Il sorriso è un dono divino fatto all’uomo
28 Marzo 2017
Guardiamoci dalla contro-pedagogia buonista
29 Marzo 2017
Il sorriso è un dono divino fatto all’uomo
28 Marzo 2017
Guardiamoci dalla contro-pedagogia buonista
29 Marzo 2017
Mostra tutto

Quante zampe aveva il lupo di Gubbio?

Narra l’Autore anonimo dei Fioretti di san Francesco – forse Giovanni de’ Marignoli, vissuto intorno alla metà del 1300 – si legge, al XXI capitolo, Come (il Santo) fece la pace delli huomini d’Agobbio con uno cattivo et malvagio lupo (da: I Fioretti di san Francesco, a cura di Mariano d’Alatri, Cinisello Balsamo, 1992, pp. 96-100):

Al tempo che san Francesco dimorava in Agobbio, venne nel contado di detta città un grandissimo lupo terribile ed feroce, che non solamente divorava li animali, ma eziandio li huomini, tanto che [li] cittadini stavan tutti in gran timore, ché molto spesso si avvicinava alla città. Onde, quando fuori andavano, tutti andavano armati come andassono a combatter; et, con tutto questo non si potevano difendere da lui, chi solo con esso si scontrava. Et per la paura che di lui avevano, vennono che nulla ardiva uscire della terra solo.

Per la quale cosa san Francesco, avendo loro gran compassione, diliberò uscir fuori a questo lupo, ben che da’ cittadini sconsigliato ne fosse. Et fattosi lui il segno di santa croce, uscì della terra con suoi compagni, et solo pose sua fidanza in Dio. Dubitando li altri più innanzi andare, san Francesco solo piglia il cammino al luogo ove lo lupo stava

Et presente molti cittadini, quali erano venuti ad vedere quel miracolo, lo lupo si sta incontra san Francesco con la bocca aperta. Appressandosi san Francesco a lui, fattogli il segno di santa croce, lo chiama ad sé, dicendo: "Io ti comando da parte di Iesu Cristo, frate lupo, che non facci male ad me né ad nulla altra persona".

Mirabil cosa! Come san Francesco ebbe fatto il segno di croce al lupo terribile ed pauroso, subito ristette di correre et, chiudendo la bocca, fu fatto mansueto come uno agnello, gittandosi a’ piedi di san Francesco.

Al quale san Francesco disse: "Fra lupo, tu ài fatti di molti mali ed grandissimi malificii in queste parti, uccidendo et guastando le creature di Dio senza licenzia; et non solo ài uccise e divorate le bestie, ma ài auto ardimento [di] guastare et occider li huomini, fatti ad la imagine di Dio. Onde meriti le forche, come ladro et omicida pessimo. Et omni gente, gridando, mormora di te; et tutta questa terra t’è inimica. Ma io voglio far questa pace fra loro et te, sì che tu non li offenda più, et loro ti perdoneranno omni passata offesa fatta; et non ti perseguiteranno più gl’uomini, né cani".

Queste parole udite, il lupo, con atto di capo et d’orecchi et di corpo chinando il capo, mostrava [di] accettare quello che san Francesco diceva, et volerlo osservare. […]

Ora, noi tutti sappiamo quale sia l’interpretazione più accreditata di questa storia – che fu scritta, come del resto tutte le altre contenute nei Fioretti, a una distanza di tempo dalla morte del santo di Assisi senz’altro notevole -, cioè che il lupo sarebbe stato un terribile brigante e che la "pace" stipulata fra lui e gli abitanti di Gubbio fu una delle tante mediazioni diplomatiche che uomini di Chiesa, ma anche ambasciatori laici (sarà anche il caso di Dante, durante l’esilio) riuscirono a compiere, in quel travagliato periodo storico, inducendo a riporre le spade nel fodero almeno per qualche mese o qualche anno. Niente di soprannaturale, insomma. E che, siamo forse nel Medioevo, e possiamo forse leggere i Fioretti di san Francesco con quella ingenuità, con quel candore, con cui li leggevano gli uomini del XIII e XIV secolo, nutriti di credulità e superstizione?

Così, mentre per secoli la storia del lupo di Gubbio è stata tramandata e ritenuta come vera e indubitabile, a un ceto punto, non si può precisare esattamente quando, comunque nel pieno rigoglio della modernità, e come contraccolpo della critica demolitrice dei filosofi settecenteschi, da Locke e Voltarie, a Kant, nei confronti di tutto ciò che trascende la ragione logico-discorsiva e di tutto ciò che non può essere sperimentalmente verificato e scientificamente dimostrato, essa ha assunto i tratti della leggenda, della favola, della fiaba, è letteralmente evaporata, e tutto ciò che di essa è sopravvissuto, è la tradizione della conclamata santità di Francesco, che ha dato luogo a una serie di credenze, e di atteggiamenti menali, in base ai quali nulla d’impossibile rientrava nella biografia del Santo: né predicare ai pesci e agli uccelli, né predire il futuro e leggere nei cuori, né, tanto meno, ammansire un animale feroce come un lupo, e trasformarlo in una docile bestia, assolutamente incapace di far del male a chicchessia.

