirati a padre Pio da Pietrelcina, che furono fieramente avversati da tutti i vescovi, specialmente da quello di Padova, monsignor Bortignon, nemico implacabile del frate cappuccino (pur essendo egli steso un cappuccino), il quale prese particolarmente di mira due sacerdoti della sua diocesi che erano divenuti, dopo essersi recati a San Giovanni Rotondo, figli spirituali del frate stigmatizzato.

Abbiamo già ricapitolato, in due precedenti articoli, la vicenda di suor Floriana e dei suoi seguaci (vedi: Floriana e Marchi, una storia semplice e C’è un segreto indicibile dietro la morte del vescovo Egidio Negrin? pubblicati sul sito dell’Accademia Nuova Italia rispettivamente il 01/11/17 e il 25/01/18). Ma tutta quella vicenda ci è tornata alla mente sfogliando e leggendo con interesse un paio di numeri della rivista Cenacoli Serafici (stampata a Cisterna di Latina) trovati appunto, chissà come, sul banco d’una chiesa, evidentemente grazie all’ignoranza o alla distrazione per quanto è stato deciso dall’autorità ecclesiastica, o forse con la tacita connivenza del parroco. Nel numero 6 del 2021 abbiamo trovato la testimonianza di una persona che si firma solamente Franco, e della quale riportiamo il passaggio centrale (pp. 25-28):

I Santi! I ‘nostri’ Santi! Quanto vorrei gridarlo, fino alla morte: "la nostra Santa Suora!". Non griderò, ma non per timore di alcuno! Non scriverò di lei perché mi sento indegno.

Pena e vergogna mi colmano l’anima per la mia vita non vissuta come lei chiedeva con la sua parola, la preghiera, i suoi scritti: "Vivere per i Cenacoli!".

«Convinciti, è la vita dura, austera, l’amore forte per le anime; la solitudine interiore, l’ardore nell’accettare ostilità, rifiuti, disprezzi, la stessa morte, che ti rende vero fratello che aiuta e salva!»…

I nostri Santi! Tanto desideravo ricordarci su questo giornalino, colui che nominiamo soltanto in quella fugace invocazione: «Monsignor Negrin, prega per noi!». Quanto dovremmo, invece, tenere nel cuore e nella mente il nostro Santo Vescovo Egidio Negrin!

Santo da ricordare e da imitare per la sua vita austera, per il suo accettare di essere calpestato pur di rimanere fedele ai sacri principi della Legge di Dio, a credere, a piangere, ad offrire la tanta sofferenza e la sua vita per riparar elle orribili offese, agli infernali sacrilegi compiuti contro il Signore Dio in quella Chiesa!

Il nostro Santo… Colui che, ormai prossimo a morire, cercò "quella Suora di Castagnole" e, pur straziato dall’atrocità dei dolori, come suo ultimo respiro, raccomandò ai figli dei Cenacoli di vivere ‘soli’, di non cercare mai i conforti, le approvazioni umane: «Se vivranno così, tanti figli dei Cenacoli saranno santi!».

Benedicendo, infine, l’umile e commossa Suora ‘nostra’, in ginocchio ma sollecitata ad uscire perché in quella stanza era ormai prossima ad entrare la morte, il Santo Vescovo le disse: «Figliola, verrò a trovarla!».

Incapace di proferire una sola parola, sentendo il peso delle mie tante miserie che i impedisce di alzare lo sguardo, affiora un pensiero di speranza che apre il cuore e mi consola: raccolti, commossi, stretti l’uno all’altro ‘vedo’ i tanti, tanti volti di sorelle e fratelli, con le mani giunte, fuori la porta della Sagrestia nella benedetta Chiesa del Perdono!

«Verro a trovarla!», aveva promesso il nostro Santo Vescovo morente!

Fedele a quella promessa, egli era lì! Non più straziato dalla malattia, il suo volto splendeva di felicità soprannaturale, propria di un’anima che ha già conosciuto l’infinito splendore del Santo Paradiso!

