
Il nocciolo della questione
28 Novembre 2016
Due parole scomode a un giovane cattolico
29 Novembre 2016Nel romanzo di Aleksej Tolstoj, Ivan il Terribile, a un certo punto il protagonista, il giovane principe Nikita Serebrany, arriva a Mosca, dopo cinque anni di assenza, e cerca la casa del boiardo Drugina Morozov. Lui, ovviamente, ancora non può saperlo, ma sarebbe meglio per tutti se non vi arrivasse mai: perché Morozov ha sposato, per proteggerla dalle mire di un pretendente sgradito, la bellissima Elena, figlia di un nobile caduto nella presa di Kazan: e fra i due giovani, che cinque anni prima si erano scambiati una promessa, rinascerà una passione travolgente, dagli esiti estremamente drammatici. A Mosca, Serebrany chiede l’indirizzo di Morozov dapprima a dei bravacci, coi quali sta per venire a contesa; poi a un santo eremita, Basilio, infervorato dallo Spirito Santo e dotato del carisma della chiaroveggenza, che mostra di riconoscerlo e infatti lo chiama per nome, Nikita, benché i due non si siano mai visti. Nikita, Nikita, dove ti stai perdendo?, domanda il sant’uomo al principe Serebrany.Questi rimane stupefatto, nondimeno insiste per sapere dove si trovi la casa di Drugina Morozov, al quale deve consegnare un dispaccio privato. Ma ecco che il misterioso "folle di Dio", che se ne va per le strade coperto da una tunica con la croce, e con delle catene di ferro sul petto, cantando i salmi, di nuovo lo stupisce, dicendogli con molta decisione: Non te lo dirò. No! Lo facciamo gli altri. Non voglio mandarti verso il male; e subito dopo gli volta le spalle e si allontana, riprendendo a cantare il salmo interrotto, circondato dai bravacci che si scostano rispettosamente al suo passaggio. Nikita resta lì, più che mai perplesso; torna a chiedere l’indirizzo a quegli uomini, ed essi, malvolentieri, glielo danno, ma solo perché hanno visto il santo di Dio che si rivolgeva con familiarità affettuosa verso il principe, che, un momento prima, essi stavano per aggredire. E costui, dirigendosi verso il luogo indicato, non può fare a meno di rivolgere fra sé queste domande: Perché non ha voluto indicarmi la casa di Morozov? E perché ha aggiunto che non voleva mandarmi verso il male?
Vasja, il santo eremita Basilio, ha fatto ciò che gli dettava la coscienza: sapendo che da ciò sarebbe derivato un gran male, non ha voluto rispondere alla domanda di Nikita, non ha voluto dargli l’informazione richiesta. Quel lo facciano altri non è una dichiarazione d’ipocrisia, non è uno scaricarsi la coscienza e lavarsi le mani, come Ponzio Pilato quando si trovò a dover giudicare Gesù Cristo; esprime la consapevolezza che, se non si può impedire l’irreparabile, tuttavia si può, e si deve, astenersi dal prendervi parte, o dal favorirlo in qualsiasi maniera, anche solo alla lontana. Finché risulta possibile, bisognerebbe cercare di impedire che il male si compia, anche mettendosi in gioco e affrontando, se necessario, qualche inconveniente, qualche fastidio, qualche rischio; tuttavia, se ciò è impossibile, la sola cosa giusta da fare è evitare di parteciparvi. Il male trova già fin troppi collaboratori volontari: non è davvero il caso che ad essi si uniscano anche quanti lo hanno visto e riconosciuto come tale, mentre gli altri, forse, hanno almeno la parziale scusante di non averlo visto, né riconosciuto, ma d’averlo scambiato per un bene.
Tradotto nella morale pratica della vita di ogni giorno, si tratta di un altissimo concetto etico, che, se fosse osservato e messo in pratica, contribuirebbe notevolmente a rendere un po’ migliore la vita di tutti. Certamente don Abbondio non avrebbe potuto fermare i piani scellerati di don Rodrigo, riguardo a Lucia (non vi riuscì nemmeno padre Cristoforo, con tutta la sua autorevolezza e il suo coraggio personale), però avrebbe potuto fare qualcosa di meglio di ciò che fece, rifiutandosi, con mille scuse, di celebrare il matrimonio di Renzo e Lucia, e tenendoli all’oscuro di ciò che sapeva. Il colloquio fra don Abbondio e il cardinale Federigo Borromeo, nel XXV capitolo de I promessi sposi, tratta proprio di questo: nel chiedere conto del mancato matrimonio dei due giovani, il cardinale dice anche al pavido curato ciò che avrebbe dovuto fare, pur non avendo un cuor di leone, per aiutare in qualche modo le due vittime innocenti di una prepotenza, e restar fedele al suo mandato di pastore del piccolo gregge affidatogli. L’importante è non collaborare al male: nel caso di don Abbondio, la collaborazione con il male, sia pure dettata dalla paura, si è esplicitata nel non aver celebrato il matrimonio di Renzo e Lucia, come sarebbe stato suo dovere di prete; nel caso del santo eremita Basilio, il rifiuto di cooperare al male si è espresso nel diniego d’indirizzare il giovane Nikita verso la casa ove il suo arrivo avrebbe innescato una serie di eventi drammatici: Elena, infatti, era stata la sua fidanzata, che gli aveva promesso eterna fedeltà; ma poi, mentre lui era andato a combattere contro i Lituani, era stata costretta a fidanzarsi e a sposare il vecchio Morozov, persona peraltro degnissima, per proteggere se stessa da un male ancor peggiore: il matrimonio con un nobile, fedelissimo di Ivan il Terribile, che lei detestava, ma che lo zar in persona intendeva imporle di sposare.
