La neochiesa sostituisce la chiacchiera alla croce
27 Giugno 2017
Modernisti e progressisti, giù le mani dalla Chiesa
29 Giugno 2017
La neochiesa sostituisce la chiacchiera alla croce
27 Giugno 2017
Modernisti e progressisti, giù le mani dalla Chiesa
29 Giugno 2017
Mostra tutto

E ora nel mirino della neochiesa c’è Maria Vergine

Abbiamo visto che ogni giorno porta un nuovo tassello al mosaico del vasto disegno perseguito dalla neochiesa per sostituirsi, se possibile inavvertitamente, alla vera Chiesa cattolica, fondata da Gesù Cristo e affidata a san Pietro e ai suoi successori. Al centro della manovra c’è una strategia per assimilare gran parte della dei contenuti della cosiddetta Riforma protestante: in nome di un non meglio specificato ecumenismo, di fatto si sta dando ragione a Lutero, su tutta la linea, a 500 anni di distanza dallo scisma da lui provocato. Dopo averne pienamente riabitato la figura e l’opera, e dopo averlo definito un sincero cristiano che ardeva di carità per la Sposa di Cristo (tanto è vero che la voleva distruggere), e dopo lo scandaloso viaggio del papa a Lund, in Svezia, per celebrare la festosa ricorrenza del mezzo millennio da che il monaco agostiniano si ribellò al papa Leone X, dapprima pubblicando le 95 tesi contro le indulgenze, nel 1517, poi, nel 1520, bruciando in pubblico la bolla papale Exurge Domine, resta il lavoro pratico di demolizione della teologia e della dottrina cattolica, e della loro sostituzione con la teologia e la dottrina protestanti. Per quanto riguarda la dottrina, non c’è problema: da quando, il 19 maggio 2017, nella sua quotidiana omelia da Santa Marta, il papa ha dichiarato che la dottrina è una cosa cattiva se crea "divisioni", con evidente riferimento ai luterani, e ha accusato di "fanatismo" quanti la difendono, è ormai evidente che la trincea è stata abbandonata senza che alcuno abbia neanche tentato di difenderla. Resta la teologia; anche qui, peraltro, l’opera di demolizione e di sostituzione si presenta oltremodo facile, perché è stata preparata, abilmente e silenziosamente, da decenni di incontri interconfessionali, da traduzioni della Bibbia interconfessionali, da iniziative d’ogni genere interconfessionali, sicché i cattolici, senza quasi essersene resi conto, sono già rimasti con una teologia che, di fatto, è ancora cattolica solo di nome, e che, come un colosso dai piedi argilla, è pronta per essere abbattuta senza sforzo, al primo serio colpo che le verrà sferrato. E questo colpo, prossimamente, pare proprio che andrà a colpire al cuore la teologia cattolica, attraverso la figura e l’opera corredentrice della Vergine Maria. Il culto di Maria, come è noto, costituisce una delle cose che maggiormente differenziano i cattolici dai protestanti: per questi ultimi si tratta di un culto idolatrico, che non trova fondamento nelle Scritture (lette alla maniera di Lutero e di Calvino, beninteso), ma "solo" (e hanno detto poco…) nella Tradizione: ragion per cui, senza tante cerimonie, hanno abolito l’intera Tradizione, e così, distruggendo la foresta, si sono assicurati d’aver abbattuto anche l’albero più importante di tutti.

