La Chiesa cattolica: chi è dentro e chi fuori
30 Ottobre 2017
Se l’uomo perde il tragico si vota alla disperazione
31 Ottobre 2017
La Chiesa cattolica: chi è dentro e chi fuori
30 Ottobre 2017
Se l’uomo perde il tragico si vota alla disperazione
31 Ottobre 2017
Mostra tutto

La fine del pudore ha ucciso anche la civetteria

La civetteria è sparita dall’orizzonte dei comportamenti umani, specificamene da quelli femminili. Strano. Fino a qualche tempo fa, espressioni come: Quella è una civetta; oppure: Non fare la civetta; o ancora: So ben riconoscere la civetteria, erano estremamente comuni, il che indicava che era largamente diffuso il tipo di atteggiamento che quella parola indicava. E che cosa indicava, esattamente? Indicava la contraffazione del pudore: una finta modestia, una finta gelosia della propria persona e della propria intimità, fisica e non solo fisica, un finto abbassare lo sguardo, un finto arrossire sotto lo sguardo altrui: ma, in realtà, una precisa tecnica di seduzione, o, quanto meno, un atteggiamento di costante provocazione, una continua ricerca di piacere al maschio, suscitando ed eccitando il suo desiderio. C’era un modo di sedersi, ad esempio, in cui la donna, per prima cosa, controllava che la gonna non fosse salita sopra il ginocchio, e se ciò era accaduto, ella esercitava un rapido movimento per tirarla più in basso: il tutto poteva essere fatto con vero senso del pudore oppure con civetteria, cioè al preciso scopo di lasciar intravedere, per un momento, anzi, di indurre a intravedere, quel che, in apparenza, si affrettava a coprire. Ora, se la parola è scomparsa, o quasi, ciò indica che è scomparsa anche la cosa: in questo caso, non un oggetto, ma un atteggiamento, da un lato (quello della donna) e una percezione, dall’altro (quella del maschio). Come è potuto accadere?

In realtà, la cosa è facilissima da capire e da spiegare. La civetteria, essendo la contraffazione del pudore, non vive di vita propria: per vivere, ha bisogno dell’atteggiamento che essa tenta di contraffare, ossia il pudore. Finché c’è il pudore, può esserci anche la civetteria, perché quest’ultima è simile a un fungo o a una pianta parassita: si nutre della cosa parassitata. Se, però, il pudore dovesse scomparire, scomparirebbe anche la civetteria: non avrebbe più la materia prima cui attingere per camuffarsi, onde spacciarsi per altra cosa da quel che realmente è, ossia desiderio di richiamare l’attenzione e di provocare sessualmente. Ebbene, è proprio questo che è accaduto. Nel giro di una generazione, due al massimo, il "comune senso del pudore" è scomparso, e sono scomparsi gli istituti che lo tenevano desto e sanzionavano chi non vi si atteneva: il codice penale da parte dello Stato, la riprovazione morale da parte della Chiesa, oltre ad abitudini come quella di nascondere i capelli, in chiesa, sotto un fazzoletto; e, cosa più importante di tutte, l’attenta sorveglianza da parte della famiglia, dei genitori soprattutto. Da quando i giovani sono diventati liberi di gestire in completa autonomia non solo il loro tempo libero, ma anche il loro corpo, e la moda incentrata su di esso (abbigliamento, cure estetiche, tatuaggi, esercizio fisico mirante a valorizzare certe parti considerate esteticamente e sessualmente "decisive"), le frontiere del pudore hanno cominciato a incrinarsi, a scricchiolare, infine sono crollate di schianto, e tutto è diventato lecito. Ci siamo già occupati di ciò, e anche del riflesso immediato – e, da parte di certi poteri occulti, certamente intenzionale – che ha condotto, a sua volta, all’affievolirsi e allo spegnersi del sentimento del sacro e del divino, per cui non staremo a ripetere cose già dette (cfr. l’articolo Tolto il pudore, si spegnerà il senso del sacro, pubblicato sul sito di  Accademia Nuova Italia il 31/07/2017). Ci resta, tuttavia, da farci qualche domanda sulla situazione che la scomparsa del pudore, e del corrispettivo atteggiamento di civetteria, ha creato nella società odierna.

La prima conseguenza è l’irruzione di una sfacciataggine brutale nella relazione uomo- donna, intendendo "relazione" nel senso più ampio possibile della parola. Relazione, per esempio, è anche l’incrociarsi casuale, e istantaneo, di un uomo e una donna per la strada, magari su uno stretto marciapiedi, magari in una via deserta (ma possiamo anche immaginare l’incontro, occasionale e fuggevole, in un ascensore): da che mondo è mondo, si tratta di un momento di lievissimo, però innegabile, imbarazzo, quasi di disagio, anche se nessuno dei due ha idee "strane" e anche se, per la differenza di età, o di condizione o semplicemente di psicologia, nulla è più lontano dalla donna che manifestare pudore o esibire civetteria, e, dall’uomo, che mostrare un interesse sessuale per la sconosciuta che gli passa accanto. E tuttavia, ammettiamo che sia l’una che l’altro siano abbastanza giovani; che siano di aspetto piacente, o, quanto meno, che lo sia la donna; che l’abbigliamento di lei, intenzionalmente o no, abbia qualcosa di provocante, e lo sguardo di lui, che lo voglia o no, qualcosa d’indiscreto e d’insistente: ed ecco le condizioni ideali perché si crei una tipica situazione di vera e propria tensione sessuale, anche se perfettamente mascherata, anche se fuggevolissima, anche se nessuno dei due è disposto a riconoscerla, neppure nell’intimo della propria coscienza, ma solo a subirla. Eppure…

