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Udine, 18 gennaio 1905: un miracolo di padre Pio

Che cosa si può immaginare di più drammatico, di più commovente, di un padre di famiglia che sta morendo proprio nel momento in cui la sua sposa, che lo assiste sul letto d’agonia, sta per mettere alla luce il frutto del loro amore? Sembra quasi un romanzo, o magari un film, di quelli di una volta: e invece è la pura verità, è storia documentata. Aggiungete che si tratta di una famiglia nobile, in un antico palazzo; ma che è notte e fa molto freddo, perché siamo in pieno mese di gennaio, nell’estremo Nord dell’Italia, e che, al momento decisivo, non un solo parente, né un solo membro della servitù, per non parlare di un dottore o di una levatrice, si trovano lì presenti, e la giovane donna dovrà far tutto da sola, con l’unico aiuto del soprastante. E aggiungete anche che a un tratto, inspiegabilmente, i cani nel cortile si sono messi ululare con tanta insistenza da disturbare gli ultimi istanti di vita del pover’uomo e che la sua devota moglie, perché possa essere sereno nell’ora del trapasso, decide di andar giù lei a calmarli, ma che proprio lì, nel cortile, è sorpresa dalle doglie del parto, e non le sarà possibile trattenere il nascituro neppure per i pochi secondi necessari a rientrare in casa. Infine, immaginatevi che la donna, dopo aver felicemente partorito, voglia risalire subito nel palazzo per mostrare il neonato — una bella bambina — al povero marito, e che questi faccia appena in tempo a vedere la piccina, per poi chiudere gli occhi per sempre e presentarsi davanti a Dio. Siete riusciti ad immaginarvi tutto questo? È, come dire, un po’ troppo forte, non è vero? Ma aspettate, perché non è ancora finita; anzi, il più deve ancora arrivare. Perché in quella notte da tregenda eppure dolcissima, perché la vita che nasce pare proprio che venga a riempire il vuoto della vita che se ne va, si verifica qualcosa che resterà impresso per sempre nella memoria di quella madre coraggiosa, ma che lei stessa non saprà mai spiegare ad alcuno e neppure a se stessa; lo racconterà a sua figlia, molti anni dopo, ma sempre senza saper dire se si fosse trattato di realtà o di allucinazione, dovuta all’estrema tensione di quelle ore, di quei momenti che l’avevano messa così duramente a faccia a faccia con i due più grandi misteri della condizione umana: la morte di una persona cara e la nascita di un figlio. Si era trattato di questo: proprio mentre ella stava partorendo, e si può bene immaginare quale tempesta di sentimenti le stesse squassando l’anima, sapendo che suo marito, di sopra, aveva forse già esalato l’ultimo respiro e in tutto il palazzo e nella buia e fredda notte d’inverno non c’era nessuno, assolutamente nessuno che la potesse confortare e sostenere, le era sembrato di vedere, anzi, era ben certa di aver visto, una figura estranea alla casa: un religioso, e precisamente un giovane frate cappuccino. Ora, per completare il quadro, già ricco, delle stranezze che abbiamo narrato, bisogna precisare che nessun frate cappuccino era mai stato in quella casa, e che quindi era assolutamente escluso che si trattasse di una persona in qualche modo conosciuta; al contrario, era evidente che si trattava di un personaggio mai visto prima. E infine si tenga presente che questo frate riapparirà, in carne e ossa, nella vita di quella bambina, molti anni più tardi, quand’ella era ormai divenuta una ragazza; e che svolgerà un’influenza decisiva per tutto il resto della sua vita.

