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«Credo; aiuta la mia poca fede!»

L’episodio evangelico del ragazzo indemoniato — che alcune versioni, chi sa perché, chiamano: "del bambino epilettico": no, cari signori modernisti, niente epilessia, era proprio un indemoniato, fatevene una ragione se non volete sbugiardare il Vangelo — è anche quello in cui risulta con maggiore evidenza il valore della preghiera e, nello stesso tempo, la necessità di pregare proprio per alimentare la fede e per ricevere da Dio l’aiuto a ciò necessario.

Riportiamo l’episodio dal Vangelo di Marco (9, 14-29; ma è narrato anche negli altri due sinottici, Matteo e Luca): 

Giunti presso i discepoli, videro intorno a loro una gran folla e degli scribi che discutevano con loro. Subito tutta la gente, come vide Gesù, fu sorpresa e accorse a salutarlo. Egli domandò: «Di che cosa discutete con loro?» Uno della folla gli rispose: «Maestro, ho condotto da te mio figlio che ha uno spirito muto; e, quando si impadronisce di lui, dovunque sia, lo fa cadere a terra; egli schiuma, stride i denti e rimane rigido. Ho detto ai tuoi discepoli che lo scacciassero, ma non hanno potuto». Gesù disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando vi sopporterò? Portatelo qui da me». Glielo condussero; e come vide Gesù, subito lo spirito cominciò a contorcere il ragazzo con le convulsioni; e, caduto a terra, si rotolava schiumando. Gesù domandò al padre: «Da quanto tempo gli avviene questo?» Egli disse: «Dalla sua infanzia; e spesse volte lo ha gettato anche nel fuoco e nell’acqua per farlo perire; ma tu, se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». E Gesù: «Dici: "Se puoi!" Ogni cosa è possibile per chi crede». Subito il padre del bambino esclamò: «Io credo; vieni in aiuto alla mia incredulità». Gesù, vedendo che la folla accorreva, sgridò lo spirito immondo, dicendogli: «Spirito muto e sordo, io te lo comando, esci da lui e non rientrarvi più». Lo spirito, gridando e straziandolo forte, uscì; e il bambino rimase come morto, e quasi tutti dicevano: «È morto». Ma Gesù lo sollevò ed egli si alzò in piedi. Quando Gesù fu entrato in casa, i suoi discepoli gli domandarono in privato: «Perché non abbiamo potuto scacciarlo noi?» Egli disse loro: «Questa specie di spiriti non si può fare uscire in altro modo che con la preghiera».

I discepoli avevano provato ad esorcizzare il ragazzo, ma senza alcun successo; davanti a Gesù, invece, il demonio esce subito dallo sventurato, obbedendo al suo perentorio comando. Da parte sua, Gesù non perde tempo a discutere, a interrogare; l’unica cosa che domanda, non al demonio, ma al padre del ragazzo, è da quanto tempo il poveretto sia preda della possessione. Poi si rivolge direttamente al demonio con autorità e fermezza, e gli dà un ordine, netto, secco, imperativo: quello di uscire immediatamente e di non tornare mai più. E il demonio obbedisce, non può far altro che obbedire; l’unica rivincita che si prende, meschina rivincita, è quella di scuotere un’ultima volta il disgraziato con le più spaventose convulsioni, tanto da lasciarlo in terra come morto. Ma ben presto la vita torna in lui, e i suoi familiari, con una gioia e una commozione che possiamo solo immaginare, ma che non vengono descritte, lo accompagnano a casa. Infatti non era stato Gesù a recarsi nella casa dell’indemoniato, ma era stato questi ad essere condotta da Lui, e non subito, ma dopo che suo padre si era recato dal Maestro a supplicarlo.

Perché i discepoli non erano stati capaci di portare a buon fine l’esorcismo? La risposta di Gesù è semplice e difficile al tempo stesso: non tutte le possessioni sono uguali, Egli dice, ci sono demoni più o meno tenaci: altro che epilessia, ripetiamo; altro che interpretazioni moderniste del Vangelo, dove tutti gl’indemoniati altro non sono che delle persone psichicamente disturbate, e ogni possessione è soltanto, in realtà, una qualche forma d’isterismo, di malattia mentale o di epilessia. I teologi della "svolta antropologica", imbevuti di modernismo e progressismo, non ci credono? Peggio per loro: il Vangelo parla chiaro. Gesù ha guarito veramente degli ossessi, scacciando il demonio che li tormentava; in un caso — quello dell’indemoniato di Gerasa – non era un solo demonio, ma un’intera legione di demoni, che chiese e ottenne di trasferirsi in un branco di porci che pascolavano lì vicino e che subito si gettarono nel lago: e la legione romana contava da quattro a seimila uomini.

