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Un tesoro in vasi di terra
22 Ottobre 2016Il cristiano, se è veramente tale, dovrebbe avere un qualcosa che lo fa riconoscere, di primo acchito, se non proprio come un cristiano, certo come un uomo che è morto alla vita di prima, alla vita vecchia di quando andava a tentoni nelle tenebre, ed è rinato alla vita nuova, luminosa, donata dalla Grazia di Cristo, che ha fatto di lui un altro uomo.
Se questo quid non si vede, non si nota, allora vuol dire che c’è qualcosa che non va. Certo, non tutti i cristiani sono santi, però sono tutti chiamati alla santità: Gesù è un padrone estremamente generoso, ma anche estremamente esigente; non li vuole a mezzo servizio, non sa che farsene dei seguaci tiepidi, tentennanti, che vorrebbero tenere il piede in due staffe; bisogna invece decidersi: o per Lui, o per il mondo.
La strana pretesa, non solo pratica, ma anche teologica, di molti sedicenti cristiani dei nostri giorni, è quella di essere, contemporaneamente, per Cristo e per il mondo; non solo: di voler unire le due cose, di volerle compenetrare, di volerle fondere, sinché divengano una cosa sola: vorrebbero creare un cristianesimo moderno, o meglio modernista, che accolga e faccia sue le caratteristiche della civiltà moderna e che, in tal modo, vada d’amore e d’accordo con il mondo, come se ciò fosse la cosa più logica e naturale, e non il sovvertimento completo del Vangelo. Gesù, infatti, non è venuto per scendere a patti con il mondo; non ha raccomandato ai suoi discepoli di uniformarsi al punto di vista del mondo, di condividere le tendenze del mondo: tutto al contrario, li ha ammoniti a non lasciarsi tentare e a non essere timidi davanti al mondo, che li avrebbe odiati e perseguitati, così come aveva odiato e perseguitato Lui. Per essere ancora più esplicito, nella solenne preghiera che fece al termine dell’Ultima Cena, si rifiutò di pregare il Padre per il mondo, e ribadì che Egli pregava solamente per i suoi, sottolineando in tal modo che è impossibile essere con lui e anche con il mondo, perché il mondo resiste alla Verità e si rifiuta di riconoscerla, e il suo peccato è proprio questo, un peccato di superbia.
Dunque: l’uomo vecchio e l’uomo nuovo; la vecchia vita e la nuova. Se non si nota per nulla che una persona si è illuminata interiormente; se il suo sguardo, le sue parole, i suoi silenzi, il suo modo di agire, non rivelano che qualcosa è cambiato in lei, che è non è più quella di prima; se non rendono palese il segreto del suo cuore, e cioè che quella persona è stata molto lontano, ha fatto un viaggio immenso e ha potuto scorgere, sia pure di lontano, le altezze sublimi che solo la fede in Gesù Cristo consente d’intravedere, e di gioirne immensamente, allora vuol dire che l’adesione al Vangelo è stata solo formale, che è avvenuta in superficie e con una riserva mentale, e che tale riserva ha impedito all’anima di ricevere il dono più importante, quello della Grazia, che opera il rinnovamento della vita interiore. Questo concetto deve essere ben chiaro: non è l’uomo che, accogliendo il Vangelo, si rinnova e si spiritualizza, con la sue forze e la sua volontà, ma è la potenza di Dio in lui, la Grazia che riceve per mezzo dello Spirito Santo, e che l’uomo non potrà mai darsi da se stesso, ma che può solo domandare umilmente, e sperare — nel senso teologico del verbo "sperare" – di riceverla.
Uno sguardo più dolce, più assorto; una maggior calma e pacatezza nei gesti; una serena, fiduciosa tranquillità e compostezza, anche nei frangenti più scabrosi che la vita può farci incontrare; una disposizione alla pace, al perdono, alla contemplazione, al rifiuto dell’azione perennemente interessata, carica di brame e di timori: tali dovrebbero essere gli indizi rivelatori della comparsa dell’uomo nuovo e della vita nuova, in luogo dei vecchi. L’uomo carnale dovrebbe essere morto; e l’uomo spirituale dovrebbe gettare il suo sguardo sul mondo come se lo vedesse per la prima volta, pieno d’incanto, e tale da lasciar intravedere anche quel che sta oltre di esso.
Dice san Paolo nella Lettera agli Efesini (4, 17-32; 5, 1-14):
Ora, in nome del Signore, io vi scongiuro: non comportatevi come quelli che non conoscono Dio, che hanno per la mente pensieri che non valgono nulla. I loro ragionamenti li rendono come ciechi, il loro cuore indurito li fa diventare ignoranti e li allontana dalla vita di Dio. Ormai sono diventati insensibili, e si sono lasciati andare a una vita corrotta; commettono impurità di ogni genere e non sono mai soddisfatti.
