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Santa Augusta e l’intima verità della pietà popolare

Nel precedente articolo Storie dimenticate: S. Priamo, la sua chiesa, il culto (pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 20/09/21) avevamo accennato a quei culti religiosi locali che sono attestati ab antiquo dalla pietà popolare, ma che la scarsezza delle fonti storiche hanno spinto i soliti ipercritici a mettere in dubbio o addirittura, come nel caso del povero San Simonino di Trento, a espungere dal calendario liturgico, magari per fare un favore ai fratelli luterani, o ai fratelli ebrei, o ai fratelli islamici, insomma a tutti i fratelli possibili e immaginabili, e tanto peggio se si mortifica senza riguardi e si ferisce nel profondo la fede dei cattolici (vedi anche il nostro articolo Dove vogliono arrivare i cattolici come don Iginio Rogger?, pubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 19/01/18). Non bisogna credere che l’atteggiamento di sufficienza, spinto talvolta fino a un vero e proprio disprezzo verso le forme della pietà popolare, specialmente nel culto dei santi locali, sia un portato del protestantesimo, né che sia una strategia tipica della massoneria: di fatto tale mentalità nasce all’interno della stessa cultura cattolica, ed è tanto antica quanto lo è l’inizio del distacco della cultura laica da quella religiosa. Ne troviamo infatti una rappresentazione esemplare nella blasfema novella di Giovanni Boccaccio dedicata a Ser Ciappelletto (giornata 1, novella 1 del Decameron), nella quale un uomo totalmente e irrimediabilmente depravato, sprofondato in tutti e sette i peccati capitali, compie un’ultima beffa sacrilega in punto di morte, ingannando il buon frate che lo confessa, e facendogli credere di essere vissuto come un perfetto cristiano: ragion per cui, dopo morto, si sparge la voce delle sue virtù eroiche ed egli stesso viene venerato come un santo, e il suo corpo, sepolto con tutti gli onori dentro la chiesa, diviene oggetto di devoti pellegrinaggi e di un culto popolare spontaneo e molto vivo.

La festa di Santa Augusta di Serravalle, patrona (insieme a san Tiziano) di Vittorio Veneto, ricorre il 22 agosto (il 27 marzo ricorre il ritrovamento dei resti) ; il culto è stato ufficializzato da Benedetto XIV il 22 maggio 1754. Ella era, secondo la tradizione, la figlia di un re o un capo barbaro, forse visigoto, Matruc o Matrucco, che al tempo delle invasioni di Alarico, al principio del V secolo, aveva costruito un fortilizio sul monte Marcantone, oggi noto anche come monte di Santa Augusta, e da lì controllava la chiusa di Serravalle e la via strategica che dai Paesi tedeschi conduce nella pianura padano-veneta (ancora ai nostri giorni la statale che percorre la sella del Fadalto e la stretta di Serravalle si chiama Statale di Alemagna, cioè di Germania). Orfana di madre, la quale era morta dandola alla luce, verso il 410, la piccola Augusta venne segretamente battezzata e istruita nella religione cristiana da un eremita che viveva nei pressi, e crescendo mise in pratica gli insegnamento ricevuti, distinguendosi nelle opere di carità verso i poveri della zona. Scoperta dal padre, pagano fanatico, che era divenuto sospettoso per le frequenti uscite dalla figlia dal castello (nel corso di una delle sue ispezioni il pane che ella nascondeva sotto il mantello fu mutato miracolosamente in un mazzo di fiori), le venne imposto di rinnegare la fede in Cristo e, di fronte, al suo netto rifiuto, il padre furibondo ordinò che fosse sottoposta a svariate torture, fra le quali quella della ruota. Tuttavia ogni tentativo di toglierle la vita con i metodi consueti risultò vano, compreso quello di bruciarla viva sul rogo, per cui da ultimo fu necessario decapitarla. Si dice che dopo l’orrendo misfatto il padre, disperato e pentito, si sia rimproverato per ciò che aveva fatto senza più trovar pace, tanto che alla fine decise di lasciare il castello sul Marcantone e partire per sempre.

Il culto della santa è molto antico; e, a dispetto di ciò che sostengono gli scettici, secondo i quali "augusta" non sarebbe il nome di battesimo di una santa, vergine e martire, ma un aggettivo che si riferisce alla Madonna, nel 1450 i suoi resti vennero rinvenuti durante dei lavori di restauro all’interno del santuario sul fianco del monte, ove si trovano tuttora. La voce di Wikipedia a lei dedicata informa che

La storia di Sant’Augusta è in gran parte leggendaria. La fonte più approfondita al riguardo è una "Vita di Sant’Augusta" edita nel 1581 da Minuccio Minucci, protonotario apostolico e segretario di papa Clemente VIII, e inviata nelle stamperie di Colonia per essere inserita nel "De probatis sanctorum historiis" di Lorenzo Surio. È ovvio che questo testo si basa su leggende e tradizioni precedenti.

