
Chi si arrende al mondo, e chi no
8 Dicembre 2017
Perché il neoclero è in perfetta mala fede
9 Dicembre 2017Sono in parecchi a pensare e a dire, o ad aver detto e scritto, che Gesù Cristo è stato un grande rivoluzionario: che, nella storia umana, non c’è stata rivoluzione più grande di quella cristiana; e che un vero cristiano è anche, perciò stesso, un genuino rivoluzionario. Poiché in queste frasi vi è qualche cosa di vero, ma anche molto di falso, e soprattutto di ambiguo, sarà bene chiarire, una volta per tutte, che cosa sia e che cosa non sia "rivoluzionario". Abbiamo capito, infatti, a chi piace la rivoluzione e crediamo di avere anche capito perché le sue lodi richiedono un lavorio preparatorio, che passa attraverso la rivalutazione del concetto di "riforma". Si celebra la riforma oggi per poter celebrare la rivoluzione domani; o meglio, per creare quella particolare atmosfera psicologica e culturale che dà per scontato il valore positivo della rivoluzione, qualunque essa sia. Tale atmosfera esiste già, da quando esiste la civiltà moderna, nella cultura profana; si pensi a ciò che, nell’immaginario collettivo, compreso quello dei sedicenti intellettuali, evocano le parole "rivoluzione americana", "rivoluzione francese", "rivoluzione russa", eccetera. Mancava, però, una eguale atmosfera celebrativa e quasi sentimentale nella cultura cattolica, per non dire della Chiesa cattolica e nel clero: e questo era appunto il tassello del mosaico che mancava affinché il concetto di rivoluzione venisse rivalutato universalmente. Piaccia o non piaccia, la mentalità cattolica, e sia pure come semplice forza d’inerzia, vuol dire ancora qualcosa nel mondo, e specialmente in Italia; era perciò necessario che la cultura cattolica e la Chiesa cattolica, dopo aver esercitato una sorta di coscienza critica sul concetto di rivoluzione e sul ruolo delle rivoluzioni nella storia moderna, venisse modificato, ma dall’interno; che il giudizio negativo venisse ritrattato, rivisto, corretto e, se possibile, rovesciato; che l’idea positiva della rivoluzione si affermasse anche dentro l’ultima cittadella della Tradizione, cioè la Chiesa.
Per giungere a questo, bisognava procedere a tappe. L’Europa moderna, per esempio, nasce con la Rivoluzione francese, preparata, a sua volta, dalle due rivoluzioni inglesi del XVII secolo: da allora in poi, la parola "rivoluzione" ha un suono gradevole agli orecchi dell’opinione pubblica, poiché positiva è stata la narrazione mitologica che di essa è stata data dagli storici e dai filosofi della storia, nonché da tutto l’apparato della cultura dominante. La Chiesa, però, non la pensava così; la Chiesa, che era stata la prima vittima di quella rivoluzione, sapeva, e insegnava, che non c’è nulla di bello e di glorioso, e, oltretutto, nulla di spontaneo e naturale, nelle rivoluzioni moderne. Da parte sua, la cultura cattolica aveva sempre messo in guardia contro l’infatuazione rivoluzionaria delle masse, culminata con la diffusione del marxismo e, dopo l’Ottobre del 1917, con il mito di cartapesta del comunismo sovietico, la cui forza d’espansione, nondimeno, si è irraggiata in quasi tutto il mondo, fin oltre gi anni ’70 del Novecento, dopo aver raggiunto un "picco" con i movimento operai e studenteschi legati al 1968. Il Risorgimento italiano, opera della massoneria rivoluzionaria, è sempre stato guardato, e giustamente, con occhio fortemente critico dalla cultura cattolica: ciò che rappresentava un ostacolo alla diffusione di quella uniforme immagine positiva della rivoluzione, che si voleva imporre a livello della coscienza del popolo italiano. Ebbene, per giungere a tanto era necessario che i cattolici incominciassero a rivedere i loro "pregiudizi" antirivoluzionari e a familiarizzarsi con le potenzialità positive del concetto di rivoluzione: però per gradi, perché non era possibile attuare una simile svolta tutta d’un colpo.
Il Concilio Vaticano II fu il laboratorio sperimentale per attuare questa inversione di tendenza, abilmente pilotata dall’alto, e con il massiccio contributo, non certo disinteressato, dell’insieme dei mezzi d’informazione che si occuparono di quell’evento, più o meno tutti diretti e controllati da quella élite rivoluzionaria mondiale che si chiamata massoneria. Bisogna sempre ricordare, infatti, che l’élite finanziaria che domina la politica mondiale e le manifestazioni della cultura, dell’arte e dello spettacolo, nonché l’informazione, è, in se stessa, rivoluzionaria, il suo fine essendo la sovversione permanente, allo scopo di poter meglio dominare i popoli. È un errore credere che il potere sia sempre, per sua natura, nemico delle rivoluzioni: così era nel mondo pre-moderno; ma con la modernità le cose sono cambiate. La civiltà moderna è di per se stessa rivoluzionaria: l’esaltazione del progresso illimitato costituisce una ideologia intrinsecamente rivoluzionaria, perché il progresso distrugge, a velocità crescente, ciò che era giusto, buono e vero fino al giorno prima, e non può che procedere così, accelerando sempre più il suo moto grazie agli sviluppi della tecnologia, specialmente informatica. Pertanto, se esiste un potere planetario che tutto vuol controllare, ma che non ama rivelarsi, esso deve essere per forza rivoluzionario: è l’unica maniera per non farsi scavalcare dalle rivoluzioni del progresso e, nello stesso tempo, per tenere in schiavitù miliardi di persone da parte di poche centinaia.