Ci resta solo da precisare la data, il nome del luogo e l’identità di quelle persone. La data è la notte fra il 18 e il 19 gennaio 1905. La città avvolta nel gelo dell’inverno è Udine: un po’ come l’aveva descritta Giovanni Boccaccio in una pagina famosa del suo Decamerone (giornata decima, novella quinta: la novella di madonna Dianora e il negromante): essendo i freddi grandissimi et ogni cosa piena di neve e di ghiaccio. La casa è il Palazzo Rizzani che sorgeva nella parte settentrionale della città, lungo l’odierna via Tiberio Deciani – principale laterale di sinistra di borgo Gemona, che lo mette in comunicazione con borgo San Lazzaro – presso l’angolo con l’attuale via Divisione Julia. Per esser precisi, a pochi metri da lì c’era stato, sì, un convento di frati cappuccini e anche una chiesa, dedicata a Santa Giustina, di cui però da moltissimo tempo si era persa la memoria (tranne che nel none della via omonima, una lunga e stretta strada che si apre all’incirca di fronte a dove sorgeva il complesso religioso e che va a sboccare in via Francesco di Toppo: cfr. il nostro articolo: Omaggio alle chiese natie: Santa Giustina; e inoltre Il giardino d’inverno, pubblicati sul sito dell’Accademia Nuova Italia rispettivamente il 02/11/18 e il 25/03/18). I protagonisti della vicenda sono il marchese Giovanni Battista Rizzani, sua moglie Leonilda Serrao, e la loro figlia Giovanna Rizzani Boschi. Quanto al frate, pensiamo che lo abbiate già capito: non è altri che padre Pio da Pietrelcina, a quel tempo non ancora ordinato sacerdote, ma umile studente di teologia di appena diciotto anni (era nato il 25 maggio 1887).

E adesso, per rievocare dettagliatamente questa vicenda, facciamo ricorso a una pagina del libo di Antonio Socci, Il segreto di Padre Pio, una delle migliori biografie che siano state scritte sul santo frate di Pietrelcina (Milano, Rizzoli, 2007, pp. 175-178):