Tuttavia aggiunge anche che

La storia del culto di Sant’Augusta si pere nel tempo, in quanto le fonti archivistiche sono andate n gran parte perdute. Si sa che il monte Marcantone, luogo del martirio, era denominato "Mons sancte Auguste" già nel 1234. La santa viene citata anche negli statuti di Serravalle del 1360 come patrona venerata sin dai temi più antichi.

Ora, se il culto della santa è così remoto che si perde nella nebbia del tempo e lo si ritrova nei più antichi statuti del comune di Serravalle, come è possibile che si basi sul nulla, cioè su un banale equivoco fra la parola "augusta" come nome proprio e come aggettivo riferito a qualcun altro? E le migliaia e migliaia di pellegrini che, dal Medioevo fino quasi ad oggi (sì, quasi: fino a un paio di decenni fa; poi, si sa, anche da queste parti è arrivata la modernità, la laicizzazione e soprattutto è arrivato il cattolicesimo adulto e antimitologico del Vaticano II), si sono avviate, il 22 agosto di ogni anno, su per le ripide pendici del Marcantone, oggi per mezzo di un sentiero scandito da sette cappelle settecentesche, avrebbero pregato invano una santa inesistente? Il solo pensiero ci sembra assurdo e insostenibile, a meno di essere accecati dall’ideologia: la devozione popolare non nasce dal nulla. E il ritrovamento dei resti nel 1450, una pia illusione anche quella? In ogni caso non è questa la sede per condurre un’adeguata ricognizione storica sulla Santa; ci piace invece cogliere l’occasione per svolgere una riflessione sull’intimo significato e la profonda verità della pietà popolare, a dispetto del fatto che la documentazione storica, in taluni casi, appaia lacunosa e insoddisfacente dal punto di vista di una critica intrisa di scetticismo e materialismo.

Osservava a tale proposito Augusto Campo Dell’Orto, un colto sacerdote vittoriese che a suo tempo abbiamo conosciuto, particolarmente interessato alla storia della sua città e della sua diocesi e molto sensibile ai temi culturali e spirituali in generale (da: A. Campo Dell’Orto, Un fiore sulla roccia. S. Augusta Vergine e Martire Serravallese, Arti Grafiche Conegliano, 1982, pp. 33-36):

Poiché messaggio e storia sono intimamente legati nella vita di ogni santo, bisognerà non perdere mai ciò che è essenziale nella devozione ai santi: l’imitazione. «Onorare e non imitare, altro non è che bugiarda adulazione». Occorre cioè saper carpire alla storia devozionale le notizie che essa ci offre intorno a S. Augusta vergine e martire, resistendo alla tentazione di cedere tanto alla fantasia che crea, quanto alla devozione che amplifica.

Anche in questo campo, è la semplicità che si impone alla nostra cultura cristiana; soprattutto in un momento, come il nostro, in cui le ideologie dominanti e le idee ricevute colludono in una sorta di congiura a scapito dell’intelligenza e dell’uomo.

Urge realizzare il progetto culturale di qualificazione delle devozioni ai santi in modo da rendere la società a misura dell’uomo. (…)

Al di à di quanto di vivace e folkloristico può essersi insinuato nella devozione a S. Augusta, bisognerà capire, approfondire e distinguere i suoi contenuti e sviluppi, ammettendo innanzitutto che il concetto stesso di religiosità popolare, dalla sua nozione intuiva alla sua rigorosa definizione, si frantuma oggi in una pluralità di significati. Infine le sue manifestazioni riflettono una realtà composita: rito religioso, gita turistica, pellegrinaggio, mercato ed evento ludico.

Il tutto come non può giudicarsi con dubbio sistematico, così non può partire da un preconcetto che escluda il significato religioso. Rischieremmo l’immobilità del positivismo, che non riesce a vedere al di là delle proprie ipotesi; mentre dovremmo rimproverare a noi stessi di non aver occhi per vedere che l’uomo religioso ha il compito di essere creatore di significati. (…)

Come nei tempi lontani di S. Augusta, e forse ancor più oggi incombe questo incontro generatore di più credibile testimonianza cristiana. Per smussare spigoli, ammorbidire contrasti ideologici e sociali, irrigiditi e quasi sclerotizzati dal tempo, l’uomo deve convergere all’amore, legge fondamentale del proprio esistere. (…)

Certamente parecchi dei nostri padri hanno inteso così la devozione a S. Augusta. Molti di noi possono ricordare ancora le migliaia di devoti pellegrini che con preghiere e canti, fin dalla vigilia della festa, giungevano a piedi o sui "saraban" (carri trainati da cavalli o da buoi) ornati di verdi festoni e di fiori, dalla pianura Trevigiana e dal Friuli a questo convegno annuale di fede e di grazia.(…)

Non posso dimenticare la felice impressione che riportai alcuni anni fa, discendendo dal colle di S. Augusta, proprio il giorno della sua festa.

