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15 Novembre 2017A Santa Maria in Stelle, presso Verona, l’anello di congiunzione fra paganesimo e cristianesimo

Lasciando Verona in direzione nord e imboccando la Valpantena, che si spinge fino ai piedi dei Monti Lessini, si giunge, dopo neanche una decina di chilometri, a una frazione del capoluogo di provincia, dal curioso e suggestivo nome di Santa Maria in Stelle. È un nome che fa pensare al cielo stellato e, per associazione di idee, alla Madonna, raffigurata in moltissime opere d’arte così come la rappresenta il Libro dell’Apocalisse: con i piedi sulla terra e una corona di dodici stelle intorno al capo, mentre il serpente, a cui schiaccia il capo, le minaccia il calcagno. La cosa sarebbe anche possibile, visto che vi è una chiesa, non quella di Santa Maria in Stelle, ma quella di Quinto di Valpantena, dedicata a Santa Maria Assunta; però, probabilmente, non è vera. Etimologicamente è assai più probabile che "in stelle" derivi da "in stele" e si riferisca ad una stele, un monolite romano che si trova nel cosiddetto Pantheon, un locale ipogeo che è la vera particolarità di questa tranquilla frazione veronese immersa nel verde della campagna. A dire il vero, anche qui c’è un Madonna col Bambino ed un cielo stellato, ed è dipinta in uno dei locali sotterranei (a quattro metri sotto il livello del suolo), ma pare che risalga all’ottavo secolo, e quindi che non sia Lei ad aver dato origine al nome della località, ma proprio il monumento romano, una lapide recante il nome di Publio Pomponio Corneliano. E anche il nome della Valpantena, allude probabilmente alla presenza del Pantheon sotterraneo di Santa Maria in Stelle; sempre che non derivi dalla natura umida e acquitrinosa del luogo, cioè dalla presenza di un pantano.
Di fatto, nella struttura ipogea di Santa Maria in Stelle si può osservare la successione, anzi, la sovrapposizione delle due religioni, la pagana e la cristiana, tanto che qualcuno ha potuto parlare, per questo luogo, di un vero e proprio "anello di congiunzione" dall’una all’altra. Naturalmente, sono parecchi i complessi architettonici, in Italia e anche fuori, ove si può osservare comodamente un simile processo: per citare solo uno dei più universalmente conosciuti, ricordiamo la Basilica di San Clemente, a Roma, situata nella valle fra il colle Celio e l’Esquilino, che è stata costruita letteralmente al di sopra di un imponente Mitreo, risalente alla prima metà del III secolo e tuttora perfettamente visitabile e carico di suggestione. Quello, però, che prende un unicum la struttura di Santa Maria in Stelle è, da un lato, il notevole sviluppo dei camminamenti che adducono al Pantheon vero e proprio, dall’altro la sua posizione isolata, in una zona rurale, dentro il fianco di una montagna, per cui la sua natura sotterranea era, sì, il frutto di una scelta architettonica, ma era anche l’effetto di condizioni naturali preesistenti, dovute alla presenza della sorgente d’acqua dalla quale è stata poi ricavata la vasca e, infine, il tempio.
