
Avventura, amore, coraggio, solidarietà familiare in The White Squaw di Mayne Reid
5 Gennaio 2017
Oggi la comunicazione non crea più relazioni, ma si limita a mettere in scena qualcosa
6 Gennaio 2017Sandrine Bakayoko, la venticinquenne ivoriana morta per una trombosi, il 2 gennaio 2017, nel Centro di accoglienza di Cona, nel veneziano, aveva abortito un mese prima: la notizia è stata data ufficialmente all’agenzia Ansa dal sindaco della cittadina, Roberto Panfilio, che afferma di averla avuta, a sua volta, da una fonte attendibile, collegata ad una autorità pubblica. La donna era stata regolarmente seguita dai medici per tutto l’iter abortivo. Poiché era arrivata alla fine di agosto, se ne deduce che è rimasta incinta dopo l’arrivo in Italia e che, pertanto, ha usufruito della Sanità pubblica del nostro Paese, ovviamente a spese del contribuente italiano, per sottoporsi ad una interruzione volontaria di gravidanza, come garantito dalle nostre leggi — la "famosa" legge 194 del 1978, sancita da un referendum popolare — alle cittadine che ne facciano richiesta.
Solo che la ragazza ivoriana non era affatto una cittadina italiana. Era una immigrata clandestina che, come gli altri circa 1.400 africani presenti nel Centro, chiedeva l’accoglienza come profuga; ma che, con quasi assoluta certezza, e proprio come tutti gli altri, profuga non lo era. Né in Costa d’Avorio, infatti, né in Nigeria, l’altro Paese da cui provengono quasi tutti gli ospiti di Cona, sono in atto delle guerre o delle emergenze umanitarie. Si tratta, perciò, puramente e semplicemente, di quelli che, nel linguaggio del politically correct, vengono chiamati "migranti economici", e che, nel linguaggio della realtà, bisognerebbe invece chiamare invasori, nonché simulatori, quando non si tratta di veri e propri criminali – come il tunisino Anis Amri -, i quali, sovente, hanno già dei precedenti penali nei loro Paesi d’origine, e vengono in Italia con la precisa intenzione di delinquere, spacciando droga, rapinando le case o favorendo la prostituzione; posto che non si tratti di terroristi intenzionati a compiere attentati contro i "crociati", ossia gl’inconsapevoli cittadini delle nazioni che li ospitano, donne e bambini inclusi.
Ora si sussurra che, nel centro di Cona, e, verosimilmente, anche in chissà quanti altri centri di accoglienza, le donne che hanno abortito, o chiesto di abortire, si contano a decine: ma tutto in silenzio, con molta discrezione, per rispetto della privacy. È bello che ci si preoccupi della privacy delle persone; peccato che, ripetiamo, qui non si tratti di cittadini italiani, né di persone che si trovano affette da patologie, o vittime d’incidenti, alle quali non si nega di sicuro l’assistenza sanitaria, in uno Stato civile, anche se il loro status di richiedenti asilo è tutto da accertare e anche se, comunque, non si tratta di cittadini regolari, aventi diritti e doveri precisi, come tutti gli altri, ma di persone dallo status ancora incerto, fluido, e che si muovono in un Limbo dai confini quanti mai sfuggenti. No, qui si tratta di donne e di ragazze (nell’Africa nera, una ragazza di venticinque anni è considerata da tutti più che matura per avere dei figli, a differenza che nella attuale società europea) che spontaneamente hanno deciso di abortire, dopo essere rimaste incinte.
È un problema del quale non si parla mai, eppure esiste. Vi sono donne che arrivano già incinte, dal primo al nono mese di gravidanza, sui barconi che traversano precariamente le acque del Mediterraneo e sbarcano a Lampedusa, o sulle spiagge della Sicilia; e ve ne sono altre che restano incinte proprio nei centri di accoglienza, specialmente se esiste una grande promiscuità nelle sistemazioni, il che è inevitabile in un centro di accoglienza che ospita centinaia o migliaia di persone. E un altro problema, del quale non si parla mai, è quello che riguarda il modo in cui avvengono queste gravidanze: perché esistono molte possibili sfumature fra l’attività sessuale del tutto libera e volontaria, e l’autentica violenza sessuale, cosa possibile, se non probabile, in un centro di accoglienza che ospita una proporzione squilibrata di uomini e donne, ove queste ultime sono solo una piccolissima minoranza, continuamente osservata, frequentata e desiderata da un gran numero di maschi, quasi sempre giovani, sani e pieni di ormoni. Ora, pare che questo possa essere stato proprio il caso di Sandrine Bakayoko, la quale era giunta a Cona insieme al marito, ma poi aveva dovuto adattarsi, come le altre donne, a una scomodissima coabitazione con una schiacciante maggioranza di compagni di sesso maschile. Insomma, forse aveva deciso di abortire perché aveva subito violenza, o, comunque, perché il figlio in arrivo non era del suo uomo.
