
Se vuoi sapere le ultime notizie, leggi san Paolo e l’Apocalisse…
16 Novembre 2016
Grazie, sorelle
17 Novembre 2016L’uomo moderno è l’uomo faustiano: gonfio di sé, pieno d’orgoglio, convinto di poter fare da solo, di non aver bisogno di niente e di nessuno; e più che certo di non aver bisogno di Dio, anzi, del fatto che Dio ha rappresentato il più grande ostacolo sulla via della sua emancipazione, sia psicologica che sociale; semmai, disposto — più che disposto — a stringere un patto col diavolo per assicurarsi quel tanto di potere, di successo, di ricchezza, che ancora gli manca per essere felice, per ritenersi pienamente appagato della sua condizione e del suo posto nel mondo.
L’uomo moderno ha un nuovo dio da adorare, il Progresso, al posto dell’antico; ed è un dio che gli sorride sempre, che gli promette tutto ciò che vuole, che gli lascia immaginare di poter conquistare tutto ciò che desidera: presto o tardi, con lo strumento della scienza e della tecnica, e con la sola forza della sua ragione, egli riuscirà ad abbattere gli ultimi ostacoli, o, quantomeno, ad aggirarli e oltrepassarli. La malattia? Si può sconfiggere. La sofferenza? Si può arginare, limitare, circoscrivere; si può ridurre a proporzioni accettabili, metterla sotto controllo: tanto quella fisica che quella morale. Per la prima, ci penserà la medicina; per la seconda, la psichiatria. La morte? Ebbene, se non domani, dopodomani, ma non è detto che non si possa sconfiggerla… Intanto, si può procedere con la clonazione; con la manipolazione genetica; con la fecondazione artificiale, magari post mortem, magari con ovuli e semi di parecchi genitori; e poi, c’è sempre la sala d’attesa della ibernazione, dove si può confortevolmente e ragionevolmente aspettare che saltino fuori, a tempo debito, il farmaco giusto, la terapia appropriata per quella tale malattia.
Nel frattempo, l’uomo moderno si tiene aggiornatissimo, vuol sapere tutto, ogni giorno, ogni ora, ogni cinque minuti. Vuol sapere chi ha vinto le elezioni nel Paese X e se ha divorziato la coppia Tal dei Tali; vuol sapere che tempo farà domani e quale sia l’oroscopo per il proprio segno zodiacale; come vanno le quotazioni in borsa e a quanto è salito, o sceso, lo spread sui titoli di Stato; di quale entità è stato il raccolto di frumento e quanto vino è stato imbottigliato con l’ultima vendemmia, chi ha vinto l’ultimo doppio di tennis sui campi di *** e se quella certa campionessa di nuoto ha migliorato, e di quanto secondi e frazioni di secondo, il proprio record nei cento metri stile libero; quali film si possono vedere al cinema multisala più vicino e se si è risolta la vertenza sindacale tra i postelegrafonici e l’azienda delle Poste e Telecomunicazioni. In breve, l’uomo moderno è un onnivoro, e, nello stesso tempo, un nevrotico: se gli manca qualcuno di questi dati, o se tarda una di queste informazioni, s’inquieta, s’impensierisce, diventa nervoso, insicuro, ansioso. Ha bisogno di sapere quel che succede nel mondo, vicino e lontano; altrimenti si sente perso, impotente, abbandonato; non può farne a meno, come il fumatore non può resistere a lungo senza le sigarette, e come il bevitore non può fare a meno della sua bottiglia.
Nello stesso tempo, però, stranamente – ma forse neanche tanto -, purché disponga di tutte le informazioni che gli sembrano necessarie e abbia a disposizione tutti i suoi gingilli tecnologici, che gli permettono di sentirsi "connesso" con il resto del mondo, l’uomo moderno guarda con commiserazione ai suoi nonni, che imperniavano la loro vita su valori trascendenti e un Dio invisibile, che prometteva la croce e le persecuzioni (più la pace; ma lui preferisce l’adrenalina); egli si ritiene molto più intelligente e immensamente più fortunato, perché non soggiace a simili ubbie, a tali paranoie. È razionale e positivo, lui; non lo incantano le favole per le vecchiette, non è mica un bambino; e poi, capace com’è di dominare le forze della natura in modo sempre più efficace e spregiudicato, di cosa dovrebbe preoccuparsi, cosa dovrebbe temere, a parte i terremoti – che, peraltro, non teme più come un tempo – o la caduta d’un meteorite sulla Terra?
