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14 Marzo 2017Il sistema filosofico di Hegel è totalmente, radicalmente incompatibile con il pensiero cristiano e con la concezione etica cristiana: questo è un punto che deve essere ben compreso, e sul quale è necessario fare la massima chiarezza, perché, diversamente da quel che si potrebbe credere, l’hegelismo è ancora vivo e vegeto, non tanto come filosofia speculativa e come interpretazione globale della realtà, ma, il più delle volte in forme indirette e mascherate, come sistema pratico di vita, e specialmente come orientamento politico e morale di fondo.
Lasciando da parte l’aspetto più strettamente filosofico, del quale in altre occasioni ci siamo occupati, concentriamo ora la nostra attenzione su due aspetti qualificanti del sistema hegeliano: la concezione dell’Essere e quella dell’uomo. Apparirà in maniera particolarmente evidente come nessuna intesa, nessun accordo, nessuna mediazione sia possibile fra quel che pensa Hegel su tali argomenti, e ciò che afferma il cristianesimo; apparirà chiaro, pertanto, come il sistema hegeliano, che si può considerare, e a ragione, come uno dei capisaldi del pensiero moderno, sia, in realtà, molto più vicino al paganesimo e molto più congeniale ad esso, che al cristianesimo; e come, insomma, la modernità sia, per molti aspetti, un ritorno e una riproposizione, sotto differenti spoglie, di temi e atteggiamenti che furono propri della cultura pagana, in una prospettiva di contrapposizione, latente o esplicita, al cristianesimo, alla sua concezione di Dio e dell’uomo, ai suoi valori morali, politici (nel senso più ampio del termine) e umani.
L’Essere, per Hegel, è caratterizzato da una radicale immanenza: esso è la natura e la storia, è lo Spirito del mondo, è la realtà nel suo incessante fluire, trasformarsi, evolvere. Se è Dio, bisogna dire che è un Dio che diviene, un Dio che sarà, non un Dio pieno e perfetto, meno ancora un Dio trascendente, distinto dalla sua creazione. Hegel nega che vi sia alcuna differenza fra le cose come si manifestano e la forza che le muove: tutto è energia, tutto è espansione ed evoluzione, tutto si pone, si nega, si risolve su di un piano di superiore organizzazione. È ben per questo che il Gesù Cristo descritto nella sua Vita di Gesù termina con la cupa immagine del pesante masso con cui viene chiuso il sepolcro del crocifisso: per Hegel non ha senso parlare di Resurrezione, come non ha senso parlare d’Incarnazione; ed ecco perché, per lui, la filosofia è superiore alla religione: perché il filosofo coglie, con il suo lucido sguardo, ciò che il credente riesce appena a intuire, a intravedere, ma senza comprenderlo veramente. E come lo potrebbe, dal momento che tutto il reale è razionale e che solo la filosofia è in grado di cogliere tale razionalità? Logico, quindi, che l’uomo non abbia alcun Dio da adorare, da lodare, da ringraziare: tutt’al più, egli dovrebbe adorare, lodare e ringraziare se stesso. Dio è nell’uomo e l’uomo è Dio; ma non il singolo uomo, bensì l’umanità tutta; e non l’umanità in quanto risultante dei singoli esseri umani, bensì in quanto strumento della Ragione, vale a dire della Storia: le due cose, in fondo, coincidono (dal momento che tutto il reale è razionale, e che tutto il razionale è reale). E, da questo punto di vista, le cose non stanno diversamente per Benedetto Croce: anche quello di Croce è un idealismo storicista, uno storicismo assoluto, nel quale si perdono, e quasi evaporano, i singoli esseri umani; per non parlare di quello di Giovanni Gentile, che risolve l’idealismo in attualismo, ossia nel perenne farsi del pensiero per mezzo dell’atto puro. Per Croce, quindi, Dio è la storia; per Gentile, è l’atto puro.