In una situazione del genere, si ridestano, o tendono a ridestarsi, delle potenze antichissime, ancestrali, ereditarie, che paiono proiettare gli individui moderni all’indietro nel tempo, di secoli e millenni… Come avviene che la donna, anche la più modesta, la più tranquilla, la più "posata", si sente inspiegabilmente in imbarazzo, e, se abbassa istintivamente lo sguardo, si sente una stupida e se ne rimprovera, ma se guarda negli occhi lo sconosciuto si sente una sfacciata, eppure lo fa con la massima decisione e quasi con aria di sfida? E come va che anche l’uomo più mite, più educato, più rispettoso, si sente vagamente a disagio, non sa dove guardare, non sa che aria assumere, e intanto si sente vagamente in conflitto con se stesso, vagamente in colpa, come se avesse fatto qualcosa di male, anche se la sua coscienza, razionalmente, non ha nulla da rimproverargli? È forse una reminiscenza inconscia delle remote epoche in cui i nostri antenati, vedendo una femmina, immediatamente le davano la caccia, come fa il cacciatore con la selvaggina? Una cosa è certa: nella maggior parte dei casi, ciascuno dei due vorrebbe simulare una perfetta indifferenza e una completa padronanza di sé; ma nessuno dei due ci riesce quel minimo da poter fingere in maniera appena convincente. Tanto per cominciare, nessuno dei due riesce a fare, con naturalezza, la cosa più semplice di questo mondo: conservare la camminata e lo sguardo che avevano prima di avvistarsi, quell’aria quotidiana, spontanea, naturale, che, di colpo, sembra essere scomparsa in chissà quali lontananze irraggiungibili. Perfino la cosa più semplice, scegliere se tenersi sulla sinistra o sulla destra del marciapiedi, diventa un dilemma amletico, quasi tragico: se si dovesse scegliere la parte "sbagliata", ossia quella scelta dall’altro, l’imbarazzo sarebbe quasi insopportabile, perché i due dovrebbero fermarsi, decidere chi dovrebbe cedere il passo all’altro, e sarebbero così costretti a prendere atto, con un segno visibile, forse perfino con un sorriso, o con una parola mormorata a mezza bocca, della presenza dell’altro, che ciascuno dei due sperava di poter ignorare, o meglio, fingere d’ignorare. Certo, anche la timidezza, maggiore o minore, gioca qui la sua parte, e anche l’educazione ricevuta, a cominciare da quella della famiglia; nondimeno, neppure una persona niente affatto timida, né particolarmente bene educata, può sottrarsi, in circostanze del genere – che, pure, sono assolutamente normali, e pressoché quotidiane – a un leggero disagio. E il disagio aumenta in misura esponenziale, quanto più l’ora è deserta e il luogo solitario; se, poniamo, si tratta d’un viale di campagna, o di un buio sottopasso ferroviario, il disagio diventa quasi tangibile, e lo stato d’animo dei due, o di uno di essi, potrebbe avvicinarsi al panico. Entrambi vorrebbero essere altrove, eppure un segreto stimolo li induce a rallegrarsi di trovarsi lì, in quel momento, e non altrove; imbarazzo e curiosità lottano furiosamente, nello spazio di quei pochi secondi; lo sguardo vaga di qua e di là, e alla fine si posa proprio là dove non avrebbe voluto: quello di lui sulla persona di lei, quello di lei, ora a terra, ora sullo sconosciuto, con un misto di apprensione, disprezzo e segreto compiacimento. Ma ecco, il momento critico è passato: si sono oltrepassati, e ciascuno prosegue per la propria strada, fingendo che non sia successo nulla; si sono sfiorati, inevitabilmente, ma, come è logico, non è successo assolutamente nulla – almeno in apparenza. Lo stagno, momentaneamente intorbidato alla caduta di un sasso, è tornato tranquillo, come era prima. Qualcosa, però, è accaduto; qualcosa, per un istante, si è ridestato dalle misteriose profondità della coscienza. Tanto è vero che il sollievo che ora provano entrambi, resistendo alla tentazione di voltarsi indietro (specie se immaginiamo che fossero giovani e di bell’aspetto) è vagamente tinto di malinconia, quasi di rimpianto. La donna, forse, prova un senso di rammarico per non essere stata più audace, o un senso di colpa per esserlo stata troppo: in entrambi i casi, è scontenta sia di se stessa, sia di quello sconosciuto. Se lui l’ha fissata, si è comportato da screanzato; ma se non l’ha degnata di uno sguardo, allora l’ha umiliata con la sua indifferenza. E anche lui si sente sospeso fra il rimpianto e il senso di colpa: se l’avesse fissata con maggiore fermezza, forse lei avrebbe risposto allo sguardo, e forse, chissà…; ma se non l’ha guardata per niente, se l’ha "rispettata", quasi scusandosi di essere lì, a importunarla involontariamente con la sua maschile presenza, ebbene, in quel caso sente di aver mancato al suo ruolo, di non essere stato all’altezza, e, forse, di averla "delusa", perché, dopotutto, forse quel che lei si aspettava era proprio l’opposto, ossia di essere guardata fissamente, cioè ammirata: non sarebbe stato l’omaggio dovuto alla sua femminilità?