È molto sgradevole, per chiunque, parlare di simili cose; eppure, davanti alle voci appena sussurrate e al silenzio generale, e interessato, dei media, come sempre preoccupati di non apparire razzisti o maschilisti, e come sempre timorosi di offendere o irritare gli ospiti dei centri di accoglienza, invece di evidenziare l’inciviltà e la pericolosità dei loro comportamenti — a Cona sono arrivati, di fatto, al sequestro di persona di tutti gli operatori, e questo solo perché si erano immaginati che l’ambulanza fosse giunta, per Sandrine, con un inaccettabile ritardo, mentre poi è risultato che non è stato affatto così, e che — come ha dichiarato il procuratore Carlo Nordio — i soccorsi sono stati tempestivi, ma non c’era più niente da fare per salvar la vita della donna. Sta di fatto che a Cona, con il pretesto della morte di lei, alcuni delinquenti hanno suscitato una vera e propria rivolta; oltre a sequestrare il personale del centro, costringendolo a richiudersi per ore, sotto la minaccia della violenza fisica, hanno danneggiato gli arredi, rovesciato i tavoli, si son picchiati fra loro, ivoriani contro nigeriani, hanno bloccato l’arrivo dei furgoni con il cibo, inscenando lo sciopero della fame. Lamentavano il sovraffollamento, il freddo e la cattiva qualità dei pasti. Insomma il servizio non era di loro gradimento, ne pretendono uno assai migliore. Ne hanno diritto, perché siamo anche noi degli esseri umani, come ripetono sempre ai microfoni, quando vengono intervistati da qualche giornalista. Come se avessero imparato una lezione, insegnata loro da qualcuno.
Già: esseri umani che reclamano diritti, ma non accettano di sottoporsi al benché minimo dovere. Succede spesso, nei Centro di accoglienza, che, se le autorità italiane propongono ad un richiedente asilo di fare anche un semplice lavoretto, come quello di spazzare e raccogliere le foglie cadute dagli alberi sui viali cittadini, costui risponda: Lo faccio, ma solo se avrò la garanzia di ottenere lo status di profugo. Ad ogni modo, quel che andrebbe accertato è se, nei Centri di accoglienza, vengono rispettate le leggi e se gli ospiti si comportano in maniera civile fra di loro. Si sa di ospiti islamici che maltrattano e derubano del cibo i loro compagni di religione cristiana; si sa anche di peggio: che durante la traversata del Mediterraneo, qualche volta i cristiani sono stati gettati a mare, dopo aver subito ogni sorta di mortificazioni e prepotenze. Qualcuno dovrebbe spiegare a tutti coloro che premono per varcare i confini dell’Unione europea, e specialmente dell’Italia, che non esistono solamente diritti, ma anche doveri; e che, se ciò vale per i cittadini regolari, a maggior ragione deve valere per coloro che cittadini non sono, che nessuno sa chi siano, né a quale titolo si presentino, né come pensino di mantenersi, o di trovar casa, o d’inserirsi nella nostra società. Nessuno lo sa, perché tutto ciò sembra che non riguardi lo Stato ospitante: secondo la cultura buonista e progressista, non si fanno domande ai "disperati", i quali, come recita il mantra del politically correct, "fuggono dalla guerra e dalla fame". Anche se, in realtà, non fuggono né dalla guerra, né dalla fame; anche se vengono da Paesi nei quali non vi è alcuna emergenza umanitaria, alcuna carestia, alcuna particolare fonte di pericolo; anche se non provano né rispetto, né, tanto meno, gratitudine, verso il Paese, o i Paesi, che li accolgono, che li salvano dai gommoni semi-affondati, anche con il pericolo della vita per i soccorritori; che li dissetano, li nutrono, li alloggiano, li riscaldano, li vestono, li curano; che li mantengono gratis per mesi e anche per anni, e offrono loro non solo di far domanda di asilo politico, anche se non ne hanno diritto, ma anche di far ricorso in appello, se la domanda verrà respinta. Il tutto sempre e solo, rigorosamente, a spese del Paese ospitante, dei suoi cittadini, molti dei quali sono poveri, campano con pensioni da fame: eppure non vengono né ospitati, né nutriti, né riscaldati, mai però si sognerebbero, come fanno sovente costoro, di gettare in terra la pastasciutta perché sono stufi di mangiare sempre lo stesso cibo, né di fare a pezzi le strutture, per segnalare il fatto che il riscaldamento non funziona.