Quanto alla persona, nella filosofia di Hegel, a ben guardare, essa si perde, scompare addirittura: non vi è più la persona, ma l’uomo, il quale non è un valore, né un fine in se stesso, ma uno strumento affinché si dispieghi lo Spirito del mondo, l’azione della Storia nella vita dei popoli. La libertà dell’uomo, pertanto, è illusoria: egli crede di essere libero, ma non fa che servire, inconsapevolmente, le ragioni superiori dello Spirito: tale è il concetto dell’astuzia della Ragione. Non solo. L’uomo, per Hegel, non è veramente persona, cioè non è veramente un fine, ma solo un mezzo, anche perché egli non lo vede, né lo concepisce, se non come parte di un tutto più vasto: lo Stato. È lo Stato, per Hegel, che rappresenta il vero principio creatore rispetto alla vita del singolo; in un certo senso, nella sua concezione lo Stato è Dio, o, quanto meno, ciò che maggiormente assomiglia all’idea che di Dio hanno i cristiani. Infatti, lo Stato hegeliano è il fine, l’alfa e l’omega, la ragion d’essere degli singoli uomini; essi hanno importanza, hanno una finalità, nella misura in cui servono lo Stato, obbediscono allo Stato, si sacrificano per lo Stato. Lo Stato è simile all’intelligenza collettiva del termitaio, del formicaio o dell’alveare: non conta il destino della singola termite, della singola formica o della singola ape: ciascun insetto ha valore, significato e scopo, nella misura in cui si prodiga per il bene della collettività. Lo Stato di Hegel, come Dio, non solo formula le leggi, ma le crea; non solo vigila sulla morale, ma la fabbrica: è uno Stato assoluto, metafisico, che affonda le sue radici in una immanenza radicale, ma oscura per la vista umana, e che spinge i suoi rami e la sua cima verso altezze irraggiungibili, e, per il singolo uomo, invisibili e incomprensibili.
L’uomo, così, è come sospeso fra due abissi d’incomprensibilità: a monte e a valle. Non sa perché esiste, non sa quale scopo, quale significato abbiano la sua vita: sa solo che è uno strumento della Ragione, che deve obbedire allo Stato, e sia la ragione, sia lo Stato, perseguono mete che non gli sono affatto chiare, e che non sono tenute a spiegargli. Il Dio cristiano, invece, spiega all’uomo chi egli sia, perché esista, quale sia lo scopo della sia esistenza; e, nello stesso tempo, valorizza al massimo la sua libertà. Di più: il Dio cristiano si fa uomo per amore degli uomini: e, anche se non spiega tutto ciò che vi è da sapere, nondimeno indica la strada, e la percorre Lui per primo: la strada della croce e della resurrezione, ossia della trasformazione della sconfitta in vittoria, della morte in vita eterna.
Ci piace riportare una pagina del sacerdote e storico della filosofia Luigi Pelloux (Genova, 18 ottobre 1906-ivi, 24 febbraio 1964), nipote ed omonimo del famoso generale che fu presidente del Consiglio italiano alla fine dell’Ottocento, il quale, nella sua monografia Hegel, apparsa molti anni fa nella nota collana Gli uomini e la civiltà, ha perfettamente colto e messo a fuoco gli elementi di inconciliabilità fra hegelismo e cristianesimo (Brescia, la Scuola Editrice, 1945, pp. 89-94):
Un tratto resta comune alla sinistra hegeliana, che in ciò ha dimostrato di aver inteso pienamente il nucleo del pensiero del filosofo di Stoccarda: ed è la sua decisa asserzione di immanenza. Immanenza dell’Assoluto nel mondo, dell’essenza nel divenire, del razionale nel reale: l’immanenza ontologica, per cui il tutto uno, considerato alternativamente spirito o materia, resta pur sempre quel tutto che è vita, processo, sviluppo, evoluzione; consapevole in se stesso. Tutto dinamico, dunque, che non si confonde nella indeterminatezza ma che si consolida mentre diviene e si esplica continuamente.
Dalle precedenti osservazioni è più agevole intendere in quali puti centrali il sistema di Hegel contraddica il pensiero tradizionale della filosofia cristiana. In un sistema come questo la concezione del problema dell’essere è posta in modo radicalmente eversivo. Dio non è più l’Essere che è. È semplicemente espressione di una totalità, di un complesso che non si distingue dagli elementi che da Lui traggono vita. Dio non è più trascendente, ma immanente. Non più Creatore, bensì uno con la realtà che con Lui si confonde. L’espediente ricercato dai rappresentanti della destra hegeliana (cfr. specialmente la filosofia hegeliana inglese) che hanno voluto vedere nell’Assoluto di Hegel un Dio trascendente, non è coerente alle premesse iniziali. Poiché in tal caso Dio diventa per Hegel l’Idea e lo Spirito; ma questi non vivono di una vita propria bensì della vita del tutto in cui essi si concretano ed esprimono. Di ha perciò una continuità di sviluppo dall’Idea alla natura, al mondo, che non solo non implica una trascendenza assoluta di Dio, ma neppure una sua trascendenza relativa. Il dilemma trascendenza o immanenza viene risolto da Hegel nella immanenza: in modo inequivocabile.
Posto un tale concetto di Dio s’intende come esso resti piuttosto un punto di riferimento ideale che una realtà concreta. Il dialettismo hegeliano non può appagarsi di un Dio che sia Essere, pienezza di Essere. Ma deve invece piuttosto consistere in un Dio dinamico, pensiero creatore, che si realizza e prende coscienza di sé nell’uomo.