Léon Bloy diceva di non leggere mai i giornali; per sapere quali fossero le ultime notizie, andava a leggersi le Lettere di San Paolo e il libro dell’Apocalisse: lì si parla di ciò ch’è essenziale, e si parla delle cose ultime, nel senso letterale e profondo dell’espressione. Obbedienti al suo invito, andiamo ad aprire il libro dell’Apocalisse, come del resto ci invita a fare la liturgia della Santa Messa, oggi, il 15 novembre del 2016 (capitolo 3, versetti 14-22, nella traduzione della Bibbia di Gerusalemme):
All’angelo della chiesa di Laodicèa scrivi:
Così parla l’Amen, il testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio: Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca. Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla", ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo. Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperarla vista. Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce emi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono. Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.
In fondo è banale, terribilmente banale: dopo aver vissuto anni di benessere, di spensieratezza, perfino di spreco (ora un po’ meno, anzi, ora per nulla: ma le cattive abitudini si attaccano peggio delle tarme ai vestiti vecchi), e così ci siamo scordati dell’essenziale. Abbiamo relegato Dio in soffitta e abbiamo incominciato a prendere le cose alla leggera. Quali cose? Tutte: la parola data, i giuramenti fatti, gli impegni presi; il senso del giusto, del buono, del vero; la disponibilità al sacrificio, l’onestà, la serietà umana e professionale, il rispetto dovuto agli altri ed a noi stessi. Sì, anche e soprattutto a noi stessi. Ci siamo abituati a trattare gli altri come oggetti, e noi stessi come una cosa. Abbiamo vezzeggiato e lusingato il nostro corpo, le nostre passioni, la nostra ambizione, la nostra vanità; e ci siamo dimenticati di quel che realmente siamo. Abbiamo capovolto le virtù cardinali: trasformato la prudenza in imprudenza, la giustizia in ingiustizia, la fortezza in accidia, e la temperanza in sfrenatezza e lussuria. A forza di occuparci del superfluo e d’inseguire l’accessorio, abbiamo perso di vista ciò che è permanente, ciò di cui non si può fare a meno.
Non si può fare a meno della vita dell’anima; non si può fare a meno di pensare all’eternità; non si può fare a meno di Dio. Senza queste cose, noi sprofondiamo nel fango. La creatura umana – perché è una creatura, pur se talvolta vorrebbe scordarsene – non conosce le mezze misure: tende all’eccesso. Se le si toglie Dio, s’immerge nel vizio e nel delitto: Se Dio non c’è, allora tutto è permesso, sentenzia Ivàn Karamazov. E il santo curato d’Ars: Lasciate gli uomini per vent’anni senza il loro parroco (e quindi senza Dio), ed essi cominceranno ad adorare le bestie. Afferrati nel turbine del diabolico consumismo, ci siamo messi ad adorare le bestie; anzi, siamo scesi ancora più in basso: ci siamo messi ad adorar le macchine. Il telefonino, il computer, la fuoriserie: ecco i nostri nuovi dèi. E poi gioielli, e vestiti firmati, e pellicce, e ville con piscina, e vacanze alle isole Maldive. Niente cultura; niente spiritualità; niente religione; niente famiglia; niente lavoro. La cultura? Una cosa inutile, che non frutta nulla. La spiritualità? Roba per i frati e le suore di clausura; ai comuni mortali non interessa. La religione? Lasciamola in sacrestia, lasciamola alle nonne, che non hanno di meglio da fare, nella loro giornata, che andare a recitar Rosari. La famiglia? Una palla al piede, una limitazione, un fastidio: la nemica del piacere, della nostra libertà. Il lavoro? Una maledizione, una autentica ingiustizia: tempo ed energie che ci vengono sottratti per fare cose che non c’interessano, che facciamo unicamente per portare a casa lo stipendio; ma le facciamo con il minimo dell’attenzione, dell’impegno, dello scrupolo. Il lavoro è per i fessi; spassarsela, è da furbi.
Ammettiamolo: alle radici del nostro orgoglio, della nostra presunzione, della nostra pretesa di essere chi sa che cosa, non più creature, ma dei piccoli dèi, c’è la folle aspirazione a travalicare il nostro statuto ontologico; e i suoi frutti si manifestano in una paurosa caduta della tensione morale. Ridotto alle dimensioni di una macchina per la ricerca del piacere, l’uomo moderno non osserva più fede, né lealtà, né onore; non s’interessa veramente più di nulla, tranne che del proprio ventre e del proprio sesso; non cerca più nulla, se non di saziare le sue brame, di soddisfare i suoi capricci, e d’ingegnarsi a trovarne poi sempre di nuovi, affinché la ricerca del piacere non abbia mai fine, e niente e nessuno ponga dei limiti al suo "diritto" alla felicità.