Il primo ‘fatto insolito’, dal punto di vista cronologico, risale al 18 gennaio 1905, quando Francesco (il giovane padre Pio) ha solo 18 anni e da un anno studia filosofia nel convento do sant’Elia a Pianisi, a Campobasso, per diventare sacerdote. Ecco come annoterà — un mese dopo — ciò che gli è capitato. "Giorni fa mi è accaduto un fatto insolito; mentre mi trovavo in coro con fra’ Atanasio, erano circa le 23 del 18 gennaio quando mi ritrovai lontano in una casa signorile dove il padre moriva mentre una bimba nasceva. Mi apparve allora Maria Santissima che mi disse: "Affido a te questa creatura. È una pietra preziosa allo stato grezzo: lavorala, levigala, rendendola il più lucente possibile perché un giorno voglio adornarmene. Non dubitare, sarà lei che verrà da te, ma prima la incontrerai in San Pietro". Dopo ciò mi sono ritrovato nuovamente in coro. Questa bambina è poi diventata la marchesa Giovanna Rizzani Boschi che è stata una dei settanta supertestimoni nel processo di beatificazione del padre ed è morta solo da poco, nel 2000, a Trevi dell’Umbria, vicino a Foligno. Renzo Allegri la incontrò nella primavera del 1984 e si fece raccontare gli sviluppi di quel "fatto insolito" accaduto al giovane frate il 18 gennaio 1905. O meglio si fece narrare la vicenda dal suo punto di vista. Dunque Giovanna aveva conosciuto fin da piccola il racconto di sua madre su quella sera. Suo padre, Giovanni Battista Rizzani, stava morendo nel suo palazzo signorile di Udine, assistito dalla moglie, sebbene lei fosse incinta ormai a uno stadio avanzato. In tarda serata i cani cominciarono tutti insieme a ululare. La donna scese in cortile per farli tacere, ma fu presa dalle doglie e si trovò a partorire lì, con il solo aiuto dell’amministratore che era arrivato a vedere cosa stava accadendo. La donna, forte e coraggiosa, riuscì poi faticosamente a salire le scale dopo il parto, con la neonata in braccio. Fece appena in tempo a rivedere vivo il marito che spirò pochi minuti dopo. Nel raccontare quella terribile serata alla figlia, la madre, negli anni successivi, aveva sempre aggiunto un particolare strano e inspiegabile: in quei minuti concitati e drammatici in cui lei stava partorendo, lì in quel cortile, "aveva visto un giovane frate cappuccino. Non riuscì mai a capire se si era tratto di una visione, di una allucinazione o della realtà, anche perché in famiglia nessuno aveva mai conosciuto frati cappuccini" ("Padre Pio. L’uomo della speranza", 1996, p. 120). La storia va avanti con la donna che — rimasta vedova — si trasferisce a Roma con la figlia Giovanna, studentessa, la quale, come tutti gli adolescenti, ha mille domande nel cuore, anche in materia di religione. Un pomeriggio dell’estate 1922 la ragazza, diciassettenne, sta visitando San Pietro con un’amica. Camminando fra quelle navate le viene il desiderio di parlare di tutte le sue domande e i suoi dubbi a un sacerdote. Così cerca, chiede, ma le viene risposto che la basilica avrebbe chiuso entro mezz’ora e che ormai non c’era più nessuno. Perciò le due amiche oproseguirtono la visita, ma voltarono un angolo e Giovanna si accorse che c’era lì, davanti a lei, un cappuccino. Colse l’occasione al volo, domandò al religioso se poteva parlargli un minuto, quel frate rispose di sì ed entrò nel confessionale. La ragazza spiegò che lei non voleva confessarsi, ma solo chiarire certi suoi dubbi. Il frate l’ascoltò e le rispose su tutto in modo convincente e chiaro. Tanto che uscendo dal confessionale la ragazza disse all’amica di aspettare un attimo, ché voleva chiedere a quel frate dove poteva trovarlo in futuro per parlare ancora con lui. Aspettarono un po’, ma quando il sacrista invitò tutti a uscire per la chiusura della basilica e le due ragazze andarono a cercarlo dentro asl confessionale, non ci trovarono nessuno e non seppero capacitarsi di quando e come fosse uscito da lì. Nell’estate del 1923 Giovanna sente parlare per la prima volta di un certo padre Pio da Pietrelcina di cui si riferivano cose inaudite, come il fatto che egli aveva le stigmate. La ragazza sentì il desiderio di andare a San Giovanni Rotondo a conoscerlo e, con la zia e alcune amiche, organizzò il viaggio e partì. Al convento sul Gargano trovarono tanta gente. Giovanna riuscì a trovar posto in prima fila. Entrò in chiesa padre Pio. Camminava davanti a tante persone, finché passò davanti a lei, si fermò, la guardò negli occhi sorridendo e le disse: "Giovanna, io ti conosco. Tu sei nata il giorno in cui morì tuo padre". È ovvio che la ragazza rimase di sasso. Finché l’indomani mattina riuscì a confessarsi da padre Pio, che, dopo averla benedetta, le dirà: "Figlia mia, finalmente sei venuta. Da tanti anni ti aspettavo". E lei : "Padre, forse mi sta scambiando per un’altra persona". Ma il frate: "No, non mi sbaglio; anche tu mi conosci". La ragazza obiettò che era la prima volta che veniva a San Giovanni Rotondo. E padre Pio: "L’anno scorso, in un pomeriggio d’estate, ti sei recata con un’amica nella basilica di San Pietro in cerca di un sacerdote che potesse illuminare i tuoi dubbi sulla fede. Hai incontrato un cappuccino e hai parlato vin lui. Quel cappuccino ero io".