Ma ecco qui sorgere un’altra concezione antitetica rispetto a quella cristiana. Per cui l’uomo non viene più inteso come . lettore di Hegel non dovrà lasciarsi trarre in inganno dalle espressioni in cui questi parla di libertà, di autonomia, di unità dell’uomo. Per lui infatti si tratta sempre dell’individuo che non ha una sua propria sufficienza, ma questa ritrova unicamente nell’aggregato sociale che viene inteso da Hegel come un organismo di cui l’individuo è parte, senza potere avere in alcun modo una sua propria, autonoma concretezza. Individuo non può essere per Hegel persona, perché non è "sui juris" ma parte di un tutto cui appartiene. Ora questo tutto si realizza prevalentemente in quella forma di vita sociale che acquista per Hegel la più alta importanza: lo Stato. Lo Stato non è più elemento integratore della persona, bensì l’individuo p solo parte di questo tutto. "Sui juris", e inoltre autore del diritto, creatore del diritto, è soltanto lo Stato i cui si ha un’incarnazione dello Spirito. Perciò possono sussistere nel pensiero hegeliano gli stessi termini, lo stesso modo di esprimersi. Ma si è modificata totalmente la realtà espressa. Parlare di libertà, di morale, di diritto, di autonomia, non può aver senso per Hegel ove ci si riferisca a ciò che la tradizione del pensiero cristiano ha chiamato la persona umana. Questa rinuncia alle proprie prerogative; anzi le trasferisce, le deriva, le trasforma attribuendole allo Stato. Con questo di diverso: che lo Stato viene a godere, nella dottrina hegeliana, di privilegi che la persona umana non ha mai potuto avere, perché essi sono solo prerogativa di Dio. Lo Stato hegeliano non è infatti semplicemente depositario di un’autorità che gli viene comunicata dall’Assoluto, né partecipe di una legge di cui è il rappresentante. Bensì esso è fonte di ogni autorità e non semplicemente legislatore ma creatore incondizionato e illimitato di una legge. Per ciò appunto Hegel segna l’inizio, già potenzialmente presente in Fichte, di una concezione statolatria. Da ciò s’intende la importanza che il pensiero di Hegel ha assunto nella storia del diritto, della vita, del costume umano, Là dove spesso la dottrina speculativa di Hegel viene scarsamente intesa e compresa o addirittura superata, la sua dottrina pratica si è esplicata largamente e va esplicandosi sempre più diffusamente.
Un elementare richiamo ad alcune verità molto note nel pensiero etico cristiano basta a segnare l’irriducibile antitesi del pensiero di Hegel rispetto a quelle.
Una critica in questo campo di idee può essere condotta soltanto ristabilendo il valore originale e autentico della dottrina della persona. Affermandone le prerogative e insieme i limiti, e facendo vedere come lo spostamento do valori operato da Hegel nel trasferimento dei caratteri propri della persona allo Stato e d’altra parte nel riportare in questo taluni attributi di cui Dio solo è capace, finisce per do struggere ogni autentico valore spirituale e morale, per sostituire al regno di Dio il regno di uno spirito che è soltanto l’espressione di una forza inconsapevole. Si verifica così quest’altro paradosso, che il sistema di Hegel, in fondo razionalista e in quanto tale storicista, diventa fonte di ogni forma di irrazionalismo — come spesso la storia stessa ha dimostrato. Dove s’intende agevolmente che chi distrugge i limiti e le distinzioni per sostituirvi un’apparente e fittizia unità, finisce non solo perdo struggere gli elementi da cui questa unità risulta, ma spesso per creare, al posto di quell’unità, l’impero di una forza cieca che si chiamerà lo spirito del mondo, ma che in fondo non differisce dal fato degli antichi. Al destino dell’uomo, Hegel ha voluto sostituire il destino dell’umanità, alla Provvidenza che guida la stria, l’uomo creatore di questa. In tale confusione di idee non è emersa la chiarezza, bensì l’oscurità. È caduto spesso, in pensatori recenti, lo schema dialettico hegeliano, ma è rimasto il suo risultato; il mutarsi incessante e fine a se stesso nella vita morale dell’uomo; "vita spirituale" è diventato per Hegel sinonimo di "vita della collettività"; ma spesso questo non è stato che pretesto per distruggere la vita del singolo.
Si comprende dunque come la critica della parte pratica del sistema d Hegel comporti in senso lato una critica del mondo moderno di cui Hegel è stato in certo senso il Maestro di vita.