Così descrivono questo luogo straordinario Nino Cenni, Maria Marchi e Cesira Paci, autori del libro La famiglia e la società in epoca romana, terzo volume della collana L’Ambiente veronese (Verona, Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, 1979):
L’anello di congiunzione tra il tempio pagano e la chiesa o luogo di culto cristiano in territorio veronese non è molto noto eppure, proprio per questa sua caratteristica rarissima, meriterebbe di esserlo, e assai di più. Diciamo intanto che esso si trova all’inizio di una valle dal nome il cui significato non è ancora stato chiarito: Valpantena. È quella che da Porta vescovo, sulla sinistra, sale larga e verdeggiante fino a incunearsi nell’altipiano della Lessinia. C’è chi la disse valle del Pantano o di tutti i Vini, chi la fece etrusca (Pantenna o Partenas) anche perché qui si trovarono memorie di quella civiltà, e chi la chiamò "valle di tutti gli dei" dal greco "Pan", tutto, e "theos", dio. […] Ed eccoci a S. Maria in Stelle, toponimo che, dicono certi studiosi, non india, come si credeva, un luogo dedicato al culto della Madonna assunta in un cielo luminoso di stelle, ma piuttosto "in stéle", ovvero presso le "stéle", colonne o cippi sepolcrali, votivi, di un cimitero di epoca romana là ritrovati. Vicino e più su, altre località dai nomi di origine romana. Sezano=Soecianum dove si custodisce una lapide con satiro in bassorilievo, Romagnano=Castrum Romanianum e Azzago=Attiacum da un nome patrizio, Attius. Ma torniamo a Santa Maria in Stelle perché proprio in quella località si colloca l’"anello" di congiunzione tra gli antichi culti pagani e il nuovo Dio uno e trino […]. Nella solitaria piazzetta si affaccia la chiesa parrocchiale dedicata alla Madonna fin dal Mille. Allora era una chiesina che nel corso dei secoli subì restauri e ampliamenti. Di uno di questi riferisce nel suo diario un sacerdote, certo don Giuseppe Peruffi, nel 1821: "A S. Maria in stelle si è interamente rinnovata tutta la chiesa in bella forma, si son fatte 5 campane, che unite ad altra vecchia formano il concerto di sei; sonosi pur fatte altre cospicue lampade d’argento a tutti gli altari; si è purgato l’antichissimo sotterraneo che credesi tempietto d’idoli, poi consacrato da Urbano III (eletto papa in Verona nel 1185)". Non è che una delle testimonianze della cura prestata con molto merito da una piccola comunità a un luogo che storia e leggenda mantenevano vivo nella conoscenza. Il cosiddetto "Panteon" o "ninféo", luogo di culto ipogéo (sotterraneo) cui si può accadere a richiesta scendendo una scaletta sulla destra della piazza davanti alla chiesa. Scesi quindici gradini si incontra colui che con molta probabilità ha fatto costruire il luogo di culto. Si tratta della statua togata di un nobile romano dalla testa rifatta in epoca posteriore: P. Pomponio Aureliano se corrisponde a quanto scritto sulla lapide vicina: P. POMPONIUS CORENELIANUS ET JULIA MAGIA CUM JULIANO. ET. MAGIANO. FILIIS. A. SOLO. FECERUNT, che dice appunto come P. Pomponio Corneliano con la moglie Giulia Magia e i figli Giulio e Magiano fecero costruire il manufatto. Publio Pomponio Corneliano l’abbiamo già incontrato in altre due iscrizioni veronesi dedicate a Giove Conservatore e in una vicentina dedicata alle Ninfe e alle Linfe Auguste, divinità preposte o addirittura personificanti le acque che proprio qui sgorgano fresche e copiose. P. Pomponio Corneliano era console ordinario nel 237 d. C. e pertanto intorno a tale data si può far risalire il Ninféo. Si percorre ora un cunicolo che dopo aver girato a sinistra riprende la direzione precedente per una ventina di metri fio a raggiungere un atrio quadrato e affrescato che a sinistra e a destra si immette in due celle semiellittiche e anche queste affrescate. Dall’atrio si diparte un ulteriore corridoio (chiuso per sicurezza) lungo circa 75 metri e in parte percorso da un ruscello che scorre in un alveo più basso e ristretto in modo da poter camminare con i piedi all’asciutto sui bordi del canaletto centrale. Dopo un ultimo atrio, un tempo illuminato e arieggiati da un camino che si apriva nel soffitto, si procede ancora per una decina di metri e quindi, piegando a sinistra di circa 90 gradi, si giunge alla sorgente dalle acque raccolte in una "piscina limaria" (fangosa, di deposito e depurazione) pressoché