Ecco: la situazione che abbiamo descritto appartiene, forse, al passato, all’archeologia dei sentimenti e dei comportamenti umani. Il pudore sembra scomparso, e, con esso, la sua sorella gemella, ma così diversa da lui, la civetteria. Si rilegga questa osservazione del filosofo Max Scheler nel suo celebre saggio Pudore e sentimento del pudore (Napoli, Guida, 1979, pp. 66-67):

La donna che per pudore abbassa gli occhi lo fa con grande umiltà, senza pretendere di farsi valere pubblicamente, pur avendo una profonda segreta coscienza del valore positivo della propria individualità, che il pudore avvolge e protegge; la donna civettuola, invece, lo fa con grane orgoglio, con la consapevolezza di sentirsi valida davanti agli altri e con l’esigenza di farsi valere presso di loro, pur avendo una profonda segreta coscienza  di non valere, interiormente. Ma, indipendentemente da questa forma "frivola", la civetteria conserva anche nella donna il suo ritmo naturale, che, soprattutto quando è subordinato all’amore, riveste, acanto al pudore, un suo ruolo del tutto autonomo e legittimo.

Nella donna, dunque, coesistono due aspetti, il desiderio di essere ammirata e l’istinto di proteggere la propria intimità; e così anche nell’uomo coesistono due istinti, quello di farsi avanti con decisione, magari con sfacciataggine, e quello di "rispettare" la donna, di fare un passo indietro rispetto al proprio desiderio sessuale. Nella società odierna, però, le cose sono cambiate. I bambini e le bambine, cresciuti insieme fin dai banchi della prima elementare, fin dall’asilo (mentre i due sessi erano, in anni neanche tanto lontani, rigorosamente separati); la frequenza ad attività sportive e ricreative comuni (palestra, campi scout, eccetera); la libertà di cui gli adolescenti dispongono oggi e la possibilità di "esplorarsi" sessualmente, senza troppi controlli da parte dei genitori; la conoscenza delle tecniche e dei mezzi contraccettivi, che rendono sempre più facili i rapporti intimi completi, anche alle tredicenni e alle dodicenni, come del resto confermano inchieste sociologiche e studi specifici; e, più importante di tutto, il dilagare di mode dell’abbigliamento, diffuse a macchia d’olio attraverso la pubblicità, la televisione e il cinema, che rendono una cosa normale l’esposizione generosa di superfici sempre più estese del corpo: tutto questo ha fatto sì che moltissime persone, oggi, sembrano ignorare il sentimento del pudore, se non come un riflesso puramente istintivo, come quello che si ridesta occasionalmente e che abbiamo tentato di descrivere nella situazione ipotetica sopra menzionata. In un mondo dove tutte si mostrano a più non posso, non ha più senso fare la civetta: sarebbe ridicolo, oltre che inutile. La civetta vuole stuzzicare e provocare, fingendo di nascondere il suo corpo e di ritrarsi; ma in una società dove è abitudine largamente diffusa quella di sventolare ai quattro venti la propria corporeità, la civetteria apparirebbe come una tecnica di seduzione grottescamente anacronistica, che non farebbe presa su nessuno. Semmai il fatto nuovo è la comparsa, o la proliferazione, di una "parallela" civetteria maschile. Si vedono sempre più ragazzi, e uomini adulti, che curano il proprio corpo con lo stesso narcisismo, e lo ostentano con la stessa volontà di seduzione, delle donne. Ma anche questo non deve stupire: in un mondo dove tutte le donne provocano (o, almeno, dove pare che tutte le donne siano intente a provocare…), è normale che il desiderio del maschio conosca un vero e proprio crollo: normale, anche se triste . Infatti per desiderare, bisogna che vi sia almeno un minimo di conquista. Ed ecco moltiplicarsi atteggiamenti tipicamente femminili da parte del maschio; ecco diffondersi l’omosessualità maschile, e, accanto ad essa, anche la pederastia… Logico, no? L’attenzione si rivolge su degli oggetti che abbiano, in sé, qualche cosa di femmineo, ma non troppo; perché, dalla parte dell’universo femminile, non c’è ormai nulla, o quasi nulla, da desiderare e sospirare: le donne paiono già disposte a offrire tutto…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.