Viene fatto di chiedersi in che mondo vivano quei tali teologi, quei biblisti, e anche quei vescovi e quei sacerdoti i quali non credono alla realtà degli esorcismi effettuati da Gesù Cristo, magari perché non credono affatto che il diavolo esista, e dunque ritengono "ridicola", pur se non hanno il fegato di dirlo apertamente, la pratica dell’esorcismo. Si vede che nella loro vita, popolata solo di libri — scritti, rigorosamente, dopo il Concilio Vaticano II; gli altri autori nemmeno li conoscono, San Tommaso d’Aquino in primis, o li hanno gettati in cantina – e di aule d’insegnamento delle "loro" facoltà progressiste, e dominata da un’ideologia razionalista e immanentista che non riflette per niente la vera teologia cristiana, e nemmeno la normale dimensione della vita cristiana, non si sono mai imbattuti nella presenza del maligno. Strano: anche nella civiltà moderna sono all’opera migliaia di maghi, stregoni e sacerdoti del satanismo, e si praticano ogni giorno migliaia di fatture e altre operazioni demoniache; anche nella civiltà moderna vi sono le vittime dell’infestazione, della ossessione e della possessione demoniaca, proprio come se ne incontrano, e parecchie, nel racconto dei Vangeli. Se essi non ne sanno nulla, ciò significa o che non hanno occhi per vedere, né orecchi per udire, ma vedono e odono solo quel che rientra nei loro schemi mentali precostituiti; oppure che il diavolo possiede sufficiente abilità (ma tendiamo a credere che non ce ne voglia poi molta) da non farsi vedere, o piuttosto riconoscere, da loro. Perché vederlo, forse, anche loro l’hanno visto, come può accadere a chiunque, del resto; ma riconoscerlo, questo è il difficile, almeno se si è imbevuti di pregiudizi positivisti e volterriani, e se si crede di poter accordare tali pregiudizi con la Parola di Dio. Magari non solo l’hanno visto, ma gli sono passati accanto; magari era in qualche professore che, in seminario, ha suggerito loro quell’atteggiamento di superiorità, di derisione, di ironia verso le semplici e chiare affermazioni del Vangelo, a questo proposito. O magari è più vicino ancora: come quando si va in cerca, da ogni parte, del proprio orologio smarrito: e non ci si rende conto che esso è proprio là dove doveva essere, allacciato al polso.

La risposta di Gesù alla domanda dei discepoli è che i demoni della specie più proterva e coriacea possono essere sconfitti solamente con la preghiera. Non con l’esorcismo in se stesso, dunque, come se fosse una formula magica, un abracadabra, ma con l’esorcismo come atto di preghiera, come atto di totale dedizione a Dio. Ed è quanto Gesù aveva chiesto, in via preliminare, al padre del ragazzo, allorché questi era venuto da lui per supplicarlo di aiutare il suo povero figliolo. Da quell’uomo, Gesù aveva preteso una professione di fede: gli aveva ricordato che la preghiera può tutto, ma che la prima e più importante di tutte le preghiere consiste nella dichiarazione di fede assoluta in Dio. L’uomo, messo alle strette, cioè messo a tu per tu con la debolezza della sua fede, aveva finito per supplicare: Io credo, Signore! Ma tu, aiuta la mia poca fede! Ecco la preghiera che Gesù desiderava, quella che Gesù voleva: la preghiera come atto di fede totale in Dio. Solo così, solo a questa condizione, il demonio può essere vinto. Non solo la preghiera di Gesù, dunque, ma la preghiera del padre del ragazzo: perché Dio aiuta coloro che lo pregano, coloro che a Lui si rivolgono con fede; ma non può aiutare quanti Lo invocano senza fede, e dicono: Signore, Signore!, però senza credere veramente che Egli è il padrone di tutte le cose, e che può fare qualsiasi cosa, può rispondere a qualunque richiesta d’aiuto. Cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; chiedete e vi sarà dato, ha detto Gesù, e l’ha ripetuto più e più volte. Se voi aveste tanta fede quanto un granello di senape, potreste ordinare a queste montagne di spostarsi e andare nel mare, ed esse vi obbedirebbero. Parole chiare: non simboli, né allegorie.