semicircolare, larga m. 2,60. Meno facile da descrivere questo misterioso percorso sotterraneo che non da vistare dopo aver chiesto il permesso in canonica. Ma perché fu costruito il Ninféo? Prima si credette per "funebre uso" vedi appunto le "Stéle"; oggi invece si propende a crede in un acquedotto e gli ambienti relativi al culto delle acque che avevano e hanno un significato vitale e "lustrale" (=purificatorio). Gli antichi lavavano con "acqua lustrale" le vittime dei sacrifici per renderle degne, ancora oggi il sacerdote cristiano si lava le mani prima della consacrazione e il neonato viene battezzato, mondato dal peccato originale, con l’acqua benedetta. E quando si ritiene che la nuova fede si sia sostituita all’antica? Per quanto possiamo dedurre dagli affreschi paleocristiani […] i critici e gli storici sembrano concordi nel farli risalire alla fine del IV secolo o agli inizi del V d. C., cioè al termine della evangelizzazione delle campagne diffusa dal vescovo Zeno. Gli affreschi, in parte assai deperiti ma altri abbastanza conservato e visibili specialmente dopo le cure ricevute dagli esperti dell’Istituto centrale del restauro nel 1962, rappresentano Gesù fra gli apostoli con in mano il rotolo della Legge e due ceste di rotoli ai lati. L’Antico e il Nuovo Testamento, forse, riuniti da Lui nelle Sacre Scritture. Un motivo questo assai frequente nelle pitture più tare delle catacombe. Vi è poi una volta azzurra con stelle e la Madonna col Bambino, ma assai più recente, forse dell’VIII secolo, che avrebbe dato il nome del luogo sacro: "S. Maria in stelle"; il Presepe col bue, l’asino e parte del Bambino, ma senza la Madonna e Giuseppe, secondo la più antica tradizione; la strage degli innocenti; i tre giovanetti nella fornace; i tre giovanetti condannati da Nabucodonosor (secondo altri i tre Magi davanti a Erode) e l’entrata di Gesù in Gerusalemme a cavallo della mula. Tra le varie pitture decorative che coprono le pareti interessante la volta di una delle celle: rappresenta cerchi di tubi di terracotta o di anfore infilati uno nell’altro come si usava fare nella realtà quando si costruivano le cupole nel periodo paleocristiano. I pavimenti sono a mosaico, alcuni relativamente ben conservati. L’altare cristiano è rappresentato da un cippo funebre romano capovolto, quasi a indicare il rovesciamento delle antiche fedi. Era dedicato a POMPONIAE ARISTOCLI AE ALUMNAE, Pomponia Aristoclia Alunna, forse una fanciulla beneficata dalla famiglia Pomponia, e reca sul retro una epigrafe cristiana medievale con cui il pontefice Urbano III, nel 1187 consacra quella chiesa e concede numerose indulgenze ai suoi visitatori. Dello stesso periodo una scultura rappresentante la morte della Madonna assistita da angeli e dagli apostoli.
La costruzione romana, dunque, era un acquedotto, sorto nel III secolo d. C. intorno ad una sorgente d’acqua sotterranea, che sgorgava in una caverna ai piedi della montagna. Oltre alla finalità pratica, tuttavia, esisteva, fin dall’inizio, anche una finalità religiosa, perché il luogo era dedicato alle Lympae e alle Nymphae, divinità acquatiche femminili venerate anche in altri luoghi dell’Italia Settentrionale. Il primitivo tempietto dedicato alle Ninfe divenne poi il Pantheon, dedicato a tutti gli dei. Non è dato sapere se Publio Corneliano, cui si deve la sistemazione della struttura e della piscina, e il cui nome ricorre anche in altre iscrizioni della zona, abbia scelto il Pantheon come estrema dimora dei suoi resti, insieme a quelli della propria famiglia (moglie e figli); non vi sono certezze al riguardo. Quel che è certo è che, circa cent’anni dopo la realizzazione dell’ipogeo e del tempietto pagano, lo stesso luogo divenne un centro di culto cristiano, e le pareti e i soffitti ospitarono una serie di pitture ispirate ad episodi della nuova religione, con scene ispirate sia all’Antico che al Nuovo Testamento. Gli affreschi, purtroppo, non si presentano in un buono stato di conservazione, perché l’umidità e il lungo corso dei secoli li hanno alquanto danneggiati; nel locale di raccordo fra i due ambienti principali, ad esempio, si scorgono le figure di un uomo e di un leone, il che potrebbe indicare la presenza di una pittura ispirata alla vicenda del profeta Daniele, fatto gettare nella fossa dei leoni; ma la cosa non è del tutto sicura.