Incontro sublime il suo con quella Suora, anima anch’essa tanto prediletta dal Signore e da Lui scelta per sostenere, guidare sulla terra, quel piccolo ‘gruppo’ di creature «capaci di riparare. Che Mi amino, che vivano solo per Me… annunciate quella mattina dell’Aprile 1955, mentre il Suo Corpo santissimo ‘galleggiava nel Sangue, sul pavimento,dopo l’ultimo gradino dell’Altare Santo! Sangue Preziosissimo oltraggiato, calpestato e portato dai dannati sacrileghi in altre parti della Chiesa, fin sulla porta!»

«Tante anime arriveranno alla santità nei Cenacoli — con quanta insistenza lo ripeteva il Santo Vescovo — se vivranno così! Le approvazioni, non contano niente! Sono le umiliazioni che aprono la porta del Paradiso!»…

Sorelle e fratelli miei, non dimentichiamo quanto anche noi abbiamo ‘ascoltato’. Quante volte penso a quella Tomba, là, sotto il Duomo di Treviso!

Mi conforta il pensare, il vedere veli bianchi che si piegano su quel marmo e mi commuovo… Poi, improvviso, rattrista il mio cuore il pensiero che invece non ci sia più una sola mano che vi deponga un fiore, un cuore, uno solo, che lo ringrazi per mille altri cuori il nostro Vescovo, il nostro Santo!
I Santi!…

La ‘nostra’ suora era sola nell’Eremo quel lunedì 21 novembre 1994…

Con l’entusiasmo che mi colmava il cuore, le dissi che eravamo stato in tanti il giorno precedente in San Pietro, tanti quei veli bianchi nella navata sinistra della Grande Basilica. Persino un imprevisto pullman dalla Calabria!

Giorno di festa per la beatificazione del nostri Fra Claudio!

Ricordo che, come sempre, nella sua bontà, lei mi aveva ascoltato e, al suo solito sorriso, quasi all’improvviso mi disse queste indimenticabili parole:«È stato qui, ieri, fra Claudio e mi ha detto: Beato mi ci hanno fatti le mie sorelle, i miei fratelli dei Cenacoli!»

Non meravigliato, ma commosso, con sincero entusiasmo, le dissi: «E presto torneremo in San Pietro per la Beatificazione di Monsignor Negrin!»

Speravo in un suo sorriso ma notai un velo di tristezza mentre mi rispondeva: «No! Lui non lo faranno mai Beato… è tropo legato al’Opera, ai Cenacoli!».

Sì, lo sappiamo anche noi che tutto hanno bruciato quei suoi collaboratori!

Tutto, non soltanto gli scritti, hanno distrutto sui dolorosi, tanto gravi sacrilegi! Tutto! Ma l’insegnamento del nostro Santo Vescovo Egidio Negrin, nessuno riuscirà mai toglierlo dai nostri cuori: «Le approvazioni umane non valgono niente!».