Rispetto a don Abbondio, l’eremita Basilio ha il vantaggio della chiaroveggenza, frutto della sua santità: lui sa e vede con chiarezza ciò che attende Nikita Serebrany, quando ancora nessun altro potrebbe immaginarlo; così come lo starec Zosima, ne I fratelli Karamnazov di Dostoevskij, vede al primi sguardo che Dimitrij, il fratello maggiore di quella tragica famiglia, finirà per pagare il prezzo più alto, addossandosi le colpe di tutti; e si getta piangente ai suoi piedi, come fosse davanti al Cristo crocifisso. Ma è un vantaggio, per Basilio, la chiaroveggenza? Se parlasse, molto probabilmente non verrebbe creduto; mentre è fin troppo facile prevedere le conseguenze negative del mancato matrimonio di Renzo e Lucia, almeno per don Abbondio, perché non occorre il dono della profezia per capire che adesso don Rodrigo potrà passare all’esecuzione del suo disegno: fare in modo che Lucia divenga sua preda. Ad ogni modo, che sia facile da prevedere, oppure no, il male ha una sua maniera di rivelarsi, che una coscienza vigile e ben desta sa cogliere al volo, senza lasciarsi sorprendere: la sorpresa è la reazione di chi ha abbassato la soglia dell’attenzione, e, nel caso del male, di chi si è in qualche modo assuefatto a un clima di relativismo morale, di confusione e di leggerezza. Alle anime deste e vigilanti, il male si rivela sempre in anticipo; peraltro, quasi sempre, è la stessa ragione naturale che ci mette in guardia contro di esso, prima ancora che si sia rivelato in tutta la sua potenza negativa. Il fatto che, nondimeno, esso sia sempre presente, e sempre pronto a trascinare gli uomini nelle sue spire, dimostra che gli uomini si fanno facilmente suoi collaboratori, pur avendolo riconosciuto o pur avendo intuito, dietro le apparenze seducenti, la sua vera natura. Il che è una ulteriore dimostrazione di quanto povera sia l’etica intellettualistica di Socrate: non è affatto vero che basta vedere il bene per farlo; lo si può vedere, e tuttavia non farlo; così come si può vedere il male, ed intuirne le conseguenze negative, senza tuttavia trattenersi sulla strada intrapresa verso di esso. Controprova: se avesse ragione Socrate, gli uomini più intelligenti e perspicaci sarebbero quasi immuni dal male, e solo gli stolti e gli ingenui vi cadrebbero dentro: il che è falso. Accade che le malvagità più grandi siamo commesse proprio da uomini estremamente intelligenti e previdenti; e che, all’incontrario, esempi di bontà sublime, e di autentica santità, ci vengano da uomini e donne di mediocre intelligenza e di nessuna particolare astuzia o perspicacia. Il bene e il male sono solo in sede teorica questioni che concernono l’intelligenza e la razionalità; in sede pratica, che è quella della vita di ogni giorno, essi riguardano assai più la sensibilità, la volontà e la capacità di provare compassione per le sofferenze altrui.
Ma quand’è che noi mandiamo il nostro prossimo verso il male? Lo facciamo ogni volta che, pur vedendo il male, e vedendo che una certa persona sta dirigendo i suoi passi in quella direzione, non solo non facciamo nulla per fermarla, per dissuaderla, per metterla in guardia, ma, addirittura, contribuiamo in qualche modo, direttamente o indirettamente, a rafforzare la sua decisione, magari solleticando la sua passionalità o facendo leva sul suo lato debole, quale che sia. E lo facciamo tutti, nella vita di ogni giorno; ma una responsabilità più grande, per il numero di persone che possono essere influenzate, ce l’hanno i personaggi pubblici, intellettuali compresi; e, ovviamente, quelli che esercitano una presa immediata e viscerale sui giovani, come cantanti, stelle del rock, attori, modelle famose, campioni sportivi; senza dimenticare quanti non godono di altrettanta visibilità mediatica, ma hanno un forte potere decisionale o esercitano un ascendente morale, come direttori e proprietari di giornali, di reti televisive, di cinema e discoteche, di case editrici; per non parlare degli educatori, degli avvocati, degli uomini di Chiesa. Tutti costoro sono in grado di vedere il male che le loro parole o le loro azioni potrebbero causare, influenzando negativamente il prossimo; perciò, se non adoperano una estrema prudenza nelle loro scelte, se non stanno bene attenti a non essere motivo di scandalo e di turbamento morale, si assumono una grave responsabilità circa le possibili conseguenze. Se, poi, si servono deliberatamente del male, ad esempio invitando il loro pubblico, o i loro lettori, o i loro ascoltatori, o i giovani loro affidati, a commetterlo, infrangendo ogni legge morale, la loro responsabilità è diretta e assume una connotazione francamente diabolica. Non vi è nulla di più grave, infatti, che fare il male sapendo di farlo, sapendo che esso causerà, o potrà causare, dell’altro male, e servendosene unicamente per aumentare la propria popolarità, la propria ricchezza, il proprio potere.