E, ancora una volta, l’attacco parte dalla Chiesa cattolica tedesca; o, come sarebbe più giusto dire, dalla neochiesa, o contro-chiesa progressista tedesca, la prima ad essere infettata, per evidenti ragioni storiche, culturali e geografiche, dall’eresia luterana e, più tardi, dall’eresia modernista: la quale, della prima, aveva ereditato non pochi aspetti, sia metodologici che contenutistici. La neochiesa tedesca, quella dei Rahner, dei Kasper, dei Marx, sostenuta dalle sue propaggine svizzere e olandesi (si pensi a teologi come Hans Küng o come Edward Schillebeeckx, imbevuti d’idee protestanti, oppure al famigerato Nuovo catechismo olandese, che, nel 1966, ereditava in pieno lo "spirito" del Concilio e illustrava fin troppo chiaramente la deriva neomodernista e semiprotestante della nascente neochiesa), è sempre stata in prima fila nell’introduzione delle peggiori novità che si son succedute nella Chiesa cattolica durante gli ultimi cinquant’anni. Sempre all’attacco dei dogmi, della liturgia, della sacra Tradizione, sempre smaniosa di rivedere, rileggere e reinterpretare le Scritture, sempre più assetta di "purezza evangelica", cioè, in altre parole, sempre più insofferente del culto degli Angeli, dei Santi e di Maria Vergine, questa neochiesa di area tedesca e olandese sta guidando, ancora una volta, l’attacco contro quel poco che resta di cattolico nella Chiesa, e si sta preparando a sferrare l’assalto finale alla sua più munita cittadella: quella mariana, tanto cara specialmente alla devozione popolare, dopo che i teologi, gli intellettuali e le persone di cultura medio-alta hanno cominciato a prendere le distanze da essa, sconfessando secoli e secoli di tradizione culturale "alta", per la quale il culto di Maria si trovava nel centro stesso della dottrina e della teologia cattoliche (dov’è un poeta della statura di Paul Claudel, che scriva versi per celebrare la Madonna, oggi? Abbiamo solo degli Enzo Bianchi che fanno di tutto per metter la sordina: Maria non può essere il riferimento per la promozione della donna nella Chiesa).

A segnalare i prodromi dell’offensiva antimariana è stato, ancora una volta, il bravo Marco Tosatti, che riferisce delle grandi manovre in atto nella neochiesa tedesca. La notizia, fresca d’inchiostro, è che la Conferenza Episcopale tedesca ha presentato una nuova "traduzione unificata" della Bibbia, valida, cioè, sia per i cattolici che per i protestanti: a quale scopo, non è dato sapere, visto che i protestanti, oltre a essersi praticamente liquefatti nella società tedesca, nel 2005 hanno rotto con questi patetici tentativi di giungere a una traduzione condivisa coi cattolici, e son tornati, puramente e semplicemente, alla vecchia e buona (si fa per dire…) traduzione effettuata da Martin Lutero in persona, fra il 1522 e il 1534. Colui che ha diretto la nuova versione interconfessionale, comunque, è il vescovo emerito Joachim Wanke, il quale, nel presentare il frutto della sua fatica e dei suoi collaboratori, si è preso la libertà di dire che la traduzione cui essi sono pervenuti è "più coraggiosa" (rispetto alla precedente, par di capire) perché presenta il linguaggio biblico in maniera più adatta al lettore moderno. Gira e rigira, siamo sempre lì: con la motivazione che si deve rendere il linguaggio biblico più comprensibile agli uomini d’oggi, di fatto si reintroduce dalla finestra, ma alla grande, quella esiziale eresia modernista, che faceva perno proprio sulla rilettura e sulla reinterpretazione delle Scritture, e che san Pio X, nel 1907, pensava o sperava, con la Pascendi, d’avere cacciato dalla porta, e, se non estirpato, almeno fermato e validamente contrastato. Orbene, fra le novità della nuova versione ce n’è una che attira subito l’attenzione: quella relativa alla traduzione della famosa profezia del Messia, contenuta nel Libro di Isaia (7, 14), la cosiddetta profezia dell’Emmanuele, da sempre motivo di aspre polemiche non tanto fra cattolici e protestanti, quanto fra cristiani e giudei, visto che il Libro di Isaia fa parte del canone dell’Antico Testamento, il quale riveste carattere sacro per entrambe le religioni. Nella precedente versione si poteva leggere: La vergine concepirà e partorirà un figlio, che si chiamerà Emmanuele: e si noti sia il fatto che sarà una vergine a partorire, sia il verbo declinato al futuro, a sottolineare il carattere profetico del passo. Per la Chiesa cattolica, naturalmente, si tratta di una profezia sulla nascita di Gesù Cristo dalla Vergine Maria; cosa che ai giudei non è mai andata giù, e che ha sempre lasciato alquanto freddi i luterani. Ma ecco la nuova traduzione, secondo gli approfonditi studi del gruppo guidato dal "coraggioso" Wanke: La vergine ha concepito e partorisce un figlio. Detta in questo modo, si direbbe proprio che la vergine non è più tale, al momento di partorire; inoltre, al tempo futuro si sostituiscono un passato prossimo e un presente, cosa che smorza di parecchio l’empito profetico del brano, e sembra ricondurre l’episodio dal piano messianico a quello meramente storico, dove si prende atto di una cosa che accade, o che è accaduta.