Ecco: senza bisogno di gazzette, di telefonini, di computer, di telegiornali, il libro dell’Apocalisse ci ha detto l’essenziale: ci ha ricordato che quanto più siamo ricchi e quanto più ci sentiamo forti e indipendenti, tanto più siamo lontani da Dio e dalla verità, e tanto più siamo poveri, infelici, miserabili, ciechi e nudi. Ci ha ricordato che non vivremo in eterno; e che verrà il Giudizio. Verrà per ciascuno di noi, individualmente; ma verrà anche per noi tutti, per la civiltà di cui facciamo parte, per il mondo in cui viviamo, e che avevamo creduto eterno. Ma nulla è eterno, se non Dio; e nulla è buono, lontano da Lui e senza di Lui. Ci siamo sviati; abbiamo sbagliato: e gli sbagli si pagano. Ci verrà chiesto di renderne conto. Allora diverremo pallidi e balbetteremo, ma non troveremo nulla da dire. Non potremo più vantarci della nostra intelligenza, né della nostra tecnologia, né del nostro cosiddetto progresso. Ci vedremo, noi stessi, finalmente, per quel che realmente siamo: dei miserabili, nudi e sconci, che si vantavano della loro miseria e se ne gloriavano, come se tanta meschinità fosse motivo di orgoglio. Comprenderemo anche, ma solo allora, di essere stati molto meno intelligenti di quel che avevamo immaginato nei nostri sogni di grandezza; vedremo, anzi, con estrema chiarezza, di essere stati terribilmente stupidi, per avere sistematicamente rifiutato e disprezzato quel che è bene, e per aver bramato ed inseguito ciò che è male. E questo, oltre ad essere un peccato davanti a Dio, è anche il segno di un grande accecamento, di una grande, colossale stupidità. Capiremo d’essere stati dei bestioni, degli animali, mentre ci credevamo dei Pico della Mirandola e degli Aristotele, tutti quanti, dal primo all’ultimo. E non ci sarà più nulla da fare, perché il tempo sarà scaduto.
Oh, sì, lo sappiamo bene: oggi simili discorsi non vanno più di moda, neppure là dove dovrebbero essere di casa, e dove sono sempre stati di casa: nella Chiesa cattolica e nella vita religiosa dei credenti. Oggi, un clero modernista e fellone ha traviato le masse, annunciando una rivelazione che non è la Rivelazione, e predicando un dio che non è il vero Dio: non è quel Gesù Cristo, che disse di sé: Io sono la Via, la Verità e la Vita; ma un dio che se la passa alla meno peggio insieme ad altri dèi e ad altre religioni, perché l’odierno magistero pretende d’insegnare che esistono le religioni e che sono tutte vere, almeno fino a un certo punto, poiché tutte esprimono lo slancio dell’uomo verso la trascendenza e tutte conducono a dio (più o meno). Già: ma a quale dio? Ad un dio qualunque, o al solo, vero ed unico Dio, quello che i cristiani hanno sempre adorato nel mistero della Santissima Trinità: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo? I pastori che dicono al gregge simili cose, non sono più dei veri pastori: hanno tradito la loro missione, stanno ingannando le pecorelle che erano state loro affidate. E lo stanno facendo per la più abietta delle ragioni: per piacere al pubblico, per rendersi popolari fra le masse.
Si sta avverando, così, l’ammonimento del profeta Isaia (30, 9-10; traduzione della Bibbia di Gerusalemme): Poiché questo è un popolo ribelle, sono figli bugiardi, figli che non vogliono ascoltare la legge del Signore! Essi dicono ai veggenti: "Non abbiate visioni", e ai profeti: "Non fateci profezie sincere, diteci cose piacevoli, profetateci illusioni!".
Ecco qui: Diteci cose piacevoli! Molti cristiani si sono stancati di portare la croce, di combattere col mondo. Hanno scoperto che ci si può levare la croce dalle spalle, che si può arrivare a un compromesso con il mondo; e, per mettersi a posto la coscienza, hanno preteso dai pastori di sentirsi dire che ciò è lecito, anzi, che è cosa buona e giusta. Avrebbero potuto scegliere di essere onesti, e dire apertamente: Non crediamo più! Abbiamo perso la fede!, e andarsene per la loro strada. Chi glielo impediva? Invece no: hanno preteso di rimanere, e hanno preteso che i loro pastori approvassero la loro apostasia, e che non la chiamassero apostasia, ma "rinnovamento ecclesiale", o, peggio — e bestemmiando — "misericordia di Dio". Con il pretesto della misericordia di Dio, hanno capovolto il Vangelo e stravolto la Rivelazione; la Tradizione, poi, l’hanno gettata via. Come dei miserabili, nudi e ciechi, che però si credono ricchi; dei poveracci che si vantano di chissà cosa…
Fonte dell'immagine in evidenza: Wikipedia - Pubblico dominio