Il lupo, insomma, non era veramente un lupo; non poteva essere stato un lupo, con il pelo, le zanne e quattro zampe: doveva essersi trattato di un feroce signore del luogo, che viveva rapinando e terrorizzando gli abitanti della città, imponendo una spietata tassazione sulle merci in arrivo e in partenza, e punendo con estrema durezza chiunque osasse fare resistenza alle sue incessanti angherie. Se, infatti, in pieno XX secolo, o, peggio, nel glorioso XXI, si ammettesse anche solo vagamente la possibilità che il ventunesimo racconto dei Fioretti riferisca un accadimento reale, e da leggersi più o meno alla lettera, dove andremmo a finire? Tanto varrebbe mettersi a credere nei miracoli, negli esorcismi, e magari — horribile dictu — perfino nel diavolo: sì, proprio nel diavolo, inteso come essere personale, che briga incessantemente contro l’opera amorevole di Dio, per provocare la perdizione delle anime. Ci sono, infatti, almeno due cose, nella storia del lupo di Gubbio, che urtano la sensibilità e la delicata idea di razionalità degli uominimoderni: primo, la scarsa, o nulla, plausibilità del fatto in se stesso; secondo, l’elemento specificamente religioso che lo sottintende, perché è chiaro che san Francesco non ha ammansito il lupo come un domatore di leoni, cioè come un professionista del circo riesce a domare una bestia feroce, o ad addestrare un orso, ma vi è riuscito esclusivamente con le armi della preghiera e della fede: cioè a mani nude, inerme, senza fruste, senza minacce, e senza alcuna protezione materiale.

E il bello è che il sotterraneo fastidio, la segreta, o esplicita, irritazione nei confronti del secondo elemento, più che dalla cultura laicista e secolarizzata, figlia dell’illuminismo e del positivismo, è maturata proprio all’interno della cultura cosiddetta cattolica, o che si spaccia per tale, ma non lo è veramente, essendo intrisa di modernismo, di razionalismo, di scientismo, d’immanentismo e di una certa qual sudditanza psicologica nei confronti della teologia e dell’esegesi biblica protestanti: e si sa come Lutero e Calvino la pensassero riguardo al culto dei santi, al sacerdozio e alle opere buone (anche se certi vescovi e sacerdoti cattolici dei nostri giorni, non si sa con quale coraggio, ma incoraggiati e sostenuti direttamente dal papa Francesco, si sdilinquiscono a far gli elogi del protestantesimo e lo definiscono non uno scisma, una tragedia e una sequela di orrori e violenze contro la Chiesa e i cattolici, quale fu, ma come una salutare ventata d’aria fresca in un ambiente che troppo a lungo era rimasto chiuso e sordo a ogni giusto richiamo al vero spirito del Vangelo. Sì: sono stati proprio i teologi progressisti ed eretici, come Hans Küng, nonché i teologi "della liberazione", come Leonardo Boff, a screditare frontalmente la ‘vecchia’ maniera di far catechismo, e a svalutare l’apologetica cristiana, al punto che essa è scomparsa dai corsi di studi dei seminari. Dopo il Concilio Vaticano II, infatti, era così grande la preoccupazione di non più apparire come i soliti cattolici retrogradi e ignoranti, e di mettersi al passo coi più evoluti studiosi protestanti, che episodi come quello del lupo di Gubbio sono stati frettolosamente archiviati come "pie leggende", prive di qualunque fondamento storico. Quante volte abbiamo sentito ripetere il ritornello che i protestanti erano "avanti" di mezzo secolo: il mezzo secolo che la Chiesa avrebbe "perso" a causa della lotta di Pio X e dei suoi successori contro il modernismo? Se pure si è trattato solo di mezzo secolo: secondo il defunto cardinale Carlo Maria Martini, il ritardo culturale accumulato dalla Chiesa cattolica (ma rispetto a che cosa, in fin dei conti? rispetto a Lutero?) non è stato di 50 anni, ma di 200. Addirittura! Meno male, però, che sono arrivati i Martini, e, dopo di loro, i Kasper, i Bianchi, i Paglia e i Galantino; meno male ch’è arrivato Sosa Abascal, a dirci che non sappiamo niente di Gesù e che il Vangelo è tutto da riscrivere; e meno male che, dalla "fine del mondo", è arrivato papa Francesco, — a proposito, così modesto da assumere, lui gesuita (e, come tale, non papabile) il nome del Poverello di Assisi, che amava così tanto gli animali, i poveri e gli emarginati, in puro stile Zeffirelli, ma con una spruzzata di cripto-marxismo neanche tanto nascosta. Insomma, un doppio primato: il primo papa gesuita e il primo che si spaccia per francescano.