Potrebbero sembrare cambiamenti di poco conto, invece rivestono un significato enorme; senza contare che, per capirne tutta la portata, bisogna tener presente che quasi ad ogni versetto della Bibbia i valorosi filologi e biblisti germanici hanno ritenuto giusto e opportuno apportare qualche cambiamento, più o meno significativo. Il risultato complessivo è impressionante. Cambiando una parolina qua e una là, e dando l’impressione che si tratti solo di "normali" revisioni e adattamenti linguistici, sempre al solo scopo di facilitare la lettura e la comprensione dei testi, di fatto si opera una radicale riscrittura della Bibbia. Una riscrittura che avrebbe incontrato, crediamo, la benevola attenzione, se non proprio la piena approvazione, del "buon" Lutero, ma che avrebbe fatto accapponare la pelle e arricciare tutti i peli di san Pio X, di Pio XI e di Pio XII, per non parlare dei papi del Concilio di Trento e dei secoli successivi. Dunque, gli ultimi cattolici sono avvisati: si sta preparando la battaglia finale per decidere se la Chiesa deve essere definitivamente soffocata, ingoiata e metabolizzata dalla neochiesa, senza che ne resti neppure il ricordo, oppure no. La posta in gioco è decisiva. Dietro la "battaglia" sul parto verginale di Maria, sta tutto l’insieme del culto mariano: se i seguaci della neochiesa riusciranno a far passare le loro "riforme", poco alla volta, dopo la mano si prenderanno tutto il braccio, come hanno sempre fatto. Sanno, peraltro, di muoversi su un terreno estremamente delicato; sanno di non poter andare all’assalto frontale di un punto così importante della teologia cattolica, e così caro al cuore dei credenti: per cui si muoveranno con particolare cautela, come ladri nella notte, e faranno di tutto per dissimulare le loro vere intenzioni. Eppure, osservatori spassionati si sono già accorti della portata sconvolgente della nuova traduzione della Bibbia, voluta dalla Conferenza Episcopale tedesca (ma da dove veniva tutta quella urgenza, poi?), e ne hanno parlato in termini di forte perplessità, sottolineando come non si tratta di un aggiornamento meramente linguistico, perché dietro i cambiamenti linguistici si aprono fondamentali questioni teologiche.