Dunque, nel triennio 1962-65 i mezzi d’informazione e gli stessi commentatori cattolici del Concilio riuscirono a far passare ciò che, fin a quel momento, nel mondo cattolico non era mai "passato": l’idea di un significato positivo della rivoluzione; ma lo fecero, molto abilmente, presentando la rivoluzione come una semplice "riforma". Si consideri, infatti, che ci sono due maniere di fare una rivoluzione: una rapida e netta, l’altra lenta e graduale. Nel secondo caso, si può perfino far sì che le persone e i popoli non percepiscano, se non sporadicamente, il carattere rivoluzionario del processo in atto, specie se tutti i mezzi dell’informazione della cultura parlano sempre e solo di "riforme". Ma delle riforme sistematiche, capillari, quotidiane, radicali, formano, tutte insieme, una rivoluzione: le riforme sono "solo" riforme se il contesto rimane sostanzialmente lo stesso; se la somma delle riforme conduce a un contesto totalmente nuovo, allora esse non erano che le singole tappe di una rivoluzione. È lo stesso schema che oggi la neochiesa bergogliana sta applicando alla rivoluzione di Lutero, fatta passare, ovviamente in senso positivo, come semplice riforma. Ciò che è implicito, anche se non viene detto, è che il Concilio di Trento e i cinquecento anni della Chiesa cattolica che a quel Concilio si sono ispirati, diventano, automaticamente, se non proprio una "controrivoluzione", quanto memo una "controriforma": proprio come hanno sempre sostenuto i luterani. La Chiesa di Trento viene così declassata dagli stessi cattolici, anche senza bisogno di dirlo a voce alta, ad un lungo, penoso errore: a una inutile, ottusa opposizione alle necessarie riforme, proclamate e attuate da Lutero, Calvino e Zwingli. Di "riforma cattolica" non si parla quasi più; e libri come quello di Hubert Jedin sul Concilio di Trento, oggi non sono più citati dai cattolici. Come mai? Perché, una volta deciso di riabilitare Lutero, diventa impossibile elogiare la riforma cattolica, che fu l’opera di rinnovamento della Chiesa cattolica attuato su se stessa, dall’interno, e non il falso rinnovamento che fu, in realtà, un tentativo di distruzione, attuato dagli eretici, dall’esterno. Insomma: una volta deciso, in nome di una delirante ricerca dell’unità religiosa ad ogni costo, di proclamare che gli eretici erano stati nel giusto, ma senza ammettere apertamente di aver avuto torto, i cattolici, o sedicenti tali, della neochiesa, dovevano e devono fare in modo di far sparire i riformatori cattolici del Concilio di Trento, la cui sola memoria potrebbe dar ombra ai ritrovati "amici" luterani. Ornai manca poco che, proseguendo su questa strada, il papa debba chiedere scusa alla regina Elisabetta d’Inghilterra se il suo predecessore Enrico VIII fu costretto a far decapitare san Tommaso Moro, e se sua figlia Elisabetta si vide obbligata a far squartare e bruciare vivi tutti i preti e i fedeli cattolici che le riuscì di stanare nella sua fortunata isola.