Da quel momento Giovanna Lizzani Boschi diventerà una delle figlie spirituali di padre Pio e una attiva collaboratrice della Casa di Sollievo della Sofferenza, l’ospedale fortemente voluto dal santo a San Giovanni Rotondo. Il fatto prodigioso avvenuto a Udine, dunque, è ben documentato: lo stesso padre Pio lo aveva annotato qualche giorno dopo la propria bilocazione, e la marchesa Leonilde lo avrebbe confermato verbalmente sia alla figlia, sia al giornalista Renzo Allegri; mentre per la bilocazione avvenuta nella basilica di San Pietro, a Roma, diciassette anni dopo, è testimone Giovanna Rizzani Boschi. Si noti che il santo sapeva perfettamente dove era stato "trasportato" miracolosamente, perché lo disse a Giovanna: io sono stato a casa tua, a Udine, mentre tuo padre stava morendo e tua madre ti aveva appena dato alla luce. E si noti che il "viaggio" di padre Pio è avvenuto per una precisa intenzione della Vergine Maria: è stata Lei ad affidare al povero cappuccino, che allora era un giovane del tutto sconosciuto non solo al mondo, ma anche ai suoi confratelli e ai suoi superiori, la missione di vegliare sulla bambina, preannunciandogli che l’avrebbe rivista a suo tempo e che desiderava che lui la levigasse e la facesse risplendere come un diamante, poiché aveva deciso di porla sotto la sua protezione. Quasi inutile aggiungere, perché è cosa ben nota, che padre Pio non è mai stato materialmente a Udine, né in alcun’altra località del Friuli o del Nord-est; anzi, non è stato praticamene da nessuna parte, tranne che in pochi luoghi intorno al suo convento di San Giovanni Rotondo, nel profondo dell’Italia meridionale, e, una sola volta, a Roma: eppure è stato visto in tantissimi luoghi; perfino da alcuni aviatori alleati che, durante la Seconda guerra mondiale, "sentirono" una forza soprannaturale che impediva loro di bombardare, secondo le istruzioni, quella località del Gargano. Poi, a guerra finita, un generale dell’aviazione americana, a San Giovanni Rotondo, si sentì mettere una mano sulla spalla da un frate che gli disse: Dunque eri tu quello che voleva farci fuori tutti! Fra parentesi, padre Pio non solo non gli aveva rivolto la Parola in inglese, ma lo aveva fatto in dialetto beneventano: eppure il generale capì perfettamente quello che gli diceva e quell’incontro fu per lui così decisivo che, da protestante, si convertì al cattolicesimo. Ma di che stupirsi? Come fa rilevare anche Socci, il tempo e lo spazio assoluti sono una nostra illusione e, dopo Einstein, lo sappiamo: non vi è che il presente; i Santi, per concessione divina, possono avere accesso a questo presente assoluto già in vita, per compiere delle azioni di bene, mentre gli altri esseri umani sono legati alle catene della dimensione temporale. La comunicazione con persone che parlano un’altra lingua è una difficoltà ancor più semplice da spiegare: il linguaggio dei Santi avviene direttamente da anima ad anima, è per così dire un linguaggio telepatico, per cui non vi sono barriere linguistiche di sorta. Segnaliamo che sulla bilocazione di Udine esiste uno specifica monografia, scritta dal giornalista e saggista Roberto Tirelli e intitolata Maria incontra Padre Pio in bilocazione a Udine (Edizioni Segno, Udine, 2018). Da parte nostra, abbiamo conosciuto persone degne di fede che sostengono di aver visto e interagito con padre Pio in varie località dove egli non risulta essere mai stato, ad esempio a san Polo di Piave, in provincia di Treviso; né ce ne stupiamo. Ai Santi nulla è impossibile, perché nulla è impossibile a Dio. A una condizione però: assoluta purezza di cuore e offerta totale, incondizionata, al suo Volere.

Fonte dell'immagine in evidenza: Foto di Torsten Dederichs su Unsplash

Francesco Lamendola
Francesco Lamendola
Nato a Udine nel 1956, laureato in Materie Letterarie e in Filosofia all'Università di Padova, ha insegnato dapprima nella scuola elementare e poi, per più di trent'anni, nelle scuole medie superiori. Ha pubblicato una decina di libri, fra i quali L'unità dell'essere e Galba, Otone, Vitellio. La crisi romana del 68-69 d.C, e ha collaborato con numerose riviste cartacee e informatiche. In rete sono disponibili più di 6.000 suoi articoli, soprattutto di filosofia. Attualmente collabora con scritti e con video al sito Unione Apostolica Fides et Ratio, in continuità ideale e materiale con il magistero di mons. Antonio Livi. Fondatore e Filosofo di riferimento del Comitato Liberi in Veritate.
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