Giunti a questo punto, dobbiamo perciò tornare a chiederci, pur consapevoli che si tratta di una domanda politicamente scorretta, anzi, scorrettissima: quante zampe aveva il lupo di Gubbio? Ne aveva due, era cioè un essere umano, feroce e selvaggio quanto si vuole, un bandito, un nobile crudele che angariava i viandanti, ma pur sempre un essere umano con due gambe e con due braccia, come tutti? Oppure era un animale a quattro zampe, con il pelo, la coda e tutto il resto, insomma un vero lupo in cane ed ossa, per giunta ferocissimo e antropofago, capace di terrorizzare gli abitanti di un’intera città? E ci perdonino gli animalisti e gli amici dei lupi, e pure quelli dei koala, dei canguri e dei trichechi, perché di questi tempi bisogna pensarle tutte e star bene attenti a non urtare la sensibilità di nessuno, se non ci si vuol mettere in pessima luce e, magari, beccarsi anche una querela.

Pare che anche il curatore della edizione dei Fioretti da noi sopra citata, Mariano d’Alatri (1920-2007), che pure è stato un padre cappuccino, anzi, un prestigioso membro dell’Istituto Storico dei Frati Minori Cappuccini, propendesse per la seconda soluzione, visto il commento che fa in margine al ventunesimo capitolo (ibidem, p. 96):

Circa questo celebre e pittoresco "fioretto", un insigne biografo del santo scrive: "Anche la famosa storia del lupo di Gubbio sembra non essere altro che la trasformazione leggendaria di una pace conclusa tra la piccola repubblica di Gubbio e un di que’ gentiluomini, feroci, briganti, simili a bestie selvagge, che erano allora numerosi ne’ castelli fortificati delle montagne d’Italia, e che, come il cavaliere Werner d’Urslingen, avrebbero potuto portare sul petto uno stemma col motto: ‘Nemico di Dio, della pietà e della misericordia’. (G. Joergensen, "S. Francesco d’Assisi", Torino, 1937, 171). E sì, lo smaliziato uomo moderno non ha una fede (storica, s’intende) tanto robusta da poter credere che il famoso "lupo d’Agobbio" avesse proprio quattro zampe.

Commento d’una banalità addirittura desolante, e che ci lascia con tutti i nostri interrogativi.

Prima di tutto: Johannes Joergensen (1866-1956), con tutto rispetto, è uno scrittore d’una certa qualità, autore di alcune famose biografie di santi (oltre a san Francesco, quelle di santa Brigida di Svezia, di santa Caterina da Siena e di san Giovanni Bosco), ma ci andremmo cauti nel prenderlo come modello di autorevolezza in sede strettamente storiografica.

Secondo: una leggenda impiega secoli per formarsi e propagarsi: ma i Fioretti sono stati scritti in volgare verso la fine del Trecento, sulla base degli Actus beati Francisci et sociorumm eius, composti probabilmente da Ugolino da Montegiorgio fra il 1327 e il 1330. Ora, san Francesco, nato nel 1181 o 1182, morì nel 1226: poco più d’un secolo prima. Nel corso di poco più d’un secolo si era già perso il nome e il volto preciso di questo terribile signorotto di un castello situato vicino a Gubbio? Joegensen fa il parallelismo con Werner d’Urslingen (conosciuto anche come il Duca Guarnieri), condottiero e capitano di ventura tedesco che imperversò in Italia, vissuto fra il 1308 e il 1354: ma proprio questo confronto dovrebbe far risaltare la stranezza che il ricordo del "lupo" di Gubbio a due zampe sia andato smarrito così presto, mentre quello del "lupo" germanico è stato perfettamente conservato, con dovizia di particolari sulla sua vita.

Terzo: siamo sicuri che si posa tracciare una netta linea di separazione tra la fede storica (s’intende, dice il Nostro, quella solamente) e la fede religiosa? Per esempio: se ci si mette sulla via di allegorizzare, per forza, tutto ciò che stride con la ragione illuminista, che fine faranno i miracoli narrati nei Vangeli? La fine che riservava loro Voltaire: seppellirli tutti sotto una gran risata E così, per coerenza, anche la fede nel miracolo supremo, la resurrezione di Gesù, rischia a sua volta di uscirne seriamente indebolita, se non proprio distrutta.

Non vogliamo con ciò sostenere che si debba credere per forza che il lupo di Gubbio avesse quattro zampe, altrimenti si giungerebbe alla conclusione che nessun evento miracoloso della storia sacra è possibile, compresi quelli riguardanti la vita di Gesù: e sarebbe una forzatura, oltre che una sorta di ricatto psicologico. Da questo, tuttavia, non deriva neppure l’opposta verità apodittica, cioè che si debba rifiutare tutto ciò che appare dubbio dal punto di vista della verosimiglianza. In effetti, non si deve mai credere, né negare, per partito preso: in linea teorica, sono plausibili entrambe le risposte…

Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Wallace Chuck from Pexels

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
Hai notato degli errori in questo articolo?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

This site uses Akismet to reduce spam. Learn how your comment data is processed.