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22 Giugno 2017Stiamo assistendo al trionfo del libertinismo più sconcio e sfrenato, il cui simbolo visibile sono le orride esibizioni dei vari Gay Pride, e la cui punta di lancia è la nuova legislazione "anti-omofobia", vedi la futura (prossima) legge Scalfarotto, mirante ad instaurare la dittatura omosessista fondata sulla intimidazione e sul ricatto permanenti. Se un genitore, ad esempio, non sarà d’accordo che a scuola qualche organizzazione LGBT somministri a suo figlio dei corsi di "educazione sessuale", rischierà una condanna, una multa salatissima e l’esposizione alla gogna mediatica quale spregiatore dei diritti umani e istigatore all’odio sociale. Non è questa la sede per approfondire le radici psicologiche di tutto questo rancore e di tutta questa cattiveria accumulati contro le persone "normali" (altra parola che verrà presto abolita per legge, a causa della sua evidente connotazione razzista ed omofoba) da parte dei "diversi" (altra parola da usare con cautela: a volte è sbandierata con fierezza da quelli stessi che, domani, potrebbero denunciarti per averla adoperata nei loro confronti): si tratta di radici psicopatologiche profondamente radicate e portate a piena maturazione nel clima della rivendicazione esasperata dei diritti, veri o presunti. Piuttosto, c’interessa notare come si tratti di un capitolo di quel grande libro che si potrebbe intitolare: la rivolta dell’uomo moderno contro la natura. Proprio così: la cultura moderna, figlia dell’illuminismo, solo apparentemente predica un "ritorno alla natura": la natura di cui parla tanto, in realtà, è una natura rivista e radicalmente corretta secondo i suoi postulati aberranti e le sue deviazioni psichiche e fisiologiche. La cultura neoilluminista, edonista, immanentista, materialista, libertina, oggi imperante, dice: Bisogna seguire la natura!, perché si sente in guerra con la cultura tradizionale (e poco importa che essa sia praticamente scomparsa: c’è sempre bisogno di una testa di turco, magari fittizia, contro la quale scagliare le proprie frecce), ma la "natura" che essa pone sull’altare della nuova religione, come oggetto da adorare, è solo quella che fa comodo alle sue tesi, cioè al suo libertinismo; se essa lo contraddice, allora bisogna manipolarla illimitatamente, senza remore o ritegni. Ad esempio: L’omosessualità è un fatto naturale, dicono i pontefici della cultura moderna: evviva l’omosessualità! Poi dicono: Il desiderio di paternità è un fatto naturale: evviva la paternità! A questo puto dovrebbero trovarsi in contraddizione con se stessi, perché l’omosessualità è quella cosa che rende impossibile la paternità; ma niente paura: c’è una soluzione per tutto (se si ha il portafogli ben fornito, si capisce: ma questo è un altro dettaglio politicamente scorretto, meglio non dirlo). Basta affittare l’utero di una donna povera, prenotare un bambino, concordare la cifra secondo i prezzi di listino correnti, firmare tutte le carte, premunirsi con un buon avvocato, poi volare all’estero, passare alla transazione concreta, e ritornare a casa col bebè, felici e contenti, come il principe e la principessa (pardon, come il principe e l’altro principe, suo marito) della fiaba LGBT. Anche in quel caso si griderà: Evviva la natura!, senza andar troppo per il sottile a vedere se si sta lodando per davvero la natura, o una pratica che, di naturale, ha ben poco.
Dunque, dicevamo che la cultura moderna è figlia dell’illuminismo; l’illuminismo, a sua volta, è figlio del libertinismo del XVII secolo. Non occorre scavare per chilometri, basta rivoltare le prime zolle e si scopre questa derivazione: Denis Diderot, il grande regista della Encylclopédie, l’opera capitale della montante cultura massonica e "illuminata", il principe dei philosophes, il gran sacerdote della nuova religione "naturalista", da buon maestro di pornografia quale era — e della cui lezione si ricorderà bene il gran sacerdote della pornografia blasfema e sadico-anale, il "divino marchese" D. A. F. De Sade — pochi anni prima di dedicarsi al ciclopico, e fortunatissimo, impegno di portare i "lumi" della ragione nell’universo mondo, a mezzo della più vasta impresa editoriale mai tentata prima, amava trastullarsi, e trastullare i lettori, con la letteratura erotica d’infimo livello, come nel romanzo — "filosofico", si capisce; allora era tutto "filosofico" – Les bijoux indiscrets, dove i "gioielli" parlanti, e preziosi, sono gli organi genitali femminili. Oh, ma l’intenzione è tutt’altro che pornografica, è filosofica, ci mancherebbe altro; anzi, non solo filosofica, ma sociale e, ovviamente, progressista: facendo parlare i "gioielli" femminili, che ne hanno viste di tutti i colori, il valoroso philopsophe (che, per la verità, preferisce pubblicare la sua opera in forma anonima) non si lascia sfuggire l’occasione per sottoporre la Francia del suo tempo a una critica spietata, che colpisce imparzialmente tutte le classi sociali. Senza dubbio, di questa lezione si ricorderà anche uno dei nipotini novecenteschi di siffatta letteratura illuminista di denuncia sociale, il nostro Alberto Moravia, nel romanzo pornografico Io e lui, dove "lui" è, manco a dirlo, l’organo sessuale virile (tanto per ristabilire la par condicio). Questo per dire quanto sia vero che la cultura moderna è stata creata dall’illuminismo e dal libertinismo e come sia rimasta all’interno di quel cerchio stregato, senza più uscirne; passando sotto silenzio o sminuendo sistematicamente, come si è fatto e si continua a fare, tutti gli scrittori, artisti, registi cinematografici, musicisti, pensatori e giornalisti che non piegano il collo davanti all’imperante dittatura illuminista e libertina.