Abbiamo letto e riletto, con una certa dose di partecipazione, queste parole, e non siamo riusciti a trovare in esse nulla che contrasti con la vera dottrina, niente che possa disturbare un sano atteggiamento di fede. Mettendo fra parentesi la questione (di per sé, ne conveniamo, tutt’altro che secondaria) della soprannaturalità delle visioni di suor Floriana, nonché quella del mandato spirituale ricevuto dal vescovo Negrin sul letto di morte circa la fondazione dei Cenacoli Serafici e l’ininfluenza delle approvazioni umane, quello che si percepisce è un sentimento profondo di amore per Dio e di venerazione per l’ispiratrice del movimento. La quale, se riesce a influenzare in maniera così forte la vita interiore di tante perone, a sessant’anni dalla fondazione dei cenacoli e a tre lustri dalla sua morte, doveva avere una personalità mistica di tutto rispetto. Certo, il riconoscimento da parte della Chiesa è, in linea di massima, fondamentale. Tuttavia sappiamo che in questo campo, complici i nuovi indirizzi semi-modernisti diffusi nel clero, non sempre la Chiesa possiede gli uomini giusti al posto giusto per giudicar rettamente e serenamente. Le apparizioni di Ghiaie di Bonate, per fare un esempio; oppure quelle di Maria Valtorta, che in un primo tempo avevano richiamato l’attenzione dello stesso Pio XII; o, ancora, le stimmate e gli altri segni straordinari che accompagnarono la vicenda terrena di san Pio da Pietrelcina, e anche quella di san Lepoldo Mandic, non trovarono favorevole accoglienza da parte della Chiesa, anzi in un primo tempo suscitarono reazioni di censura più o meno pronunciate. La mala pianta dello scetticismo razionalista si è insinuata da molto tempo nei seminari, e il risultato è che i membri delle commissioni che dovrebbero indagare sulla soprannaturalità di certi fati e di certe rivelazioni risultano impari al loro compito così delicato, foderati come sono di pregiudizi anti spirituali e, in ultima analisi, anti cattolici. Chi non ricorda il gesto di Bergoglio di separare le mani giunte di un chierichetto in gesto di preghiera, e le parole ironiche e derisorie da lui rivolte a quel bambino: Ti si sono incollate le mani?

Tornando a suor Floriana e ai suoi Cenacoli Serafici, la sola cosa che si coglie, dalle parole che abbiamo appena letto, e che potrebbe dispiacere ai teologi e ai vescovi impregnati di modernismo, è l’accento posto sull’idea di sacrificio; sull’idea che la vita cristiana deve essere vissuta come un solo, costante sacrificio a Dio; e che il male e il peccato richiedono sacrifici di riparazione, per cui è necessario che delle anime-vittima prendano sui di sé le colpe e i peccati, a imitazione di ciò che fece Gesù Cristo affrontando la Passione e la Morte sulla croce, per redimere i peccati del mondo; e, parallelamente, una minore attenzione per la dimensione sociale, materiale, concreta, della fede. Insomma, appare evidente che i seguaci dei Cenacoli danno la preminenza alla dimensione spirituale della fede e riflettono con molta serietà sulle conseguenze del peccato sul destino degli uomini: in questo senso, ricordano un po’ quei profeti di sventura dei quali si faceva beffe, implicitamente, Giovanni XXIII, nel suo discorso di apertura del Concilio Vaticano II (come se la missione dei profeti non consistesse appunto nell’ammonire a nome di Dio, annunciando sventure ai peccatori impenitenti!). Ma tutto questo non ha nulla di censurabile: nessun teologo della svolta antropologica potrà mai dimostrare che questo sia un atteggiamento di fede sbagliato o censurabile. Essi minimizzano la gravità e le conseguenze del peccato: non è infrequente che i sacerdoti da essi ispirati, al termine della Confessione non impongano al fedele alcuna penitenza, oppure affermino scandalosamente che un certo peccato non è tale, ad esempio il vizio impuro contro natura. Ciò significa che il problema non è nei gruppi di preghiera che si attaccano alla solida tradizione cattolica per non fare naufragio nelle tempeste del relativismo e del dubbio, ma in un clero che ha perso la fede e lo vuol mascherare riempiendosi la bocca con grandi frasi sul dovere di accogliere i migranti e preservare l’ambiente, e prendendo di mira i cattolici "tradizionalisti" che non accettano la sua apostasia. I cenacoli di suor Floriana si sono sviluppati negli stessi anni nei quali prendevano forma i gruppi di preghiera di Padre Pio e incontrarono la stessa diffidenza, sfociata in aperta ostilità (si vada in rete per vedere come ancor oggi dei sacerdoti parlano di essi con malcelato disprezzo). La coincidenza forse non è casuale. All’avvicinarsi della duplice tempesta del Concilio e del ’68, Qualcuno volle richiamare i fedeli all’autentica vita di fede. Non è chiaro che, condannando quel modo di essere cristiani, quel tipo di spiritualità, in effetti si condanna Gesù Cristo e il suo Vangelo?

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Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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