Le pitture più antiche sul soffitto delle due celle principali risalgono alla fine del IV scolo o al principio del V. In alto, sono raffigurati dei tubi di terracotta disposti ad anelli concentrici, i quali conferiscono ai locali una particolare fisionomia, secondo una speciale tecnica costruttiva che utilizzava gli "scheletri" delle anfore di terracotta, qui semplicemente "imitate" dal pittore. Alle pareti si susseguono scene del Libro di Daniele, con i tre fanciulli ebrei fatti gettare nella fornace ardente per ordine del re Nabucodonosor; i tre Re Magi di fronte a Erode (o forse, secondo un’altra interpretazione, il momento della condanna, da parte del re babilonese, dei tre fanciulli della scena precedente); la Strage degli innocenti; l’ingresso di Gesù Cristo in Gerusalemme; poi un bue e un asinello, forse appartenenti ad una Natività, forse dei simboli dell’Antico e del Nuovo Testamento. Sono opera di un artista locale non identificato, dotato di una certa abilità artigianale, ma nulla più. A un’epoca posteriore di circa un secolo, quindi della fine del V o dell’inizio del VI secolo, e di qualità artistica superiore, è un Cristo con gli Apostoli, raffigurato nella lunetta al di sopra dell’ingresso. Ben più tarda è poi una Madonna con il Bambino Gesù e con due Angeli, sotto un cielo blu trapunto di stelle, che ha valso l’appellativo "in Stelle" al complesso paleocristiano; potrebbe risalire all’VIII secolo (la prima citazione scritta dell’attributo in Stella è datata solo al 967). Nel vano di destra, e molto deteriorata, è sopravvissuta una pittura ancor più recente, databile circa al 1000, che raffigura una mano, sicuramente identificabile — per ragioni iconografiche ma soprattutto grazie alle scritte che l’accompagnano – con la Mano creatrice di Dio. È degno di nota il fatto che, sempre nel medesimo vano, una lapide romana del III secolo è stata riutilizzata come base di un altare cristiano, allorché il locale venne riconsacrato, nel 1187, dal papa Urbano III, a testimonianza della perenne vitalità di questo luogo di culto (ci siamo qui serviti anche di alcune notizie consultabili in rete sulla Guida di Verona del sito Verona.Com).
Paese veramente incredibile, l’Italia, dove un medesimo luogo di culto continua ad essere frequentato sia dopo esser passato da una religione a un’altra, in questo caso dal paganesimo al cristianesimo, sia dopo che, con il trascorrer dei secoli, altre chiese più comode e spaziose sono sorte nella zona, a cominciare da quella dedicata a Santa Maria Assunta, costruita praticamente sopra il soffitto dell’ipogeo. E tuttavia i fedeli restano legati a un locale ipogeo piuttosto scomodo, cui si accade dopo una scalinata abbastanza ripida formata da quindici gradini, mentre più tardi, a causa del degrado dell’ambiente, bisognava quasi calarsi in una specie di pozzo. Eppure gli abitanti di questo luogo dell’agro veronese non hanno mai smesso di frequentare la loro chiesetta sotterranea, non l’hanno mai abbandonata e non hanno mai permesso che andasse in rovina, nonostante l’evidente difficoltà di assicurare la manutenzione di una costruzione così buia e difficilmente accessibile. E tutto ciò lungo un arco di tempo che va dalle origini del cristianesimo fino quasi ai giorni nostri.
La decorazione dell’ipogeo, comunque, era stata lentamente inghiottita dall’umidità, ed è stato solo grazie ad un lavoro di restauro piuttosto importante, negli anni ’70 del Novecento, che gli affreschi sono stato restituiti all’ammirazione dei visitatori. In tal modo è tornato alla luce uno dei cicli pittorici più antichi dell’Italia Settentrionale. Se si pensa che, per giungere ai locali affrescati, bisogna percorre un buon centinaio di metri sotto terra, all’interno di cunicoli affiancati dall’acqua corrente e spezzati da alcuni pozzi che segnano dei dislivelli, ci si può fare un’idea di quanto questo luogo sia suggestivo, e di quanto sia stato tenace e perfino commovente l’attaccamento dei fedeli a quest’antica chiesetta sotterranea, ove si respira un’aria un po’ misteriosa…
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