Gli apostoli, evidentemente, non avevano considerato quest’aspetto della cosa. Forse avevano pregato, e con fervore, che Dio liberasse quel ragazzo, per mezzo di loro; però non si erano preoccupati di chiedere che anche la sua famiglia pregasse. Avevano creduto di poter fare da soli; avevano trascurato la potenza della preghiera che si unisce ad altre preghiere, a cominciare da coloro che direttamente e personalmente desiderano ricevere una grazia da Dio. In altre parole, non avevano tenuto presente ciò che la teologia cristiana e la Chiesa cattolica avrebbero poi definito come "la comunione dei santi". La preghiera di un credente può salvare la vita di un altro credente, all’altra estremità del mondo, superando le barriere dello spazio e anche quelle del tempo. Ve ne sono numerosi esempi documentati; così numerosi che anche solo pensare di elencarne qualcuno sarebbe inutile e puerile. Tutta la storia della Chiesa è fatta di miracoli ottenuti per mezzo della comunione dei santi. Ma questo è un concetto che i cattolici progressisti e modernisti non arrivano, né mai arriveranno, a capire. Per loro, è comprensibile solo ciò che si può spiegare con la ragione; l’idea stessa del miracolo ripugna loro, e stentano perfino ad ammettere l’esistenza di satana. Per molti di loro, il male è un’entità astratta, è un concetto generico, ed è, comunque, sempre e solo una forza di quaggiù, una forza umana, terrena, che si origina e si manifesta nella dimensione immanente. Non riescono nemmeno a concepire che il Male possa essere una persona, anzi, numerose persone: per loro, simili idee sono un residuo di mentalità leggendaria, sono mitologia, sono racconti per l’infanzia, indegni di un cristiano adulto", come essi si compiacciono di credersi e come amano autodefinirsi.

I discepoli, dunque, avevano tralasciato la cosa fondamentale: la preghiera a Dio. Infatti, al padre del ragazzo che aveva chiesto dapprima il loro intervento, essi non avevano domandato di unirsi a loro in preghiera; non gli avevano chiesto se egli avesse realmente fede in Dio. Questa è, al contrario, la prima e sola cosa che Gesù pretende di sentirsi dire da quel padre infelice, non per sé, ma per il Padre suo celeste. All’uomo che lo supplica, ma in maniera impropria: ma tu, se puoi fare qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci!, Gesù risponde con una contro-domanda (che è in realtà una esclamazione) e poi, senza attendere risposta, risponde lui stesso: "Se puoi"! Ogni cosa è possibile per chi crede. Se i discepoli avessero parlato così a quel povero padre disperato, probabilmente i loro esorcismi avrebbero avuto successo. Dio aiuta chi vuole essere aiutato, non chi si rivolge a Lui senza vera fede. Chi domanda l’aiuto di Dio, deve anche credere che a Dio ogni cosa è possibile. Questo è anche il segreto dei santi: i quali non fanno i miracoli, non ne hanno mai fatti e mai ne faranno; essi chiedono a Dio i miracoli, e Dio li fa, per mezzo loro. I santi sono solo gli strumenti eccezionali della Provvidenza divina: ecco perché è sbagliato adorarli. I santi sono uomini, niente altro che uomini; ma sono uomini che hanno creduto in Dio, che si sono abbandonati a Lui, che hanno detto "sì" fino a fondo, non solo con le labbra, ma con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la volontà. Quante volte Gesù l’ha detto: Chiedete e vi sarà dato! Se voi, che siete così cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, come potrebbe il Padre vostro, che è nei cieli, restare insensibile alle vostre suppliche?

Purtroppo, molti sedicenti cristiani e perfino un numero non piccolo di ministri della Chiesa cattolica sembrano avere smarrito questa prospettiva e questa fede. La loro prospettiva è sempre più umana, troppo umana; la loro fede è sempre più rivolta all’uomo, cioè a se stessi, e sempre meno rivolta a Dio. Tutti costoro stanno stravolgendo il Vangelo, perché, più o meno consapevolmente, stanno cercando di trasformare il Regno di Dio in un regno terreno, andando contro le esplicite affermazioni di Gesù, nel corso del suo colloquio con Pilato. Dunque tu sei re?, domanda il procuratore romano. E Gesù risponde: Sì, sono re; ma il mio regno non è di questo mondo. Andiamo a rileggerci quel passo fondamentale del Vangelo di Giovanni (18, 36): Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù. Ma i cattolici progressisti e neomodernisti, questo passo, non lo leggono volentieri: a prenderlo sul serio — essi personalmente decidono quali passi del Vangelo vadano presi sul serio più di altri, proprio come fanno i protestanti — temono di poter passare da rinunciatari, da poco impegnati, da gente che non ha i piedi per terra. E non s’accorgono (o forse se n’accorgono anche troppo) che, così facendo, tolgono il soprannaturale, cioè tolgono la dimensione della vita divina. Nelle loro mani, il Vangelo diventa una cosa umana, troppo umana: uno dei tanti messaggi di speranza (con la lettera minuscola, perché non è la virtù teologale cristiana) che si sono uditi nel corso della storia. E che hanno deluso, tutti, nessuno escluso: perché l’uomo non può redimersi da se stesso. Se lo potesse, cosa è venuto a fare Cristo?

Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Gustave Dorè)

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi.
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