Tale rivisitazione della storia, in senso filo-protestante e, implicitamente, filo-rivoluzionario, viene condotta da quei cattolici i quali, di questo tempi, vanno cianciando che Martin Lutero è stato un riformatore e che le sue — ottime — intenzioni erano, appunto, quelle di riformare la povera Chiesa cattolica, che ne aveva tanto, tanto bisogno. Tali incredibili affermazioni hanno preso il "la" da una esplicita dichiarazione del papa Francesco, il quale, nel giugno del 2016, ritornava da un viaggio "apostolico" a Yerevan, capitale dell’Armenia (ma sappiamo cosa sono, in realtà, i suoi viaggi apostolici: il contrario di quel che la parola parrebbe indicare). Il papa, in quella occasione ha testualmente detto (compreso lo strafalcione nell’uso dei modi verbali): Io credo che le intenzioni di Martin Lutero non erano sbagliate. Era un riformatore. Stava preparando il terreno per il viaggio a Lund, in Svezia, dell’autunno successivo, il 31 ottobre – giorno dell’affissione delle 95 tesi sul portale della chiesa del castello di Wittenberg -, con le concelebrazioni cattolico-protestanti, a sua volta in preparazione della celebrazione e della rivalutazione definitiva, il 31 ottobre 2017, del cinquecentenario della cosiddetta riforma luterana, con tanto di emissione di un francobollo (sacrilego) da parte delle Poste Vaticane, con il Crocifisso ai piedi del quale si vedono solo Lutero e Melantone, e non più la Madonna e san Giovanni. Riassumendo: se Lutero è stato non un rivoluzionario, ma un riformatore, allora Lutero deve essere rivalutato e riscattato; e una volta stabilito che Lutero era un bravo cristiano, animato dalle migliori intenzioni, si potrà suggerire, ma con discrezione, che le rivoluzioni, in fondo, sono buone anch’esse, perché animate, al solito, dalle migliori intenzioni. Si rivalutano le riforme per rivalutare Lutero, ma non tutte: non si rivaluta la riforma cattolica del Concilio di Trento; si rivalutano solo le riforme che, in realtà, non furono riforme, ma rivoluzioni, e intanto si fa finta che siano state riforme, con l’obiettivo nascosto di rivalutare, diciamo così a livello "subliminale", le rivoluzioni. Anche il Concilio Vaticano II è stato fatto passare per una grande "riforma", mentre è stato una rivoluzione. La riforma agisce per rinnovare la società o l’istituzione esistente; la rivoluzione, per distruggerla e sostituirla con un’altra. La Chiesa che uscì dal Vaticano II non era la stessa di prima, "riformata" e rinnovata; era sostanzialmente un’altra, anche se una tale richiede del tempo (e non può dirsi interamente completata neppure oggi) e, soprattutto, molta, molta pazienza e circospezione.: non si smantella in una stagione l’edificio costruito in duemila anni. I rivoluzionari — cioè il partito massonico esistente all’interno della Chiesa, specie fra i cardinali e i vescovi, in collegamento con le logge massoniche esterne alla Chiesa – avevano già quasi vinto, ma non potevano dirlo; dovevano trattenere la loro esultanza, ciò che, per dei rivoluzionari, è quasi impossibile, essendo l’auto-glorificazione lo scopo supremo di tutte le rivoluzioni. D’altra parte, essi avevano molta pazienza, perché sapevano che il tempo lavorava (e lavora) per loro. Chi mai è tanto ingenuo da pensare che le rivoluzioni più significative e profonde sono dei fenomeni rapidi e improvvisi? Al contrario: le vere rivoluzioni sono fenomeni lunghi, che durano decenni e talvolta dei secoli, e agiscono in profondità, proprio perché agiscono con metodo e pazienza. Quante idee ingenue circolano sulle rivoluzioni! Un’altra idea estremamente ingenua è che siano dei movimenti di popolo spontanei e "veraci"; al contrario, esse sono preparate assai per tempo, studiate a tavolino, finanziate, organizzate, pianificate da centri occulti di potere, che si lasciano a stento intravedere. Questi ultimi sono così abili da mandare avanti il "popolo"; ma non è il popolo che fa le rivoluzioni; il popolo crede solo di farle. E chi le fa per davvero, servendosi di esso, è ben felice di lasciarglielo credere. Glielo lascia credere anche per molti anni e per diverse generazioni, dopo che la rivoluzione si è attuata. L’importante, per i signori della élite mondiale, non è sbandierare la loro vittoria; l’importante è raggiungerla, standosene al coperto. E che il popolo creda pure quello che vuole: anche che gli asini volano in aria, e che la luna brilla a mezzogiorno. Tutto si può fare, anche persuadere le masse che simili cose accadono, quando si controllano la stampa, l’informazione, la politica, le università, la cultura.
Nel suo articolo Come si è preparata la rivoluzione modernista nella Chiesa, consultabile in rete, don Curzio Nitoglia, personalità battagliera e controversa, ma libera, ha scritto:
La rivoluzione, specialmente religiosa, non è mai spontanea e nascente dal basso, ma è frutto di una rifonda preparazione ideologica, che pian piano giunge alla completa empietà: essa è il modernismo, il quale può essere definito il punto omega di tutte le eresie. Fin verso l’Ottocento la Chiesa era attaccata apertamente da un insieme di sette dichiaratamente empie e posizionatesi al di fuori della Chiesa: la massoneria, l’illuminismo, il liberalismo, che messe assieme costituiscono una sorta di "contro-chiesa". Tuttavia, a partire dall’Ottocento, la "contro chiesa" o la "sinagoga di satana" (Apoc. 2, 9) non era schierata unicamente nelle sette esplicitamente eterodosse; essa aveva anche infiltrato all’interno delle file cattoliche e del clero alcuni suoi "elementi coperti": i cosiddetti "cattolici liberali", che sono stati definiti da Pio IX "più pericolosi della Comune di Parigi" proprio per il loro modo di fare ambiguo e non apertamente eretico, che inganna più facilmente gli spiriti dei semplici fedeli.
Pur senza condividere tutte le altre idee dell’autore, in queste poche righe c’è molto su cui riflettere.
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