Voi invece non avete imparati niente di simile quando avete conosciuto Cristo se, come è vero, proprio di lui avete sentito parlare e siete stati istruiti nella sua verità. Allora sapete cosa dovete fare: la vostra vecchia vita, rovinata e ingannata dalle passioni, dovete abbandonarla, così come si mette via un vestito vecchio; e invece dovete lasciarvi rinnovare cuore e spirito, diventare uomini nuovi creati simili a Dio, per vivere nella giustizia, nella santità e nella verità.
Perciò, basta con le menzogne! Come insegna la Bibbia, "ciascuno dica la verità al suo prossimo" (Zc 8, 16), perché noi tutti formiamo un unico corpo. E "se vi arrabbiate, attenti a non peccare" (Gc 1, 19-20): la vostra ira sia spenta prima del tramonto del sole. Non date spazio al diavolo. Se qualcuno rubava, ora non rubi più: anzi, si dia da fare, lavorando onestamente con le proprie mani, per avere la possibilità di aiutare chi si trova nel bisogno.
Nessuna parola cattiva deve mai uscire dalla vostra bocca; piuttosto, quando è necessario, dite parole buone, che facciano bene a chi le ascolta. Non rendete triste lo Spirito Santo che Dio ha messo in voi come un sigillo, come garanzia per il giorno della completa liberazione. Fate sparire dalla vostra vita l’amarezza, lo sdegno, la collera. Evitate le urla, la maldicenza e le cattiverie di ogni genere. Siate buoni gli uni con gli altri, pronti sempre ad aiutarvi; perdonatevi a vicenda, come Dio ha perdonato a voi, per mezzo di Cristo.
Poiché siete figli di Dio, amati da lui, cerate di essere come lui; vivete nell’amore, prendendo esempio da Cristo, il quale ci ha amati fino a dare la sua vita per noi, offrendola come un sacrificio che piace a Dio.
Di impurità, vizi e immoralità di ogni genere, voi non dovreste nemmeno parlare, perché non sono cose degne di voi che appartenete a Dio. Lo stesso vale per tutti ciò che è sciocco, volgare ed equivoco: sono cose sconvenienti. Piuttosto dovreste continuamente ringraziare Dio. Sappiatelo bene: i depravati, i viziosi e gli avari (l’avarizia è un modo di adorare gli idoli) non troveranno posto nel regno di Cristo e di Dio.
Non lasciatevi ingannare da ragionamenti senza senso: sono queste le colpe di chi non vuole ubbidire a Dio e perciò si tira addosso la sua condanna. Non abbiate niente in comune con questa gente.
Un tempo vivevate nelle tenebre: ora, invece, uniti al Signore, voi vivete nella luce. Comportatevi dunque da figli della luce: bontà, giustizia e verità sono i suoi frutti.
Cercate ciò che piace al Signore. Non fate amicizia con quelli che compiono azioni tenebrose che non danno alcun frutto; piuttosto denunziate quelle loro azioni (perché sono azioni che essi fanno di nascosto ed è vergognoso perfino parlarne).
La luce mostra la vera natura di tutto ciò che viene messo in chiaro.; poi la luce trasforma ciò che essa illumina, e lo rende luminoso…
Come si vede, per san Paolo non solo il peccato vero e proprio, ma anche tutto ciò che è ambiguo, sconveniente, querulo, banale, indiscreto, dovrebbe sparire dalla vita del cristiano: il cristiano si dovrebbe riconoscere anche per la serietà, la pacatezza, la modestia, il pudore. Ora, certa pseudo teologia postconciliare, imbevuta di relativismo e di naturalismo, vorrebbe far passare non solo i comportamento sconvenienti e inopportuni, ma anche il peccato stesso, come qualcosa di accettabile, e, in fondo, di non contrario al volere di Dio, perché Dio ci vuole "felici" e, quindi, non è immaginabile che goda nel vederci repressi, frustrati, scontenti. Codesti teologi da strapazzo, supportati — ahimè — da alcuni pastori che hanno perso la fede, ma non hanno l’onestà di ammetterlo e di lasciare un ruolo di cui sono divenuti indegni, per cui seminano confusione nel gregge che era stato loro affidato, ragionano come certi genitori che preferiscono essere indulgenti con i loro figli, sino al punto di assecondarli nei vizi, piuttosto di vederli contrariati: genitori dal cuore tenero, ma totalmente inadatti al loro ruolo, perché il ruolo del genitore è quello di assumersi le proprie responsabilità e porsi davanti ai figli come colui che indica la via da seguire, e ne dà l’esempio, per primo, con i suoi atti e con le sue parole. Allo stesso modo, il ruolo del teologo è quello di aiutare il credente ad illuminare e corroborare la propria fede; così come il ruolo del pastore è quello di aiutare le pecorelle del suo gregge a trovare il pascolo della pace e dell’amore, che è Cristo, anche a costo di sferzarle, se necessario, di scuoterle energicamente, di costringerle in ogni modo a lasciar andare la vecchia vita e a vivere in pienezza la vita nuova, senza la quale la Grazia non può discendere nell’anima, e la Redenzione di Cristo, per costoro, diventa inutile.