Dicevamo che alcuni aspetti dell’hegelismo sono ancor vivi e vegeti nel mondo attuale, ed è necessario saperi riconoscere per capire quanto essi pesino tuttora nella nostra società, e per capire in che cosa essi sono assolutamente inconciliabili con la visione cristiana dell’etica, della politica e con l’atteggiamento complessivo, e il relativo giudizio, su numerosi aspetti della realtà in cui viviamo. Dopo la caduta del comunismo, che era la più evidente derivazione dal naturalismo e dallo storicismo hegeliano (il marxismo non essendo altro che hegelismo capovolto), l’aspetto più attuale, e clamorosamente attuale, che sopravvive nella realtà dei nostri giorni, è la pretesa dello Stato di riproporsi, anzi, d’imporsi, in quanto Stato etico, e, di conseguenza, in quanto Stato assoluto. Sì, ciò potrebbe sembrare in stridente contrasto con il fatto che gli Stati odierni tendono a cedere quote crescenti di sovranità a tutta una serie di istituzioni extra-statali e sovra statali: dalla moneta all’educazione sessuale nelle scuole, pare che gli Stati dei nostri giorni abbiano rinunciato a esercitare la loro sovranità per delegarne le funzioni a dei soggetti terzi, che non sono i cittadini in quanto tali, ma degli organismi — come le banche centrali, nel caso della moneta, o come l’U.N.E.S.C.O., nel caso dell’educazione scolastica — di natura privata, oppure di natura pubblica, ma super-nazionale.
Questa, però, è solo una faccia della medaglia. A parte il fatto che la progressiva erosione della sovranità statale riguarda non tutti gli Stati, ma quelli che hanno un peso specifico — politico, economico, militare — insufficiente per imporre i loro interessi nel mondo globalizzato, cioè non riguarda le grandi potenze; a parte questo, dicevano, c’è un’altra faccia della medaglia, che consiste nella progressiva attribuzione di sempre nuovi poteri e di sempre nuove funzioni allo Stato, a discapito dell’individuo e della famiglia. Un esempio di questa invasività del potere statale è offerto dalle campagne di vaccinazione obbligatoria, decise dai servizi sanitari statali ed estese all’intera popolazione, o ad intere fasce di essa, per esempio ai bambini: eppure la salute, la sua difesa, e la prevenzione delle malattie, rientrano, o dovrebbero rientrare, una sfera molto personale e molto privata degli individui e delle famiglie. E, a proposito delle famiglie, un altro esempio della invasività dello Stato è data dalla tendenza sempre più accentuata dei parlamenti a legiferare, e della magistratura a decidere, che cosa sia la famiglia e che cosa sia l’individuo. La legislazione, vigente in un numero sempre crescente di Paesi, che legalizza, ad esempio, la pratica del’utero in affitto, tende a modificare il concetto di cosa sia la famiglia e di cosa sia la donna, in quanto madre: al limite, tale legislazione tende a dimostrare che la società non ha più bisogno di "madri", ma solo di "gestanti", magari a pagamento, e che, comunque, potranno essere sostituite, un domani, da uteri artificiali che renderanno possibile mettere al mondo dei figli in maniera del tutto non sessuale, cioè semplicemente manipolando i gameti e fecondando un ovulo femminile, e sia pure all’interno di una macchina. A quel punto, la famiglia avrà cessato di servire a qualcosa, e sparirà.
La gravità di tali legislazioni e della progressiva, ipertrofica crescita delle attribuzioni dello Stato rispetto alla persona, minaccia di schiacciare completamente la sfera di libertà, e perfino d’identità, del singolo individuo, sempre più degradato da persona a cittadino/contribuente/consumatore; e poco importa che ciò avvenga sotto la spinta di richieste sempre più estrema provenienti proprio da singoli individui, per lo più membri di minoranze rumorose e aggressive, ben decise a far valere i loro "diritti" contro una maggioranza che li discriminerebbe e li porrebbe in uno stato di sudditanza, e dalla quale essi ritengono di dover difendersi. Il risultato, comunque, è un accrescimento spropositato del potere statale nei confronti dell’individuo: il quale, dopo essersi visto espropriato della sovranità monetaria, con tutte le conseguenze negative che ciò comporta, ora si vede anche minacciato di esproprio nella sua maternità e paternità, nella sua genitorialità, nella sua identità; per non parlare dell’azione educativa che viene trasferita, sempre più spesso, e in maniera sempre più metodica e ideologizzata, non alla scuola, ma a delle agenzie internazionali le quali fanno riferimento, almeno idealmente, ad uno super-Stato planetario che ancora non esiste, ma verso il quale molti indizi suggeriscono che si stia andando, a tappe sempre più rapide.
Ebbene: tutto questo è inscritto nei cromosomi dell’hegelismo. Lo Stato è tutto, l’individuo è niente; lo Stato è la Ragione, ed essa marcia trionfante, per farsi servire e obbedita ciecamente. Non c’è un Dio trascendente, come non c’è una libera persona umana. Semplicemente inquietante…
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