Vi è una tragica e misteriosa fatalità nel male che vediamo annunciarsi, e al quale non possiamo opporci in alcun modo. Un soldato, in guerra, può ricevere un ordine ingiusto e disumano, ma sa che, se non lo eseguirà, verrà egli stesso passato per le armi, e, inoltre, che il suo sacrificio sarà stato inutile, perché l’ordine verrà comunque eseguito da qualcun altro. Un armaiolo può trovarsi davanti un cliente che vuole acquistare una pistola, e nel cui sguardo coglie una luce malvagia, inquietante, così come il proprietario di una rivendita di liquori può dover servire un cliente che vuole acquistare dei superalcolici, pur recando visibilmente i segni dell’alcolismo. La situazione, in questi due casi, è simile a quella precedente: il negoziante sa che, in ogni caso, non sarà il suo rifiuto a fermare il male che sta per consumarsi, provocando sofferenze e ulteriore disordine, e, del resto, non ha neppure l’autorità legale per negare il prodotto che gli viene richiesto. Nondimeno, la sua coscienza si trova a disagio, egli non sa come debba regolarsi – e siamo certi che, trovandosi al suo posto, non lo saprebbe neanche la maggior parte di noi.
Ciò di cui stiamo parlando, in pratica, sono i cosiddetti peccati di omissione. Il male non è solo quello che si commette in maniera attiva, ma anche quello cui si assiste inerti, o indifferenti; è anche quello che si potrebbe fermare, sia pure in quella piccola parte che da noi dipende, o che si potrebbe ritardare, se non impedire. Dicevamo che la natura del male è misteriosa, perché si vede sovente che, nonostante gli sforzi congiunti di più persine che impedirlo, esso giunge ugualmente ad effetto, come se un istinto perverso lo avesse reso scaltro e gli avesse mostrato il sentiero più facile, quello che gli ha permesso di aggirare o di scavalcare tutte le protezioni, tutte le resistenze. In questo senso, nessuno deve caricarsi di un senso di responsabilità eccessivo, davanti al male che si consuma sotto i suoi occhi, e che non ha voluto, né favorito: perché è impossibile, in moltissimi casi, fermare una volontà malvagia, una volta che essa si sia messa sulla strada seda cui non c’è ritorno. Nessuno di noi è onnipotente, nessuno ha la bacchetta magica per fermare il male e per trasformarlo in bene: Dio soltanto ce l’ha. Perciò, non bisogna esagerare con i sensi di colpa; anzi, diciamo che il senso di colpa è sempre sbagliato e patologico, mentre, in alcuni casi, è giusto che vi sia il senso del peccato, a cui deve seguire il rimorso e il pentimento, con il proponimento di espiare e di non ricadere nel male.
Il fatto è che, se nessuno può fermare il male che altri vogliono commettere, a meno che costoro non si ravvedano e non si lascino guidare, è tuttavia possibile, e perciò doveroso, combattere il male che noi stessi siamo tentati di compiere. Gesù è stato molto chiaro, e anche piuttosto severo, su questo punto: Se il tuo occhio ti dà scandalo, cavalo; se la tua mano ti dà scandalo, tagliala; se il tuo piede ti dà scandalo, taglia anche quella. Anche se ad alcuni piace pensare che Dio sia sempre e solo misericordioso, la verità è che Dio è anche giusto, e pretende da noi almeno uno sforzo per collaborare al bene e per opporci al male. Chi vuole perdersi, alla fine si perde; ma chi vuole salvarsi, se lo vuole davvero, alla fine si salva, sia pure passando attraverso cadute e riprese. Abbiamo due potenti alleati al nostro fianco: l’uno fallibile, il libero arbitrio, che ci consente di operare una scelta responsabile fra il bene e il male; e l’altro infallibile, la grazia divina, che ci guida senza esitazione verso ciò che piace a Dio, quindi verso il bene. Con i nostri simili, abbiamo almeno l’obbligo di non esser loro di scandalo, di non spingerci l’un l’altro verso il male. Quelli che lo fanno, si assumono la parte tenebrosa del Diavolo. Guai a loro, quando verrà l’ora de Giudizio…
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