Dunque: l’Encyclopédie esce fra il 1751 e il 1780; I gioielli indiscreti vede la luce, anonimo, nel 1748: mentre il bravo Diderot stava concependo il suo vastissimo progetto di riforma culturale, un vero e proprio rifare e’ cervelli, come avrebbe detto Galilei, si affaticava sulle pagine del romanzo "filosofico" per mettere la società del suo tempo alla berlina, passando attraverso la fessura più caratteristica dell’anatomia femminile; l’altra fessura, che piaceva così tanto al suo "discepolo" De Sade, e che piace tanto ai suoi moltissimi discepoli odierni, non è specifica dell’anatomia femminile e, quindi, "filosoficamente" parlando, meno significativa (e già da questo si capisce che il Nostro è stato solo un precursore, ancora parzialmente legato agli schemi del passato: eterno destino dei rivoluzionari, essere battuti in breccia dai loro impazienti e scatenati discepoli!). Vogliamo dunque farci un’idea dello spessore speculativo del grande Diderot, il padre della Enciclopedia e, dunque, il padre della cultura moderna, massone come il suo collaboratore D’Alembert, e come massoni sono i tanti nipotini del neo-illuminismo, che si riproducono con la prolificità dei conigli, non solo nella società profana, ma, meraviglia delle meraviglie, anche nella santa Chiesa cattolica, una, apostolica e romana? Perché, se non ci si confronta con i testi, con la pagina scritta, si rischia sempre di restare nel vago, nel generico, nell’indeterminato, dove si può affermare qualsiasi cosa e anche il suo contrario, senza timore di confronti o di smentite. Coraggio, dunque (e ti avvertiamo, caro ed ignaro lettore, che di autentico coraggio avrai davvero bisogno): prendiamo I gioielli indiscreti e vediamo cosa ci dice il Nostro, per bocca della bella favorita Mirzoza, che si è dedicata, nell’harem, agli studi di filosofia, a proposito della natura dell’anima umana (capitolo ventinovesimo; traduzione di Pino Bava, Milano, Rizzoli, 1982, pp. 159-162):
Il sultano e i cortigiani sedettero intorno a lei, ed essa incominciò:
"I filosofi di Monoemugi, che presiedettero all’educazione dell’Altezza Vostra [cioè il sultano Mangogul] non l’intrattennero mai sulla natura dell’anima?".
"Oh, soventissimo", rispose Manogogul, "ma tutti i loro sistemi sono serviti soltanto a darmene delle nozioni incerte; e se non avessi un sentimento interiore che pare suggerirmi trattarsi d’una sostanza diversa dalla materia, ne avrei negata l’esistenza o l’avrei confusa col corpo. Vuoi tu forse chiarirmi questo caos?"."Non ci penso neppure", rispose Mirzoza "e confesso che in questo campo non sono molto più esperta dei vostri pedagoghi. La sola differenza che esiste fra loro e me, è che io suppongo l’esistenza d’una sostanza differente dalla materia, e che essi la considerano dimostrata. Ma codesta sostanza, se esiste, deve essere annidata in qualche posto. E su questo punto non vi hanno forse propinato molte stravaganze?".
"No", disse Mangogul, "quasi tutti erano d’accordo nel dire che essa risiede nella testa, e quest’opinione mi parsa verosimile. È la testa che pensa, immagina, riflette, giudica, dispone, ordina; e d’un uomo che non pensa si dice pur sempre che non ha cervello o che è senza testa."
"Ecco dunque" riprese la sultana "a che si riducono i vostri lunghi studi e tutta la vostra filosofia, a supporre un fatto e a sostenerlo con espressioni popolaresche. Principe, che direste del vostro primo geografo, se, presentando all’Altezza Vostra la carta dei suoi stati, avesse collocato l’oriente a occidente, e il nord a sud?"
"Questo è un errore tropo grossolano" rispose Mangogul "e giammai alcun geografo ne commise uno simile."