In altre parole; ci stiamo abituando all’idea, noi Italiani e noi Europei, di avere solamente dei doveri verso tutti gli altri, e nessun diritto; e di non poter pretendere alcun dovere dagli immigrati/invasori, ma di dover solo erogare dei diritti. Quel che per i nostri cittadini è un reato — il sequestro di persona, per esempio – punibile a termini di legge, per loro non lo è: possono fare ciò che vogliono. Infatti, dopo i gravi fatti di Cona, il questore si è rallegrato del fatto che polizia e carabinieri, per non esasperare gli animi e per salvaguardare l’incolumità di tutti, si sono astenuti da azioni di forza, anche davanti al perdurare e al rinnovarsi degli atteggiamenti di sfida e vandalismo da parte degli ospiti del Centro. È un ritornello che abbiamo sentito troppo spesso. Giunge il momento in cui uno Stato, se vuol esercitare realmente la sua sovranità, e non farsi calpestare dal primo venuto, deve anche correre il rischio di adoperare le maniere forti, con le possibili conseguenze che ne potrebbero derivare. Non ci si può sempre rallegrare perché è finito tutto bene, a tarallucci e vino, quando la legge è stata violata clamorosamente, e quando coloro che hanno sfidato lo Stato restano padroni del campo, impuniti e trionfanti. Succede fin troppo spesso che, nelle strutture di accoglienza, anche quelle più piccole, sparse nel territorio nazionale, si verifichino fatti di violenza che restano impuniti per il timore di provocare disordini, con gravi conseguenze: ma i disordini ci sono già stati, si tratta semmai di far vedere chi comanda in Italia, e di far abbassare la testa ai facinorosi e ai delinquenti che, dopo aver ricevuto accoglienza e aiuto, li ricambiano con la prepotenza e l’arroganza. Altro che assistenza sanitaria e aborto veloce e gratuito per le donne clandestine che son rimaste incinte e non vogliono portare avanti la gravidanza: qui stiamo arrivando all’assurdo. Sappiamo bene che le femministe, e tutte le donne e tutti gli uomini impregnati di cultura femminista, buonista e progressista, insorgeranno, colmi di sacra indignazione: il diritto della donna a disporre del suo corpo è sacro e non si tocca; e, se lo è per le donne italiane, deve esserlo per tutte le donne che si trovano sul nostro territorio. Così essi pensano, e lo dicono forte; ne fanno una questione di principio, una "battaglia di civiltà" (l’aborto volontario, infatti, è, notoriamente, una pratica da persone molto civili), di rispetto dei diritti umani. Addirittura. Io mi faccio mettere incinta e poi esigo che lo Stato che mi ha accolto per motivi umanitari, mi risolva anche questo problema, mi porti in ospedale e mi liberi del feto, presto e interamente gratis.
Tutto questo non è solo sbagliato e immorale; è folle. Non si è mai visto uno Stato che tollera il disprezzo delle regole da parte degli stranieri, oltretutto entrati abusivamente sul proprio territorio, mentre lo pretende dai suoi cittadini; che si preoccupa di accogliere ed assistere chiunque varchi i suoi confini, ma non dei propri cittadini poveri e trascurati da tutte le istituzioni; che rimette in libertà spacciatori, ladri e rapinatori, solo perché stranieri, e lascia pressoché indifesi i suoi cittadini, davanti al rinnovarsi di tali reati, al punto da non poter più girare per certe strade cittadine, perché, a farla da padroni, sono appunto i delinquenti stranieri. Uno Stato così ha deciso di suicidarsi, e la sua fine è solo questione di tempo. Non molto, comunque: questione di qualche anno, di pochi decenni al massimo. Uno Stato così è come se non avesse più voglia di vivere; è come se avesse cessato di credere nel futuro. Vi sono cittadini italiani che non osano più trattenersi sulle scale di casa, insegnati che non possono fare serenamente il loro lavoro, studenti ai quali è stato, di fatto, negato il diritto allo studio, per la presenza, impunita ed impunibile, di qualche ragazzino straniero dalle tendenze delinquenziali, capace di terrorizzare tutta la classe. E le forze dell’ordine si sentono abbandonate: sanno che è inutile arrestare un delinquente straniero, perché il giudice lo rimetterà in libertà; sanno che non vale la pena di rischiare una coltellata per fare il proprio dovere, quando il loro aggressore può mostrare la linguaccia a poche ore dall’arresto, dopo che qualche magistrato, stupido e incosciente, avrà sentenziato che costui aveva agito in "stato di disagio ambientale" e, dunque, non deve rispondere dei suoi atti. Le forze dell’ordine sono frustrate, amareggiate, umiliate. Son ridotte ad assistere impotenti alle continue violazioni della legge. Venditori ambulanti abusivi, mendicanti fissi davanti ai supermercati, piccoli spacciatori padroni dei giardinetti, eserciti di prostitute lungo i viali di periferia, ma, sempre più spesso, anche per le vie del centro. Non aspettano neppure che i negozi tirino giù le saracinesche: d’estate, molto prima del buio, sono già lì, in cerca di clienti da abbordare: sotto il naso dei vigili e degli amministratori.
La Chiesa, o gran parte di essa, continua a predicare il dovere dell’accoglienza; gli scrittori politicamente corretti scrivono romanzi buonisti e umanitari, nei quali si parla del dramma dei "profughi" e si bolla con parole di fuoco chi si mostra inospitale, cinico, razzista; per i magistrati di sinistra è tutto a posto, a parte il truce populismo delle destre. Tutti insieme appassionatamente, ci dicono quel che si deve fare, o meglio continuare a fare, oggi, domani, sempre. Ma chi ha spiegato alla figlia dei due anziani e innocenti coniugi, trucidati nell’agosto 2015 da un ivoriano diciottenne, ospite presso il Cara di Mineo (la donna è stata anche violentata), perché sono morti i suoi genitori?
Fonte dell'immagine in evidenza: Photo by Mike Chai from Pexels