E adesso vorremmo spiegare quale sia, esattamente, nel culto mariano, l’aspetto che fa problema per i progressisti e i modernisti, cosa che ci aiuterà a comprendere le loro future mosse. La traduzione del passo di Isaia ha a che fare con la verginità di Maria dopo la nascita del Messia, cosa che, per loro, non è importante: se fosse solo per quello, si limiterebbero a considerarlo un giocattolo cui sono molto affezionati i cattolici più tradizionali, e li lascerebbero giocare in pace (ci si perdoni il linguaggio disinvolto: cerchiamo di metterci nei panni del nemico). Ciò che veramente li preoccupa, è quello che Maria rappresenta in quanto Donna, cioè in quanto essere umano: la perfezione che può essere raggiunta da una creatura che si abbandona totalmente alla volontà di Dio. In questo senso neanche il dogma della Immacolata Concezione, fortemente voluto da Pio IX, l’8 dicembre 1854 rappresenta di per sé, dal loro punto di vista, un problema insormontabile, perché si limita ad aggiungere un elemento di perfezione in una creatura resa comunque perfetta dalla fede assoluta in Dio. Semmai, l’Immacolata Concezione è un problema, per loro, in quanto si lega con Lourdes; e Lourdes con la Salette e con Fatima, cioè con una serie di forti richiami di Maria alla conversione dell’umanità e ad alcune rivelazioni private nelle quali si parla dell’apostasia del clero, specie ai suoi massimi livelli. Maria, dunque, è la Donna che ha una fede totale in Dio, nelle sue promesse, nel suo amore per noi; secondariamente, è la Donna senza peccato originale. Per i modernisti e i cattolici progressisti, l’argomento dell’"peccato" è tabù, e infatti non ne parlano mai: ricorderebbe loro la disarmonia e l’incompletezza dell’umanità lontana da Dio. Curioso: proprio la neochiesa che ha coniato l’espressione "ferita" per giustificare i peccatori, ma senza nominare il peccato, ha un’istintiva ripugnanza ad ammettere che non solo i singoli uomini, ma l’uomo in quanto tale, è ferito da una condizione generale, derivante dal Peccato originale. Ma si spiega: perché la "ferita" del peccatore si può facilmente ridurre a un dato psicologico, mentre la "ferita" del genere umano ha una radice teologica; la prima si può sanare con un po’ di "accompagnamento" e di "misericordia", la seconda resta, duramente, inesorabilmente, e solo Dio la può sanare, Lui e nessun altro. Pertanto, ciò che, nel culto mariano, disturba quei signori, è il richiamo alla vita di perfezione, e, secondariamente, alle conseguenze del peccato. Prendiamo il caso del gesuita omosessuale James Martin, che auspica matrimoni omosessuali in chiesa e perora la causa della beatificazione degli omosessuali: si sa che ha mandato i suoi auguri agli "amici" delle sigle LGBT, affinché si divertano al Gay Pride. Come si fa a parlare della perfezione, come si fa a parlare delle conseguenze del peccato, con un clero di questo genere? Ecco allora l’unica strategia possibile: erodere, pian pianino, il culto mariano, in ciò che ha di essenziale; "normalizzarlo", ridurlo a un fatto emotivo e sentimentale, svuotandolo di significato teologico: paradossalmente, "accontentare" certi cattolici più legati alla tradizione popolare, rinchiudendoli nel "ghetto" di una devozione quasi folcloristica. Infatti: che cosa ha detto, di Maria, il papa Francesco, a Fatima, dove si è recato per il centenario delle apparizioni (vi era pressoché obbligato, ma non è sembrato entusiasta di farlo)? Ha parlato della nostra cara Mamma celeste, in termini sospirosi e melensi; ma ha taciuto sul fatto centrale: l’invito alla metanoia, al ravvedimento, alla penitenza, alla preghiera, al digiuno, per allontanare il castigo che attende inesorabile l’umanità peccatrice. Ha evitato di parlare del peccato: sia del peccato ordinario, sia del Peccato originale. Ma come si fa a parlare della Vergine Maria, senza parlare di ciò? In compenso, ha definito Maria madre degli esclusi e dei diseredati; insomma, l’ha arruolata a forza nella "chiesa dei poveri": concetto che sarebbero piaciuti a don Milani e che piacce oggi a tutti i preti "di strada", di sinistra, classisti e neomarxisti, gonfi di rancore sociale contro i ricchi e bisognosi d’un paravento ideologico più presentabile dell’ormai logoro Manifesto

Fonte dell'immagine in evidenza: RAI

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.