"Può darsi" continuò la favorita. "In tal caso i vostri filosofi sono stati più maldestri di quanto non possa esserlo il più maldestro geografo. Essi non avevano da rilevare un vasto impero, non si trattava di fissare i limiti delle quattro parti del mondo; si trattava soltanto di penetrare in loro stessi e di fissare la vera sede dell’anima. E tuttavia hanno posto l’est a ovest, o il sud a nord. Hanno sentenziato che l’anima è nella testa, mentre la maggior pare degli uomini muore senza che quella abbia occupato quella sede, e la sua prima residenza è nei piedi."
"Nei piedi!" interruppe il sultano "questa è proprio l’idea più stramba che abbia mai sentita."
"Sì, nei piedi" riperse Mirzoza "e questo sentimento, che vi pare così pazzo, ha soltanto bisogno di essere approfondito per diventare assennato, al contrario di tutti quelli che voi ammettete come veri e che, approfonditi, si rivelano falsi. Vostra Altezza era testé d’accordo con me sul fatto che l’esistenza della nostra anima è fondata soltanto sulla testimonianza interiore che essa presta a se stessa; e io dimostrerò che tutte le prove immaginabili della sensibilità concorrono a collocare l’anima nel luogo che io le assegno."
"Qui ti voglio" disse Mangogul.
"Non chiedo mercé" ribatté lei "e vi invito tutti a farmi le vostre obiezioni. Dicevo dunque che l’anima ha come sua prima sede i piedi; di lì essa incomincia a esistere, e partendo dai piedi procede su per il corpo. Per questo fatto mi appello all’esperienza, e forse qui potrò gettare le prime fondamenta d’una metafisica sperimentale. Abbiamo tutti provato nell’infanzia che l’anima assopita rimane per interi mesi in uno stato di torpore. Allora gli occhi si aprono senza vedere, la bocca senza parlare, gli orecchi senza udire. Altrove l’anima cera di distendersi e di risvegliarsi, in altre membra esercita le sue prime funzioni; e il bimbo annuncia la sua formazione proprio con i piedi. Il suo corpo, la testa, le braccia sono immobili nel seno della madre; ma i suoi piedi si allungano, si piegano e manifestano la sua esistenza e forse anche le sue necessità. Quando si è sul punto di nascere, che ne sarebbe della testa, del corpo, delle braccia? Questi non uscirebbero mai dalla loro prigione, se non fossero aiutati dai piedi; qui i piedi hanno la parte principale, e spingono davanti a loro il resto del corpo. Tale è l’ordine della natura; e quando qualche altro membro vuol prendersi la briga di comandare e la testa, a esempio, prende il posto dei piedi, allora tutto si svolge per traverso; e Dio sa ciò che talvolta accade alla madre e al bambino…
E avanti così, per pagine e pagine: sempre con questa lentezza esasperante, con questa petulanza da maestrina di scuola, con questo autocompiacimento che sarebbe patetico se non fosse imbarazzante, con questa ripetitività di cui anche lo scrittore meno dotato si vergognerebbe dopo qualche riga. Ciò che poteva esser detto in una pagina, qui occupa almeno un capitolo: e sempre con questa frivolezza giuliva, con questo tono di scoperta dell’acqua calda (l’alternativa, dicevamo, è la pornografia pura e semplice). In pratica, Diderot sostiene qui un sensismo radicale: tutto quel che conosciamo, lo apprendiamo dai sensi; niente sensibilità, niente vita interiore, né anima. L’anima è una funzione del corpo, e più precisante, una funzione dell’organo che, a suo dire, viene utilizzato prima e più degli altri: i piedi. Non è ben chiaro perché allora la sede dell’anima debba essere nei piedi e non nel cuore, che batte e mantiene in vita l’organismo, o nei polmoni, che respirano e assicurano il ricambio dell’ossigeno. Poteva anche porre la sede dell’anima nel cordone ombelicale o nell’ombelico stesso, visto che è da lì che il feto riceve dalla madre tutto ciò di cui ha bisogno per vivere. Come si vede, la povertà e la rozzezza di questa argomentazione si commenta da sola; a meno che il buon Diderot abbia solo voluto scherzare, facendosi beffe di tutti coloro i quali si attardano in una credenza così stupida e superstiziosa, come quella dell’anima, Da buon libertino, invece di prendere d’assalto frontalmente le false credenze, finge di accoglierle, ma le rovescia dall’interno, le deforma, le rende caricaturali, le fa esplodere in un mare di ridicolo. E ride. Ride sotto i baffi, sorride compiaciuto: come tutti i philosophes. Si osservino i loro ritratti, hanno tutti la stessa caratteristica: d’Holbach, La Mettrie, Voltaire: ridono dell’ignoranza altrui; ridono perché loro, come gli dei dell’Olimpo, si librano in alto: e, dall’alto, possono ridere della stupidità umana…
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