Le parole di san Paolo sono chiare: Di impurità, vizi e immoralità di ogni genere, voi non dovreste nemmeno parlare, perché non sono cose degne di voi che appartenete a Dio. Eppure, c’è qualche pseudo cristiano che ha l’ardire di stravolgerne la lettera e lo spirito, trasformando quelle azioni in qualcosa di naturale, di innocente, persino di buono, magari con la chiave universale dell’amore. Infatti: in nome dell’amore, ormai il mondo vorrebbe giustificare tutto, far passare tutto, elogiare tutto; e i cattolici progressisti, sempre impegnati a rincorrere affannosamente la cultura moderna, che è la cultura del mondo — anticristiana nella sua essenza, perché grossolanamente materiale e carica di superbia intellettuale, del tutto chiusa all’azione della Grazia, che Dio dona solo ai piccoli e ai semplici — sono arrivati al punto di voler contrabbandare il peccato per azione meritoria davanti a Dio e agli uomini. E tutto ciò con il Vangelo in mano, che essi leggono e interpretano — alla maniera protestante — con la massima libertà e con la più sconcertante disinvoltura, cercando di trasformarlo in una pezza giustificativa delle loro turpi azioni e dei loro bassi istinti. Spettacolo tristissimo, addirittura tragico, perché testimonia non solo la decadenza del timor di Dio negli stessi cristiani, ma uno spirito di malizia e di ribellione che spinge la sua sfrontatezza sino a volere la benedizione di Dio su cose che non possono essere benedette, ma, semmai, riprovate e maledette con parole di fuoco. Quale terribile indurimento del cuore, dietro simili degenerazioni.
Voler fare di Dio il complice e mallevadore dell’umana iniquità: si può immaginare una perversione della fede più orribile di questa? Certa teologia progressista ci ha intronato gli orecchi con il motivo del rifiuto del "Dio tappabuchi"; e che cosa ha finito per produrre, dopo alcuni decenni di laborioso travaglio? Qualcosa di assai peggio del "Dio tappabuchi": un "Dio complice" dei vizi umani e della umana ipocrisia; un Dio che si abbassa a "coprire" le bassezze e le infedeltà dell’uomo; un Dio che si comporta come quelle mamme-amiche delle loro figlie, che firmano loro la giustificazione per la scuola, asserendo con parole menzognere che le poverette erano indisposte, mentre si trattava di pura e semplice pigrizia, o della volontà di aggirare una interrogazione o un compito, e, magari, di una pigrizia e di una pusillanimità incoraggiate e stuzzicata proprio da loro. Poverina, sei stanca? Vieni qua, che ti scrivi la giustificazione; e poi dormi, riposati, dicono le mamme-amiche alle loro figliolette che, dopo una notte di bagordi, al mattino, piene di sonno, non se la sentono di alzarsi e andare a compiere il loro dovere quotidiano, come chiunque altro. Ottimo sistema pedagogico per crescere dei figli imbelli, viziati, capricciosi, narcisisti, immaturi e irresponsabili.
San Paolo, peraltro, spiega, e sempre con chiarezza magistrale, perché non dovrebbe più esservi posto per la vita vecchia, laddove sia nato realmente l’uomo nuovo, redento in Cristo e illuminato dallo Spirito Santo: perché, una volta invasa dal fiume di luce della Grazia, l’anima cessa di vivere una vita di passioni, di brame, di desideri disordinati, egoistici, e si offre, docile e malleabile, all’azione modificatrice, illuminante e infinitamente benefica della Grazia. L’uomo vecchio muore quando muoiono le sue passioni; e le passioni muoiono quando l’anima, avendo incontrato l’amore di Cristo, si sente ardere a sua volta d’amore, si sente trasfigurata, si sente proiettata verso la luce, verso le altezze: percepisce fino a che punto noi siamo stranieri nel mondo, anche se la nostra dimora, per adesso, è quaggiù. L’anima, quando riceve il dono di Dio, il Paraclito, misura in tutta la sua immensità la distanza che separa la sua vita di prima, intrisa di passioni indomabili, portatrici di perenne irrequietezza, agitazione, angoscia, e la vita presente, inondata dalla luce divina. Tuttavia, se l’anima si lascia sedurre dai piaceri del mondo, non può conservare la pace della Grazia e si scorda che il mondo, per il cristiano, o accetta di essere redento, oppure va rifiutato e combattuto…
Fonte dell'immagine in evidenza: Immagine di pubblico dominio (Raffaello)