Nel gioioso alternarsi di saluti e di incontri con volti sudati d fanciulli e di adulti, ebbi l’occasione di accompagnarmi per qualche tratto con una persona particolarmente serena. Del breve dialogo che intercorse fra noi, ricordo solo queste sue espressioni: «Io sono contento e sono venuto quassù a chiedere una ‘grazia’ per mia moglie. Ma sento — disse sento — che S. Augusta ascolterà la mia preghiera perché, dopo molti anni che non mi accostavo al sacramento della Penitenza, ora mi sono convertito a Dio, tornando a credere in Cristo». E sorridendo piangeva dalla gioia…

Nel salutarlo, lo ringraziai per avermi reso partecipe della sua fede nella grazia più grande ottenuta presso S. Augusta: la conversione.

Su questa linea che conduce fra le braccia di Cristo, la devozione si fa storia di salvezza.

Oggi, come dicevamo, non si vedono più folle di pellegrini inerpicarsi su per il ripido sentiero che conduce dal Duomo di Serravalle al Santuario di Sant’Augusta, sul crinale del monte Marcantone; tanto meno si vede la gente arrivare il giorno prima, anche da paesi relativamente lontani, dalla destra Piave e dalla destra Tagliamento, per rivolgere alla santa una preghiera o per sciogliere un voto. È un fenomeno di carattere generale, che riguarda non solo il culto dei santi più cari alla tradizione popolare di un tempo già quasi lontano, ma anche i santuari mariani, tranne i più grandi, dove però prevale l’aspetto turistico e in genere l’organizzazione parrocchiale o diocesana, mentre la fede individuale, che è la cosa più importante, vi ha una parte sempre minore. Colpa, si dirà, del processo di secolarizzazione che ha attraversato tutte le società moderne: e sta bene; però, senza dubbio il clero ha fatto la sua parte, perché nel clero stesso si sono insinuate le tendenze moderniste, storiciste, filo-protestanti, insieme ad una esasperata volontà di sopprimere tutto ciò che può rappresentare un ostacolo al tanto sbandierato dialogo con chi non è cattolico, non vuol saperne dei cattolici e mai arriverà a formulare un giudizio equo sul cattolicesimo, per la buona ragione che lo odia e vorrebbe vederlo estirpato; non essendoci riuscito finora, batte la strada fraudolenta della progressiva, metodica erosione interna. Ora la devozione popolare, fatta la tara a quanto d’eccessivo e talvolta (ma questo aspetto è stato fin troppo enfatizzato dagli anticattolici) quasi di pagano vi si può annidare, è quanto di più sincero, commovente, e in definitiva quanto di più specificamente cattolico esiste nella nostra fede. Anche la cornice mitizzante che sovente l’accompagna non è affatto un male in sé: è un male solo se da cornice diventa il quadro stesso; ma se è uno strumento per condurre l’anima alla verità della fede, e dunque alla conversione, allora che sia benedetta. Ci sia concesso di spiegarci con un piccolo esempio. L’8 settembre si celebra la Madonna del Runal, presso un piccolo santuario aggrappato alle pendici occidentali dell’Altipiano del Cansiglio, quasi a strapiombo sul lago di Santa Croce. In una splendida cornice di faggi e abeti rossi, i bambini accompagnano gli adulti in un pellegrinaggio di preghiera e devozione. C’è anche, o c’era fino a qualche anno fa, un signore che, al termine della santa Messa, offriva ai più piccoli la sua merce, dei giocattoli colorati di plastica che nei raffinati negozi di città non si trovano più. Il cattolico adulto e dialogante si scandalizza di fronte a tale commistione di sacro e profano; noi no Ci sono cose che la mente del bambino, più aperta e intuitiva, sa cogliere nella loro totalità; la mente dell’adulto, più settoriale, le comprenderà più tardi e in sostanza le confermerà con il lume della ragione naturale. Dice Gesù: Se non vi farete piccoli come questi bambini, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 18,3).

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Torsten Dederichs su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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